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sabato 16 febbraio 2019

Doom:Vs - Dead Words Speak

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Doom, My Dying Bride
Avevo recensito il primo e il terzo capitolo degli svedesi Doom:Vs, perchè non sfruttare quindi l'opportunità della ristampa da parte della Solitude Productions, del secondo 'Dead Words Speak', per dare lustro ad un album davvero interessante per la scena death doom? Vi ricordo che i Doom:Vs non sono altro che il progetto parallelo di Johan Ericson dei Draconian, ma questo dovrebbe ormai uscirvi dalle orecchie, per quante volte è stato ripetuto. Il bravo musicista svedese con la sua creatura si lancia nella sua personale rivisitazione del genere, sempre carico di una certa emotività di fondo che potrebbe accostare per certi versi questo progetto alla band madre, sebbene la compattezza di un riffing parecchio monolitico a tratti ridondante. La prima robusta "Half Light" dimostra la pesantezza ma anche la vicininanza dei Doom:Vs ai Draconian, grazie a quelle sue toccanti melodie di fondo o dall'utilizzo delle clean vocals da parte di Johan. Poi è un tuffo nella malinconia più disperata, quella che in cui il vocione growl di Johan ci accompagnerà in un viaggio all'insegna di tematiche legate alla tristezza e alla depressione. Pesante l'atmosfera solenne della title track, davvero dolorosa nel suo incedere, ma fantastica quando il buon Johan si adopera con i suoi splendidi vocalizzi puliti o nell'esecuzione di un assolo strappamutande da applausi. Un po' più ruvido l'attacco di "The Lachymal Sleep", ma anche qui il copione si ripete con un sound che abbina il death doom (non parlerei qui di funeral, non ci sono gli estremi) con parti goticheggianti o comunque pregne di una suggestiva atmosfera decadente che va a suggellare una prova che conferma le capacità esecutive del chitarrista dei Draconian. Se proprio vogliamo trovare dei momenti più oscuri nell'album, beh inevitabilmente vi citerei la cupissima "Upon the Cataract" e la decadente "Threnode", peraltro il brano più lungo del disco, due gemme di un doom più oscuro che chiamano in causa i primissimi My Dying Bride e gli Evoken. Insomma, se non conoscete ancora i Doom:Vs, questo è il momento giusto per fare incetta delle ristampe della Solitude Productions e apprezzare la disperazione effusa dal bravissimo Johan Ericson. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions - 2008/2018)
Voto: 75

https://doomvs.bandcamp.com/album/dead-words-speak

Deitus - Via Dolorosa

#PER CHI AMA: Black Doom, Nihili Locus
Ha sicuramente una crescita lenta ma efficace il secondo album dei misteriosi inglesi Deitus, fuori per la nostrana I, Voidhanger Records. 'Via Dolorosa' segue a distanza di due anni il debutto su lunga distanza di 'Acta Non Verba' e si presenta, almeno inizialmente, come un putrido e corrosivo concentrato di black old school. "Hallowed Terror" infatti esplode dritta nel mio stereo con quel riffing serrato che tanto andava di modo negli anni '90, accompagnato dalle classiche screaming vocals, e poc'altro, ma... si c'è un ma, perchè il trio londinese ha una certa dimestichezza con i propri strumenti e si può permettere di lanciarsi anche in una ricerca di solismi di un certo livello, che alla fine rappresenteranno l'elemento distintivo della loro proposta. "Malaise" è un pezzo che si muove tra un mid-tempo ed improvvise furibonde accelerazioni, non disdegnando un cantato che mi ha evocato i nostri Nihili Locus al tempo di '...Ad Nihilum Recidunt Omnia'; ancora una volta quello che solletica il mio palato è quella ricerca di melodia negli assoli finali, davvero convincente. Cosi come convincente risulta la title track, ove sembra esserci uno stacco dalle precedenti due tracce: assai più ricercata a livello melodico, molto più moderna nei suoni, che sembrano tuttavia ammiccare anzichè all'ambito estremo, all'heavy metal classico. Infine, il comparto solista si rivela sempre estremamente azzeccata, cosa assai rara nel black. Dicevo a inizio recensione che il disco va crescendo, lo certifica la quarta song, "Salvifici Doloris", che ci consegna una band totalmente rigenerata che si muove tra estremismi black punk e una forte architettura classic, non disdegnando qualche facile paragone con i polacchi Mgła, in una lunga e sporca cavalcata dinamitarda. L'ultima "Atonement" ci trascina nelle viscere della terra in un maestoso e deprimente pezzo black doom, forte di rallentamenti da paura, chitarre sghembe, vocals ferine e accelerazioni post black, che la eleggono di diritto mio brano preferito di questa 'Via Dolorosa'. Un disco che nella sua rapida progressione, ha eliminato le ruggini ereditate dal più lacerante debut album lanciandosi alla grande in un black moderno dalle tinte progressive. Sarà interessante seguirli per capire come evolverà il loro sound in un prossimo lavoro. Un plauso alla fine all'ottima attività di scouting della I, Voidhanger, sempre sul pezzo nello scovare nell'underground ottime band. (Francesco Scarci)

