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mercoledì 29 gennaio 2014

Malevic - S/T

#PER CHI AMA: Post Rock, Post Grunge
È sempre bello avere tra le mani il cd di debutto di una band. Sembra di toccare un pezzo della loro anima, forgiato a dovere dopo mesi di lavoro, tra sangue e saliva, insulti e risate in faccia. Ma anche amici che si trovano e poi si perdono, ore di viaggio per rincorrere un sogno e poi finalmente ci sei. Tutto questo scorre tra le dita in pochi attimi, mentre sfioro il digipack dei Malevic. Bellissimo artwork che anticipa atmosfere cupe, ma che guardano al cielo per trovare la luce. Otto brani che raccontano un rock che si dipana tra il prog, l'alternative e un'evoluzione del grunge, dai suoni affascinanti che riportano alla mente i Tool (che tanto stiamo aspettando) e gli Isis, ma le somiglianze si fermano qua. I Malevic sono caratterizzati da una buona cura dei suoni, non lasciano nulla al caso, come gli arrangiamenti. Sempre azzeccati ed equilibrati per creare dinamicità, anche se i brani iniziano speso sommessi e poi esplodono. "Relic" è un esempio, bei riff di chitarra, un gran break di basso e batteria messo al punto giusto e il cantato che ammalia ad ogni singola parola (in inglese). Una sorta di preghiera moderna che non chiede perdono a nessuno e grida al mondo la sua presenza. Anche "Pipers of Vanity" colpisce per la sua complessità (nonchè durata), confermando la maturità dei Malevic e la loro propensione a scrivere pezzi con il massimo della cura possibile. I diversi cambi ritmici e melodici non stancano e soprattutto mostrano la flessibilità artistica di una band che non vuole fermarsi e invece produce ciò che un ascoltatore non sempre si aspetta. Probabilmente chi non ha un orecchio allenato può rimanere un po' spaesato, ma è ora di abituarsi ad altro e accogliere a braccia aperte nuove sonorità. L'album chiude con un brano tirato e aggressivo, sempre addolcito dalla linea vocale che non si lascia tentare dallo screamo o dal growl e continua per la sua strada melodica, dando maggiore spessore agli arrangiamenti. Concludendo, anche se a volte alcuni passaggi sono meno convincenti di altri, questo debut omonimo merita e lo consiglio caldamente a chi apprezza come me questo genere di sonorità. (Michele Montanari)

Cradle of Filth - Midian

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Gothic 
Una suggestiva intro di tastiere apre le porte di 'Midian', quarta release, datata 2000, della celebre band britannica. Il mondo mutante creato dalla fantasia dello scrittore Clive Barker ha ispirato non solo il titolo del cd ma anche le immagini che illustrano il booklet. Chi di voi ha letto "Cabal" o ha visto l'omonimo (e controverso) film, non potrà fare a meno di ripensare ai mostruosi Notturni nascosti nella sotterranea città di Midian... Venendo al contenuto prettamente musicale, l'unico difetto dell'album è la durata eccessiva di alcune canzoni, superiore in certi casi ai 6 minuti. Ciò non toglie che "Midian" sia, a mio avviso, un piccolo capolavoro. La produzione è impeccabile, i suoni curatissimi e nitidi, e gli strumenti sono sfruttati appieno. Da segnalare i brani "Chtulhu Dawn", "Death Magick for Adepts" e "Lord Abortion". 

