Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta BadMoodMan Music. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta BadMoodMan Music. Mostra tutti i post

mercoledì 7 aprile 2021

Woe Unto Me - Spiral-Shaped Hopewreck

#PER CHI AMA: Death/Doom, Swallow the Sun
In attesa di ascoltare un nuovo full length, tornano i biellorussi Woe Unto Me con un EP, 'Spiral-Shaped Hopewreck', che conferma che la band è viva e vegeta, in forma e pronta ad accompagnarci al camposanto con quel loro sound pregno di malinconia e disperazione. Il nuovo lavoro, targato BadMoodMan Music, contiene sette tracce, anche se quattro di loro non raggiungono i due minuti e due sono delle cover di Meshuggah e Klone. Un'inquietante intro apre il dischetto prima di affidarci alla title track che inaspettatamente mi consegna un sound che ammicca alle ultime produzioni dei Katatonia, fatte di atmosfere nostalgiche, voci pulite, suoni non più sepolcrali, come invero mi sarei aspettato. I Woe Unto Me hanno cambiato pelle virando la propria proposta verso lidi più abbordabili anche a metallari meno estremisti, e con quale classe ragazzi. Ascoltare l'assolo al quarto minuto e mezzo per capire l'evoluzione del sestetto di Grodno, che nella seconda parte del brano cede al retaggio funeral doom del proprio passato, rivisto tuttavia con più grazia e sentimento, sulla scia dei Swallow the Sun. Un breve intermezzo strumentale e siamo a cavallo di "Sad and Slow", cover estratta dall'ultimo 'Le Grand Voyage' dei francesi Klone. Certo, la scelta è caduta forse su una delle tracce più soporifere del disco e l'ensemble sembra imitare pedissequamente l'originale con tutta la medesima forza emotiva e con un minuto e mezzo di musica addizionale. Il risultato non è affato disprezzabile anzi, quasi quasi l'ho apprezzata più dell'originale, soprattutto per l'utilizzo di una voce più rabbiosa nel finale. Ancora un break ambient ed è la volta di "Lethargica", song spettacolare dei Meshuggah estratta da 'Obzen'. Che la poliritmia non sia la specialità in casa Woe Unto Me è evidente sin dalle note iniziali e mi domando a questo punto perchè volersi fare tanto male a tributare una band difficile come quella svedese. Il risultato è discreto, lontano anni luce dagli originali, che per classe ed efficacia, credo non abbiano eguali. Queste esplorazioni alternative comunque riscontrono il mio appoggio in un EP di questo tipo, un po' meno se si fosse trattato di un platter a tutti gli effetti. I Woe Unto Me chiudono i battenti con gli sperimentalismi dell'atmosferica outro. In definitiva, 'Spiral-Shaped Hopewreck' è un discreto biglietto da visita che carica di una certa curiosità gli sviluppi compositivi futuri della band biellorussa. (Francesco Scarci)

sabato 21 novembre 2020

Amederia - Sometimes We Have Wings...

#PER CHI AMA: Death/Doom, Draconian
Uscito originariamente nel 2008 per la Molot Records il debut album dei russi Amederia, 'Sometimes We Have Wings...' è stato rispolverato dalla BadMoodMan Music per darne maggiore visibilità al pubblico. Esce pertanto in questi giorni una nuova versione di quel disco, a distanza di 12 anni dall'uscita originale. E se non conoscete la band originaria della Repubblica del Tatarstan (noi li abbiamo già recensiti nel 2014), vi posso dire che il 7-piece è fautore di un death doom, fortemente contaminato da note gothic metal. Nostalgici tocchi di pianoforte ci introducono al mondo fatato degli Amederia che si palesa con il death doom di "Doomed Ground", il tipico pezzo che andava di moda 15/20 anni fa (leggasi Tristania, Theatre of Tragedy e Within Temptation) con tanto di dualismo vocale tra donzella e orco cattivo ma che oggi ormai non mi dice più niente. Dopo poco più di due lustri questa musica si è ormai esaurita per quanto mi riguarda, soprattutto perchè se penso alle chitarre contenute in questo disco, ripenso a quelle degli esordi di primi anni '90 dei The Gathering. Quindi che dite? 'Sometimes We Have Wings...' è una raccolta di clichè di un genere che ormai farà solo la gioia dei nostalgici del genere. È innegabile come ai sette russi si possano attribuire qualità indiscusse che trovano oggi trovino ancora un seguito nelle note di band come i Draconian. Per il resto credo che immaginiate già cosa il disco riservi. Sicuramente ottime melodie in tutte le sue tracce, l'operistica performance vocale della brava Gulnaz Bagirova che va a contrapporsi al growling feroce di Damir Galeyev. Poi che altro se non una grande dose di malinconia che stempera quel riffing assai ritmato che caratterizza un po' tutti i pezzi di questo disco, dalla già citata "Doomed Ground" fino alle note conclusive di "Lovely Angel", passando attraverso "Dreams", interessante per i suoi giri di chitarra (peccato per quel fade out finale) e i costanti tocchi di pianoforte. Non mancano i momenti sognanti ed atmosferici come in "Cold Emptiness", interamente affidata a voce e tastiere, sette minuti un po' eccessivi a dire il vero. Più funeral oriented invece la prima parte di "And So I..." mentre più atmosferica ed eterea la sua seconda metà. Insomma, gli Amederia non li scopriamo certo oggi e sono certo che chi ami questo genere, non si sarà fatto scappare 'Sometimes We Have Wings...' a suo tempo. Per i novellini del death gothic, beh un ascolto lo si può sempre dare, la musica è comunque ben suonata per quanto oggi suoni stranamente già obsoleta. (Francesco Scarci)