(I, Voidhanger Records - 2018)
Voto: 75

https://deitus.bandcamp.com/album/via-dolorosa

Pure Wrath - Sempiternal Wisdom

#PER CHI AMA: Symph Black
È la prima volta che mi trovo a recensire una band indonesiana e francamente mi aspettavo la classica proposta brutal gore, tipica del sud est asiatico. Che piacere essermi sbagliato cosi alla grande, dal momento che la one man band proveniente da Giava, propone invece un black atmosferico dalle tinte sinfoniche. 'Sempiternal Wisdom' è il secondo lavoro di Ryo, il factotum che sta dietro al moniker Pure Wrath, un disco che si apre con le suadenti note di piano di "Homeland", con i suoi dieci minuti, che mettono in mostra tutte le potenzialità del musicista di Bekasi, dall'irruenza in cui evolve il sound dell'opening track alla magia folk-eterea della stessa a metà brano, passando attraverso un sound sempre melodico ed ispirato, con spettacolari chorus epici che evocano i Bathory di 'Hammerheart'. Sublimi, anche quando il post black converge nelle ritmiche esplosive di "Warrior's Path", un brano evocativo, furente, solenne che ammicca agli scozzesi Saor e lascia intravedere, soprattutto a livello di arrangiamenti, grandi prospettive per il futuro. Probabilmente la grande sforuna di Ryo è provenire dall'Indonesia, ma sono certo che sotto la guida della Pest Productions, si potrà togliere grosse soddisfazioni. Il lavoro prosegue brillantemente su questa scia, riservandoci altre chicche, dalle tenui orchestrazioni della struggente "Grief of Our Father", alla devastante "Lautan Darah", cosi svedese nel suo rifferama tagliente, ma anche cascadiana nella sua parte centrale. Ancora splendide sonorità sinfoniche con la debordante "Elegy to Solitude" un pezzo che ha smosso in me un'emotività simile a quella che provai ascoltando la bellissima "Mistress Tears" dei Dismal Euphony, senza contare che da qui alla fine verranno fuori anche delle splendide linee di chitarra in tremolo picking. L'ultima "Departure" chiude con violenza e grande classe, un album su cui francamente non avrei puntato un nichelino. (Francesco Scarci)

Fordomth - I.N.D.N.S.L.E.