(Sony - 2000)
Voto: 85 

martedì 28 gennaio 2014

Mord’A’Stigmata - Ansia

#PER CHI AMA: Post Black, Deafheaven
La Polonia nel tempo ci ha regalato gemme preziose in ambito estremo ed è la Pagan Records, stavolta, a beneficiarne. Nativi di Bochnia e formati nel 2004, i Mord’A’Stigmata riescono a fondere assieme il black più moderno con un numero considerevole di influenze tra le più disparate, tra cui spiccano psichedelia ed elettronica, elementi più dark e una spolverata di shoegaze, ma il mio invito è di lanciarvi voi stessi nella caccia al riconoscerle tutte. Il loro terzo lavoro, 'Ansia', può essere grossomodo così riassunto: sublime e proteiforme. Ottimo il connubio tra harsh vocals rauco-catarrose e parte musicale più black-oriented, una sezione ritmica precisa e mai esasperata (senza strafare, e non è poco), a supporto di un guitar working secco, essenziale, sempre ribassato, cupo ed arioso allo stesso tempo. Non paghi di tutto questo pregevolissimo lavoro, ecco che arriva il colpo di scena, laddove entra in campo l’emozionante vena più elettronica e sperimentale dei Nostri, inframezzata qua e la nelle varie canzoni. I primi tre lunghi pezzi coprono più dei tre quarti dell’intero disco, costruendo un unico movimento altalenante di luce (fioca, molto fioca) e tenebra. "Inkaust", "Shattered Vertebrae of the Zodiac" e "Pregressed" sembrano un mosaico, dove ogni tassello risulta perfettamente incastrato tra i circostanti, a formare un crudo, gelido e affascinante disegno a tinte fuligginose. La conclusione è affidata a "Praefactio pro Defunctis" (probabilmente il pezzo meno ispirato dell’intero album, ma comunque più che gradevole) e la title track, un’asfissiante rampa di lancio verso il nero, il cui unico difetto è, ahimè, la brevità. È ascoltando album come 'Ansia' che mi convinco sempre più di quanto meravigliosa sia la nostra musica preferita e dischi di tale fattura ne rappresentano solo un’ulteriore conferma. Ottima prova. (Filippo Zanotti)

(Pagan Records - 2013)
Voto: 80

https://www.facebook.com/mordastigmata

lunedì 27 gennaio 2014

The Soulscape Project - The Lifeless

#PER CHI AMA: Black, ultimi Satyricon
I The Soulscape Project sono una black metal band tedesca che emerge dalle viscere con questo EP intitolato 'The Lifeless Ep'; sembra fatto apposta ma il titolo descrive a pieno la situazione. In alcune parti troppo simile ai Satyricon di “Volcano”, con qualche incursione “Opethiana”, alle volte oscuro e in altri frangenti insensato, brevissimo nei suoi 16 minuti, questo EP sembra morto. Facendo un’autopsia del cadavere, scomponendo i vari strumenti, si nota come i riff siano in molte parti troppo scontati, così come per alcune soluzioni di batteria che a mio parere poteva anche esser registrata meglio; alla fine tutto suona oltremodo già sentito, sterile e senza vita propria. Questa è una forma di black metal urbano, ispirato al periodo postumo di un black che non riesce più a trascendere nemmeno se stesso e che rimane imprigionato in regole e stilemi che lo rendono meccanico e standardizzato, l’esatto opposto di ciò che era ai suoi albori. Molti musicisti, non capiscono che oggi i capostipiti del genere sono “obbligati” a produrre schifezze da un milione di dollari, hanno contratti grossi, devono sfornare album entro un tempo prestabilito, c’è molta pressione su queste persone e irrimediabilmente hanno perso gran parte dell’ispirazione. Per quale assurdo motivo una band appena nata dovrebbe attingere dalla morte stessa del black metal? Dovrebbero invece ringraziare di essere liberi da contratti e fama invece che emulare gli ultimi dissacranti Satyricon! Se proprio ci si dovesse ispirare a qualcosa, non sarebbe meglio ispirarsi al periodo florido del black metal e dotato di una buona dose di “anima propria”? In questo caso si riuscirebbe a produrre ancora un grande album come i capolavori del passato. Per concludere, se è da anni che seguite il genere e vi siete emozionati con 'Dark Medieval Times' vi consiglio di riascoltarvelo, eviterete cosi di perder tempo. (Alessio Skogen Algiz)