mercoledì 11 novembre 2020

Invernoir - The Void and the Unbearable Loss

#PER CHI AMA: Death/Doom, Novembre, My Dying Bride
È diventata ormai pratica assai diffusa da parte delle band nostrane di affidarsi ai russi della Solitude Productions/BadMoodMan Music, quando si tratta di produrre dischi death doom. Dopo gli (Echo), i Rome in Monochrome e i Silvered (giusto per citarne alcuni), oggi è il turno dei romani Invernoir, che con 'The Void and the Unbearable Loss' si presentano al pubblico con il loro debut su lunga distanza, dopo l'ottimo EP di un paio d'anni fa intitolato 'Mourn'. Il quartetto capitolino, che vanta nelle proprie file membri di Ars Onirica e Black Therapy, ci offre otto tracce inseribili appunto in un contesto death doom. Ce lo conferma immediatamente l'apertura affidata alla title track ove, grazie ad un riffing piuttosto compassato di scuola britannica (My Dying Bride e primi Paradise Lost insegnano) e atmosfere autunnali, i nostri ci regalano una traccia strumentale che, pur durando sette minuti, sa più di intro che di un pezzo vero e proprio. Le cose si fanno decisamente più interessanti con "The Path", che prosegue una melodia che mi sembra di aver già captato nell'opening track, e che dà sfoggio della voce dei due cantanti (il primo un ibrido tra scream e growl, il secondo ovviamente in pulito) e ci consegna atmosfere di "novembrina" memoria, facendomi avvallare con un cenno affermativo della mia testa, la proposta dei nostri. Si, mi piacciono, questo è il significato, nonostante peraltro la loro musica non sprizzi originalità da tutti i pori. Perlomeno ci provano con grande convinzione e non posso che apprezzarli anche nelle porzioni più dilatate del brano, soprattutto laddove salta fuori un violino dal nulla (a cura di Margherita Musto) che mi fa letteralmente scappottare dalla sedia, inoculando nel disco una poetica che fin qui non avevo lontanamente pensato di trovare. Questo mi spinge a guardare i nostri da un punto di vista differente anche se l'incipit di "House of Debris" mi fa ripiombare nei miei pensieri iniziali. Evidentemente alla band servono comunque un paio di giri di orologio per rimettersi in carreggiata per farci saggiare il loro lato migliore, quello che prende le distanze dal death doom più scolastico e si lancia in sprazzi di una maggior fruibilità, una più ampia drammaticità e melodia, soprattutto dove il quartetto torna a rievocare la band di Carmelo Orlando e soci. Nella successiva "Suspended Alive" sono echi di 'Brave Murder Day' dei Katatonia ad emergere invece dalla musicalità sempre ricercatamente malinconica dei quattro musicisti italici. "Cast Away" suona nella sua prima parte come una sorta di ballad con tanto di atmosfere vellutate e voce pulita per poi dar sfogo ad uno screaming incazzato in un'alternanza musicale e vocale che vedrà i nostri più volte far ritorno a quella morbidezza iniziale. Esperimento ben riuscito. Ma la compagine nostrana non ha certo intenzione di fermarsi qui e in canna ha ancora qualche altro colpo ben riuscito che rendono questo lavoro un album di una certa rilevanza artistica: "The Burden" è il primo con la sua ottima ritmica, le harsh vocals del cantante ed una melodia di fondo sempre piacevole. Se "At Night" non mi fa proprio impazzire per la sua vena più orientata al funeral, mi lascio conquistare dalla seducente e conclusiva "The Loneliest", un pezzo che in alcuni tratti strizza l'occhiolino ai Saturnus, e che sancisce le qualità eccelse di una band da tenere assolutamente sotto stretta sorveglianza. (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music/Funere - 2020)
Voto: 75

martedì 3 novembre 2020

Silvered - Six Hours

#PER CHI AMA: Death/Doom, My Dying Bride, primi Opeth
Approdati alla russa BadMoodMan Music dopo un silenzio durato ben nove anni, i pugliesi Silvered tornano con il loro secondo album, 'Six Hours'. Il disco, costituito da nove tracce, è fondamentalmente un tributo alla scena death doom melodica, che chiama in causa in modo randomico, Draconian, My Dying Bride e Paradise Lost. Queste almeno le prime impressioni dopo l'ascolto di "From a Letter of Sorrow" che segue l'atmosferica intro che apre il cd. Gli ingredienti sono quelli classici, ossia chitarrone spinte in profondità al pari del growling possente di Daniele Rini, con larghi spazi concessi a break strumentali, parti atmosferiche ed una serie di cambi di tempo che rendono l'ascolto decisamente più dinamico e meno noioso. "Ti Faccio Regina" strizza l'occhiolino a livello ritmico nella prima parte ai primi Opeth, tuttavia con esiti altalenanti, in quanto il disco fa fatica realmente a decollare. Non brilla infatti di luce propria e questo alla fine rischia di influire non poco sul mio esito finale. Ammetto di trovare la proposta dei Silvered più vincente quando rallentano la velocità e mettendo il pilota automatico, si propongono come nuovi portatori del verbo doom, proprio come accade nella seconda metà della suddetta traccia, decisamente più convincente. Se "Stigma Diaboli" ha tanto le sembianze di una prog ballad romantica, altrettanto verrebbe da dire per l'incipit della successiva "Violent Circles", con un cantato pulito in primo piano sorretto da una chitarra acustica. Ma il brano è lungo (dodici minuti); aspettatevi quindi di venire nuovamente investiti da un death doom melodico, cosi come pure dalla veste più prog doom oriented abbracciata dai nostri che mi evoca le cose più leggere degli Swallow the Sun (penso al disco 'Songs from the North I, II & III', in particolare al capitolo 'Beauty'). Qui sento addirittura, nelle parti più tirate, un che dei Novembre, il che apre ad ulteriori speculazioni, ossia ad uno spettro di influenze cosi vario che si palesano nel corso del disco, che rendono l'ascolto si più piacevole, ma anche che portano alla facile conclusione che 'Six Hours' sia forse un po' troppo derivativo. Per carità, l'album è suonato da dio, con dei pezzi veramente azzeccati. Interessanti ancora a tal proposito "Intempestae Noctis Silentio" e i due capitoli di "Swan Song", dove la band leccese sembra ancora omaggiare la band di Carmelo Orlando, ma con un esito qui più convincente (soprattutto a livello di linea melodica di chitarra) che mi fa ben sperare nel futuro, sperando sempre che non ci impieghino altri nove anni per produrre qualcosa di nuovo. Per ora, meglio togliersi di dosso un po' di ruggine e cercare una maggiore originalità nella proposta. (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music - 2020)
Voto: 70

https://silvered.bandcamp.com/album/six-hours

venerdì 1 febbraio 2019

Loneshore - From Presence To Silence

#PER CHI AMA: Prog Death Doom, Opeth
In Brasile, il Sole deve ormai aver ceduto il passo alle tenebre. Solo in questo modo si spiegherebbe la ragione dell'uscita funerea degli Helllight e ora di questi Loneshore, provenienti addirittura dalle spiagge assolate di Rio de Janeiro. Il quintetto di Rio però, a differenza dei più illustri colleghi dediti al funeral, offre un sound che, per quanto nelle propria struttura veda l'utilizzo di qualche partitura doom, ammicca principalmente agli Opeth di 'Blackwater Park', quale influenza primaria. La cosa è chiara fin dall'opener "The Quiet Visitor", undici minuti in cui i carioca giocano con fraseggi prettamente progressivi, pur mantenendo intatta una certa asprezza a livello ritmico e propinando un dualismo vocale tra growling e screaming vocals davvero intrigante. In tutto questo, non mancano alte dosi di melodia che si sprigionano attraverso le sei lunghe tracce contenute in 'From Presence To Silence'. Detto degli undici minuti iniziali dell'opening track, ne seguiranno altri dieci con l'oscura "Effigy", un pezzo che ben si muove tra riffoni tosti, strutture articolate, ma soprattutto dove il pezzo forte, oltre alle splendide melodie di chitarra, è rappresentato dalla comparsa di clean vocals che poggiano sui vari cambi di tempo che contraddistinguono il pezzo, un buon pezzo. L'arpeggio in apertura di "Winds Of Ill Omen" ricorda inequivocabilmente gli innumerevoli brani degli Opeth che furono, quelli che iniziavano brillantemente le loro canzoni in questo modo tra le melodie gentili di una chitarra acustica e le proseguivano anche meglio, in pezzi ben calibrati tra melodia e aggressività. E i Loneshore non sono tanto distanti dall'emulare le gesta del periodo di mezzo degli eroi svedesi capitanati dal buon Mikael Åkerfeldt, alla stregua di quanto fecero agli esordi gli statunitensi Daylight Dies. Questo per dire, che fondamentalmente la band brasiliana non inventa nulla di nuovo, ma quello che suona, non cosi facile da proporre, mostra comunque le qualità di una band già rodata e che vanta un buon gusto per le melodie, un'ottima preparazione tecnica e qualche idea non proprio da buttare. Se in tutto questo ci mettessero anche un pizzico di personalità, credo che mi ritroverei quei ad osannare 'From Presence to Silence' anzichè dire che di strada da fare per trovare un proprio stile personale ce n'è da fare ancora parecchia. Nel frattempo se siete dei nostalgici dei vecchi Opeth, e vi piacciono anche le accelerazioni post black (ascoltatevi la title track), beh credo che il lavoro dei Loneshore possa supplire egregiamente a questa vostra mancanza nell'attesa che prima o poi Mikael e compagni rinsaviscano. (Francesco Scarci)