#PER CHI AMA: Black/Doom
Dopo Solitude Produtions e sub-labels varie, anche l'altrettanto russa Endless Winter sta salendo in cattedra per ciò che concerne le uscite in ambito funeral doom. Addirittura questa volta la label della cittadina di Taganrog, ha messo sotto contratto i nostrani Fordomth, formazione sicula a ben sei elementi. 'I.N.D.N.S.L.E.', acronimo che starebbe per 'In Nomine Dei Nostri Satanas Luciferi Excelsi', è l'album d'esordio del sestetto di Catania, un lavoro che sebbene registrato nel 2015, è uscito solamente sul finire del 2018. Il genere? Un funeral doom dalle tinte più black che death, che va a dipanarsi lungo quattro estenuanti song (più una breve intro) per ben 55 minuti di musica. E di questi 55 minuti, balzano all'occhio i 24 asfissianti minuti di "Chapter III – Eternal Damnation" ma andiamo con ordine, perché vanno affrontati prima i quasi 12 iniziali di "Chapter II – Abyss of Hell", una song decisamente obliqua nel suo lentissimo e cupo avanzare. Quello che mi colpisce è un riffing, le cui due linee di chitarra, sembrano muoversi sui dettami dei primissimi Anathema la prima, e su quella dei primissimi Cathedral la seconda, intersecandosi pericolosamente in un abissale magma sonoro, da cui emergono i vocalizzi dei due cantanti, uno da orco cattivo a cura di Gabriele Catania e l'altro epico e sofferente ma pulito, di Federico Indelicato (che peraltro vede più di un'analogia con i vari frontmen passati per i Void of Silence), in una proposta alla fine dal mood quanto meno disperato e straziante, in quell'invocante incedere che somiglia più alla colonna sonora del peggiore dei nostri incubi. Evocante, insana, terrificante, sono solo alcune delle splendide sensazioni che pulsano dalla terza destabilizzante traccia, una maratona sonora che nel suo flusso angosciante, ha modo di regalare altre terrificanti emozioni da film dell'orrore, incanalandosi in plumbei pertugi ambient, che nuovamente mi hanno smosso nell'animo un che degli Evoken ma anche dei teutonici Traumatic Voyage dello splendido lavoro 'Traumatic...'. Piacevolmente colpito dalla malsana proposta della compagine sicula, mi lancio con somma curiosità all'ascolto di "Chapter IV - Interlude", giusto per capire come si possa intrattenere il pubblico con un interludio di quasi nove minuti. Presto detto, è sufficiente affidare il tutto ad uno straziante duetto formato dal violino di Federica Catania e da uno spettrale pianoforte, socchiudere gli occhi e provare a non disperarsi di fronte alla drammatica forza emotiva di questa band. "Chapter IV - Interlude" è la song che chiude il disco in un sordido death doom stile Anathema (periodo 'Pentecost III') in formato blackish, non tanto per i gorgheggi profondi (ma anche in screaming) del cantante ma per quell'aura mefistofelica che avvolge l'intero brano e che rende il tutto cosi tremendamente affascinante per il sottoscritto. Sebbene qualche ingenuità, legata ad una stesura ormai vecchia di quasi cinque anni, per me 'I.N.D.N.S.L.E.' è un intenso ed importante biglietto da visita per la band per spiccare verso lidi più lontani. (Francesco Scarci)

martedì 12 febbraio 2019

Winter Dust - Sense by Erosion

#PER CHI AMA: Post-Hardcore/Post Metal, Cult of Luna
Di band post rock ne è pieno il mondo, ma sono poche quelle che sanno davvero trasmettere qualcosa e i Winter Dust figurano esattamente tra queste. La carica emotiva dei pezzi contenuti in 'Sense by Erosion' è infatti davvero potente e riesce a smuovere anche quegli animi impietriti dalla routine e dalle ore passate davanti al pc. Una vera cura per l’anima quindi. Le chitarre stratificate in mille layer psichedelici tessono a volte una trama di seta ed in altri casi strati di ferro, come una cotta di maglia impenetrabile. Complice la proficua vena post-hardcore, caratteristica fondante della band, che s'insinua nelle soavi linee melodiche come acido muriatico, la struttura, gli arrangiamenti, nonché la resa su disco della musica dei nostri, risultano sempre brillantemente bilanciate grazie all'opera dietro alla consolle di un egregio Enrico Baraldi. Una fusione tra Sigur Ros e Russian Circle, tra Cult of Luna e Mogwai con violente esplosioni vocali, laceranti grida disperate che rompono la magia degli eterei affreschi allucinogeni per innalzare lo stato mentale ad un’altra dimensione e per allargare violentemente la percezione. Notevole e mio preferito il brano "Duration of Gloom", che nei suoi nove minuti di durata passa per tutti gli ambienti che i Winter Dust riescono a dipingere, divenendo cosi il brano più rappresentativo del disco. Una menzione d’onore anche alla chiusura affidata a "Stay" con i suoi soffici ambienti di pianoforte che ci cullano fino alla fine del disco. Ascoltare i Winter Dust è come starsene stesi sull'erba, con il viso proiettato a guardare le stelle di notte e avere la netta sensazione di vedere i movimenti degli astri, di capire come si sfiorano nella loro eterna danza e di sapere che in fondo, non siamo altro che degli ammassi di cellule su una roccia lanciata nello spazio a centomila km/h. (Matteo Baldi)