Revelations of Rain - Deceptive Virtue

#PER CHI AMA: Death Doom, Saturnus
Tornano i Откровения Дождя o per chi non masticasse il cirillico come il sottoscritto, stiamo parlando dei Revelations of Rain, che giungono al traguardo del quarto lp sotto l'egida costante della Solitude Productions, che ne accompagna i passi sin dal loro debutto. Li aspettavo al varco, dopo averne saggiato la prova, con esiti sicuramente positivi, nel precedente “Hemanation of Hatred”. In poco più di tre anni volevo capire se il quartetto moscovita, da sempre sostenitore di un death doom dalle tinte cupe e malinconiche, avesse qualche novità in serbo per i fan di un genere che sta vivendo, a mio avviso, una fase un po' calante del suo ciclo, complice una certa mancanza di idee, indispensabili ad un suo rinnovamento. C'è chi afferma che questa sia una forma musicale stantia che non potrà mai evolvere; io non sono d'accordo e rimango fiducioso di capire se almeno con il combo russo ci sono margini di miglioramento. Ebbene, non raggiungiamo le vette del passato, ma devo ammettere che 'Deceptive Virtue' ha da offrire qualcosa in più rispetto ai lavori dei propri compagni di scuderia. Ammiccando al sound di Saturnus (il top in questo campo) e ai più ruffiani Swallow the Sun, non tralasciando ovviamente gli insegnamenti dei maestri di sempre, My Dying Bride, i Revelations of Rain ci offrono sette song, una delle quali strumentali, che si dimenano tra il death doom più tradizionalista (“Chernye Teni“), a quello più straziante (“Dekabr II”) e incazzato (“Mezhdu Bezzhiznennymi Beregami” e “V Bezumii Velichie Tvojo”). Il quartetto di Podolsk sfodera un'altra notevole prova strumentale, in cui ad emergere sono i profondi vocalizzi growl dell'ospite Arsagor (Grey Heaven Fall), l'eccellente guitar work del bravo Yuriy Ryzhov e la rutilante cupezza delle sue ritmiche. Non aspettatevi tuttavia nulla di (ex)straordinario, i cinquanta minuti di 'Deceptive Virtue' rappresentano ad oggi quanto di più interessante sia lecito attendersi da questa scena funerea. Decadenti. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions – 2013)
Voto: 70

http://revelationsofrain.bandcamp.com/

sabato 25 gennaio 2014

Exhumed - Necrocracy

#FOR FANS OF: Goregrind, Autopsy, Avulsed
Having returned to glory in a big way with the stand-out 'All Guts, No Glory' a few years ago, gore-mongers Exhumed have offered up another exceptional splatter platter here with a fine mixture of their past and present. Still wringing their hands in the gore/grind trade with their propensity for intense, tightly-wound rhythms, technically-precise guitars and knack for bloody and disgusting lyrics, it feels right at home here amongst their early works but adds in an extra dimension here with a slight melodic flair in the riffing arrangement from time-to-time that breaks up the monotony slightly and brings in a newfound toy to play with despite still wanting to utilize what’s been in their toychest all these years. Bristling with stand-out drumming patterns from Deeds of Flesh skinsman Mike Hamilton who throws in a propulsive amount of double-bass lines and top-notch fills, they drive the speed that works in guitarist/vocalist/founder Matt Harvey’s wet, sloppy growl that still sounds as messy and disgusting as their heyday over a decade ago, and when it’s all wrapped together with a well-composed tendency to switch from simple thrashing to technical virtuosic displays and even the aforementioned melodic flair, there’s a lot to like here. Starting off with the spectacular "Coins Upon the Eyes," and carrying on through the title track, "Sickened," "(So Passes) The Glory of Death" and "The Rotting," it’s pretty obvious what’s going to happen throughout as we get razor-edge riffing, tight arrangements and blinding thrash-like speed merged together in one wholesale package, if anything on this release could be considered wholesome. Thankfully, there’s some fine originality to take place here as "The Shape of Deaths to Come" introduces those melodic interludes to keep the material broken up slightly, "Dysmorphic" offers a lengthy acoustic break in the middle of the track and the blistering "Carrion Call" offers something resembling a call-and-response chorus, a little-featured facet of their sound which is briefly featured for what must be the live experience. That said, the big flaw here is pretty much the fact that the band is pretty consistent in their approach and don’t really offer up much in the way of variation or really differentiating their music from each other as this gets pretty hard to really tell apart in the later half as it blends together really quickly here, but all in all this is some prime era material on this and definitely ranks high in their discography if this minor issue doesn’t matter too much. (Don Anelli)