(BadMoonMan Music - 2018)
Voto: 75

https://loneshore.bandcamp.com/releases

Rome In Monochrome - Away From Light

#PER CHI AMA: Gothic/Doom, Klimt 1918
A quasi un anno dalla sua uscita, ma per incolpevole ritardo, ecco giungerci fra le mani l'album di debutto dei nostrani Rome in Monochrome, 'Away From Light', rilasciato dalla potentissima label russa Solitude Productions nella sua sub-label BadMoonMan Music. La proposta del quartetto italico, ripercorrendo le orme di gente del calibro di Novembre e Klimt 1918, tanto per fare due nomi a caso, ma rifacendosi anche al loro stesso moniker, si muove nell'ambito di un doom malinconico in bianco e nero che chiama in causa anche un che dei Katatonia più alternativi. Certo, ho citato nomi importanti quindi le aspettative potrebbero essere elevate, vorrei però sottolineare che siamo ancora parecchio distanti dai maestri del genere, anche se i Rome in Monochrome potrebbero rappresentare una discreta alternativa agli originali. Otto le tracce a disposizione della compagine italiana per convincerci della bontà della loro proposta, che parte dalle soffuse atmosfere di "Ghosts Of Us", song dal flavour dark rock che solo nel finale rende più aspro il proprio sound per il solo fatto che un growl sostituisce un cantato pulito a dire il vero un po' titubante. "A Solitary King" ha un piglio più dinamico, sebbene le clean vocals del frontman non abbiano grossa presa sul sottoscritto, considerando poi una musicalità che si mantiene costante nel proprio lento fluire e che vede solo rare intemperanze alterare quell'incedere quasi etereo, che finalmente nella seconda parte del brano, ha modo di crescere ritmicamente e divenire più robusto e convincente. Convincente quanto "Paranoia Pitch Black", una song che poteva stare tranquillamente nell'esordio dei Klimt 1918, o in un disco come 'Arte Novecento' dei Novembre (ah peraltro in questa song, il cantato in scream è ad appannaggio del buon Carmelo Orlando, frontman dei Novembre stessi). La proposta della band laziale è interessante, ma c'è ancora qualcosa che non mi convince, sembra quasi che le manchi quel quid che le permetta di decollare. È il caso di "Uterus Atlantis", un brano semi-acustico, che potrebbe evocare un che degli Antimatter, però anche in questo caso, la band inglese la vedo ancora troppo superiore ai nostri. Il disco alla fine non ha troppi sussulti: forse la mia song favorita sarà "December Remembrances" che, se non è la traccia più aggressiva del lotto (e quell'aggressività la metterei fra virgolette), sicuramente risulterà tra le più lunghe, con i suoi abbondanti nove minuti di sonorità emotivamente rassegnate. Ancora qualche pezzo claudicante, per arrivare a concludere con "Only the Cold", dove il doom dell'act capitolino sprofonda nelle tenebre di una proposta che rivela una maturità artistica ancora non del tutto formata. Sicuramente ci sono buone idee, ma quello su cui lavorerei maggiormente io, è eliminare quella statiticità che permea ogni singolo brano, per questo poco caratterizzato ed elettrizzante. Per ora 'Away From Light' è solo un discreto esordio sulla lunga distanza, direi che c'è ancora da lavorare parecchio per ottenere ottimi risultati. (Francesco Scarci)

lunedì 22 ottobre 2018

Maze of Feelings - S/t

#FOR FANS OF: Death/Doom, Paradise Lost, Lacuna Coil
In spite of its off-putting Emo name that seems to dilute the vengeance inflicted by a Morbid Angel track, Maze of Feelings does display a solid mid-paced doom/death metal style that kicks around its grooving riffs with a balance of accessible and underground elements. Though the maze itself is mainly a series of dead depressive ends, the band is able to distill its melancholy in myriad ways including tears of tremolos that are gracefully laid into a breaking section in “Where Orphaned Daughters Cry”, a nasty riff harpooning “Necrorealistic” into one's brain and dragging him through a beatdown reminiscent of early Paradise Lost rhythms, and a cold remorseless run in “Adherents of Refined Severity” that chases you through this disorienting labyrinth in the hope of finally striking you down with its razor sharp axe.

With two distinct vocalists cleanly singing, screaming, whispering, speaking, and growling throughout the album, the instrumental range compliments the spread with nods to Paradise Lost and Lacuna Coil, thundering bass across the spectrum of sound in some instances and methodically dragging melodies from dungeons into the sun at other times. In doom metal fashion, an anvil cymbal steadily strikes behind bellows of double bass tightening the treble's fetters and keeping it from escaping the weight below. A very Tool sounding riff to the closing track, “Dreamcatcher”, opens a song that accentuates the more gothic lilt to the doom sound that Maze of Feelings captures. While the band may bridge on some melodic death metal aesthetic in its vocals and some of its denser guitar moments, the majority of this album sticks closely to its doom template, experimenting with some gothic theater, and reigning in its pace from the first chugging riffing in “Drained Souls Asylum” to find its footing deeper in depression than screaming for vengeance.

As long drawn out melodies fight with a freight train of growling in “Cold Sun of Borrowed Tomorrow”, grappling with the high vocals and pulled to punishment by a laborious pacing, the downtrodden trope of a riff that opens “Grey Waters of Indifference” conjures memories of when this sort of sound was new and cool rather than common and overdone in many imitations. Still, Maze of Feelings is able to take the standard style and find success, but without the energy and power of some of the bands with which it shares its space.

'Maze of Feelings' is not without its faults and nadirs. While the crying sample at the end of “When Orphaned Daughters Cry” could have simply been left out of that quality piece, the band seems to have stuck more to the doom designation and accentuated it with different aesthetics rather than explored the conventions that could achieve the full potential of the band's ideas. Songs like “Necrorealistic”, “Dreamcatcher”, and “Drained Souls Asylum” start off with distinction just to end up running into the same dead ends, something expected when caught in a maze as sunlight fades, yet the gothic and more aggressive movements show that there's more to this band than simply playing the doom metal trope of taking a good start and constantly cornering it. The mid-paced structuring that uses its sure footing to find places to gallop and smoothly exaggerate is a strong starting template and Maze of Feelings would do well to take that template farther as the band goes along in order to better appreciate the instrumental talent lending itself to the theater at the forefront.

