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martedì 19 maggio 2015

Coldun - Collapsing Polarities

#PER CHI AMA: Rock Doom Psichedelia, Nightingale
Ecco un'interessante one man band arrivare dalla Sassonia, più esattamente dalla semisconosciuta Chemnitz. Il suo mastermind Coldun, che dà ovviamente il nome alla band, ci offre in questo secondo capitolo (che esce a ben sette anni di distanza dal debut) intitolato 'Collapsing Polarities', uno spaccato di evocativa musica che definirei semplicemente rock. Se devo essere sincero, i primi nomi a venirmi alla mente al primo ascolto del cd, sin dalla sua opening track, sono stati i Vintersorg, nelle loro visioni più sperimentali e i Nightingale di Dan Swano e soci, nella sua veste più epico-progressiva. Psichedelici non c'è che dire e la title track lo conferma non poco, evocando un altro nome a me caro, i Tiamat, in particolare quelli del periodo d'oro 'Wildhoney'/'A Deeper Kind of Slumber'. Spero che il buon Coldun prenda i miei riferimenti come un complimento a favore della sua band, perché proprio cosi vuole essere. Visioni oniriche, folkloriche e ambientali emergono nella splendida "Echoes", dove a spadroneggiare, oltre alla calda voce del factotum teutonico, è anche l'ascia della sei corde di Maik Rickter (session in questo disco), che si inerpica a più riprese, in saliscendi melodici dai forti toni emozionali. "What Stays?" suona come una ballad, dolce e suadente come un barattolo di miele, quasi una sorta di "Nothing Else Matters" targata Coldun però, in cui a rapirmi è nuovamente un assolo, per cui vale la pena chiudere gli occhi per un attimo e lasciarsi cullare dalla ancestrale melodia del suo suono. Il disco, pur presentandosi a tratti ruffiano, mette in luce l'assoluta perizia tecnica del suo prode condottiero, capace di muoversi anche in territori un po' più bui, come quelli dipinti dalla malinconica "Relight the Temple Within", dove è un'aurea doom progressive ad avvolgere la proposta di Coldun, e mettere in luce soprattutto la sua performance vocale e un'altra ottima rasoiata solistica. "Rise & Fall" è un pezzo dall'inizio decisamente evocativo, quasi una liturgia rock, grazie ai vocalizzi oscuri e gotici del polistrumentista tedesco che ricordano quelli del collega svedese, Andreas Hedlund, frontman dei Vintersorg. Buona la sezione ritmica, ancor meglio quando il ritmo si fa più incandescente (pur rimanendo in territori rock) e i solos si inseguono a ripetizione in un altro crescendo emotivo. 'Collapsing Polarities' chiude i battenti con "For a Divine Being", traccia all'insegna di leggiadre e psichedeliche chitarre acustiche che si accompagnano con i sempre melliflui vocalizzi di Coldun. In definitiva, 'Collapsing Polarities' rappresenta un buon biglietto da visita per l'artista germanico, per raccogliere nuovi fan. Speriamo solo non passino altri sette anni prima di una nuova release... (Francesco Scarci)

(Northern Silence Productions - 2014)
Voto: 75

domenica 17 maggio 2015

Darius - Grain

#PER CHI AMA: Post Rock/Alternative/Post-core
I Darius sono una quintetto strumentale svizzero che debutta in questo 2015 con un album intitolato 'Grain', uscito via Hummus Records, carico di energia cinematica vicina al post-core e immerso nella malinconia più profonda del più classico post-rock. Niente di nuovo all'orizzonte: un'ottima produzione, chiaro scuri fruibili e intelligenti, melodie godibili e avvolgenti, suoni pesanti all'occorrenza e costruzioni lunghe, per un totale di circa cinquanta minuti di full immersion nel genere che vide i 35007 reali assoluti portabandiera. Non ci sono gli estremi per entrare totalmente nella categoria stoner e nemmeno la pesantezza per spacciarsi per sludge metal. La composizione musicale si evolve bene in tutte le tracce, alcune più fantasiose delle altre e mostrando una alta qualità, con suoni e pulsazioni vibranti. Le aperture strappano applausi e qui si sentono influenze canoniche ma efficaci, che passano dai Cult of Luna agli Isis; in alcuni tratti si calca la mano verso le escursioni ambient dei migliori e già citati 35007, gli immancabili Mogwai e i Mono, anche se i Darius suonano in maniera più dura e meno sognante. Immagino non sia facile emergere in un settore stantio come questo, che da anni gira e rigira sempre sulle stesse evoluzioni con pochissimo margine di innovazione. Quindi valutando la staticità di un genere così saturo, possiamo decantare le qualità di 'Grain' come una piccola vittoria raggiunta da questi musicisti svizzeri che, malgrado il sold out del post rock, riescono a ritagliarsi un palco su cui esibirsi e risultare interessanti e personali, nonostante l'affollata concorrenza di categoria. L'album deve essere ascoltato tutto d'un fiato, sebben la sua durata non sia indifferente, per apprezzarne a pieno l'atmosfera e lasciarsi trasportare dalle emozioni sonore. Arduo trarre una classifica dei brani migliori poiché tutti si mostrano senza lacune, di ottima qualità e carichi di una peculiare ricerca della perfezione; ottimi infine i musicisti, peraltro molto navigati, calati perfettamente nel loro ruolo. Consigliati vivamente ai devoti del post rock con indole alternative metal. (Bob Stoner)