(Dischi Sotterranei - 2018)
Voto: 80

lunedì 11 febbraio 2019

Flying Disk - Urgency

#PER CHI AMA: Noise Rock
Il trio volante, dopo quattro anni dal fortunato 'Circling Further Down', torna con il nuovo album 'Urgency', prodotto e distribuito da Brigante Records, Scatti Vorticosi e Edison Box. Dal lontano 2010 la band ha fatto parecchia strada, suonando in tutta Italia e affacciandosi oltre confine per brevi ed irruenti incursioni noise punk rock/post-hardcore. La band piemontese ha scelto otto brani per raccontare chi sono oggi i Flying Disk e cos'è successo in questi quattro anni frenetici. "One Way To Forget" inizia in maniera dirompente con un gran riff scaccia noia, la chitarra elettrica si destreggia con un sapiente uso delle corde, distorsore e influenze anni novanta che fanno sorridere noi vecchie rocce, ma che fortunatamente ammaliano ancora. Il nervosismo della sezione ritmica non è li per fare solo presenza, si prende la responsabilità di spingere e far sentire la botta del buon rock. Tre minuti che fanno da ottimo biglietto da visita per l'ensemble cuneese che dimostra subito di aver fatto i compiti senza diventare però il classico secchione anticipatico della scuola. Poi arriva "Straight", che attacca come i vecchi Verdena con quell'attitudine che vien voglia di ondeggiare la nostra estremità superiore per godere al meglio di un brano che andrebbe ascoltato davanti ad un palco improvvisato in mezzo al pubblico; qui la band pesta come una forsennata e noi saltiamo a tempo in un tripudio di sudore e polvere. In "Hammer" anche il basso si prende il suo spazio fin dal riff iniziale, pesante e distorto fino a quando il brano non sfocia in un break che ricorda "Sabotage" dei Beastie Boys. Non è ancora finita perché il pezzo evolve e si lancia in un finale da ballad che abbassa la tensione fino alla sua chiusura. Devo dire che l'elemento che contraddistingue il trio piemontese è il cantato, una ventata di freschezza che se ne frega dei tecnicismi e si butta a capofitto negli arrangiamenti strumentali con un'inclinazione che ricorda il college rock oltre oceano. Il volo pindarico di 'Urgency' si chiude con "100 Days" che non perde un colpo e viaggia come una scheggia impazzita che si è staccata da un modulo lunare, prendendo il largo verso l'infinito. La canzone rallenta con i suoi suoni dilatati, la batteria riduce i bpm e il cantato quasi sussurra le ultime strofe. Cala il sipario. Non accendete ancora le luci, vogliamo guastarci ancora 'Urgency' finchè le note riecheggiano nei nostri neuroni. (Michele Montanari)

(Brigante Records/Scatti Vorticosi/Edison Box - 2018)
Voto: 75

https://flyingdisk.bandcamp.com/album/urgency

sabato 9 febbraio 2019

Lunae Ortus - White-Night-Wropt

#PER CHI AMA: Symph Black, Carach Angren, Cradle of Filth
Sembra che il black sinfonico stia tornando in auge come un tempo, interessante però vedere come la nuova ondata di band non provenga da quella che una volta era considerata la Mecca della musica estrema, ossia la Scandinavia, ma la new wave è ora principalmente di estrazione mittle-europea o di origine russo/ucraino. I Lunae Ortus arrivano appunto dalla Russia e, pur essendosi formati nel 2005, approdano solo nel 2018 con il loro album di debutto, il qui presente 'White-Night-Wropt', proponendo un black sinfonico come i grandi del passato hanno saputo fare, e penso a Dimmu Borgir e Cradle of Filth. Nove i pezzi a disposizione del terzetto di San Pietroburgo, che vede tra le proprie fila membri, ex e turnisti di Grailight, Skylord e Arcanorum Astrum. Infilandosi sulla scia dei nostrani Fleshgod Apocalypse, sebbene quest'ultimi più inclini ad una vena death sinfonica, meglio ancora degli olandesi Carach Angren, i Lunae Ortus hanno modo di offrire la loro personale visione del metallo sinfonico, affrontando in questo lavoro, l'assedio di Leningrado durante la Seconda Guerra Mondiale che durò 2 anni e 5 mesi e rappresentò una delle più cocenti sconfitte nella guerra lampo di Adolf Hitler. A corredo di questo tema arriva il sound dei nostri, ribattezzato per l'occasione "Imperial Symphonic Black Metal", termine che ci sta alla grande per delineare la struttura imponente di cui è intriso il sound della band, caratterizzato da un'importante matrice sinfonica sorretta da splendide tastiere. E cosi nascono le song di questo disco, l'opener "The Woesome Famine", ove tra ritmiche mid-tempo e tenui screaming vocals, trovano spazio le maestose orchestrazioni di Sergey Bakhvalov. Le atmosfere orrorifiche di "Poltavian Battle" ricordano per certi versi le cose più gotiche di Dani Filth e compagni, con quelle notevoli galoppate che evocano fantasmi lontani e che scomodano altri paragoni con i nostrani Theatres des Vampires per feeling evocato, anche se i più importanti punti di contatto ci dicono che i tre russi devono aver amato alla follia 'Enthrone Darkness Triumphant" dei Dimmu Borgir, chi del resto non l'ha fatto? E allora meglio lasciarsi assorbire dalle funamboliche ritmiche di "Bronze Horseman", sempre cariche di melodie e di frequenti cambi di tempo. Più ritmata invece "Toward the Dawn", con quelle orchestrazioni cosi sature da richiamare un altro disco dei Dimmu Borgir, 'Puritanical Euphoric Misanthropia'; qui semmai da sottolineare è la presenza della più classica delle cantanti liriche, per un pezzo che sembra ammiccare anche a Therion e Arcturus, soprattutto per il lavoro al piano. Non sono certo degli sprovveduti i Lunae Ortis, ma questo era chiaro vista la lunga militanza nell'underground, comunque resta apprezzabile il lavoro dal mood electro-cibernetico di "Unquiet Souls Under Water", quasi a voler offrire variazioni ad un tema che rischierebbe di divenire troppo scontato. La song scivola via tra portentose accelerazioni di scuola Children of Bodom e melodie ruffiane, non un male. La cosa prosegue sulla falsariga anche nelle successive song (da sottolineare però la presenza di clean vocals in "New World of Light"), fino all'ottava, "Charlatan's Dance", ove accanto al classico sound dei nostri, va in scena un inusuale fuori programma dalle tinte humppa-folk (di scuola Finntroll). A chiudere il disco in modo egregio, arriva anche "Forests of Rebirth", forse la mia traccia preferita, quella che sicuramente è più vicina al metal classico e sembra essersi scrollata del tutto l'approccio, talvolta fin troppo pomposo, del symph black dei Lunae Ortus. In definitiva, 'White-Night-Wropt' è un album più che discreto, che se fosse uscito vent'anni fa, avrebbe sicuramente riscosso il successo che oggi faticherà maggiormente ad ottenere. (Francesco Scarci)