Maze of Feelings is a band that seems to revel in its familiarity and is set to inch its way towards making its own mark. Moments throughout this album show small points of individual personality, the instrumentation naturally rides its reveries as well as accentuates the theater in the vocals, but the band still has yet to truly come into its own. Here's hoping that these talented musicians can find an energy that compliments the ability gathered in this quintet. (Five_Nails)

domenica 24 luglio 2016

Negative Voice - Cold Redrafted

#PER CHI AMA: Death/Doom/Prog, Agalloch, Katatonia, Opeth
La sinergia tra Hypnotic Dirge Records e Solitude Productions inizia a sortire ottimi risultati. Ne è l'esempio lampante il nuovo album dei russi Negative Voice, il secondo per il quartetto moscovita, intitolato 'Cold Redrafted' e vera sorpresa per il sottoscritto, che aveva sottovalutato i nostri nel 2013, quando uscì 'Infinite Dissonance'. Ascoltato il nuovo lavoro, mi sono dovuto ricredere invece sulle potenzialità, all'epoca forse totalmente inespresse, dei nostri. Signore e signori, 'Cold Redrafted' è quello che giudico un gran bell'album, maturo, fresco, squisitamente melodico, ma carico di energia, in grado di regalare emozioni in quantità e di qualità. Otto i brani contenuti e quasi tutti sorprendenti, sin da "Limitation", che mi ha conquistato sin dal primo assolo che si delinea nel primo minuto e mezzo del brano, al suo intero evolversi. Splendido, tutto qui, non serve aggiungere altro. Poi solo una cascata emotiva che mi trascina in un vortice di sensazioni che spaziano dalla malinconia alla gioia, quella vera, capace di regalare lacrime copiose agli occhi. I quattro ragazzi, migrati ora nella capitale russa, regalano un death doom atmosferico in grado di scomodare gli Agalloch, gli Opeth ma anche i Novembre e i Katatonia, per un condensato notevolissimo di musica di ottima fattura che farà la gioia di coloro che amano la drammaticità del doom, ma anche di quelli che non disprezzano le cavalcate post black ("Nightmare Everlasting"), le sinistre atmosfere ("The City of Decaying Gaze"), o i tecnicismi del progressive ("Lighthouse"), per un pot pourrì di assoluto valore che non deve passare inosservato, per alcun motivo. Questa è la musica che amo, in grado di trasmettermi cosi forti emozioni, che mi guidano nella scrittura di queste mie parole, addirittura ad occhi chiusi, godendo della delicata raffinatezza di questi ragazzi, saggi nel saper quando colpire con irruenza, ancor di più nel selezionare i momenti per un break acustico, l'utilizzo di clean vocals piuttosto che del growling assai convincente di Evgeniy Loginov. Classe cristallina, che viene messa al servizio anche solo nell'aprire un brano come "Instant", una song più nervosa e meno lineare rispetto a quelle apprezzate sin qui, in quell'incredibile trittico di pezzi che apre il disco. "Instant" è sicuramente più criptica, cupa, nostalgica e ricercata, forse anche per questo la più complicata da assimilare, ma comunque splendida. Torno a citare invece i Katatonia (del periodo intermedio) per quel riguarda le linee di chitarra quando a scorrere nel mio stereo è "Impasse", un'altra piccola gemma da non perdere. Con "Karmic Pattern" si torna a sprofondare nel doom abissale, anche se nella sua seconda metà, gli echi degli Opeth tornano a farsi sentire. Per certi versi questa uscita dei Negative Voice potrebbe essere accostabile al nuovo lavoro dei loro compagni di etichetta (EchO), e come per gli amici bresciani, la band si dimostra già matura per il grande salto in una big label. 'Cold Redrafted' è infatti un ottimo lavoro, dotato di un certo carisma e di una spiccata personalità, che auspico venga sapientemente convogliata nella giusta direzione anche in futuro, perché probabilmente sentiremo parlare dei Negative Voice per lungo tempo. (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music/Hypnotic Dirge Records - 2016)
Voto: 85

martedì 12 luglio 2016

(EchO) - Head First Into Shadow

#PER CHI AMA: Death/Doom/Progressive, Swallow the Sun
Cinque anni di silenzi. Il vecchio vocalist che ha lasciato. Non era semplice rimettersi in carreggiata, ricominciare daccapo e dare un seguito a quel 'Devoid of Illusions' che ben mi aveva impressionato nel 2011. I bresciani (EchO) non si sono demoralizzati anzi, si sono rimboccati le maniche, forti di quella consapevolezza, che da sempre li contraddistingue, di potercela fare. Arruolato Fabio Urietti alla voce, coperti alle spalle dal lavoro di Greg Chandler alla consolle e coadiuvati da due ospiti d'eccezione come Daniel Droste, chitarra e voce dei teutonici Ahab e Jani Ala-Hukkala, vocalist dei finlandesi Callisto, i nostri sono tornati sulla scena, con un attesissimo secondo cd, 'Head First Into Shadow'. Sei lunghissime tracce, che si presentano con la decadente (e progressiva) melodia di "Blood and Skin", in cui fa il suo positivo esordio dietro al microfono, il bravo Fabio, inizialmente in una timida veste pulita, poi anche in growl. Le chitarre, inserite nel consueto contesto atmosferico, tracciano linee malinconiche nella più pura tradizione death doom, chiamando in causa alternativamente Saturnus e soprattutto gli ultimi Swallow the Sun. Ma è la sezione solistica a colpirmi di più, con un ispirato assolo conclusivo. "This Place We Used To Call Home" apre assai rilassata grazie alle clean vocals del frontman (forse un po' in difficoltà sulle timbriche più elevate) che da li a breve, cederanno ad un impulso di rabbia e frenesia, che per alcuni attimi porterà ad inasprire i toni. La traccia trova però il modo di placare il proprio iracondo spirito e continuare a dipingere affreschi di rock progressivo dai tratti eterei, enfatizzato anche da un assolo acustico posto poco oltre la metà del brano e da un break onirico verso il finale. C'è da sottolineare una certa dinamicità di fondo ascoltando questa prima manciata di pezzi degli (EchO), il che è senza dubbio positivo. In "Beneath This Lake" fa la comparsa il primo ospite del disco, il buon Daniel degli Ahab, ad impreziosire la proposta del sestetto lombardo: l'incipit è dapprima robusto per poi divenire delicato e sognante (i rimandi ad atmosfere "pink floydiane" si sprecano), poi le chitarre appesantiscono il proprio mood, ma sembra che la nuova direzione intrapresa dai nostri, privilegi maggiormente i frangenti più atmosferici, pur non mancando le improvvise accelerazioni. Tuttavia le novità per gli (EchO) non si fermano qui, visto che una serie di artefatti elettronici si accompagna con un rifferama di meshugghiana memoria in un lisergico finale del tutto inaspettato. È il turno di "Gone", che segna la partecipazione del secondo ospite in una lunghissima traccia, che vede sicuramente i nostri alzare l'asticella, complici anche nuove fonti di ispirazioni convergenti in questo nuovo disco: non solo i paladini del death doom (in questo caso direi 'The Silent Enigma' degli Anathema), ma anche, in molteplici sfaccettature, gli ultimi Opeth, i Katatonia, i Porcupine Tree, le ultime performance dei nostrani Plateau Sigma (soprattutto nella successiva "A New Maze", dove la voce di Fabio va nuovamente in sofferenza nelle alte frequenze), senza dimenticare gli stessi Callisto del bravo Jani. Gli (EchO) stanno maturando di giorno in giorno sempre di più, sebbene partissero già da una base piuttosto elevata. In chiusura, "Order of the Nightshade" si presenta non priva di ambientazioni decadenti, suoni suadenti e malinconici, rapiti da fughe rabbiose, che mettono in luce il compartimento ritmico di primissimo livello dei nostri. Non era lecito aspettarsi oltre da questo nuovo platter, che segnerà forse un nuovo punto di partenza per questa ambiziosa band italiana. (Francesco Scarci)