(Hummus Records - 2015)
Voto: 75

mercoledì 13 maggio 2015

Septic Flesh - Sumerian Daemons

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Death Symph.
Ammetto di non essere mai stato un grande fan dei Septic Flesh: ho sempre pensato che la band greca proponesse qualcosa di valido ed interessante ma non ho mai trovato la loro musica così entusiasmante da considerarli come un nome fondamentale. Ciò non toglie che io abbia comunque seguito con attenzione la loro crescita attraverso gli anni, a partire dai primi lavori 'Mystic Places of Dawn', 'Esoptron' e 'Ophidian Wheel', fino ad arrivare a 'A Fallen Temple' e 'Revolution DNA'. Assieme a Rotting Christ, Necromantia e On Thorns I Lay, i Septic Flesh hanno sicuramente contribuito in maniera importantissima a far crescere la scena metal ellenica e questo è un merito che va loro riconosciuto; credo tuttavia che a partire da 'A Fallen Temple' si fossero evidenziate le prime avvisaglie di un certo immobilismo compositivo. Persino il tentativo di "restyling" attuato con 'Revolution DNA' mi era sembrato un po' maldestro, tanto che cominciai a pensare che la band avesse veramente detto tutto e che non sarebbe più emersa dal suo status di band underground. Mi sbagliavo! Sì, perché 'Sumerian Daemons' è un disco incredibilmente fresco e coinvolgente, un album che colpisce nel segno laddove 'Revolution DNA' aveva in parte fallito. È dunque con questa sesta fatica che i Septic Flesh raccolgono una rinnovata opportunità di evoluzione del proprio sound e dimostrano di saper gestire con maggior destrezza e padronanza quegli sporadici inserti elettronici già abbozzati in precedenza. Il risultato è dei più esaltanti: un sulfureo death-black sinfonico dai cori polifonici imponenti, che alterna parti più rallentate e dal flavour gotico ad altre che tramortiscono per la loro brutalità. Inutile citare un brano in particolare, perché tutti i tredici pezzi sono irresistibili. Ci tengo solamente a sottolineare come la band abbia raggiunto con questo lavoro una formula compositiva invidiabile che dona scorrevolezza all'insieme e mantiene sempre desta l'attenzione sui continui climax sonori che prendono forma durante l'ascolto. I ruggiti di Spiros che incontrano la voce della soprano Natalie Rassoulis, le partiture sinfoniche che, unite alle numerose finezze elettroniche, abbracciano la possenza delle chitarre: ogni elemento di 'Sumerian Daemons' è un incantesimo che dà vita a contrasti in equilibrio perfetto. Tra violenza e melodia, tra sfuriate selvagge ed elegiaci canti profani. Datemi ascolto quando vi dico che 'Sumerian Daemons' è un album da avere... lasciatevi travolgere e non ve ne pentirete. (Roberto Alba)

