Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Death Symphonic. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Death Symphonic. Mostra tutti i post

martedì 16 ottobre 2018

Sanguine Glacialis - Hadopelagic

#PER CHI AMA: Symph Avantgarde, Diablo Swing Orchestra, Fleshgod Apocalypse
La zona adopelagica è il dominio biogeografico che comprende le più profonde fosse dell'oceano. Si estende da 6000 metri di profondità fino al fondo dell'oceano. Pensate alla fossa delle Marianne, la fossa più profonda della Terra, li dove si ritiene che quasi tutte le creature abissali che vivono a queste profondità, traggano nutrimento dalla neve marina o, nei pressi di sorgenti termali, da varie reazioni chimiche. Se qualcuno di voi si stava giustappunto domandando il significato di 'Hadopelagic', secondo full length dei canadesi Sanguine Glacialis, ora è accontentato. La band originaria di Montreal, è guidata dal dualismo vocale della cantante lirica Maude Théberge abile a muoversi tra un cantato lirico ed un growling stile Cadaveria nei primi album degli Opera IX, in un condensato orchestrale di ben 60 minuti. Il cd si apre con le interessanti melodie di "Aenigma", song caratterizzata da un sound sinfonico in cui convergono tuttavia sonorità estreme, psicotiche linee di chitarra che evocano i nostrani Fleshgod Apocalypse, cosi come pure gli ultimi sinfonismi dei Dimmu Borgir, ma che poi, di fronte al cantato di Maude, ammiccano a realtà più commerciali, in stile Nightwish o Within Temptation. Il risultato però è ben più convincente, almeno per il sottoscritto, con la proposta articolata ed eclettica dei Sanguine Glacialis, cosi attenti nel proporre una gamma di colori davvero notevole nel proprio sound. Se pensate che l'inizio di "Kraken" apre tra funk, rock, symph, sperimentazioni a la Dog Fashion Disco, Devin Townsend e Diablo Swing Orchestra, per poi ritornare prontamente nei binari del death per una manciata di secondi e continuare successivamente a divagare in territori sinfonici, potrete solo lontanamente intuire quanto mi senta disorientato in un'escalation musicale davvero dirompente, tra scale cromatiche da urlo, ed una crasi sonica tra uno stile estremo ed un altro al limite dell'esotico. Tutto chiaro fin qui? Non proprio direi, nemmeno per il sottoscritto che ha avuto modo più volte di ascoltare il disco e cercato di codificarne il messaggio. I Sanguine Glacialis sono dei pazzi scatenati e lo dimostrano le divagazioni jazzy espletate nel finale della seconda song. "Libera Me" vede Maude scatenarsi in eterei ululati, mentre Marc Gervais ne controbilancia la performance con il suo cantanto gutturale. La song è comunque schizofrenica e perennemente votata al verbo stupire. Lo si deduce anche con "Le Cri Tragique d'une Enfant Viciée", brano in grado di saltare, con una certa disinvoltura, di palo in frasca. Con "Funeral for Inner Ashes" la proposta della compagine del Quebec sembra apparentemente più lineare: apertura affidata al pianoforte, poi una musicalità che procede senza troppi sussulti tachicardici fino a metà brano, dove il lirismo vocale della frontwoman è sostenuto da una batteria che potrebbe stare tranquillamente su un disco dei Cryptopsy, band non proprio citata a caso visto che Chris Donaldson dei Cryptopsy ha prodotto il disco in questione e forse una qualche influenza deve averla trasmessa ai nostri. La song prosegue comunque delicatamente verso il finale, in un duetto voce/pianoforte quasi da brividi. Il piano, sempre ad opera di Maude, apre anche "Oblivion Whispers", in cui i nostri musicisti non ci fanno mancare il loro apporto death sinfonico, in una traccia che ancora sembra evocare un ibrido epico tra Nightwish e Fleshgod Apocalypse, sorretti da una ritmica costantemente irrequieta in balia di una musicalità perennemente variegata; spaventoso a tal proposito il cambio di tempo a due minuti e mezzo dalla fine, in cui in un batter di ciglia, si passa dal death al rock e viceversa, con acrobazie da artista circense, costantemente in bilico tra difformi amenità estreme e passaggi rock/nu metal. Un album non certo facile da assimilare, da ascoltare e riascoltare anche quando un robusto riffing apre "Deus Ex Machina", per poi immergersi in suoni liquidi e psichedelici che arrivano ad evocare anche Unexpected o Akphaezya. Spettrale “Missa de Angelis" nel suo roboante inizio, poi quando le tastiere iniziano un po' a canzonarsi in stile Carnival in Coal o Solefald, la band entra nel solito vortice musicale dal quale risulta sempre più proibitivo uscire. E il centrifugato di quest'ennesima traccia, mette in mostra, ma non ce n'era più bisogno, tutto l'impianto ritmico, pirotecnico della band canadese, sempre in bilico tra mille ubriacanti generi musicali, qui peraltro assai folkish. Spero non si riveli un boomerang questa voglia di strafare per sorprendere costantemente i fan con trovate al limite del tollerabile. Le qualità tecnico-esecutive della band sono indiscutibili, ma in questi 60 minuti di musica c'è cosi tanta carne al fuoco, che il rischio di bruciare qualcosa è assai alto. Io non posso che premiare le sperimentazioni avanguardistiche dei Sanguine Glacialis ed un songwriting da urlo, con il monito di fare estrema attenzione che talvolta eccedere può rivelarsi a dir poco fatale. Nel frattempo, fate vostro questo mostro mitologico, lasciandovi sopraffare dalle melodie impervie e progressive di "Monster", ultima spettacolare perla di questo avventuroso 'Hadopelagic'. (Francesco Scarci)

(WormHoleDeath - 2018)
Voto: 80

https://sanguineglacialis.bandcamp.com/

giovedì 23 agosto 2018

Veratrum - Visioni

#PER CHI AMA: Symph Death, Fleshgod Apocalypse
L'evoluzione dei Veratrum non trova sosta. 'Visioni' è il quarto lavoro della band bergamasca che mi trovo a recensire e dagli esordi brutal death/black, ora mi trovo tra le mani un disco che gode di ottime orchestrazioni, e che sembra aver virato ormai verso estremismi sonori dalle forti tinte sinfoniche. E io non posso che compiacermi di questa virata perché decisamente più vicina alle mie corde. Godo pertanto nell'ascoltare "Oltre il Vero", una song che alterna parti atmosferiche ad altre più isteriche e tirate, con le screaming vocals in italiano, sempre chiare e in primo piano. Ottima la componente solistica, ma sono soprattutto gli arrangiamenti a farla da padrone e conquistarmi con la loro magniloquenza e carica esoterica. Esoterismo ritual-demoniaco che trova sfogo nel breve intermezzo "Per Antares" che apre "L'Alchimista", song tiratissima ma che in sottofondo sfoggia sempre ottime orchestrazioni, ma di cui mi preme sottolineare la performance vocale di Haiwas, pungente e feroce quanto basta ma sempre intellegibile nei testi e questo non fa altro che permettermi di apprezzare anche i testi che sembrano godere di influenze "lovecraftiane". Sorprendente l'inizio de "La Stella Imperitura" con un chorus epico (che tornerà anche nel finale) che lascia subito posto alla tempesta cosmica scaturita dal continuo sferragliare in blast beat dei nostri, mitigato dall'imponente miscela sinfonica che ne costituisce il suo endoscheletro. Ottima anche qui la parte solistica a cura delle due asce formate da Haiwas e Rimmon, menti peraltro del progetto Voland. A chiudere l'EP, ecco un coro liturgico sorretto da un improbabile pianoforte e da un imprevedibile clarinetto a preparare il nuovo avvento targato Veratrum. Chissà cosa avrà da riservarci il futuro dei quattro demoniaci visionari italici. (Francesco Scarci) 

mercoledì 28 marzo 2018

Profundum - Come, Holy Death

#FOR FANS OF: Symph Black/Death
Profundum is a rather new project formed in the southern American city of San Antonio, Texas. This band is a side project of R and LR, pseudonyms of two quite active musicians who have several projects, all of them related to the extreme scene. In fact, R whose real name is Ryan Wilson, has a very interesting band called The Howling Void, which plays symphonic funeral doom. Other projects are nevertheless, more related to death and black metal. Profundum represents a combination of their previous projects though it remains firmly rooted in the black metal sound, with a strong atmospheric touch and including some other influences.