(Relapse Records - 2013)
Score: 80

http://www.facebook.com/ExhumedOfficial

venerdì 24 gennaio 2014

Corpus Diavolis – Entheogenesis

#PER CHI AMA: Black, Immortal, Lord Belial, Belphegor
La band transalpina (Marsiglia) continua la sua decisa corsa verso il massimo della sua espressività con questo ottimo ultimo album di efferato black contornato da mirate sfumature d'avanguardia. L'album parte e procede velocissimo con una batteria al limite del potere umano e una voce molto presente, suoni ed atmosfere tesissime, oscure e demoniache all'inverosimile. Brani devastanti, carichi di pathos nero e taglienti, rasoiate letali e frustate violente che caricano l'aria di decadente elettricità. La carica cinematografica creata intorno e all'interno dei brani, con inserimenti d'atmosfera e strazianti grida stile film horror, rendono il tutto ancora più malignamente piacevole. L'effetto ricorda un po' il carisma che contraddistinse i primi Cradle of Filth, quelli dei primi album, anche se la band suona in maniera completamente diversa, decisamente meno melodica e più rude, mostrando i muscoli più che i denti finti da vampiro. Comunque una buona verve teatrale è presente in dose massiccia e il suono della band ne beneficia a dismisura. Le tematiche sono tutte rivolte alla dottrina oscura e l'artwork di copertina è curatissimo e molto bello, con un'arte grafica occulta e crepuscolare. L'album ottimamente autoprodotto è a livello sonoro di un livello superiore alla media e sfiora in taluni casi la perfezione. Strumenti in equilibrio che risaltano la capacità tecnica dei musicisti, una solista che taglia come una lama e per chiudere, il cd contiene un esaustivo booklet con le foto dei membri della band e i testi delle canzoni. "Sharp Moon Devil's Horns" racchiude in sè tutta la forza dei Corpus Diavolis: epici e violentissimi, ricchi di un substrato thrash con tanto di super assolo sparato a mille ed escursioni psichedeliche con voci di giovani donne in orgasmo demoniaco annesse che si evolvono in "Executors of God", dove la cadenza rallentata e il recitato angosciante tramano una cerchia teatrale degna del più nero dei riti occulti per poi tornare alla tempesta sonica con una ritmica incandescente alla velocità del fulmine. Degna di nota è anche la potente "Karma Convulsions". Un'opera decisamente completa, artisticamente validissima, un lavoro, e lo ricordiamo ancora una volta, autoprodotto, che può far rabbrividire certi lavori usciti su major. Da avere violentemente! (Bob Stoner)

giovedì 23 gennaio 2014

Slick Steve and the Gangsters – S/t

#PER CHI AMA: Rock’n Roll, Swing, Rhythm’n Blues, Swing, Tom Waits
Dalla biografia di questo quartetto bresciano (per tre quarti, dato che il cantante Slick Steve – al secolo Stephen Hogan – è madrelingua inglese) si legge che “il progetto è basato su una consapevole contaminazione artistica tra sonorità vintage e moderne, Swing, Rock’n Roll, Rhythm'n Blues e performance circensi, che spaziano dalla magia alla giocoleria”. A questo punto pare evidente che l’asso nella manica del gruppo debba essere la dimensione live, cosa che si intuisce anche dall’ascolto del loro cd d’esordio (molto curato, così come il loro sito web, per i quali va citata la collaborazione degli artisti di “Stilemio”), intriso di atmosfere ultra vintage, basate in particolar modo sulla personalità straripante del leader e il talento del chitarrista Alle B. Goode, in grado di mescolare blues pre-bellico, swing e rock’n roll primordiale alle parate di New Orleans e agli spettacoli circensi. La voce e lo stile di Slick Steve ricordano in più di un’occasione il primo Tom Waits, quello immerso nelle fumose notti metropolitane (si prenda ad esempio l’incalzante “Lazy Eyed Clown”), mentre i tre bresciani gli costruiscono attorno un groove di tutto rispetto, che a volte sterza verso i caraibi ("Ko Phangam Island"), il surf ("Wasted City") o il jazz dei primordi ("Small Reaction"). Si chiude con la delirante marcetta “Pink Elephants On Parade”, in cui un Tom Waits alle prese con le colonne sonore Disney si fonde al surf sporcato blues degno di Pulp Fiction. Disco molto ben suonato, ben registrato, che fa venire voglia di andare a sentire i quattro dal vivo, senza lasciarti però la spiacevole sensazione di avere a che fare con un prodotto monco quando spogliato del proprio contorno pseudo circense. Divertenti. (Mauro Catena)