(Hammerheart Records - 2003)
Voto: 80

martedì 12 maggio 2015

Yonder Realm - The Older Ways

#FOR FANS OF: Folk Metal, Eluveitie, Finntroll
From the bowels of New York - the home of many thrash metal legends - comes a ... folk metal band? I was taken aback to learn that these Eluveitie-sound-a-likes hail not from Scandinavia or Eastern Europe, like so many peers of their style - but from the good ol' United States! Yonder Realm, having released demos/EPs/singles etc. throughout their 6-year existence, finally managed to release their debut full-length album in August 2014. This quintet play absolutely nothing original or innovative - but have joyfully nailed the niche folk metal sound. Folk metal is a difficult sub-genre in which to be distinctive. But the production quality of 'The Old Ways' doesn't adhere to the usual demands of a folk metal album. The authentic folk instruments, as beautifully played as they are, are slightly kept behind in the mix. This gives them an eerie, mystical quality - separating this band from the silly jig-along bands like Beer Bear and Slartibartfass. The rhythm section is the most prominent here. The double-strum rhythm guitar playing fuses with the bass and drums to provide a weighty backdrop to the anthemic melodies that gloss over the top. This shows that their style evolved through the more melo-death-influenced area of folk metal, rather than the black metal characteristics of bands like Equilibrium or Moonsorrow. Jesse McGunnigle's vocals are what help to highlight this melo-death influence. He sounds remarkably similar to Chrigel Glanzmann from Eluveitie, and this is no insult! His growls helps push the songs forward in an almost percussive manner - and he becomes truly expressive in tracks such as "Sea of Cosmos" and "Pillars of Creation". As a bonus, there is the occasional use of melodic backing vocals, adding yet another magical layer to this tour de folk! 'The Old Ways' is perfectly structured. The artwork lends its atmosphere most appropriately, the tracks are properly ordered - containing a beautiful interlude and ending on the epic finale of "Moonbeam Road", and the use of unconventional instruments is truly inspiring. Listen closely and you'll hear flutes, violins, marimbas, accordions...the whole lot! Such a diverse timbre allows for maximum replay value. It's hard to pick highlights from this incredibly consistent record. "A Devil's Unweaving"doesn't let go of your melted face for its entirety, "Sacrifice to the Old Stone Gods" is the epitome of a folk metal anthem, and "The Frugivores" is almost Gojira-esque with its primal percussion and gang chanting. Not one track space is wasted - even the mystical interlude, "The Grove", plays an essential part in this shimmering tower of excellence. More focused than Finntroll, less pompous than Adavant, and providing an atmosphere similar to that of Cruachan, 'The Old Ways' is sure to whet the appetite of any folk metal fan from Poland to Pennsylvania. (Larry Best)

(Maple Metal Records - 2015)
Score: 90

Lashblood – Plasticine People

#PER CHI AMA: Black/Death/Avantgarde, Deathspell Omega, Blut Aus Nord
Arriva dalla gelida Russia questa nuova avventura d'avanguardia metal. Un EP ricco di variazioni sul tema e costruzioni sonore dense di nuova linfa vitale per un genere in continua evoluzione. La band esce nel 2015 per la S.N.D. Productions, con cinque nuove mitiche tracce, dopo il full length del 2012. Una sequenza di devastante death/black moderno dalle venature epiche, potenti e futuriste rese veramente particolari e uniche dall'introduzione di uno stupendo e inaspettato sax che compare in ben tre tracce. Accattivante e lungimirante, la combinazione del pianoforte col sax dal gusto esageratamente melodico e dal sapore jazz, non fanno che riempirmi di gioia: avanguardia allo stato puro che in "Plasticine People", "Mercury" (eccelsa cover dei geniali Voivod) e "Cien Anos de Soledad" (basata sul romanzo 'Cent'anni di Solitudine' di Gabriel Garcia Marquez), tocca vette compositive davvero esagerate. Un death/black intelligente, fantasioso, lacero e tecnico che trova in esponenti quali i Deathspell Omega diversi punti di contatto. Unite il tutto ad una foga violenta, oscura e sinfonica di scuola Limbonic Art, composizioni dall'indole fusion, che mescolano alternative metal e jazz (leggasi Voivod) in un oceano di escursioni sonore che si fondono e confondono in una polvere esplosiva di violenta espressività sonica, e capirete cosa si cela in questo inatteso dischetto. Atmosfere bellissime, claustrofobiche, epiche e frastornanti, condite da un artwork ricercato e folle. Nessuno spazio alla normalità, tanto buon gusto e una ricerca della forma eccelsa per un songwriting perfetto nell'ambito della musica estrema d'avanguardia. "Lifeless" (cover dei Darkthrone) sposta il sound dei Lashblood in territori dal tono più doom, e pur mantenendo il taglio black metal, sfodera una velata verve heavy blues da far invidia a tanti, rallentando la velocità, mostrandosi sempre più psichedelica, come se i Grand Magus suonassero una cover dei Satyricon imitando gli Ephel Duath. La chiusura è lasciata alla spettrale e cosmica "Kaleidoscope", brano strumentale dal titolo azzeccatissimo, contraddistinto da atmosfere introspettive, taglienti e malate che ricordano vagamente i Blut Aus Nord dell'album 'Mort'. Un mini album da avere a tutti i costi! (Bob Stoner)