domenica 7 febbraio 2016

Raventale - Dark Substance Of Dharma

#PER CHI AMA: Black Doom Esoterico
La Solitude Productions compie 10 anni e dagli esordi accompagna la mia maturazione musicale in ambito black/death/doom. Sono centinaia i dischi che abbiamo recensito qui nel Pozzo dei Dannati provenienti dalla label russa, band che ho visto passare e sbocciare, altre che dopo un solo disco si sono perse. Una band però mi è rimasta particolarmente nel cuore, forse perchè l'ho vista nascere e crescere lavoro dopo lavoro, sto parlando dei Raventale, da sempre guidati dal solo Astaroth Merc, che con questo 'Dark Substance Of Dharma', giunge al traguardo del settimo cd. Da parte mia nel corso di questi anni, ho cercato di fare la cronaca più o meno puntuale dei suoi lavori ufficiali o dei suoi side project. Eccomi quindi al cospetto del nuovo disco, che include sette nuovi brani e che vedono il mastermind di Kiev abbracciare forse una nuova religione (credo sia la dea Calì quella nella cover cd), incorniciata questa volta dal colore arancione. Faccio questa constatazione anche sulla base di quanto riportato nel titolo del lp, "Dharma", un termine sanscrito che presso le religioni dell'Asia meridionale riveste numerosi significati ("dovere", "legge", "ordine cosmico" oppure più semplicemente "religione"). Questa nuova direzione si riflette anche nei contenuti del disco che, muovendosi sempre nei territori del black doom, concede più spazio alla componente atmosferica, come certificato da "Destroying The Seeds Of Karma", che segue la classica intro. Il pezzo è un ottimo mid-tempo dove trovano collocazione evocative derive etniche e chorus che sembrano arrivare direttamente da qualche tempio tibetano. Suggestivi non c'è che dire, anche quando il ritmo si fionda su velocità più sostenute come nella title track, ma sono solo brevi attimi perchè poi l'intensità dei bpm rallenta per far posto a sognanti ambientazioni, ove sarà la vostra fantasia a guidarvi, se sugli impervi pendii dell'Himalaya, lungo le rive del Gange o semplicemente sotto un albero a meditare. Io ho chiuso gli occhi e mi sono lasciato condurre dalle tastiere ispirate di Astaroth, mentre la sua voce abrasiva come sempre, narra appunto delle religioni orientali. Non fatevi però ingannare dalle mie parole, non siamo al cospetto di un lavoro di musica spirituale, stile Buddha Bar o quelle nenie che accompagnano l'arte dello yoga, qui avrete a che fare con black metal, però intriso di melodia, parti solenni e sognanti, ma anche di brevi ed epiche cavalcate ("Kali's Hunger" e "I Am the Black Tara"), fino a giungere alla perla finale di “Last Moon Fermata”, un pezzo aperto da un suadente pianoforte che vi permetterà di raggiungere il vostro karma, una song dotata di un refrain che guarda a sonorità gotiche. 'Dark Substance Of Dharma' è il nuovo passo di Astaroth Merc verso la rinascita della sua anima e l'espiazione delle colpe. Io, un ascolto attento lo darei. (Francesco Scarci)

domenica 10 maggio 2015

Shallow Rivers - The Leaden Ghost

#FOR FANS OF: Doom/Death, Encoffination, Hooded Menace
The massive second album from Russian Doom/Death act is quite a challenging listen, but one that’s more based on the extreme length of its material than anything else of real importance or detriment to the album. Weaving gorgeous guitar-work and blazing melodic leads here that leave an impressive atmosphere of far lighter fare than the traditional features of the genre who go for darker, much more oppressive styles of atmospheric riff-work which does manage to get a lot of impressive works here. While there’s still the ever-prevalent melodies and atmospheric wandering that are placed in here, the fact is this one instead opts for the droning, melancholic atmospheric that’s quite more motivated in other sections to mesh with pulverizing guitar rhythms, churning riff-work and plenty of energetic work here that keeps the tempo far more engaging here than would normally be the case as this one becomes far more enjoyable as it goes along. Intro ‘Of Silent Winds that Whistle Death’ slowly winds away from droning riff-work and bland melodies for a rather impressive series of darkened riffing, pounding drumming and quite explosive energy throughout the running time which manages to continue on through the extreme rhythms, dynamic variation and tempo changes and the influx of twisted riff-work that makes for a solid, engaging opener. Likewise, ‘Light Upon Us, Haze Around Us’ opts for the eerie atmospheric droning intro before settling for a churning mid-tempo romp through deep, dynamic patterns, plenty of dynamic drumming and the sort of melancholic atmosphere early on not really utilized in a lot of Death Metal before unleashing the maelstrom in the later half with pulverizing double-bass blasts, frantic melodic sweeps and the sweeping aggression found there to make for a more stand-out track that really plays well with its’ epic length. Dialing back on the length, ‘Scorched, Wrecked, Torn, then Crumbled to the Sea’ still offers crushing riff-work and blasting drumming weaving through complex arrangements, blasting tempos and utterly frantic sweeping patterns that carry on the same frantic energy and dynamic rhythms that the longer tracks offered which makes for back-to-back highlights. While ‘We are Cold’ switches it up to a generally enjoyable repetitious riff played around dynamic drumming blasts and effective atmospheric influxes, the shortened length comes off as though from a different band compared to the much more engaging epics elsewhere here. ‘Snow’ feels more traditional with swirling riff-work and dynamic tempos that it really feels like a condensed version of their longer epics and is quite enjoyable with its churning riffing, atmospheric leads and pounding drumming carrying this one through. Finally, the title track goes back to the epic-ness of the rest of the material with blazing riff-work, churning melodies and atmospheric leads that let the heavy rhythms, dynamic drumming and darker works come through quite nicely here which is what makes this one so much more enjoyable and exciting by ending on another strong note. Overall, this was quite an impressive effort and really only struggles with the length of its songs for the most part. (Don Anelli)