After a promising EP entitled 'What no Eye Has Seen', R and LR focused their efforts in order to give life to their first full album. It didn’t take too long until 'Come, Holy Death' was released by the German underground label Heathen Tribes in 2017. Profundum´s debut came in a nice digipak, sadly without booklet, and with an eye-catching artwork, which fits perfectly well the album´s musical concept. Without having the lyrics, I can hardly decipher their meaning, but the song titles have a sinister touch dealing with creation, void and darkness in general. The listener will realize that both music and lyrics are perfectly compatible. Musically, the album can be tagged as atmospheric black metal with a generous presence of the keys, which play a major role. Apart from that, it seems that both members try to import some influences from other projects. The use of powerful growls by LR is a good example of the death metal influence. Anyway, he also uses classic shrieks which also sound quite competent. It’s interesting to point out that the growls are usually accompanied by some slow moments which sound quite death-doom esque, making a great contrast to the usual fast pace that the majority of tracks have. In those sections both vocal styles are usually used. The album opener “Sentient Shadows” is a nice example and clearly shows how the band combines both resources in a very well executed way. The combination of fast black metal sections and beautiful and mesmerizing keys, with slow paced doom-death metal sections is something very habitually used in this record, and it works fantastically well.

All the tracks maintain a very similar structure and level, which I must admit is quite high, but my personal favourite is “Tunnels to the Void”. The track has a slow start including as usual some majestic keys. This section is abruptly finalized when the drums change the pace to a much faster one, nevertheless the grandiose keys still lead the pack and they truly sound magnificent. I personally consider this song a truly majestic and hypnotic experience. Production wise that R and LR gave the album a certainly old school touch. Like in the 90s', the instruments sound like it they were recorded far from the microphones, especially the guitars and drums. On the other hand, vocals and keys have a greater presence in the mix making a great contrast between the hypnotic and atmospheric side and the most brutal one.

In conclusion, Profundum released an excellent debut, which is a great piece of atmospheric black metal seasoned with some death and doom influences. These influences make the album even more interesting. As I have already mentioned, the keys play a major role and they are truly excellent and grand during the whole record, being the best ones I have listened to since a long time. A truly great start! (Alain González Artola)


giovedì 1 febbraio 2018

Deconstructing Sequence - Cosmic Progression - An Agonizing Journey Through Oddities of Space

#PER CHI AMA: Experimental Black/Death, Dodheimsgard, Akercocke
Deconstructing Sequence atto III: dopo le recensioni dei due EP da parte dei miei colleghi, tocca oggi al sottoscritto prendersi carico dell'ascolto del debutto sulla lunga distanza della band polacca e dirvi cosa ne penso. Iniziamo col dire che il concept astronomico/fantascientifico cominciato in 'Year One', prosegue anche in questo 'Cosmic Progression - An Agonizing Journey Through Oddities of Space'. Dicasi altrettanto della proposta musicale del quartetto che prosegue in territori estremi sperimentali che si muovono dal black/death dinamitardo della opening track, "Lifeforce Awakens", a sentori progressivi o addirittura elettronici. Ma andiamo con ordine e lasciamoci travolgere dalla tempesta solare dell'opener, in cui la matrice di fondo è decisamente estrema, ma il cui impetuoso incedere viene spezzato da break di sintetizzatori, voci campionate, tappeti elettro-sinfonici e in generale da un cataclisma sonico piuttosto complicato da decifrare, che potrebbe chiamare in causa i Solefald più folgorati, gli Aborym di 'Dirty' oppure i Dodheimsgard. Le partiture industrial orchestrali, abbinate a scheggie dal vago sapore grind, irrompono nella folle “V4641 Sgr”, una song difficile da inquadrare e probabilmente anche da digerire, complice un drumming in hyper blast-beat , dotata di un suono non del tutto naturale. Le melodie non sono affatto male, ma sembra che la band abbia voluto strafare, facendosi prendere talvolta un po' troppo la mano. Sia chiaro, le idee ci sono, anche piuttosto originali, che nei turbinii cervellotici del pezzo, evidenziano una certa influenza anche da parte della corrente estrema britannica, guidata da Mithras e Akercocke. Tuttavia, non si può neppure pensare che sparare una selva di riff ubriacanti uniti ad una batteria che sembra suonare in modo troppo artificiale, possa sortire degli effetti miracolosi. Ci vuole equilibrio. E forse in "Memories of the Sun, Memories of the Earth", la band sembra aver capito la lezione e si muova con maggior cognizione di causa. Il rischio di bruciarsi con una proposta simile è infatti assai elevato, il caos supremo non giova decisamente a nessuno. Il quartetto polacco però se ne fotte di schemi, generi ed etichette, va dritto al sodo, sciorinando ritmiche destrutturate, assalti sonori simili ad una forma di terrorismo sonoro da denuncia alle Nazioni Unite, growling e harsh vocals, synth bizzarri e chi più ne ha più ne metta, in una song tanto interessante quanto estremamente pericolosa ("My Way to the Stars"). "Dark Matter" ha un approccio iniziale più votato al death metal per poi evolvere verso un black freddo, ma dal taglio comunque moderno, che ha il pregio o il difetto (questo decidetelo voi) di cambiare il suo umore un centinaio di volte. "Luminous (In the Process of Merging)" ha un attacco corale, con la traccia che si muove su un mid-tempo sorretto da un lavoro esagerato di gran cassa e da un riffing tagliente. Man mano che si va avanti, i pezzi si fanno ancor più sperimentali e cinematici, corredati da arrangiamenti bombastici e da una linearità ritmica simile ad una sinusoide. "Heading to the Virgo Constellation", nella sua architettura death orchestrale, mi ha ricordato un che degli ultimi Septicflesh, in chiave ultra vitaminizzata però. Un piccolo break a inizio brano in "Supernova (The Battle for Matter Begins)" serve quanto basta per prendere un po' di fiato prima della pirotecnica conclusione dell'album. I nostri infatti si lanciano con il solito roboante attacco ai sensi, guidato da un riffing furioso di scuola death americana, voci digitalizzate, campionamenti vari, un cibernetico frangente atmosferico in un bordello sonoro non indifferente. A "Run Starchild... You Are Free Now!" l'arduo compito di chiudere il cd con onore, in un trionfale quanto devastante pezzo strumentale che decreta la follia cosmica dei Deconstructing Sequence. (Francesco Scarci)

(Via Nocturna - 2018)
Voto: 75

https://dsprogart.bandcamp.com/

lunedì 8 gennaio 2018

Lord Shades - The Uprising of Namwell

#FOR FANS OF: Symph Death/Black
Lord Shades is a French band founded in 2001. Initially, it was a one man project, managed by the current singer and bass player Alex that was the mastermind behind the band´s music, sometimes accompanied by occasional collaborators. Such situation lasted during the demo era, and as soon as the band started to release full albums, new members were added to the band´s line-up. This four-piece line-up has been rather stable during the release of their three albums. 
 
'The Uprising of Namwell' is their last one which closes the trilogy of works based on a fictional universe created by the band members. The storyline of those works covers three different worlds. Firë-Enmek, the land of mortals and a land of suffering, Namwell which is a land of bliss and harmony and Meldral-Nok, a cursed land where only chaos and fire prevail. In this last chapter the main character, Lord Shades, has turned to the dark side and though he has become an evil creature, he is still haunted by almost forgotten memories of his previous life. This is by far the darkest and most chaotic chapter of the trilogy and the concept behind the new album. Taking into account this background, it can guess that the music included in this release must be something dark and epic, but in this occasion variety plays a major role. This is not a standard extreme metal album with an interesting concept behind, mainly because Lord Shades tries to combine different styles, like black, death and symphonic metal, even with certain thrash metal influences to make this complex trilogy a reality. The mixture makes this album an interesting beast, that requires a certain amount of listenings before fully appreciating it. Each song has its peculiar touch, and this can be confusing if you don’t listen to it with an open mind. Anyway, 'The Uprising of Namwell' has a general darker tone than the usual conceptual album with an epic story behind. The last part of this trilogy shows a dark world hit by violence and cruelty, so don´t expect “happy” epic arrangements. A good example of this idea would be the track “Woe to the (Vae Solis)”, which has the aforementioned dark and even decadent atmosphere. This doesn´t mean that this album lacks of beautiful arrangements, because this track is a good example of how Lord Shades successfully introduces atmospheric touches (female vocals and symphonic arrangements), which are a clear contrast to the general tone of track. This gives an extra point of unexpectedness, which is always great. On the other hand, songs like “The Revenge of Namwell” and “Nightly Visions" have a clear stronger tone with a massive death metal influence and they are probably the heaviest tracks of this conceptual work. Regarding the arrangements, the release is very rich in details and the range is quite wide. Those arrangements are usually symphonic-esque, but at certain times they can have a clear folk/ritual tone as it happens with “The Awakening”, which sounds quite close to Middle-East traditional folk music. At the end, the best way to understand the richness and diversity included here, is to check out the long and epic closing track, “A New Dawn”. This song sums up all the Lord Shades efforts in creating an authentic sonic representation of Namwell´s dark universe. 
 