(S.N.D. Productions - 2015)
Voto: 80

domenica 10 maggio 2015

My Home on Trees - S/t

#PER CHI AMA: Alternative/Psych/Stoner
Poche volte mi è capitato di essere colto da uno stato simil catatonico durante un concerto, infatti nella maggior parte dei casi la musica ti prende e inizia un headbanging sfrenato oppure si resta semplicemente indifferenti e si approfitta dell'occasione per consultare la lista delle birre disponibili al bancone oppure per attaccare bottone con qualcuno. Con i My Home on Trees (MHOT) è stato subito un rapimento dei sensi, una sorta di sindrome di Stendhal musicale dove la band diventa protagonista e tutto quello che ti circonda diventa ovattato e poco importante. Iniziando dal principio, il quartetto milanese è giovane come band, ma presenta idee chiare e un'ottima determinazione nell'affrontare il proprio percorso musicale. I MHOT si focalizzano poi su sonorità tra lo stoner e l'heavy blues/psichedelia, un po' sull'onda che sta imperversando in questo ultimo periodo, però la band non cerca la via facile. Infatti il risultato è un EP aggressivo, pregno di groove che nel live trova la sua miglior rappresentazione, ovvero una bomba fatta di riff, luci e ritmi alchemici. Il tutto è condito dal fatto che i quattro musicisti fanno il loro lavoro alla grande, sono rockstar sul palco e non al di fuori, cosa che molte band devono ancora capire. Un altro punto a loro favore è la vocalist, voce graffiante e bluesy che ricorda Reilika Saks (frontwoman dei Luna Vulgaris), una di quelle timbriche che ti rapisce dopo pochi secondi di ascolto e che raggiunge livelli altissimi di espressività. Questo perchè i MHOT non puntano solo all'impatto sonoro tipico del movimento stoner, ma affondano a piene mani nella storia del blues più psichedelico. "Silence" è l'esempio lampante di quanto detto: in sette minuti abbondanti la band vi cullerà, accarezzerà, lancerà nel vuoto ed infine vi darà uno schiaffo di quelli che vi rintroneranno per un bel po'. Di per sè non aspettatevi nulla di sperimentale, il brano è un classico del genere, ma è molto vario a livello melodico, gli arrangiamenti sono azzeccati e i suoni sono quelli giusti. I break sono molti e caleidoscopici, e ogni strumento ha lo spazio per esprimersi al meglio. I riff di chitarra sono sanguinei e ogni colpo di plettro vi entrerà fino all'osso, il tono è leggermente acido, ma quello del buon fuzz, mica le brutte distorsioni che imperversavano nell'etere qualche anno fa. In chiusura la chitarra si addolcisce di delay e riverbero, come un liquido caldo che scorre e cade giù, giù nei vortici del phaser. Il quarto brano dell'EP (in totale sono cinque) si intitola "Night Flower" ed è un altro assaggio del quartetto milanese. In questa traccia si apprezza una sezione ritmica trascinante, la batteria è il cuore pulsante che cresce e diminuisce in sintonia con il mood del brano, come il basso che dalla profondità delle sue frequenze serpeggia minaccioso. Qualche vena post punk traspare dagli arrangiamenti di chitarra ma non fanno che aggiungere un tocco di personalità in più che potrebbe essere la giusta via per dare maggiore respiro alla scrittura dei brani. Concludendo, questo EP omonima è un'ottima prova dei MHOT che mettono subito in chiaro che la scena si è arricchita di una nuova band che vuole bruciare le tappe. Aspettiamo con ansia il full-lenght ora. (Michele Montanari)

Iamdisease – Praznina

#PER CHI AMA: Post Metal/Hardcore
Sette brani in poco più di venti minuti, un pugno allo stomaco diretto e ben calibrato. Questo risulta essere 'Prazina', il nuovo album uscito nel 2015 via Moonlee Records, degli Iamdisease, band slovena attiva dal 2009 e dedita ad un hardcore venato di metal pesante e oscuro. Mi piace accostarli ai nostri RFT nel ricordo di un album capolavoro come 'La Cognizione del Dolore', per l'attitudine senza compromessi di un cantato efficace e urticante in lingua madre, che non lascia scampo. Un canto supportato da un sound pesante, ossessivo e pulsante che richiama la forza d'urto dell'hardcore di scuola Coalesce e Pro–Pain ed il metal estremo di band come i The Ocean o i Kataklysm. Le prime sei tracce sono di puro impatto e di corta durata, come di buon costume hardcore. Lampi e tuoni in una manciata di minuti, una scarica di rabbia e adrenalina lungo la schiena espressa in modo molto convincente Il suono è molto distinto e curato all'inverosimile, tutti gli strumenti si sentono perfettamente ed il mostro sonoro è oliato alla perfezione, così da rendere al meglio, come l'artwork di copertina. Anche le parti più rallentate e sludge, assai presenti, suonano aggressive e pesanti, potenti e dirette con quel giusto equilibrio tra pulizia del suono ed impatto che arricchisce il piacere d'ascolto dell'intero album. Il brano più lungo del lotto è il settimo e conclusivo, "Druga Narava", che offre un riassunto delle potenzialità della band anche nella lunga distanza. Il brano di apertura "Praznina", rimane comunque il mio preferito e la sua possente struttura alternativa offre alla band un solido futuro e un tocco di personalità notevole in un genere che non offre molte vie d'uscita. Ottimo lavoro! (Bob Stoner)