(BadMoonMan Music - 2015)
Score: 85

https://www.facebook.com/pages/Shallow-Rivers

martedì 18 novembre 2014

Helevorn - Compassion Forlorn

#PER CHI AMA: Death Doom, Saturnus, primi Anathema
Ci hanno impiegato ben oltre quattro anni i maiorchini Helevorn per sfornare un nuovo lavoro, ma d'altro canto avevano già speso un lustro per rilasciare il secondo album, 'Forthcoming Displeasures', recensito su queste stesse pagine. Quindici anni perché tre album vedessero la luce (la band nasce nel 1999), niente male no? Il risultato a questo punto non può che essere eccellente. E questo è sostanzialmente vero, perché 'Compassion Forlorn' è un signor disco di death doom che prosegue quanto già espresso nel precedente lp. Otto pezzi di suoni oscuri dotati anche di una certa vena gotica. L'album si apre con la deprimente "The Inner Crumble", song che cavalca l'onda dei suoni malinconici, ormai marchio di fabbrica della Solitude Productions e associate. Buonissime le linee di chitarra, cosi come pure il growling di Josep Brunet, che sapientemente lo alterna a un cleaning meditativo quando sono i tocchi di pianoforte a condurre i giochi. Nulla di nuovo per carità, ma si fa apprezzare. Con la successiva "Burden Me" si parte più sparati e un qualche eco degli Amorphis si percepisce in sottofondo, ma non solo, perché un occhiolino lo si strizza a destra agli Evereve e a manca, ai nostrani The Foreshadowing, anche se poi il brano scema un po' in intensità per ritornare a sprofondare nei meandri della desolazione. Derivativo penserete voi e non posso che confermare la cosa, soprattutto quando si scomodano anche gli Anathema di 'The Silent Enigma'. Quindi, prossima domanda, album da buttare? Nient'affatto! L'ho detto proprio all'inizio, 'Compassion Forlorn' è un signor album e per questo gli va assolutamente concessa la vostra fiducia. "Looters" è un pezzo che per linee di chitarra potrebbe stare benissimo su un qualsiasi disco dei Saturnus anche se Josep predilige il cantato pulito e al termine del brano si concede anche un narrato su una straziante melodia di pianoforte. La parabola ascendente della band spagnola prosegue con il pezzo forte del disco, "Unified", tra le song più trainanti del lotto (insieme a "Delusive Eyes"), in cui mi pare di percepire anche qualcosa degli ultimi Paradise Lost (che sarà ancora più evidente in "I Am to Blame" che si fa notare per un approccio più corale). Le cose girano bene e gli strumenti ben si incastrano tra loro sfoderando una prova, che col passare dei minuti, diviene sempre più convincente. Quello che ho notato tuttavia è che fintanto il quintetto iberico viaggi su ritmiche un po' più tirate, le cose vanno alla grande e il sound si conferma convincente. D'altro lato, con tempi più rallentati, la band torna ad essere "normale": "Reason Dies Last" ne è forse l'esempio più palese: belle chitarre, mood drammatico, ma forse la song più anonima dell'intero lavoro. Il disco si chiude con "Els Dies Tranquils", in cui Josep esordisce con un narrato in catalano e poi a salire in cattedra è Lisa Cuthbert, cantante, pianista e compositrice irlandese, la cui meravigliosa performance vocale (che richiama Tori Amos e Marie Brennan), arricchisce ulteriormente una prova già di per sé, molto buona. Ora non rimane che gustarci questo lavoro per i prossimi cinque, in attesa di una nuova release degli Helevorn. (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music - 2014)
Voto: 75

lunedì 15 settembre 2014

The Morningside - Letters From the Empty Towns

#PER CHI AMA: Death, Carcass, Death, Opeth
Della serie qualcosa è cambiato... o forse tutto. Questo il mio primo pensiero dopo esser rimasto totalmente basito all'ascolto di 'Letters From the Empty Towns', nuovo lavoro dei moscoviti The Morningside, da sempre portatori di un death doom malinconico, sulla falsariga di Saturnus e primi Katatonia. Non vi posso pertanto nascondere il mio shock quando "Immersion" esordisce nel mio lettore. Strabuzzo le orecchie e controllo il cd per verificare se magari sia stato commesso un errore o altro. Il vecchio sound dei nostri è quasi definitivamente scomparso per far posto ad un techno death carico di groove che solamente nella sua sezione solista può vagamente rimandare agli albori della band, per quelle sue nostalgiche melodie. Per il resto si tratta di una song nervosa sulla scia di 'Human' dei Death, si avete letto bene, anche come impostazione vocale. Che diavolo succede? "(One Flew) Over the Streets", il secondo brano, parte con tutte le potenzialità mirate a infondere oscure e rarefatte melodie, ma la ritmica dei nuovi The Morningside continua a richiamare i gods statunitensi capitanati dal ei fu Chuck Schuldiner, regalando peraltro ottimi spunti di un death metal complesso e articolato. Tuttavia questa è un'altra band, e non posso trascurarne il passato, avendone recensito i precedenti due lavori. Provo ad andare oltre e vedere che succede, se gli echi dei Katatonia si sono disciolti del tutto o ancora risiedono nelle corde del quartetto russo. Finalmente "Deadlock Drive" sembra riprendere l'oscurità tipica dell'ensemble di Mosca, addirittura pescando da 'Gothic' dei Paradise Lost. Il suono si conferma potente, robusto e carico di groove con le chitarre che dipingono finalmente lande gelide e la voce del buon Igor che si conferma sempre su livelli eccelsi. "Sidewalk Shuffle" è una traccia dalle forti reminiscenze carcassiane (periodo 'Heartwork') soprattutto a livello ritmico. Con "On the Quayside" i nostri continuano a regalare ottimi spunti di death metal progressivo, anche se una serie di brevi break acustici/voci pulite, fanno aleggiare lo spettro degli Opeth nell'aria. "The Traffic Guard" è una song dal bel tiro e dalle linee di chitarre abbastanza ruffiano, anche se poi la traccia nella sua parte centrale, si diverte nel giocare con tempi dispari e riff graffianti. Un breve intermezzo acustico ed è tempo per le conclusive "Ghost Light" lunga traccia che finalmente richiama al passato dei Katatonia e "The Letter", song semiacustica che chiude un album che sinceramente non riesco a capire se mi abbia deluso o mi abbia dato l'opportunità di ascoltare una nuova realtà musicale, una band che si muove sui binari del death classico (Death, Carcass) leggermente venato di influenze doom. (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music - 2014)
Voto: 65