In conclusion, 'The Uprising of Namwell' is a truly ambitious album, both conceptually and musically. The album itself is quite demanding due to its length and complexity, but its worth of it if you like conceptual albums with a wide range of musical influences. Lord Shades has managed to create a worthwhile closure to their epic trilogy. (Alain González Artola)

lunedì 11 dicembre 2017

Chaotic Remains - We Are Legion


#FOR FANS OF: Symph Black/Death Metal
Chaotic Remains is a Maltese symphonic death/black metal band who has been in the extreme music scene for almost ten years. The band had been active since 2008 but they were not able to record an album until last December 1st. Their debut album, 'We Are Legion', is what I am going to describe in this review.

There is really nothing special in this album. Like the contemporary symphonic extreme metal groups, Chaotic Remains built a more symphonic proposal but weaker in aggressiveness and lacking in catchiness album. I love the idea of extreme bands trying to go experimental with keyboards and orchestral sound on their music. There are bands who had been successful doing that method in the past, and a few in the present. However, even with a thought-provoking vision of Chaotic Remains to make a good release with their brand of music, the band failed to deliver a notable album that will give the listeners a reason to keep it in the rack along with their collection.

The big flaw in this record is the played out and prevailing use of the keyboards. Keys are good when a band knows how to use and utilize them with other instruments in their offering. I am not against bands that are bringing in keyboards in their music, but they have to be crafty in using it. Chaotic Remains had failed to do that in 'We Are Legion'. The keys here smothered all the other instruments. It hauled the guitars to the back and at the same time, it competes with a loud tone against the drum sound.

The guitar sound is near inaudible here because the orchestration is all over the place. Both guitars do not have much to show for themselves and are both somewhere in the line of playing some half-decent riffs. Perhaps, if the band had put them at the front of the mix, it would have served to make this offering less unrelieved than it is. Drum section is sometimes indistinguishable from the guitar chugging because of the keyboard symphonics that had buried everything. Bass section is also a disappointment as they blend in too well with the already indistinct rhythm guitar.

There are many brief periods of time in the album where it will be possible to notice that the band is attempting to assault the audiences with their music but they were unsuccessful in doing that due to the overdone symphony and absence of crudeness and bleakness in the record. The outcome of the tracks is also a cliché. Every song sounds exactly the same and it does not progress at all. Right from the beginning of each track, the feeling will stay the same until the end and there is no feistiness to be found.

To summarize this review shortly, 'We Are Legion' is a dreadful album that could have been entertaining if Chaotic Remains had look to build on other elements rather than focusing solely on the symphonic side of the music. I really find it boring and I can’t find any reason why I should ever listen to the songs of this record again. (Felix Sale)

(Mighty Music - 2017)
Score: 40

https://www.facebook.com/chaotic.remains

mercoledì 5 aprile 2017

Genus Ordinis Dei - The Middle

#PER CHI AMA: Symph/Melo Death, Insomnium
Ho avuto modo di conoscere questa band poche settimane fa in occasione di un'intervista radiofonica. I Genus Ordinis Dei (G.O.D., sarà un caso?) sono una band di Crema assai determinata nel raggiungere l'obiettivo grosso. Partiti come tutte le band con la normale gavetta, i nostri hanno rilasciato un full length d'esordio ed un EP: è proprio con il primo album che i quattro lombardi hanno attirato su di sé le attenzioni dell'etichetta danese Mighty Music, che ha ristampato quel debutto, 'The Middle', che oggi andiamo ad analizzare. Premesso che stiamo parlando di musica uscita originariamente nel 2013 e che è stata concepita ancor prima, quello che appare chiaro fin dai primi minuti è che nelle nostre mani abbiamo un buon esempio di death metal, carico di groove e di melodie ammiccanti. Lo si capisce immediatamente con "The Fall", pezzo iper ritmato che mette in luce una tendenza a sfruttare ottime linee di tastiera che smorzano il growling demoniaco di Nick K (sicuramente da migliorare), cambi di tempo a più riprese e anche una certa vena malinconica in quei delicati tocchi di keys che evocano un che dei finlandesi Insomnium. Un bel giro di tastiere apre la terza "Word of God" in una traccia che sembra essere uscita da uno qualsiasi degli album degli Eternal Tears of Sorrow, anche se rispetto a quest'altra band finnica, l'act italico mantiene più preponderante la componente death metal in un rifferama compatto ed affilato, che fa largo uso di blast beat ma anche di devianze metalcore. Tuttavia le orchestrazioni lentamente guadagnano spazio, e vanno ad ammorbidire la prestanza ritmica dell'ensemble; un bell'assolo, tipicamente heavy metal, chiude una traccia onesta e piacevole. Dicevamo delle crescenti orchestrazioni: in "My Crusade" diventano quasi predominanti, sebbene gli strali chitarristici e quella voce che continua a non convincermi appieno. Apprezzabili comunque i cambi di tempo, che rendono la traccia assai varia, ove ancora una volta, si rivela notevole la sezione solistica. Un intermezzo sinfonico e si arriva a "Path to Salvation", altra song in cui si apprezza il connubio vincente tra riff graffianti, montagne di groove ed enormi quantitativi di tastiere sinfoniche. Non si può certo gridare al miracolo, non c'è proprio aria di novità nelle tracce di questo comunque onorevole album, anche se c'è sempre da tener presente il periodo in cui è stato scritto, perciò concedo l'attenuante di un lavoro concepito ormai un lustro fa. Ancora una manciata di tracce da ascoltare: l'epica "Cadence of War", che ripercorre (o forse anticipa) quanto fatto dagli Ex Deo con il loro tributo all'antica Roma, è una traccia che vede un cantato assai differente a metà brano e sfodera un largo break di tastiere nella coda conclusiva. "Ghostwolf" ha un suono bello potente e tirato, un mix tra Swedish sound, deathcore e death finlandese, in cui a lasciarmi però perplesso sono quei vocalizzi più urlati. Con "Battlefield Gardener" si picchia davvero pesante e sembra discostarsi da quanto suonato fin qui, in quanto le tastiere svolgono un ruolo ben più marginale, mentre le due asce affilano non poco le loro chitarre e si sfidano in una rincorsa che mischia feralità, tecnica, dinamica e ricerca melodica. Si giunge cosi alla conclusiva "Roots and Idols of Cement" e i G.O.D. hanno ancora modo di divertirsi con un riffing instabile e pesante, interrotto solo da quegli ottimi synth e orchestrazioni, vero valore aggiunto per quest'interessante band che ha sicuramente ampi margini di miglioramento, soprattutto dopo aver sostenuto un lungo tour europeo in compagnia dei Lacuna Coil. Per ora ci accontentiamo di questo 'The Middle' in attesa di ascoltare il nuovo lavoro, a quanto pare schedulato proprio per quest'anno. Se ne sentiranno delle belle. (Francesco Scarci)

(Mighty Music/Target - 2016)
Voto: 70

lunedì 3 aprile 2017

Arcane Existence - The Dark Curse

#FOR FANS OF: Melodic Black/Death Metal, Thulcandra, Paimonia
Formed just in 2016, California-based melodic black/death metallers Arcane Existence have been taking their influences and running it through the deep lows and emotional highs as they adapt a storyline involving the TV show ‘Once Upon a Time.’ As for the music itself, the group displays a rather adept and profound mixture of stylish symphonic elements within the melodic black/death realm. The fiery tremolo riffing is generally tight and up-tempo, raging along with a galloping pace which generates a rather fun and frantic charge here while engaging the blistering symphonics here. That is far more impactful throughout the album, going for grandiose elements that are far more dynamic than the majority of the riff-work featured here not only in terms of featuring the melodic flurries but also focusing on the massive orchestral sounds when placed alongside these engaging tremolo patterns. It tends to get a little overloaded with the symphonics to the detriment of the riff-work, especially in ‘Reshaping History’ and ‘Bleeding Through’ which showcase this quite effectively. On the other side of the spectrum, ‘Welcome to Storybrooke,’ ‘The Dark One’ and ‘Magic’ offer more traditional elements that make for a strongly balanced and engaging first step that comes off far better than expected for a debut. (Don Anelli)