(Moonlee Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/iamdisease

Shallow Rivers - The Leaden Ghost

#FOR FANS OF: Doom/Death, Encoffination, Hooded Menace
The massive second album from Russian Doom/Death act is quite a challenging listen, but one that’s more based on the extreme length of its material than anything else of real importance or detriment to the album. Weaving gorgeous guitar-work and blazing melodic leads here that leave an impressive atmosphere of far lighter fare than the traditional features of the genre who go for darker, much more oppressive styles of atmospheric riff-work which does manage to get a lot of impressive works here. While there’s still the ever-prevalent melodies and atmospheric wandering that are placed in here, the fact is this one instead opts for the droning, melancholic atmospheric that’s quite more motivated in other sections to mesh with pulverizing guitar rhythms, churning riff-work and plenty of energetic work here that keeps the tempo far more engaging here than would normally be the case as this one becomes far more enjoyable as it goes along. Intro ‘Of Silent Winds that Whistle Death’ slowly winds away from droning riff-work and bland melodies for a rather impressive series of darkened riffing, pounding drumming and quite explosive energy throughout the running time which manages to continue on through the extreme rhythms, dynamic variation and tempo changes and the influx of twisted riff-work that makes for a solid, engaging opener. Likewise, ‘Light Upon Us, Haze Around Us’ opts for the eerie atmospheric droning intro before settling for a churning mid-tempo romp through deep, dynamic patterns, plenty of dynamic drumming and the sort of melancholic atmosphere early on not really utilized in a lot of Death Metal before unleashing the maelstrom in the later half with pulverizing double-bass blasts, frantic melodic sweeps and the sweeping aggression found there to make for a more stand-out track that really plays well with its’ epic length. Dialing back on the length, ‘Scorched, Wrecked, Torn, then Crumbled to the Sea’ still offers crushing riff-work and blasting drumming weaving through complex arrangements, blasting tempos and utterly frantic sweeping patterns that carry on the same frantic energy and dynamic rhythms that the longer tracks offered which makes for back-to-back highlights. While ‘We are Cold’ switches it up to a generally enjoyable repetitious riff played around dynamic drumming blasts and effective atmospheric influxes, the shortened length comes off as though from a different band compared to the much more engaging epics elsewhere here. ‘Snow’ feels more traditional with swirling riff-work and dynamic tempos that it really feels like a condensed version of their longer epics and is quite enjoyable with its churning riffing, atmospheric leads and pounding drumming carrying this one through. Finally, the title track goes back to the epic-ness of the rest of the material with blazing riff-work, churning melodies and atmospheric leads that let the heavy rhythms, dynamic drumming and darker works come through quite nicely here which is what makes this one so much more enjoyable and exciting by ending on another strong note. Overall, this was quite an impressive effort and really only struggles with the length of its songs for the most part. (Don Anelli)

(BadMoonMan Music - 2015)
Score: 85

https://www.facebook.com/pages/Shallow-Rivers

sabato 9 maggio 2015

Inexorable - Sea Of Dead Consciousness

#PER CHI AMA: Death Old-school, Immolation
Più si va avanti e più si torna indietro, lo avete notato anche voi? Non sto parlando solo di sonorità old-school da qui a un po' di tempo decisamente rispolverate e re-interpretate, ma anche di riesumazione prima dei vinili e poi delle cassette. Questo per dire che il nuovo EP dei teutonici Inexorable è uscito non solo in digitale, ma per gli amanti del retrò, anche in tape. Meno male che lo scorso anno, ho acquistato sia giradischi che mangianastri, altrimenti a quest'ora mi sarei già suicidato. Ecco trovarmi quindi al cospetto di questo spaventoso 'Sea of Dead Consciousness', manifesto di oscuro old-school death metal, che già avevamo apprezzato con il precedente album 'Morte Sola'. Le sonorità di questo EP di 6 pezzi (di cui 3 sono cover) non distano poi cosi tanto dall'impasto sonoro brutale e morboso del precedente lavoro, in quanto la band macina discordanti pattern ritmici grazie soprattutto a schizoidi riff di chitarra e a vocals caustiche. L'aria cupa che si respira nella release, potrebbe essere assimilabile all'immagine di parecchie città dell'ex blocco sovietico, contraddistinte da un'atmosfera severa e da un cielo molto spesso plumbeo, su cui si stagliano monolitici palazzoni di cemento. Dopo le tre nuove ferali song degli Inexorable, l'ossigeno mi sembra quasi mancare, complici le asfissianti ambientazioni e una produzione low-fi che amplifica ulteriormente un senso di disagio che pervade i pezzi di questi musicisti. Il secondo lato della cassetta, si apre con un intro acustico, e alla prima delle tre cover, la mitica "De Mysteriis Dom Sathanas" dei Mayhem, riletta in un modo forse ancor più brutale. Le velocità sostenute da cascate di blast beat trovano forse il primo rallentamento con la seconda tecnica cover, la infestante "I Feel Nothing" degli Immolation, che attesta le influenze old-school dei nostri amici tedeschi. A chiudere ci pensa "Black Magic Mushrooms" dei redivivi Mysticum, in una song death beat da brividi. Interessante esperimento che sicuramente accontenterà i fan in attesa del nuovo full length dei nostri. (Francesco Scarci)