giovedì 4 settembre 2014

Narrow House - Thanathonaut

#PER CHI AMA: Doom Avantgarde, Virgin Black
Poco più di un anno e mezzo fa, il buon Kent recensì il primo atto funeral doom degli ucraini Narrow House e ora mi ritrovo sulla scrivania il secondo capitolo di questi folgorati (non sulla via di Damasco) ragazzi di Kiev. Di quel genere non è rimasto quasi più nulla se non un senso di oscura malinconia che mi pervade l'animo dopo il suo ascolto. 'Thanathonaut' è un lavoro che ha colpito nel segno sin dalla sua intro, in cui è un apocalittico violoncello ad assurgere il ruolo di protagonista. Con "The First Day of the Rest of Your Life" mi rendo conto che della proposta originale del quartetto è rimasta solo l'atmosfera decadente, mentre il sound dei nostri strizza l'occhio ad avantgarde e doom classico, il tutto estremamente curato in ogni minimo dettaglio. Ottimi i suoni, altrettanto le vocals pulite che si muovono su un interessante quanto mai oscuro tappeto formato da chitarra e sax. Ma è ancora il violoncello ad attirare la mia attenzione nella track successiva, "Furious Thoughts of Tranquillity", andandosi ad incastonare come uno splendido gioiello nell'architettura forbita di chitarra/tastiera e sax. Le song sono brevi e quindi è anche più facile gustare di tutte le sfumature di cui sono striate. E soffermandomi più attentamente su "The Midwife to Sorrows", non si può non percepire il refrain inconfondibile di "Extreme Ways" di Moby, colonna sonora della trilogia 'The Bourne Identity'. Sonorità folkish-avantgarde si uniscono a divagazioni di matrice jazzistica in "The Last Retreat", mentre le atmosfere gotiche e dark sono contemplate in tutto lo scorrere del disco. Tutti i generi ben si amalgamano nei 40 minuti di 'Thanathonaut' grazie alla bravura di questi musicisti, agli ottimi arrangiamenti e all'azzeccatissimo utilizzo di due strumenti che tornerei a sottolineare: sax (meraviglioso peraltro nella sua veste solistica nella title track) e violoncello. Il nuovo approccio musicale dei Narrow House ci regala un lavoro che viaggia una marcia in più rispetto al vecchio 'A Key to Panngrieb'. "A Sad Scream of Silver" è un altro brano strumentale dalla forte aura malinconica, mentre "Crushing the Old Empire" soffre di un leggero retaggio funeral. "Doom Over Valiria" funge virtualmente da pianistico outro del disco, visto che l'ultima traccia non è altro che una cover completamente rivista (e cantata anche in lingua madre) di "Renaissance" degli australiani Virgin Black, band di riferimento per i nostri eroi di oggi. Narrow House, il nuovo vento che arriva dall'est. (Francesco Scarci) 

(BadMoodMan Music - 2014)
Voto: 80

lunedì 16 giugno 2014

Lorelei - Угрюмые Волны Студеного Моря

#PER CHI AMA: Death/Doom/Gothic, primi Theatre of Tragedy 
Russia ormai è diventato sinonimo di death doom: ne sono l'ennesima conferma questi cinque ragazzi di Mosca, a nome Lorelei, che ci propinano un classico sound oscuro dalle doppie vocals, growl e soprano femminile, che mi hanno ricordato non poco i primi Theatre of Tragedy (non a caso "Lorelei" è anche una song della band norvegese). La musica poco si discosta dai dettami del genere; ciò che ha catalizzato la mia attenzione è stato l'inserimento di alcune parti recitate in italiano. Le ritroviamo ad esempio in "Холод безмолвного зимнего леса...", in cui largo spazio viene concesso alla brava cantante Ksenia Mikhaylova, mentre le ritmiche eseguono il loro compitino egregiamente, disegnando malinconiche melodie che sicuramente piaceranno a chi segue il genere e al contempo annoieranno chi invece è ormai saturo dell'ennesima proposta di questo tipo. Le song si lasciano tutte ascoltare ma la musica dei nostri non apporta rilevanti novità: niente male il pesante growling di Evander Sinque (vocalist dei Who Dies in Siberian Slush e guest star in questa release), cosi come pure le tastiere di Marina Ignatovich che con le sue atmosfere, rende il tutto estremamente più accessibile. Tuttavia, l'album continua ad avere un che di già sentito forse perché quella dei Lorelei è una proposta che andava molto di moda a metà anni '90, ma anche perché dà sfoggio di tutti i cliché che il genere impone. Mi fa piacere l'ispirazione che i nostri traggono dai classici nostrani, con un intermezzo dal titolo "La Vita Fugge e non s'Arresta un'ora", che si rifà ad un famoso sonetto del Petrarca. Poi, c'è poco altro da segnalare in questo 'Угрюмые Волны Студеного Моря', lavoro che segna l'ancora acerbo esordio di questi giovani ragazzi. (Francesco Scarci) 

(BadMoodMan Music - 2013) 
Voto: 60 

sabato 19 aprile 2014

Edenian - Rise of the Nephilim

#PER CHI AMA: Death Doom Gothic, Draconian
Edenian atto II. Dopo la risicata sufficienza di 'Winter Shades' del 2012, ecco arrivare il come back discografico degli ucraini, fuori sempre per la BadMoonMan Music, per vedere di risollevare una prima prova non proprio memorabile, almeno per il sottoscritto. Ci si ritrova come al solito, al cospetto di un death doom dalla forti sfumature gotiche, in cui però ci sono delle novità da sottolineare, almeno a livello di line-up. Fuori il pessimo vocalist Volodymyr Tsymbal e la donzella Samantha Sinclair, e dentro Valery Chudentsova con le growling vocals affidate al mastermind Eternal Tom, che gestisce pure l'intero impianto strumentale dei nostri. Questo smottamento interno deve aver fatto bene al duo di Kharkiv, che con 'Rise of the Nephilim', vede migliorare la propria proposta. Sia chiaro che a livello musicale non c'è nulla di nuovo, bensì si continua a portare avanti un discorso già impostato con il precedente lavoro, ossia un sound che ricalca quello di Draconian e Swallow the Sun, affidando il compito di non far annoiare i fan, alle ottime melodie e alle eteree vocals femminili. Ecco, forse il cambio a livello di voce femminile, non ha portato i benefici auspicati, in quanto il suadente modo di cantare di Valery alla lunga stanca o stona (si ascolti "Nearer my Love to Thee" a tal proposito), mentre molto più convincente è il growling catarroso di Eternal Tom. Difficile poi elevare una song piuttosto di un'altra, in quanto un po' tutte si assomigliano o meglio assomigliano a quelle dei colleghi nordici ben più famosi. Tuttavia posso permettermi di dire che il sound di questo secondo lavoro risulta più articolato e apprezzabile, complici i buoni arrangiamenti e un ben più elevato songwriting. Un piccolo passo in avanti è stato fatto, ne attendo altri per il futuro. (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music - 2013)
Voto: 65