giovedì 16 marzo 2017

Scuorn - Parthenope

#PER CHI AMA: Black Symph/Folk, Inchiuvatu, Fleshgod Apocalypse, Rotting Christ
Vergogna. No, non vi sto invitando a provare quel senso di inadeguatezza che deriva dall'avvertire simile emozione, vergogna è semplicemente la traduzione in italiano di "scuorn", parola che arriva dal gergo napoletano e che da oggi non scorderò mai più, in quanto Scuorn è anche il moniker di una band proveniente proprio da Napoli, che dopo parecchie vicissitudini, arriva finalmente al debutto, con un album che definirsi bomba, potrebbe rivelarsi riduttivo. 'Parthenope' è il titolo del cd in questione, uscito per la Dusktone Records da poche settimane. Un album che francamente mi ha stupito per i contenuti, la cura dei particolari, l'inventiva, e mille altri motivi. Partendo da un'impostazione black metal, ci immergiamo in un lavoro che saprà spaziare dal death sinfonico al folk mediterraneo, passando attraverso l'epic, l'ambient, il progressive, l'etnico e diverse altre sfaccettature, che rendono già in partenza "Fra Ciel' e Terra" una traccia semplicemente meravigliosa, che si muove tra sfuriate black, pompose orchestrazioni in stile Fleshgod Apocalypse, spezzoni tribali, il tutto cantato rigorosamente in napoletano. Si avete letto bene: Giulian, il factotum mente della band, utilizza il dialetto della propria terra per accompagnarci in questo viaggio unico nella musica estrema campana. E la opening track (escludendo l'intro) entusiasma per le sue melodie, i suoi cambi di tempo, l'utilizzo degli strumenti tipici del folklore partenopeo, le vocals growl e quelle recitate in italiano e in latino, le frustate chitarristiche, i blast beat, le magniloquenti tastiere, quegli echi alla Inchiuvatu che si mischiano con il sound colto degli In Tormentata Quiete, il tutto trainato da un sound sinfonico alla Emperor. "Virgilio Mago" attacca di seguito con una chitarra che richiama suoni della tradizione campana, prima di lanciarsi in vorticosi giri ritmici ed aperture atmosferiche di scuola Dimmu Borgir/Old Man's Child, break di chitarra da brividi che esaltano le qualità del mastermind italico, epiche melodie classicheggianti, ed un drumming finale roboante che ammicca al sound ellenico dei Rotting Christ dell'ultimo periodo. Lo sottolineo nuovamente, è musica esaltante quella degli Scuorn. Il vortice sonoro prosegue con "Tarantella Nera" e il suo ritmo spezzettato da quei cori in napoletano, che mi spingono anche a concentrarmi sui testi che ci raccontano leggende del periodo greco e romano di Napoli. La musica spinge con tutta l'enfasi possibile, non stancando mai, anzi continuando ad esaltare per le trovate che costantemente emergono dalle tracce di quest'incredibile disco, che si candida già oggi, ad essere nella mia personale top ten di fine anno, se non addirittura sul primo gradino del podio. Si picchia, non temete: con "Sangue Amaro", i colpi inferti alla batteria, i riffoni di chitarra, le vocals maligne sono un esempio di come rendere una traccia selvaggia, pur stemperata successivamente da parti folkloriche più raffinate che si prendono interamente la scena poco più tardi con la magia dell'interludio "Averno", che ci piglia per mano e ci introduce a "Sibilla Cumana", la sacerdotessa di Apollo, colei che profetizzava nelle religioni classiche. La complessità dei pezzi, unita ad un innato gusto per le melodie e ad una produzione spettacolare, avvenuta ai 16th Cellar Studio di Stefano “Saul” Morabito, riescono a rendere interessanti anche quelle tracce che magari hanno un po' meno da dire, come poteva essere questo racconto sulla somma sacerdotessa, ma che in verità, si dimostra un pezzo parecchio interessante. Con calma si arriva a "Sepeithos", il nome greco del fiume che bagnava l'antica Neapolis, il cui significato è "andar con impeto", quello stesso impeto che contraddistingue l'ottava traccia di quest'intenso lavoro, che vede peraltro nelle sue diverse edizioni - che includono un disco bonus orchestrale - una serie di guest star prestar le proprie voci nella narrazione di questo gioiello musicale. Inclusi nel disco troviamo infatti tra gli altri, Tina Gagliotta dei Poemisia, Diego Laino degli Ade, Wolf dei Gort e Riccardo Struder degli Stormlord alle orchestrazioni. Nel frattempo siamo giunti alla lunga title track, pezzo clou dell'intero lavoro, in cui mi preme soffermarmi sul break centrale, in cui dialoghi in dialetto napoletano narrano le gesta di Ulisse incatenato legato all'albero maestro della nave a sfidare il canto delle sirene. Le atmosfere in sottofondo sottolineano l'epica drammaticità di questo momento, e di un disco carico di emozioni di ogni tipo, che lo rendono davvero unico ed imperdibile. (Francesco Scarci)

sabato 24 dicembre 2016

Eternal Samhain - Storyteller Of The Sunset And The Dawn

#PER CHI AMA: Symph Black/Death
La RNC Music rilascia finalmente il tanto atteso primo full length dei veronesi Eternal Samhain, , 'Storyteller Of The Sunset and the Dawn', che ci consegna una band in eccellente stato di forma, sebbene siano passati ben cinque anni dal mini cd di debutto, 'Obscuritatis Principium, Proxima Est Omnibus Damnatio'. Freschi peraltro di un nuovo contratto con la label russa Φono Records (la Metal Blade d'oltrecortina), il quintetto veneto, che abbiamo già avuto modo di ospitare sulle nostre pagine ed un paio di volte in radio, torna quindi con nove tracce nuove di zecca. Dopo il declamatorio intro in latino, si scatena l'inferno grazie al black sinfonico di "Cathedral", che chiama in causa interessanti paragoni per la band: se da un lato l'apporto delle orchestrazioni, erette da intelligenti keys (ad opera del turnista Hati), evocano inequivocabili accostamenti con Dimmu Borgir e Old Man's Child, l'architettura spesso elaborata dei brani, tra cambi di tempo e stop'n go, chiama in causa invece il devastante e sinfonico approccio dei nostrani Fleshgod Apocalypse. Insomma, mica male no? Il fatto poi che questa traccia, cosi come le successive, non si dilunghi in inutili trame ritmiche, agevola non poco, una più semplice assimilazione del sound. Tra i vari pezzi, vorrei citare "Ode al Vento", song da cui è stato estratto anche un video e che vede lo screaming comprensibilissimo di Taliesin, misurarsi con l'italiano a livello delle liriche, mentre la canzone, oltre ad offrire un ottimo break centrale, propone un'epica cavalcata sorretta da sontuose tastiere, accompagnate da una sempre elegante sezione ritmica affidata a zanzarose chitarre in tremolo picking. L'esperimento ben riuscito dell'utilizzo dell'italiano tornerà anche in "Cenere", lunga traccia sinfonica mid-tempo, che nella sua ottima progressione, propone uno spettacolare parlato, sulle orme dei primi Maldoror e Aborym, in un brano di sanguinolento black vampiresco che mi ha evocato anche i disciolti Seed of Hate e i teutonici Ancient Ceremony. Si prosegue con la magniloquenza della quarta "Vox Populi, Vox Dei", song che accentua ancor di più la componente orchestrale del quintetto italico, ma che allo stesso tempo, vede la proposta dei nostri, più devota alla fiamma nera. Un breve intermezzo ambient e si sfocia nel riffing brutale di "Trinux Samonia", che avvicina maggiormente gli Eternal Samhain ai più famosi colleghi umbri dei Fleshgod Apocalypse. Anche la voce in questo caso, abbina al cantato in scream, soluzioni più vicine al growling. La musica prosegue intanto sulla stessa matrice, abbinando melodiche chitarre black (qui anche con uno splendido solo) con teatrali synth, che divengono più preponderanti (forse troppo) con "King of Yourself", in cui, il flusso sinfonico della band viene investito, nella seconda parte del brano, da un'interpretazione al limite del death metal. Detto della traccia più bella del disco, "Cenere", l'album si chiude con la tiratissima title track che sancisce un come back discografico in grande stile (anche per ciò che concerne il formato in digipack con un artwork colmo di simbolismi); per questi ragazzi, che ora possono contare anche sull'importante appoggio di una grande etichetta, si può anche sognare, mantenendo però sempre i piedi ben saldi al terreno, perché per emergere di lavoro ne serve ancora parecchio. (Francesco Scarci)