(Unholy Prophecies - 2015)
Voto: 65
 

giovedì 7 maggio 2015

The Pit Tips

Larry Best

Heidevolk - Velua
Ensiferum - One Man Army
Sonata Arctica - Ecliptica

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Claudio Catena

Unreal City - Il Paese del Tramonto
Tool - Lateralus
Faith no More - Motherfucker

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Mauro Catena

Pile - You’re better than this
Curtis Harding - Soul Power
Riley Walker - Primsore Green

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Francesco Scarci

Himinbjorg - Wyrd
A Forest of Stars - Beware the Sword You Cannot See
Moonspell - Extinct

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Yener Ozturk

Death - The Sound of Perseverance
Neurosis - Through Silver & Blood
Amenra - Mass III

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Michele "Mik" Montanari

Ozric Tentacles - Paper Monkeys
Bantoriak - Weedooism
Deafheaven - Roads to Judah

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Don Anelli

Mentally Defiled - Aptitude for Elimination
Et Moriemur - Ex Nihilo in Nihilium
Unmercenaries - Fallen in Disbelief

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Bob Stoner

Deviate Damaen - Retro - Marsch Kiss
Callisto - Secret Youth
Haiku Funeral - Nightmare Painting

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Philippe Perez

Love of Diagrams - Blast
Anto Pascoe - To Escape
Octo/Leagues - Beat Tape

mercoledì 6 maggio 2015

Himinbjorg - Wyrd

#PER CHI AMA: Pagan Black Progressive, Enslaved
Li ho persi di vista per parecchio tempo, lo devo ammettere, addirittura dal 2005 quando uscì 'Europa'. Sono trascorsi 10 anni e neppure mi sono accorto che fosse stato rilasciato nel 2010 'Chants d'Hier, Chants de Guerre, Chants de la Terre...', un lavoro quasi totalmente trascurato dalla critica, ma che ho fatto mio quanto prima, per rimediare alle mie mancanze. Tornano gli Himinbjorg, che io ho imparato ad amare con 'Haunted Shores' (al pari di 'The Mantle' degli Agalloch), con il loro settimo full length, dal semplice titolo 'Wyrd'. Ci rituffiamo quindi alla scoperta di tempi lontani, in cui la fierezza dei popoli si manifestava in guerre di conquista per assoggettare popoli rivali. Ecco in sintesi la proposta pagana del quartetto transalpino, che si muove tra le linee di un viking black epico e maestoso. Una breve intro e poi "The Sword of Dignity" apre le danze richiamando i Bathory più ispirati, gli Enslaved più potenti e il duo Falkenbach/Agalloch nella loro veste più bucolica. La proposta del combo di Chambéry è più che mai convincente, alternando rasoiate estreme, coadiuvate da vocalizzi abrasivi (stile Immortal) a frangenti in cui è la solennità della musica a ergersi sopra a tutto. Suscitano notevolissimo interesse i ragazzi della regione del Rodano-Alpi, anche quando attaccano inviperiti con un rifferama mordace, quello di "The World of Men Without Virtue - The Circle of Disillusion", song che trova la sua summa quando è una visione più evocativa dei nostri a prevalere e lo screaming cede il passo a eroici chorus o declamanti parole in francese, mentre sul fondo, le meravigliose melodie vengono disegnate da tipici strumenti folk, che creano naturalistiche atmosfere. Un break acustico mi rimanda all'impareggiabile 'Haunted Shores', per non parlare poi dello splendido assolo che chiude una traccia che ha lasciato solo brividi sulla mia pelle. Un inizio alla Primordial per la quarta "The Circle of Warriors", song assai ritmata, una sorta di inno alla guerra che richiama nei suoi cori gli ultimi Enslaved, forse la band a cui i francesi tendono maggiormente col proprio sound. Splendido il finale poi, affidato alle melodie delle cornamuse. Si torna a picchiare che è un piacere con "Initiation", ove la furia imperversa sovrana attraverso vertiginose scorribande black e in cui il dolce suono di un flauto si palesa a metà brano e duetta con quello delle vibranti cornamuse, mentre le chitarre impreziosiscono una prova già di per sé meravigliosa. Coadiuvati da una eccellente produzione, gli Himinbjorg si affidano al black progressive di "The Mirror of Suffering - The Circle of Ghosts" per stupire i propri fan (e i nuovi che verranno): la song è oscura e minacciosa con Zahaah alla voce, che sembra abbandonarsi quasi a un rituale sciamanico. Quell'effetto sciamanico che rivive anche e soprattutto in "The Shamanic Whisper", cosi come indica il titolo, ed esalta l'animo guerriero dei nostri in una traccia dai contorni iniziatici. Un bell'intermezzo strumentale etno-folk con "Another Shore" e si arriva alla conclusiva "The Eternal Light", pezzo mid-tempo che decreta il ritorno in grande stile degli Himinbjorg, per cui prometto fin d'ora di non perderne più le tracce. Voi fate altrettanto e ascoltate senza esitazione 'Wyrd', una vera e propria epopea sonora! (Francesco Scarci)