sabato 15 febbraio 2014

Shallow Rivers - Nihil Euphoria

#PER CHI AMA: Death Doom Melodico, Swallow The Sun,
Altro debutto in casa Solitude Production/BadMoodMan, il disco in questione, opera prima dei russi (un duo, peraltro) Shallow Rivers. Non serve spendere molte parole per dare una bella inquadrata al lavoro: melodic death-doom quadrato, preciso, ben cadenzato, aggressivo… ecco, si aggressivo, e meno male! Non aspettatevi un lavoro rivoluzionario perché, ormai è risaputo, il genere trattato dai Nostri è quasi l’esatto opposto dell’innovazione e della sperimentazione, ma accogliete a braccia aperte un lavoro ispirato e ben prodotto, che merita di stare nelle vostre scaffalature musicali tranquillamente tra Swallow The Sun, Daylight Dies (quelli degli esordi, per lo meno) e una certa scuola scandinava. I due ragazzi si dividono tutta la strumentazione, ma per quanto riguarda chi scrive il miglior strumento musicale dell’intero album è la voce cavernosa del bravo vocalist, un growl catarroso al punto giusto e pesante, ma anche capace di inserti melodici ad hoc (per esempio in “Down the River to Vortex”, pezzo di ottima fattura che fa scivolare la durata non da poco, senza intoppi e punti morti). Per il resto, il lavoro di intreccio delle varie trame è svolto in maniera più che dignitosa, con una solida impalcatura a sorreggere il tutto. Unico appunto personale riguarda l’utilizzo delle tastiere, dove forse la scelta delle sonorità avrebbe meritato un minimo di attenzione in più, giusto per togliere quel lieve alone di “già sentito” e “banale”, e dare all’intero disco un’ulteriore nota di personalità aggiunta. Segnalo anche l’intro e “The Weeping Lotus Dance”, dove un riff azzeccatissimo vi resterà in testa già dal primo ascolto. Concludo qui rimarcando il fatto che siamo di fronte ad un esordio e pertanto, anche se gli otto pezzi si susseguono senza drastici cambi di atteggiamento, è d’obbligo segnalare alcune prolissità di troppo qua e la, ma nulla di grave o irrimediabile; in ogni caso gioiamo e attendiamo fiduciosi il prossimo lavoro, perché la strada è spianata e il talento non manca. (Filippo Zanotti)

(BadMoonMan Music - 2013)
Voto: 75

http://shallowrivers.bandcamp.com/

giovedì 16 gennaio 2014

Mournful Gust - For All the Sins

#PER CHI AMA: Death Doom Gothic, Tristania
A distanza di tre anni (ma allora si trattava di una compilation), ritroviamo sulle nostre pagine il granitico impasto sonoro degli ucraini Mournful Gust, band dedita ad un death doom stillato di venature gotiche. Come da copione per il roster BadMoonMan Music e Solitude Productions, è d'obbligo trovarsi fra le mani un esempio di musica che faccia di riff pesanti e growling da orco, il suo verbo. I Mournful Gust provano a togliersi di dosso questa insulsa e grigiastra patina di grigio e ci offrono un qualcosa che prova a prendere le distanze da quanto descritto sopra. Diciamo che alcuni degli elementi appena citati, ancora permangono nel sound evoluto di 'For All the Sins': "Sleeping With My Name" è la lunga opening track in cui ritroviamo il growling cattivo, qualche bel riffone pesante, ma anche splendide ariose aperture melodiche che scongiurano la possibilità di stroncare immediatamente il disco causa carenza di idee. Il ruolo fondamentale, per evitare questo spiacevole epilogo, è svolto dalle tastiere di Stanislav Mischenko e dal flauto di Inna Esina, che ci consentono di godere di suoni più raffinati e meno scontati. Certo che se poi vi faccessi ascoltare "Keep Me Safe From The Emptiness", senza dirvi di quale band si tratti, vi sfido, offrendovi 50 possibilità per indovinare quale band stiamo ascoltando. Eccolo forte quel senso frustrante di già sentito e risentito, prima che una serie di effettistica cibernetica e una voce pulita, mostrino una via d'uscita ai nostri che si stavano cacciando nell'ennesimo vicolo cieco. Ecco diciamo pure che 'For All the Sins" soffre di questa grave mancanza; mi spiego meglio. I suoi lunghi brani (meglio se la prossima volta stringiamo un po' i tempi) soffrono di palesi limiti di voler o dover stare all'interno di un tracciato sonoro dettato dal genere. Questo mi sfianca e innervosisce facendomi talvolta annoiare. Fortunatamente in soccorso dei nostri arrivano delle intuizioni che rendono molto più gradevole, addirittura entusiasmante il suo ascolto. Un break di basso (ascoltare "Falling in Hope" per capire meglio), l'utilizzo quasi pop rock delle sensuali vocals pulite, delle eteree voci femminili ("Until I'm Bright" o "Your White Dress"), un magistrale assolo o un break di violino, partecipano in coro alla buona riuscita di un lavoro che per un attimo ho temuto di dover stroncare ingiustamente. Buon come back discografico, anche se dopo cinque anni era forse lecito aspettarsi qualcosina in più. (Francesco Scarci)

venerdì 8 novembre 2013

GrimFaith – Preacher Creature

#PER CHI AMA: Gothic Rock Avantgarde, Him, 69 Eyes, Cradle of Filth, Lacrimosa
I GrimFaith sono una band ucraina attiva sin dal 2002 con 2 EP e due full lenght in bacheca. Quest'ultimo secondo lavoro completo è uscito quest'anno per la BadMoonMan Music. La musica dei nostri ruota negli emisferi plurimi del rock gotico sotto svariate e infinite direzioni, in modo tanto diversificato che all'interno di queste dodici tracce troviamo rimandi ai The Mission, agli Him fino ai Cradle of Filth più accessibili, passando per il gusto cabarettistico dei Soft Cell e Lacrimosa, Draconian, Type of Negative e in parte Katatonia. Una lunga fila di paragoni da prendere come esempio ma con le pinze, poiché il rock di forte impronta gotica dei GrimFaith è molto originale e ben fatto, stranissimo, complicato e orecchiabilissimo, dal forte "Sense of Humor", nerissimo come la pece, sfottente come solo i Damned di metà anni ottanta ("Pantasmagoria") riuscivano a essere e cinematograficamente dannato come solo i 69 eyes potevano nel brano "Devils" (ascoltatevi la splendida cover di Mick Jagger - "God Save Me" o "Preacher Creature" o "Dead in Soho"), glam come le band del movimento visual kei... Le composizioni si snodano in stili completamente diversi tra loro anche all'interno dello stesso brano mantenendo sempre un'ottima qualità e un valore d'ascolto notevole. In due tracce troviamo ospiti Anders Jacobsson e Lisa Johansson dei Draconian a rinforzare le fila già ben collaudate di questa stravagante band. Un collettivo che ha le idee chiare, un background di tutto rispetto e soprattutto la vincente visione di un gotico altamente teatrale, tecnicamente fantasioso e pieno di fresche nuove trovate, suoni che si rifanno alla new wave degli 80's e chitarrone rock, distorte e modernissime, una voce che passa dai registri degli Spandau Ballet (modello 'To Cut a Long Story Short" del 1980) alle intonazioni da rocker del miglior Billy Idol fino ad arrivare al growl e allo screming più drammatico e violento. Un album che non appare mai troppo cupo, intelligentemente perverso e con un sarcasmo macabro degno di un bel film ambientato nella fumosa Londra del signor Jack the Ripper, un album che traccia dopo traccia diventa sempre più avvincente ed interessante. Create un altare di velluto rosso sangue a questo piccolo gioiellino, gustatelo più volte in un calice d'oro con del buon vino rigorosamente rosso sangue, sfoderate il nero mantello e in compagnia di una stupenda dama nera visitate il gotico castello di 'Preacher Creature'. (Bob Stoner)

(BadMoonMan Music - 2013)
Voto: 75

http://www.grimfaith.com/