(Soundage Productions - 2018)
Voto: 75

https://lunaeortus.bandcamp.com/album/white-night-wropt

Thy Dying Light - Forgotten by Time

#PER CHI AMA: Black Old School
Originariamente uscito in cassetta ad inizio 2018 per la Death Kvlt Produtions, 'Forgotten by Time', compilation degli inglesi Thy Dying Light, è stata successivamente stampata su cd dalla Pest Productions. Il disco include il mini 'The Last Twilight' e il demo 'Thy Dying Light', entrambi datati 2016. Nove i brani per comprendere lo status underground di questo progetto capitanato da Hrafn e Azrael, due loschi figuri militanti in altre band più famose, 13 Candles, Nefarious Dusk e Ethereal Forest, tanto per citarne alcune. La proposta del duo di Barrow-in-Furness è tremendamente old-school, tanto da catapultarci agli albori del black metal, quando imperversavano le tape delle band scandinave. In soldoni, ecco quanto proposto da questi due malefici musicisti, nel cui sound nero come la pece, confluiscono sentori dei primissimi Bathory (quelli dell'album omonimo), oppure la versione black dei Darkthrone e ancora un che degli esordi di Immortal o Burzum. Song come "Fist of Satan" o "Carpathian Mountains", sembrano essere state scritte quasi trent'anni fa, grazie anche ad una produzione scarna e secca, alla presenza di lancinanti grim vocals e una melodia relegata davvero in secondo piano (anche se la seconda parte di "Kingdom of Darkness" ne concede fin oltre il dovuto). Poi solo ritmiche infernali, al limite del punk, urla sgraziate e poco altro. La differenza fra i due lavori qui contenuti, risiede essenzialmente in una registrazione più casalinga per il demo omonimo, ma anche per una linea di chitarra che sembrerebbe più melodica ed ispirata (ascoltare "Plague Rates Pt.II" per capire le differenze), nel caso della demo, come già ascoltato nella title track. Nebulose intonazioni sonore dai tipici tratti doom ("Tombs Of The Forgotten") completano il quadro di una release che francamente al sottoscritto dice ben poco, avendo vissuto la nascita e crescita del black, ormai trent'anni fa. (Francesco Scarci)