(RNC Music - 2016)
Voto: 75

martedì 18 ottobre 2016

Stormtide - Wrath of an Empire

#PER CHI AMA: Symph Death, Whispered, Tengger Cavalry
L'artwork del debut album degli Stormtide concede largo spazio alla fantasia: montagne incantate, templi e druidi, lasciano presagire ad un che di epico e fantasy che potrebbe tradursi in suoni power metal. Mai ipotesi fu cosi azzardata e soprattutto sbagliata dal sottoscritto. I sei australiani si lanciano infatti in sonorità death sinfoniche che incorporano pesanti elementi orientaleggianti. La title track apre le danze con un sound che in alcuni frangenti mi ha evocato i taiwanesi Chthonic e il loro black folklorico ricco di sonorità della cultura dell'estremo oriente o, per rimanere in Cina, la musica degli Stormtide potrebbe essere assimilabile a quella dei Tengger Cavalry, mentre se guardiamo in Europa, l'accostamento più plausibile sarebbe con i finlandesi Whispered ed il loro "samurai" sound. Fatto sta che gli Stormtide mi piacciono e mi convincono sin dal primo pezzo in cui, complice una ricerca spasmodica di melodie dell'estremo oriente, identificano le tastiere come elemento cardine su cui si vanno poi ad inserire tutti gli altri strumenti, compreso il growling del frontman, Taylor Stirrat. Certo, questo potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio per chi mal sopporta brani stracarichi di orchestrazioni sinfoniche, ma a quel punto meglio lasciar perdere e volgere la propria attenzione altrove. Qui tutto quello che dovete e potete aspettarvi, sono brani stracolmi di melodie che scomodano in un modo o nell'altro altre influenze derivanti dal viking ("As Two Worlds Collide") che chiamano in causa Einherjer e Amon Amarth. I nostri provano a essere un po' più aggressivi con robuste linee di chitarra ("Dawnsinger"), ma inevitabilmente si torna a cavalcare quello che è il genere che identifica gli Stormtide: un melo death aggressivo per ritmiche e vocals, corredato da fiumi di tastiere che guidano l'intero evolversi dei brani. Immaginate dei Children of Bodom in versione più orchestrale, anche se poi in un brano come "Conquer the Straits", i ragazzi di Melbourne hanno il merito di picchiare come fabbri e, sebbene le cinematiche tastiere rispolverino un non so che dei Bal Sagoth, ci ritroviamo fra le mani una traccia ruggente ed incazzata. La durata delle song si assesta quasi ovunque sui 4-5 minuti, permettendo una più facile memorizzazione delle stesse, sempre traboccanti di groove. La cosa che convince è poi un approccio musicale che volge il proprio sguardo all'heavy metal classico piuttosto che agli estremismi sonori di altri esponenti di questo genere. Anomalo il break di basso centrale di "Sage of Stars", che mostra una ricerca di originalità da parte dell'ensemble australiano, in un genere ove è parecchio difficile inventarsi qualcosa di mai sentito. In fatto di liriche, inevitabile che i testi contengano storie di rovina (la ballata folk "Ride to Ruin"), eroismi ("A Heroes Legacy") o gesta malvagie. 'Wrath of an Empire' non può che essere un album epico che trova ancora il tempo di sorprendere con quella che è la mia canzone preferita, "Ascension", non la song più veloce del lotto, ma quella che a suo modo, trova anche punti di contatto con il black metal. Il disco si chiude con un pezzo, "The Green Duck", che invece sembra strizzare l'occhiolino ad un viking/power che, per quanto mi riguarda, non apprezzo più di tanto, ma che comunque non modifica il mio personale giudizio di un disco che, pur non presentando grandi novità, ha comunque il merito di coinvolgerci per oltre 42 minuti di buona musica. (Francesco Scarci)

sabato 15 ottobre 2016

Oracles - Miserycorde

#PER CHI AMA: Swedish Symph Death, Arch Enemy, Fleshgod Apocalypse
I belgi Aborted non sono mai sazi e cosi, tre dei suoi membri (voce, batteria e chitarra), hanno pensato bene di mettersi in affari con tre ex membri dei System Divide (voce, chitarra e basso), tra cui Sanna Salou (l'eccellente ex voce femminile anche di Dimlight, Ad Inferna ed Emerald Sun), e dar vita agli Oracles (dal look molto "Assassin's Creed" style), che arrivano all'esordio con questo 'Miserycorde'. La cosa non si ferma qui perché al disco partecipano anche tre guest stars, Jeff Loomis ascia dei Nevermore, Per Nilsson alfiere degli Scar Symmetry e Ryan Knight, ex chitarrista dei The Black Dahlia Murder, a completare quello che sembrerebbe essere un super gruppo a tutti gli effetti. Leggendo la line-up, le attese non possono che essere altissime, e alla fine non verranno affatto deluse, dopo aver infilato il platter nel lettore e pigiato il tasto play dello stereo. La classica breve intro dà subito un assaggio delle capacità vocali della leggiadra vocalist ellenica e poi ecco esplodere "The Tribulation of Man", che delinea immediatamente la proposta dei nostri, fatta di ritmiche serratissime in blast-beat e l'alternanza vocale, growl ed ethereal, dei due cantanti, che danno prova della loro bravura su linee di chitarra vertiginose, assolutamente catchy e corredate da formidabili assoli. Non fosse per la voce di Sanna, potrei affermare che la proposta degli Oracles è una vera mazzata nello stomaco, invece la soave performance della donzella greca, riesce ad interrompere quelle selvagge trame chitarristiche che in "Catabolic (I Am)", palesano le influenze "meshugghiane" dei nostri, in un pezzo concreto, violento, moderno e melodico, soprattutto nel suo inebriante assolo conclusivo, che gli vale per questo la palma di mia song preferita del lotto. In “Quandaries Obsolete” vengo investito dalla devastante dirompenza ritmica dei nostri, con chitarre sghembe e vocals belluine da parte dell'ottimo Sven de Caluwé, bestiaccia feroce degli Aborted, che viene qui sempre tamponata dalla vena lirica della brava Sanna, che alla lunga però corre il rischio di stufare o addirittura non piacere a chi preferisce i soli estremismi sonori degli Oracles. Ciò che colpisce è però la dinamicità che emerge dalle note di questo pool di musicisti, una vena sinfonica estrema che in un qualche modo, è comparabile a quella dei nostrani Fleshgod Apocalypse, forse la band più vicina agli Oracles per sonorità. Chiaro che gli assoli marcatamente di matrice heavy classico, avvicinano la super band di quest'oggi anche agli Arch Enemy (e non solo per la presenza di Jeff Loomis, che negli ultimi due album dell'act svedese, ha dato una grossa mano a livello di chitarre). Si prosegue attraverso canzoni che come nei migliori roller coaster, arrivano a spingere il cuore in gola, grazie ad accelerazioni esagerate, ottimi rallentamenti e velocità sostenute, in cui a mettersi in luce alla fine sono le rasoiate ad opera delle due sei-corde, in mano a dei veri maestri della chitarra. "Remnants Echo" è un pezzo più atipico in cui, sugli scudi rimane la sola Sanna, ad evocare i bei tempi andati di Anneke van Giersbergen nei The Gathering, con le melodie che si confermano ispiratissime, qui più rilassate ed intimiste. Il disco prosegue sui binari dell'alternanza dell'estremismo sonoro e di suoni sinfonici, accompagnati rispettivamente dalle caustiche voci dell'esagitato vocalist degli Aborted e dalla delicata ugola di Sanna. Prodotti egregiamente da Mr. Jacob Hansen (Volbeat, Epica, Amaranthe e gli stessi Aborted), la band arriva addirittura a coverizzare “The Beautiful People” di Marilyn Manson, testimoniando cosi l'eclettismo musicale di un ensemble che non ha alcuna paura a mettersi in gioco. E noi, non possiamo far altro che godere di fronte a questa dimostrazione di forza degli Oracles e gustarci 'Miserycorde' tutto di un fiato. (Francesco Scarci)

(Deadlight Entertainment - 2016)
Voto: 80

mercoledì 21 settembre 2016

Drachenblut - A Foretaste of Apocalypse

#PER CHI AMA: Symph Death, Graveworm
Sorprendente come i Drachenblut abbiano impiegato "solamente" cinque anni dalla loro fondazione, per partorire il loro demo cd, di cui posso vantarmi di essere uno dei pochi fortunati possessori. Ancor più sorprendente ascoltare suoni che pensavo un po' scomparsi dal panorama musicale da parecchi anni. Si perché i parmensi Drachenblut (che in tedesco vuol dire sangue di drago), propongono un death dalle forti tinte sinfoniche che si esplica attraverso i due brani contenuti in 'A Foretaste of Apocalypse'. Il primo, "Kingdom Apocalypse", è caratterizzato da un sound in cui potrete udire un ipotetico ibrido tra il symph death degli altoatesini Graveworm e le suggestioni gotiche dei Cradle of Filth, in una certa alternanza a livello ritmico, dove sottolineerei la bella prova alle tastiere di Daniele Corradi (anche se un po' troppo abusate in taluni frangenti) e la convincente performance dietro al microfono di Saylor, possente nelle sue growling vocals, più originale nella sua timbrica pulita. "Swancry" è la seconda lunga traccia del dischetto che si farà ricordare per il suo inizio fantasy, la sua bella cavalcata centrale, ma ancor di più per la sezione solistica che si (e ci) diletta in un avvincente finale, in cui il quintetto sfodera tutte le potenzialità a livello tecnico. Auspico che i nostri possano ottenere quanto prima quel minimo di visibilità per farsi notare ad un pubblico più vasto e farsi perché no, esponenti di una nuova ondata di death sinfonico che necessiterebbe di una bella ventata d'aria fresca. Per ora un piccolo assaggio, gradirei qualcosa di più sostanzioso per placare la mia fame. (Francesco Scarci)

mercoledì 4 novembre 2015

Tine - The Forest Dreams of Black

#PER CHI AMA/FOR FANS OF: Black/Death, Aevangelist, Phlebotomized, Nocturnus
Non so se sia il caso di parlare di nuova ondata black metal, ma negli Stati Uniti si sta mettendo in luce, con una certa prepotenza, una scena estrema davvero invidiabile. Oltre agli inflazionati "post black" e "Cascadian", c'è ancora chi insegue i fasti passati del metallo più nero. È il caso dei Tine, oscuro duo della Pennsylvania, che si colloca in quest'ultima frangia di nostalgici, vantando ancora il face painting atto a palesare il loro amore per le atmosfere noir degli anni '90, e forgiando un impianto sonoro che ricalca la vecchia tradizione, almeno in apparenza. 
 