Inferno - Omniabsence Filled by His Greatness

#PER CHI AMA: Black, Liturgy, Oranssi Pazuzu, Beherit, Marduk
Uscito per la Agonia Records nel 2013, l'album 'Omniabsence Filled by His Greatness' è l'ultima fatica della band Inferno proveniente dalla Repubblica Ceca. Forte del suo maestoso sound ipnotico, si offre all'ascolto come una full immersion dolorosa in un reame nerissimo e pieno d'insidie. La sua grazia occulta lo eleva dalla massa delle band black del sottosuolo, il suono è compatto e distinto, magmatico, omogeneo e mette in risalto la lunga esperienza della band, la cui prima released risale addirittura al 1996. Le chitarre sono intense e non tutto è finalizzato alla violenza bruta, anzi, possiamo dire che una forte componente melodica genera nell'ascoltatore un contatto diretto con questo album che rapisce per intensità e allucinazione. Una componente di nera psichedelia di casa Oranssi Pazuzu domina incontrastata, anche se il suono è più radicale, oltranzista e vicino ai Beherit o ai Marduk. I brani hanno tutti una lunga durata media che con "The Firstborn From Murk" supera gli undici minuti. Quest'album flirta senza nascondersi con la nuova scuola del post black metal, quella che vuole andare oltre e dare un futuro ed una evoluzione al genere. La cosa che rimane più impressa dopo l'ascolto è l'omogeneità e la compattezza dei brani, che costituiscono l'ossatura di un album da gustare nella sua interezza, che si esalta nelle parti più lente ma che non sfigura in quelle più veloci, pur mantenendo un'ipnosi sonica costante, servendosi di una voce demoniaca carica di riverberi oltre tombali. Un lavoro decisamente ben ragionato, intelligente. Una buona ricerca melodica delle chitarre, una scrittura musicale di tutto rispetto e una sensibilità psichedelica oltre misura, permettono a questa band di toccare vertici di eccellenza introducendo gli Inferno tra le grandi formazioni di psichedelia black, dai Liturgy agli Oranssi Pazuzu. Album consigliato, da non perdere! (Bob Stoner)

(Agonia Records - 2013)
Voto: 75

http://www.facebook.com/pages/Inferno

mercoledì 22 gennaio 2014

Jurica – Distant Memories

#PER CHI AMA: jazz/ambient/experimental, Karlheinz Stockhausen, Brian Eno
Jurica (Jelic) compositrice croata con numerosi lavori alle spalle, ha partorito questo album nel 2012 sotto l'ala protettrice della Alrealon musique. La cosa che più colpisce di questo lavoro è l'affinità compositiva con il jazz d'avanguardia pur parlando di computer music ed elettronica d'ambiente. Il suono è caldo, dilatato, aperto a mille rappresentazioni, ombre ed evoluzioni degne del miglior Eno in sede sinfonica che si uniscono al noise d'ambiente. La fantasia trova spazio e si cela su di un tappeto dal gusto jazz, come se stessimo ascoltando i Weather Report o i Soft Machine risuonati dai Kraftwerk con i suoni di 'Tabula Rasa' degli Einsturzende Neubauten. Il suono è profondo pregno di avanguardia, stravagante, improbabile, non si riesce mai a capire quale sia la direzione intrapresa ed alla fine il computer risulta avere un'anima, gentile, introspettiva e delicata, un robot dalle sembianze umane. Un album che infonde calore, dedicato alle persone che vogliono un suono ricercato ed intimista, quello intellettuale e creativo, vitale, un suono che stimola la psiche con le atmosfere calde della fusion più morbida, della ambient music più esotica e l'allucinazione del dub etnico più estremo. Quasi cinquanta minuti di viaggio interstellare di sola andata sulla luna, la psichedelia funge da astronave e la nostra mente è il passeggero... riusciremo a rientrare alla base sani e salvi? (Bob Stoner)