venerdì 8 febbraio 2019

As a New Revolt - TXRX

#PER CHI AMA: Rapcore, Rage Against the Machine, Nine Inch Nails
Non sono il più grande entusiasta quando si parla di rap, non mi ha mai trasmesso più di tanto a parte alcune rare eccezioni. Beh, gli As A New Revolt è una di queste! Si tratta di un disco abrasivo e pieno di disagio, le chitarre sono ruggenti e spigolose, la batteria è presente e martella come un treno in corsa, ci sono dei synth, unica reminiscenza dell’hip hop anni '90. La voce infine, pungente e penetrante completa un quadro sonoro che riesce a sbordare dai confini sia del rap che del rock, scavandosi un piccolo loculo tra le due grandi potenze. A me vengono in mente i Rage Against the Machine, ma anche gli Incubus e i Nine Inch Nails, 'TXRX' non è un disco felice o strafottente come la maggior parte del rap che mi capita di sentire, c’è molta intensità tanto che a volte le cuffie riversano delle urla efferate di gola (Manu stai attento che ti fai del male!), tanto da sembrare quasi che qualcuno stia subendo un'indicibile tortura ma che allo stesso tempo, stia lottando con tutte le sue forze per liberarsi da essa. La potenza espressiva di 'TXRX' coinvolge l’ascoltatore in un vortice di rabbia e di energia selvaggia, parole come lance immerse in un mare di frequenze malate e disturbanti sostenute da rimiche tribali ed imprevedibili. Un bell’esempio di come il rap non sia solo berretti di traverso, pantaloni larghi e frasi senza senso, bravi continuate così! (Matteo Baldi)

(Sand Music - 2018)
Voto: 75

https://www.facebook.com/asanewrevolt/

Frozen Dreams - Fallen in Dark Slumbering

#PER CHI AMA: Symph Black, Windir, Summoning, Bal Sagoth
I Frozen Dreams dovrebbero (il condizionale è d'obbligo perchè non ho trovato troppe informazioni in merito nè all'interno del cd nè in rete) essere una one-man-band svedese, capitanata da tal Weird (che per la cronaca in inglese significa strano). Il mastermind di Helsingborg giunge con questo 'Fallen in Dark Slumbering' alla sua terza release, però sapete che la cosa strana è non aver trovato traccia di recensioni dei precedenti due album? Sospettoso, mi metto all'ascolto degli oltre settanta minuti racchiusi in questa release, che si aprono con le suadenti note di "The Sleeping Death", una intro che sembra fungere da apripista all'intero album e ci accompagna con le sue magnifiche orchestrazioni alla prima vera song del disco, "Through Darkened Sky". La traccia mette in mostra subito una certa epicità di fondo nei suoi tratti che si coniuga bene con le magniloquenti e bombastiche melodie di chitarre, sulle quali si innestano le screaming vocals del factotum di oggi e i suoi magici tocchi di tastiera. È un black sognante quello dello strano musicista svedese, sicuramente facile da assimilare sin dal primo ascolto per quel suo notevole contenuto di melodie abbastanza ruffiane. Non un difetto sia chiaro, anzi un pregio che consente anche a chi non è avezzo a tali sonorità di avvicinarsi con una certa facilità alla proposta dell'artista scandinavo. Alla stregua di questa canzone, anche le successive si mettono in coda, sfoggiando melodie eteree, un approccio ritmico dal mood sinfonico e un riffing sempre mid-tempo. Lo dimostrerà "Rise Above All" e via via tutte le altre. L'unico problema che posso intravedere in questo lavoro, è probabilmente la durata, nel senso che lo svolgimento di ciascun pezzo poteva avvenire in metà del tempo, e anzichè trovarci fra le mani un disco estenuante, forse mi starei gustando un cd di presa ancor più immediata. Però che spettacolo abbandonarsi alle melodie concepite da questo fantomatico musicista, sembra quasi di avere a che fare con un ibrido costituito dall'epico sound dei Windir, miscelato alla magia dei Summoning e con il pagan dei Sojourner, nel bel mezzo di un mondo fantastico come quelli narrati nei dischi dei Bal Sagoth. Tra i miei pezzi preferiti, vi citerei "Madness of Life", potente, con una architettura ritmica formata da un rifferama profondo con le chitarre che vanno a braccetto con le pompose keys e lo screaming arcigno dello strano tipo alla voce, in un evolversi comunque classico. Manca probabilmente la giocata ad effetto per far decollare alla grande questo lavoro, perchè 'Fallen in Dark Slumbering' tutte le carte in regola per colpire nel segno le avrebbe anche. La title track ci va molto vicino, con quel suo piglio assai dinamico che chiama, per certi versi, in causa anche i primi Children of Bodom, tralasciando però la loro componente power. Ultima menzione d'onore per "Land of Frost" per quella sua forte componente folkish che si annida e permea la malinconica linea melodica delle chitarre. Estenuati, si arriva a "Flame of Winter", dove qui i richiami al fantasy di Summoning e Bal Sagoth si fanno notevolmente più importanti. In soldoni, quello di Mr. Weird e i suoi Frozen Dreams è un buon lavoro pur peccando di eccessiva prolissità musicale, di cui auspico una risoluzione nelle release future. 70 minuti sono tanti da digerire, meglio fermarsi ai canoni 45. (Francesco Scarci)