'The Forest Dreams of Black' ne è il loro manifesto programmatico, costituito da otto tracce più l'intro, "Enter the Black Forest", con cui i nostri ci danno il loro benvenuto all'ascolto di quest'album. I due loschi figuri, Count Murmur e la damigella Vanth, ci offrono la loro personale visione dell'estremo, che miscela pericolosamente il black con il death, venati di un tocco sinfonico dai toni orrorifici. "Horrors at Antioch" è il pezzo che segue il prologo e anche quello che in assoluto prediligo, in grado di suonare terrificantemente malato e visionario, come se 'The Key' dei Nocturnus fosse stato pensato dai Limbonic Art e suonato dagli Aevangelist, in una notte di plenilunio. Vi piace l'accostamento? A me parecchio, perché forte risulterà il dualismo che lungo il disco si instaurerà fra death metal e black. Non vi preoccupate se vi troverete a saltare con un certo fare libertino, fra un death dalle sbiadite tinte sinfoniche di "Lord is Self", monolitica song in stile Morbid Angel, al black monumentale e claustrofobico di "The Crusade of Dracul" (ovviamente ispirato a Vlad l'Impalatore), passando attraverso la soffocante strumentalità di "The Darkest Premonition (of Things to Come...)". A livello vocale, Count Murmur alterna un growling imperioso a qualche raro sprazzo screaming, modulandosi con la ritmica che sta sotto, più compassata o dal riffing serrato. Magari nel corso del disco, vi imbattere anche in qualche passaggio a vuoto, frutto dell'eccessivo mixing estremo dei nostri, trovandoci di fronte pezzi che forse non hanno una identità ben definita, volendo stare a cavallo tra i generi, o forse per la mancanza di una vena illuminata: è il caso di "Encounter With the Shadow People", traccia per lo più anonima, cosi come la conclusiva "The Watchful Eye", in cui la violenza sembra essersi sbiadita, per lasciar posto ad una vena più avanguardistica, che per carità ci sta anche in un lavoro cosi complesso come questo. Un plauso va invece alla lunga "Herein Lies the Crooked Elm", che pone in evidenza ancora le ottime orchestrazioni sinfoniche che contraddistinguono il sound morboso dei Tine, e anche la presenza di alcuni chorus puliti, che mostrano un'altra faccia del malefico duo statunitense. Quello che colpisce è comunque la plumbea atmosfera malsana che si respira lungo l'arco degli oltre 50 minuti della release, nonché il continuo cambio di tempi, dettato da spettrali tastiere ed esoteriche ambientazioni. 
 
Ascoltando e riascoltando il cd ho trovato altri punti di contatto dei nostri con lavori del passato soprattutto a livello della matrice chitarristica: ascoltando la strumentale "The Key to Forbidden Knowledge" ho rilevato infatti delle forti affinità tra il suono delle chitarre cosi ovattato dei Tine con quello melmoso di 'Preach Eternal Gospels', EP di debutto degli olandesi Phlebotomized. Alla fine 'The Forest Dreams of Black' è comunque un buon album, forse non cosi semplice da affrontare ma sicuramente di grande impatto. Sinistri (Francesco Scarci)




I don’t know if it is the appropriate time to bring up the subject of this new wave of black metal, but in the US, it is becoming very popular, and with a certain aggressiveness; an extreme scene that is quite intriguing. In addition to the inflated “post black”, and “Cascadian” scenes, there are still those chasing the original concept of black metal. This is the case for Tine, a dark duo from Pennsylvania, which ranks in the latter fringe of nostalgia, but donning corpse paint as a showcase of their love of black metal of the 90s, and by the looks of them, it would seem that their sound would be reminiscent of the traditional black metal scene.

“The Forest Dreams of Black” is their official proclamation into the extreme metal scene. It consists of eight tracks, plus an intro, “Enter the Black Forest”, that welcomes you to the rest of the album. These two ominous characters, Count Murmur and the lady Vanth, offer us their personal vision of extreme metal; an ambitious mixture of black and death, tinged with a touch of eerie symphonic tones. “Horrors at Antioch” is the track that follows the album intro, and it is the track I believe would be preferred by most. I would describe it as “The Key” by Nocturnus, however written by Limbonic Art, and performed by Aevangelist under the light of a full moon. Do I like this combination? Yes I do. The duality of death metal and black metal are presented and established throughout the duration of this album. Do not be alarmed if you find yourself to be morally dissolute while listening to this album. Especially allegorically dying from the harrowing symphony, “Lord is Self” (done in the rigid style of Morbid Angel), or suffering a fit of claustrophobia from the dark epic, “The Crusade of Dracul” (obviously inspired by Vlad the Impaler), or suffocating under the instrumentality of “The Darkest Premonition (of things to come…). Vocal-wise, Count Murmur alternates between a harsh growling style, and a rasp that goes along with the underlying melodic rhythms. Perhaps during the course of this album, you may come across a strange transition or two. This is a result of the extreme mixing of genres that creates a piecemeal genre that has no definitive identity, or the desire to stay in-between genres, or perhaps from a lack of a general atmosphere. Such is the case with “Encounter with the Shadow People”, which remains ambiguous in terms of genre. This also applies to the closing track, “The Watchful Eye”, where the harshness of the album begins to fade, giving way to a more avant-garde atmosphere. It is a kindness that there is a work as complex as this on the album. Praise goes to the lengthy track, "Herein Lies the Crooked Elm," which again highlights the great symphonic orchestrations that distinguish the macabre sound of Tine. Also, the presence of clean vocals shows yet another face of the evil US duo. What is striking, however, is the heavily brooding atmosphere that presides over more than fifty minutes of the release, and the continuous change of tempo dictated by ghostly keyboards and esoteric environments.

Upon listening and listening again to the album, I found more key points that are reminiscent of works of the past, especially involving the main guitar. In the instrumental, “The Key to Forbidden Knowledge”, the muffled guitar sounds are reminiscent of the muddiness of “Preach to the Gospel”, the debut EP by the Dutch band Phlebotomized. In conclusion, “The Forest Dreams of Black” is a good album. It may not be for everybody, but it is certainly impactful. (Francesco Scarci - Translation by Carrie Eakin)