(European Tribes - 2015)
Voto: 85

martedì 5 maggio 2015

Unreal City - Il Paese del Tramonto

#PER CHI AMA: Progressive Rock
È veramente con tanto piacere che scrivo di questo lavoro dei nostrani Unreal City, gruppo dedito, fin dagli esordi nel 2008, ad un bel progressive piuttosto classico cantato in italiano. Reduci dalla pubblicazione di un EP prima, e di un debutto sulla lunga distanza poi, questo secondo album si presenta in tutta la sua imponenza: 71 minuti di ottima musica, atmosfere che cambiano in continuazione e testi degni di un'opera di tale importanza, disegnano il quadro di quello che 'Il Paese del Tramonto' ha da offrire all'ascoltatore. Per uno come me, cresciuto con il sottofondo dei vecchi vinili di prog anni '70 di mio papà, questo CD ripresenta un genere per il quale l'Italia ha avuto di che potersi vantare. Sarebbe davvero inutile e superfluo nominare i tanti gruppi che hanno contribuito a rendere il prog una vera e propria pietra miliare del sound creato nei '70s. Inutile perché in queste righe voglio rendere giustizia agli Unreal City, che nonostante la giovane età, hanno saputo creare un disco che potrebbe far bella mostra di sé sugli scaffali accanto ai mostri sacri del genere. Cambi di tempo molto naturali, mai nessuna forzatura, poche sviste a mostrare ad ogni costo l'ottima preparazione dell'act di Parma che comunque è presente, ma sempre a servizio della canzone. I passaggi jazzistici tipici del prog ci sono, piacevolissimi “discorsi” tra chitarra e tastiera ci accompagnano lungo le 7 tracce, con la suite “ Ex Tenebrae Lux”, posta in chiusura e divisa in quattro parti. Il CD è registrato divinamente, i suoni sono limpidi e ben si amalgamano alla voce di Emanuele Tarasconi che divide il “lavoro” con Francesca alla chitarra, Dario al basso e Federico alla batteria, tutti musicisti che meritano i complimenti, bravi sul serio. Come per tutti gli album “importanti”, bisogna ascoltare varie volte il disco prima di apprezzarne le molteplici sfumature e finezze, ma fidatevi che non è per niente un sacrificio, anzi. Soprattutto, bisogna considerare 'Il Paese del Tramonto', come un'opera da comprendere nella sua totalità, cercando di evitare l'ascolto di una singola traccia; solamente in questa maniera la musica verrà fuori in tutta la sua bellezza, in un crescendo di emozioni e atmosfere che renderanno i 70 minuti d'ascolto, talmente veloci da sembrare perfino pochi. Ed è anche per questa ragione che non riesco ad esprimere la mia preferenza per una singola traccia, anche se “Lo Schermo di Pietra” presenta una struttura che potrebbe avvicinarsi all'ipotetico potenziale “singolo” del disco. Un lavoro ben costruito e ben realizzato che rende giustizia ad un gruppo valido come gli Unreal City, che entra di diritto nella mia TOP 5 per ciò che concerne il 2015. Solo applausi per questi quattro ragazzi, che si meritano le platee del Tour Europeo che sta toccando e che toccherà svariate località in lungo e in largo per il vecchio continente. Sono sicuro che al mio applauso, se ne aggiungeranno tanti altri. (Claudio Catena)