AERA - The Craving Within

#FOR FANS OF: Epic Black, Gorgoroth
Elaborating on its ambition with another drab album cover, AERA pans out from the flush foliage that made up a shroud of dark trees across nearly half of the black-contrasting-grey sky in order to reveal desolation as larger cloud formations impose themselves on shrinking bits of blackened earth. At first glance this enshadowed area is burned and gnarled, as though devastated by conflagration. However, this expanse of sky spans over the rolling hills and mists settle the gullies between. AERA has taken a step back to catch more light in its lens and now shows that even clearer in its latest offering.

With this clarity in an album cover comes a clarity in AERA's direction as well. Twisted and disturbing harmony expresses desolation through biting winds as “Skaldens Død” explodes with percussion sweeping up the treble as synth and screams become the second envelopment of a pincer on the razor sharp foreground. Crying frosty riffing swamps the atmosphere in “Frost Within” with a sound that could easily be accompanied by piano however it instead takes its tearing tone well into “Rite of Odin” keeping a flow together that reaches apogee and then succumbs to silence. While fury is the sound of the day in the first half of the album, ensuring that AERA's uncompromising black metal effect is just as palpable as it was in 'Of Forsworn Vows', the duo has now taken its time in a full-length to show a greater breadth in its music through the latter half that opens up the expanse to some color in this generally drab and flat presentation.

Establishing a new flow with a gruff chant, “Profetien” bears some martial characteristics similar to Gorgoroth's pummeling “Profetens Åpenbaring” before its march becomes blasted away with the airy shrieks and hammering blasting that fills its ethereal atmosphere with hints of Njiqadhha's relentless layering. Breaking into a quiet and somber chant to an acoustic guitar, the song turns from grief to vengeance as it resumes it marching pace. Slightly branching out with a new approach, “Profetien” shows that AERA is capable of creating a second movement within a song that thoroughly switches gears to bring more than one flat emotion to the forefront. Rage becomes supplanted with melancholy for a small sparkling interlude before Satyricon sawing comes through again to remind the listener of just how immersed into its space AERA remains, coming off again as bland and recycled rather than overwhelming, brutal, or evil. Just because the guitar is obnoxiously shrill in the mix, it doesn't make the music match up, especially considering this guitar still doesn't rise to the occasion of the shrillness of a Burzum or Demonaz album. Instead, this production ensures that its hazy sound is as flat as its delivery and the lacking bass end is just audible enough but still not very impactful. The only memorable things about “Profetien” are the pagan chanting at the beginning and the clarity of that almost Agalloch movement, the balls out black metal is boring with uninspired Satyricon scraps passionlessly and predictably performed, employed in strong formula but giving little reason for its application.

Luckily, an astute example of beautality comes in the vicious opening riff to “Join Me Tomorrow” before becoming a scramble of synth, searing cymbals, and shrieks climbing to an apogee of tension and harmony in its timbres to explore cavernous echo as well as a majestic landscape. Vocals as fierce and airy as Njiqadhha's, and an overall pace that shows some dynamism in AERA's approach rather than stagnates and stands in place makes this song hit much better than the samey opening songs while also providing a bit of commercial appeal to an album entranced with its esoteric ritual. The solo in “Join Me Tomorrow” comes through well erupting from the grain and the “wishing and hoping” screaming through the blast beating and wailing guitars calls to a bit of Gaahl era Gorgoroth while also calling to the album's title and elaborating on 'The Craving Within'. Though this song could be a great closer to the album, the zeal of “Norrøn Magi” keeps the album to a more folksy standard and ensures that the ethereal rise behind the fury reeks of Lustre and Alcest becoming beautality as it brings forth harmonious melody from the guitars, making them look to light and begin to stray from the searing tumult of darkness in tremolo ecstasy.