(Self - 2015)
Voto/Score: 70

https://www.facebook.com/Tine.BlackDeath/

sabato 24 ottobre 2015

Amidst the Withering - The Dying of the Light

#FOR FANS OF: Symphonic Black/Doom/Death Metal, Dimmu Borgir, later Emperor
After a ten-year hiatus, this Atlanta-based Black/Doom acts’ second release is pretty much the shining example of why taking the time to compose and bring out the best of the material is wholly welcomed. Augmented strongly by a stellar keyboard-led attack that fully evokes grandiose imagery and bombastic rhythms, these highly-enjoyable rhythms are at the centerpiece of the band’s work by offering a sprawling landscape upon which to hand the rest of the work here with the guitar rhythms and drumming running along those foundations. Employing a strong mixture of both mid-tempo chugging that straddles the border between Doom and Death Metal with its low-slung rhythms and chunky riffing alongside the swirling tremolo riffing in truer Black Metal, this one manages to make for a pretty explosive mixture here as the three distinct styles come together quite nicely, ranging from strong blasts of lavish Black/Death Metal to heavy mid-tempo Doom outbursts and melody-driven grandiose pieces that feature a strong symphonic backdrop throughout. These varied approaches also allow quite a nice change-up as well in giving the different vocals here, from the raspy shrieks and clean croons alongside deeper growling and even eerie whispers to feel like a natural progression and part of a cohesive whole here, which is quite an impressive accomplishment here. Sure, some of the tracks could really be trimmed down some since there’s epic arrangements that do tend to go on far longer than it really should here and makes the album laborious to get through on the second half, but overall there’s a lot more to like here which makes this a great deal of fun with some solid tracks here. Instrumental intro ‘A Prelude to Darkness’ offers the kind of grandiose keyboards and majestic orchestration that make for a grand opening piece and sets the stage for the dynamic proper first-track ‘Auri Sacra Fames’ which bridges the absolutely grandiose keyboard work and haunting clean vocals with choppy, chugging rhythms and swirling Black Metal riff-work that makes for a stellar impression here with the grandiosity and charging rhythms working nicely in sync with each other. ‘The Clarion Light,’ ‘Autumnal Lament’ and ‘The Acolyte’ all move away from those strong rhythms for a simple series of tight chugging patterns overlaid by the swirling keyboard patterns that keep the light charging tempos going along strongly here for an overall enjoyable effort. The more symphonic ‘The Withering’ offers a strong symphonic melody against the charging mid-tempo rhythms building underneath as the mid-tempo paces drives into a stellar chunky Death Metal rhythm with the tremolo riff-work and fine keyboard work as the dueling rhythms build to an epic finish here in one of the album’s highlight tracks. Both ‘Aegri Somnia’ and ‘Seraph Enslaved’ follow a nice tightly-wound mid-tempo crunch with the rather softer keyboard arrangements coming through in a strong series of melodic rhythms while charging through the final half with blistering riff-work and lighter keyboards for a decent-if-unspectacular offering. ‘Infinitus Dolor Amoris’ is a decent interlude of acoustic guitars and majestic symphonic keyboards which create a rather nice breather for the following few enjoyable tracks, while a later attempt with ‘Prologue’ comes off as quite redundant considering the barely thirty second running time here. ‘A Love Benighted’ gets this back into the grandiose symphonic keyboards and heavy chugging brought along by the series of finely-tuned tremolo-blasts that charge through rather explosive rhythms that fully brings about one of the best tracks on the album. ‘Epilogue (A Defiant Succumbing)’ captures that spirit and energy in a short, barely two-minute package that comes off nicely, while the title track features some fine churning rhythms over the sprawling Doom notes throughout to give this a strong, fitting ending note. Still, as good as this is it’s mainly undone by the longer length here that really doesn’t need to be. (Don Anelli)

martedì 2 giugno 2015

Veristi - Musta Sielu

#PER CHI AMA: Death Gothic, Tristania, Dismal Euphony, Nightwish, Trail of Tears
Sebbene attivi sin dal 2003 in quel di Vaasa, piccola cittadina finlandese dell'Ostrobotnia, i Veristi giungono soltanto nel 2015 al loro debut ufficiale, un EP di cinque pezzi, che va ad aggiungersi, nella loro discografia, accanto a due demo. 'Musta Sielu' farà sicuramente la gioia di coloro che apprezzano il death metal goticheggiante che tanto andava di moda qualche anno fa con Tristania, Theatre of Tragedy e Trail of Tears, giusto per darvi qualche riferimento. Aspettatevi quindi accanto ad ariose melodie e ritmiche selvagge, growling oscuri e le immancabili vocals femminili, che peraltro dovrebbero entrambe essere opera della medesima persona, la dolce donzella Satu Huhtala. L'apertura di "Kapea Polku" riflette esattamente gli stilemi del genere, con corpose chitarre su cui si instillano le keys di Ossi Peltoniemi. Poi ecco il classico duettare a livello vocale, l'infinita lotta del male contro il bene, con le eteree vocals di Satu che conferiscono un approccio quasi sinfonico alla proposta dei Veristi. "Piru Rivien Välissä" ha un piglio quasi black; ci pensano comunque le tastiere e le melodie delle 6-corde a stemperarne la furia; ovviamente l'ingresso nella veste più soave di Satu, rende il tutto molto più accessibile anche a livello ritmico, con le keys che ora si fanno più malinconiche. "Sarastus" mi ha ricordato il sound di una band olandese, di cui ho perso le tracce da un bel po', i Gandillion, ma per chi non li conoscesse, il nome Nightwish potrebbe tornarvi utile a farvi una idea ben più chiara: sound assai melodico, ritmato, su cui si stagliano le female vocals (attenzione che rischiano di stancare alla lunga), e quando la bella cantante finlandese urla come una forsennata (stile Angela Gossow), anche le ritmiche pestano maggiormente sull'acceleratore. Un nostalgico pianoforte e la voce di Satu aprono "Sanoja Rakkaudesta", la traccia più ruffiana tra le cinque, che per quanto metta in luce un buon impianto ritmico e solistico, si conferma forse la song meno originale del lotto. Un bel basso stile Iron Maiden, apre "Syvien Vesien Äärellä", la traccia più rock di 'Musta Sielu': una ritmica tirata, vocals graffianti, una bella dose di groove, notevoli arrangiamenti e un ottimo finale roboante (stile primi Dismal Euphony) completano un disco piacevole, senza grandi pretese, se non quella di farsi conoscere ad un pubblico più vasto. Ora è il caso di rimboccarsi le maniche e andare in cerca di una propria identità ben più definita. (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 70

mercoledì 13 maggio 2015

Septic Flesh - Sumerian Daemons

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Death Symph.
Ammetto di non essere mai stato un grande fan dei Septic Flesh: ho sempre pensato che la band greca proponesse qualcosa di valido ed interessante ma non ho mai trovato la loro musica così entusiasmante da considerarli come un nome fondamentale. Ciò non toglie che io abbia comunque seguito con attenzione la loro crescita attraverso gli anni, a partire dai primi lavori 'Mystic Places of Dawn', 'Esoptron' e 'Ophidian Wheel', fino ad arrivare a 'A Fallen Temple' e 'Revolution DNA'. Assieme a Rotting Christ, Necromantia e On Thorns I Lay, i Septic Flesh hanno sicuramente contribuito in maniera importantissima a far crescere la scena metal ellenica e questo è un merito che va loro riconosciuto; credo tuttavia che a partire da 'A Fallen Temple' si fossero evidenziate le prime avvisaglie di un certo immobilismo compositivo. Persino il tentativo di "restyling" attuato con 'Revolution DNA' mi era sembrato un po' maldestro, tanto che cominciai a pensare che la band avesse veramente detto tutto e che non sarebbe più emersa dal suo status di band underground. Mi sbagliavo! Sì, perché 'Sumerian Daemons' è un disco incredibilmente fresco e coinvolgente, un album che colpisce nel segno laddove 'Revolution DNA' aveva in parte fallito. È dunque con questa sesta fatica che i Septic Flesh raccolgono una rinnovata opportunità di evoluzione del proprio sound e dimostrano di saper gestire con maggior destrezza e padronanza quegli sporadici inserti elettronici già abbozzati in precedenza. Il risultato è dei più esaltanti: un sulfureo death-black sinfonico dai cori polifonici imponenti, che alterna parti più rallentate e dal flavour gotico ad altre che tramortiscono per la loro brutalità. Inutile citare un brano in particolare, perché tutti i tredici pezzi sono irresistibili. Ci tengo solamente a sottolineare come la band abbia raggiunto con questo lavoro una formula compositiva invidiabile che dona scorrevolezza all'insieme e mantiene sempre desta l'attenzione sui continui climax sonori che prendono forma durante l'ascolto. I ruggiti di Spiros che incontrano la voce della soprano Natalie Rassoulis, le partiture sinfoniche che, unite alle numerose finezze elettroniche, abbracciano la possenza delle chitarre: ogni elemento di 'Sumerian Daemons' è un incantesimo che dà vita a contrasti in equilibrio perfetto. Tra violenza e melodia, tra sfuriate selvagge ed elegiaci canti profani. Datemi ascolto quando vi dico che 'Sumerian Daemons' è un album da avere... lasciatevi travolgere e non ve ne pentirete. (Roberto Alba)