(AMS Records - 2015)
Voto: 85

Sol Sistere - I

#PER CHI AMA: Post Black, Wolves of the Throne Room, Alda, Addaura
Questa volta la Pest Productions è andata a pescare in Cile, più precisamente nella capitale, Santiago. I Sol Sistere è un terzetto formato da membri ed ex- di altre band che abbiamo già incontrato qui nel Pozzo, Bauda e Animus Mortis, tanto per citarne un paio. La proposta dell'act sud americano è un post black atmosferico (tanto per cambiare) che nelle tre song contenute in 'I', trova modo di citare gli Addaura, gli Alda o i decisamente più conosciuti Wolves of the Throne Room. Gli amanti del black cascadiano troveranno qui nuove scintille illuminanti di un black metal che vive di sussulti furibondi e onirici frangenti atmosferici, come già la opening track, "Relentless Ascension", ha modo di offrire. Sebbene melodici e decisamente piacevoli da ascoltare, il genere inizia a essere sovrassaturo di entità di questo tipo. È già infatti giunto il momento di dare una netta sterzata ad un sound che negli ultimi due-tre anni ha regalato ottime perle musicali (Deafheaven su tutti), ma che, ora come ora, inizia anche a stancare, poiché già povero di soluzioni. E 'I' giunge proprio nel momento sbagliato perché poco ha da regalare di nuovo. Non bastano le cavalcate di "Egregorian", lo screaming animalesco di C. o le notturne sterzate post-rock di "Reborn", per gridare al miracolo; rimaniamo lontani anni luce dai gods americani, che peraltro dovranno inventarsi nuove soluzioni per svecchiare il post black. Superflui. (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2014)
Voto: 60

lunedì 4 maggio 2015

No Return - Fearless Walk to Rise

#FOR FANS OF: Death/Thrash Metal, Loudblast, Vader
Making it to album number nine here, these French Death/Thrashers are certainly well aware of their place and legacy being one of the forerunners of the scene in general as well as being one of the first extreme metal bands to emerge from the country. As befits their legacy at this point, the band simply offers yet another crushing version of their signature sound here as the merging between the two genres is clear and straightforward. Plenty of energetic Thrash-based riffing, dark chords and the occasional interjection of melody seem to be the order of attack here, and this ends up creating rousing, up-tempo tracks with strong riffing and tight rhythms that remain a hallmark of both genres. The keyboard melodies featured are a lot more atmospheric than the other melodies as those are based more on the guitar prowess displayed throughout here. The problem with all this is the fact that it all tends to feel routine as if there’s nothing out-and-out dynamic about the material. Rarely does it ever feel like they’re about to wallop you over the head with their charging attack, instead staying a bit more low-key which ends up making this feel a lot less vicious and intense. It’s well-played and certainly never gets flat-out boring, which is a testament to their veteran instincts but this could certainly stand a few more killer, go-for-the-throat type of tracks. Instrumental intro ‘Ascent’ features moody atmospherics and dynamic drumming marching through grandiose arrangements that set the stage perfectly for proper first track ‘Stronger Than Ever,’ which features crushing drum-blasts and scorching melodic riffing turning into tight, mid-tempo patterns and hammering drumming through the frantic thrash chugging with atmospheric interjections of melody for an impressive first offering. ‘Submission Fails’ brings along a few more dissonant riffs into the mix but still features enough crushing leads, frenzied double-bass blasts and some nice melodies enjoyably crushing effort. The scorching ‘Sounds of Yesterday’ blasts into tight, crunchy riffing and blazing drumming through up-tempo, ravenous paces with a series of swirling keyboard melodies spiced up among the barreling riff-work for a true album highlight, as well as containing what is probably their best soloing on the album. ‘Paint Your World’ is another pretty heavily-leaning atmospheric melody-driven effort but drives hard riffs and plenty of tight drum-work into another strong back-to-back track. Opting out of the straightforward thrashers, ‘Face My Dark’ is the album’s most melody-heavy offering which tends to run throughout the whole track and taking a few minor interjections for some intense riffing but mostly that just falls away for the melodies for a strangely decent if unspectacular effort. ‘Bloodbath Legacy’ runs a little more intensely with a stronger series of riffs and plenty of dynamic drumming that keeps the energy up throughout the momentary melodic interjections for a much stronger and enjoyable thrasher. Going into longer territories, ‘Sworn to Be’ uses steady, melodic riffing among the tighter rhythms swirling around the raging rhythms and tight riffing carrying the melodic leads along for an enjoyable offering that never really gives off any sense of its true length. Holding back on the melodies altogether, ‘Fearless’ features raging frenzied riffing and pummeling drumming plow through up-tempo sections blazing with furious riffing and dexterous drum-work that continue on throughout here with minimal interjections for the album’s best effort. Lastly, ‘Hold My Crow’ brings strong crunchy melodies and pounding drum-work along a steady mid-tempo pace with strong melodies throughout as the crushing rhythms carry this one through for a strong lasting impression here. Still a good album, but one that could’ve gone a little darker and more intent on dishing out the intensity. (Don Anelli)

(Mighty Music - 2015)
Score: 80