In a heartwarming turn of step, AERA has discovered an anthemic reach within the brutality of its very Satyricon inspired music. Reaching a new precipice in this combination of delicate melody accentuating its all-too-overt approach that has grown into flatness and insipidity has ensured an album balanced enough between its intense edge and its accessible accouterments to bring a meaningful menagerie of metal moments while enduring 'The Craving Within', a deep desire for some sort of inspiration that would make for a band actually worth an audience's time.

AERA knocked this album out of the park in a lot of ways. This is an album that is very bottom heavy in that its end tracks show off more personality and variety than the intense and atonally focused beginning, but that turn from the epic atmosphere and samey Satyricon tearing in “Skaldens Død” and “Frost Within” to the mid-paced and more anthemic sounds of “Profiten” and “Norrøn Magi” makes the album much more listenable and entertaining.

Still, AERA is nearly as dull as its album covers and though the band attempts a few bits of nuance in pagan chanting, clean interludes, a beautiful use of synth as it rises with the guitar in “Join Me Tomorrow”, and finally hits the right notes on “Norrøn Magi”, the finer points of the album are too little too late. The eternity of the first three tracks of near nothingness, the endless repetition of a basic and banal chord progression that was already cemented in 'Pure Holocaust' make for an album as derivative and repetitive as it is uninspired and annoying. AERA needs to become its own band because 'The Craving Within' is just so uncreative that it shows just how much of a hole black metal has dug for itself as all panache and flash is lost to stoically standing still holding a candelabra and pretending you're epic.

In spite of its fury early on and the anthemic turn toward the end of the album, 'The Craving Within' doesn't really ignite much of a passion resulting in an album that leaves as much an empty space as it joins the long list of bland bands that can tie a small interesting knot into another basic noose. (Five_Nails)

giovedì 7 febbraio 2019

AÎN - Stance I

#PER CHI AMA: Black/Death
Quella degli AÎN è una band francese originatasi dai Codex Inferis e come la band madre, è volta a suonare un black metal senza tanti fronzoli. 'Stance I' è il disco d'esordio che segue a tre anni di distanza, l'atipica scelta di debuttare con un live album. La proposta dell'oscuro quintetto di Metz è come dicevamo legata al black, in una sua forma sicuramente melodica, vicina al post black, ma anche ad un sound esoterico-liturgico, come già testimoniato nella seconda "I-II". Vivaci, feroci, furiosi ma con tutte le carte in regola per provare a dire qualcosa di non già scontato. Le sorprese sono dietro l'angolo infatti, bello farsi investire dalla furia distruttiva dei nostri ma altrettanto farsi accarezzare dalla poesia di una chitarra acustica posta in chiusura del secondo pezzo. La band ama l'approccio cerimoniale, era già chiaro in "I-II", lo è ancor di più nell'apertura di "I-III", una song che si snoda tra suoni e voci che stanno a metà strada tra death e black, e che trovano sfogo artistico in un altro ipnotico break che diviene vero e proprio marchio di fabbrica per la band transalpina, prima di un attacco ferale a chiudere. Invocazioni yoga aprono "I-IV", lunga ed inquietante song mid-tempo, con chitarre dilatate, un'interessante vena atmosferica e delle litaniche vocals in un incandescente finale post black. Ancora rituali mantrici in "I-V" ad acuire l'aura di mistero che già di per sè ammanta questo disco; la song sembra abbandonare il suo fremito black qui (fatto salvo per il minuto e mezzo finale), lasciando posto a suoni decisamente più raffinati e carichi di groove, che sembrano addirittura prendere il sopravvento nella successiva "I-VI", sebbene improvvisi rigurgiti di nero vestiti, si accavallino con una proposta che viaggia sui binari di un death metal ritmato ma pur sempre epico. Ammetto che la proposta degli AÎN sia affascinante, soprattutto quando i nostri si muovono nel versante black esoterico con quelle vocals evocative e spaventose ("I-VII") o quando le atmosfere si fanno più soffuse, o ancora quando le chitarre virano al post-metal ("I-VIII", la vera chicca del cd) e la song non può che giovarne, soprattutto poi quando i nostri ci infilano l'immancabile accelerata post-black. In chiusura, i dieci minuti di "I-IX", un'altra traccia davvero convincente, forse un po' troppo lunga, ma che comunque sostiene la credibilità del combo francese. Con le dovute accortezze e limature, sono convinto che i nostri possano arrivare lontano sebbene la concorrenza si faccia di giorno in giorno più che mai agguerrita. (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2018)
Voto: 75

https://pestproductions.bandcamp.com/album/stance-i