(Hammerheart Records - 2003)
Voto: 80

domenica 1 febbraio 2015

Empyrean Throne - Demonseed

#PER CHI AMA: Black/Death Sinfonico, Behemoth, Dimmu Borgir
Con notevole ritardo, slegato questa volta dalla mia volontà, mi appresto a dare orecchio all'EP di debutto dei californiani Empyrean Throne, sestetto di Lake Forest, che ha catturato il mio interesse per l'epica grafica dell'artwork, per la label alle loro spalle (la Erthe & Axen, la stessa degli Xanthochroid) e per la proposta a cavallo tra black e death sinfonico. Inizio però la mia disquisizione di 'Demonseed' dalla quinta traccia, "A Crow's Feast", che ho avuto modo di passare all'interno del mio programma radio. Vi domanderete certo il perché di questa mia inusuale scelta, presto detto. Quando ho informato la band di aver passato la song in radio, la risposta è stata che la traccia non era sufficientemente pesante. Devo aver pensato di tutto su questi tre minuti abbondanti di musica, ma certo che non fosse estrema. Una ritmica ferocissima infatti, addolcita solo da una forte componente orchestrale, la rendono forse un po' più accessibile rispetto alle altre, ma basta sentire il deflagrante drumming di Dan “Danimals” Bruette per capire che certo questo non è pop rock. Facciamo quindi un salto indietro alla opening track, che apre con suoni di guerra, il cui titolo, "Death March", non è stato scelto per puro caso. E proprio come una marcetta bellicosa, i nostri si presentato con la loro proposta aggressiva, rutilante, ma sempre ammorbidita dal violoncello e dalle orchestrazioni bombastiche di Kakophonix, che confermano quanto già detto sopra, ossia rendere verosimilmente più ampio il pubblico che possa avvicinarsi a questo lavoro. La voce di Andrew Knudsen, graffiante nella sua veste scream e brutale in quella growl, si guadagna la scena, anche nella successiva title track dove, sempre posta in primo piano, dissemina tutto il proprio odio, su ritmiche mai troppo feroci a dire il vero, sebbene le tematiche anticristiane. Il cd è infatti un concept che parla della nascita di un anticristo, la distruzione che segue la sua venuta e la rinascita di un nuovo mondo. "Nothing but Vermin" è un pezzo decisamente death, che non disprezza peraltro tecnicismi più propri del techno deathcore e che vede come guest vocal tal Tyler Gorski (un altro ospite, il pianista Daniel Pappas, farà la sua comparsa in "Follow the Plaguelord"). "The Fascist Messiah" è una rasoiata di una manciata di minuti, mentre l'ultima song, la più lunga del lotto, da sfoggio dell'abilità del già citato Daniel al pianoforte, con un lungo e delizioso intro pianistico che fa da preambolo alla traccia più matura del dischetto. Belle le linee di chitarra, raffinata e pomposa la veste orchestrale, mentre le vocals si dimostrano davvero convincenti, con una prova corale che innalza notevolmente la qualità del disco. 'Demonseed' tuttavia, rivela ancora lacune in sede compositiva delineando anche una certa resistenza nello sperimentare da parte dei nostri. Gli Empyrean Throne comunque promettono bene, e l'invito è pertanto, quello di seguirli da vicino. (Francesco Scarci)

(Erthe & Axen - 2013)
Voto: 65

venerdì 31 ottobre 2014

Mystical Fullmoon - Chthonian Theogon

#PER CHI AMA: Black/Avantgarde, Blut Aus Nord, Dimmu Borgir
A distanza di cinque anni dal non troppo fortunato, in termini di risonanza mediatica, 'Scoring a Liminal Phase', torna il trio milanese dei Mystical Fullmoon con un album nuovo di zecca e una storica label di supporto, la Beyond Production. Dieci le tracce a disposizione dei nostri per convincermi della bontà della loro musica, per cui un lustro è stato speso per la sua composizione. Sorvolando sull'intro, mi lancio all'ascolto di "An Outermost Resonance", prima vera traccia di 'Chthonian Theogony', song che palesa fin dalle sue prime note il rinnovato amore dei nostri verso il black sinfonico dei maestri norvegesi. Non dico nulla di nuovo fin qui, che già non avessi riscontrato nel precedente album. La song è una bella cavalcata sorretta da maestose tastiere e da un bel lavoro di chitarre, con alcuni passaggi psichedelici, il cui cadenzato ritmo litanico (al limite del doom), mi ha evocato Blut Aus Nord e Deathspell Omega. Se in passato avevo identificato in Emperor o Limbonic Art, le influenze più superficiali da attribuire al combo meneghino, per questo secondo lavoro devo rivedere le mie affermazioni e puntare sulla scena black francese come spunto per il nuovo corso dei Mystical Fullmoon. La song avanza marcescente e allucinata per larghi tratti, anche se nel finale, sono orchestrazioni di chiara scuola Dimmu Borgir, a dominare. "Reward for the Blind" evoca nuovamente la mefistofelica creatura di Vindsval e soci, almeno nelle linee di chitarra, fatto salvo per ringhiarci contro un riffing che sembra più orientato al thrash death. Il sound camaleontico dei Mystical Fullmoon non tarda a mutare, variando tempi, generi e spesso modo di suonare, mentre immutevole rimane lo screaming troppo nasale di Gnosis. Ascoltare questa song è come avere a che fare con quattro band differenti allo stesso tempo. Eccolo il carattere mutevole del terzetto formato da Heru, Gnosis e Arcanus Incubus, che torna a colpire col suo ibrido di black, death, noise ambient ("Stone of Splendour"), prog, suoni orchestrali e avantgarde, per un risultato a tratti fin troppo confondente. "A Red and Black Sacrament" è un esempio di una song che fatica a trovare una propria identità ben definita ed è un vero peccato; questo perchè la band cade spesso nella tentazione di voler infarcire i propri brani di tutto lo scibile musicale estremo possibile, suonando alla fine troppo pomposi e fuorvianti. Troppi sono i generi che si rincorrono nelle song: qui addirittura si passa dal black al death per finire a deliranti cori liturgici, per un risultato che alla fine spiazza non poco. Forse tutto questo rappresenta un pregio; non nascondo che molto spesso mi sono lamentato per la pochezza di idee espresse dalle band, qui soffro addirittura per la difficoltà a incanalare la dirompente verve creativa dell'act italico, in una direzione ben precisa. "The Reader and the Naked Scientist" è alla fine la traccia che preferisco dell'album, forse un po' più lineare, anche se un break psicotico arriva ben presto a destabilizzarmi. Le chitarre suonano più melo death oriented, anche se poi la ritmica dirompente black prende il sopravvento, ma per poco, visto che il finale della song ha un flusso cinematico (ricordate la colonna sonora di 'Inception', il film con Di Caprio?). "After the Coil" è una lunga e complessa song per lo più strumentale, ove fa la sua comparsa un sax, a dimostrazione dell'elevata e raffinata tecnica strumentale, cosi come pura la costante volontà di stupire sempre l'ascoltatore. Con "Aghori" perlustriamo i meandri profondi della musica fantasy, mentre l'ultima track del disco è affidata a "Dream Brother", quanto mai inattesa cover di Jeff Buckley. Ecco, se i Mystical Fullmoon volevano stupirci un'altra volta, devo ammettere che hanno colto nel segno al 100%, con un album che necessita di tantissimi ascolti per essere assimilato e digerito. Da due mesi, 'Chthonia Theogony' corre nel mio hi-fi e credo che necessiti ancora parecchio tempo affinchè possa allinearsi con la mia mente disagiata. Avanguardia spinta! (Francesco Scarci)

(Beyond Production - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/mysticalfullmoon

mercoledì 17 settembre 2014

Codex Alimentarius - The Hand of Apophis

#PER CHI AMA: Death melodico
Sono solo undici i minuti a disposizione dei Codex Alimentarius per farci assaporare la loro furia distruttiva e vi garantisco che bastano e avanzano per farsi una idea della band di Exeter. 'The Hand of Apophis', secondo EP dei nostri, si fa portavoce di un death abrasivo ma al contempo melodico e dalle venature a tratti sinfoniche, che certo saprà conquistare tutti gli amanti di sonorità estreme, me compreso. Dopo una breve intro, ecco esplodere "Trajectory" e il rutilante martellare del drummer Frank 'Bleeding' Dennis viene accompagnato da una sezione ritmica con i controfiocchi costituita da ben 3 chitarre e un basso che, ben bilanciati, vedono ergersi sopra le loro teste, il vocione apocalittico del bravo Ray. "Azimuth" è la seconda traccia, dallo vena deathcore, una song che riassume lungo i suoi quattro minuti e mezzo, lo spirito del 6-piece britannico: sonorità potentissime, ritmiche sincopate, rallentamenti magmatici, growling brutali, una buona dose di melodia e tanta tecnica. Risultato: eccellente. Gli arrangiamenti in questo disco non si sprecano di certo, tutto è curato nei minimi dettagli e "Impact" è l'ultima dimostrazione del dischetto anche se i minuti a disposizione rimangono solo tre. Ottimi riffoni che dettano un tempo quasi marziale controbilanciato da accelerazioni da urlo, il tutto enfatizzato poi da una produzione pura e cristallina. Ottimi laceranti assoli squarciano infine il brano in più punti, rivelando la natura orchestral brutal-melodica dei Codex Alimentarius. Bella scoperta, ma ora attendo un lavoro che confermi le qualità dei nostri anche sulla lunga distanza e ne faccia anche lievitare il voto conclusivo, tenuto logicamente più basso visti i soli 11 minuti messi a disposizione. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 70