Oiseaux-Tempête - S/t

#PER CHI AMA: Experimental, Post-Rock strumentale, Ambient
Avevo già avuto modo di entusiasmarmi su queste pagine (virtuali) per l’esordio dei transalpini Les Reveil Des Tropiques, e non appena ho appreso di questo progetto, che vede Frédéric D. Oberland e Stéphane Pigneul – rispettivamente chitarra e basso dei LRDT - collaborare col batterista Ben McConnell, mi ci sono buttato a capofitto, devo dire con aspettative molto alte. E dico subito che le aspettative non sono state affatto tradite, tutt’altro. Da quanto si apprende dalle note biografiche, i tre hanno collaborato con la fotografa e filmaker Stephane C. autrice di fotografie e video che sono stati proiettati in studio durante le registrazioni del disco e in reazione ai quali è nata la musica. Il risultato è un imprevedibile e spiazzante monolite (per un’ora e un quarto di musica) oscuro, in cui flussi post-rock convivono con oasi ambient, field recordings e sfuriate rumoriste in grado di catturare immediatamente l’ascoltatore e proiettarlo in un altro tempo e spazio. Arrivati al termine di “Opening Theme” si è già completamente avvinti e catturati da un suono che sembra quello di un temporale che si avvicina da lontano, esplode e improvvisamente cessa, lasciando tutto nuovo, tutto più pulito. La sensazione che si ricava dall’ascolto è che ognuno dei tre musicisti abbia contribuito alla creazione di quello che stava avvenendo nel momento stesso in cui tutto stava nascendo, plasmando letteralmente una materia che sotto le loro mani diveniva solida, plastica. Le chitarre, di quando in quando liriche e pulite oppure usate per erigere un muro invalicabile (“Call John Carcone"), il basso rotondo, le percussioni potenti e allo stesso modo di stampo free, tutto sembra aver concorso in egual misura alla tempesta perfetta. Il centro focale del lavoro è "Ouroboros": 18 minuti drammatici, solenni, scurissimi; una trama quasi scarnificata per la prima metà, che si fa poi minacciosa nella seconda parte. Il centro di un buco nero che tutto inghiotte. Ma tutto qui è degno di nota, da “Buy Gold – Beat Song”, pulsante di suggestioni wave, al lento incedere cinematico di “La Traversée” e “La Nuage Noir”, che ricordano una versione più rarefatta, ma non meno inquieta dei Dirty Three, fino alle percussioni free di “Kyrie Eleison” E così si giunge al termine, dopo i 12 minuti della spettrale litania ambient “L’ile”, a volerne ancora, mai sazi, di questa energia scura, potente, vitale. Nel caso non si fosse capito, una delle cose migliori uscite nel 2013, senza dubbio alcuno. (Mauro Catena)

(Sub Rosa - 2013)
Voto: 85

http://www.oiseaux-tempete.com/

Sama Dams – No Vengeance

#PER CHI AMA: Indie, Post Rock, Jeff Buckley, Elliott Smith, Radiohead
I Sama Dams sono una band di Portland dedita ad un experimental, avant, indie, noise, post rock come citano sulla loro pagina bandcamp, tanto tanto indie e tanto post rock. I canoni non convenzionali delle strutture dei brani sono supportati da una voce incantevole. Un miscuglio di tonalità tra quella di Jay Aston dei Gene Loves Jezebel, Tom Yorke dei Radiohead e Jeff Buckley. Altra nota positiva è che sono ben raffigurati da una copertina molto indicativa per il genere musicale della band. Anche musicalmente i nostri curano molto l'aspetto emozionale e minimale del suono, una sorta di White Stripes ridotti all'osso e pesantemente riflessivi, senza mai abbandonarsi alla furia rock, restando puri ad una forma intellettuale e astratta di rock lunare, ritmato, ricco di suoni e destrutturazioni. Potremmo giudicare questo loro nuovo secondo lavoro, azzardando l'ipotesi di paragonare 'No Vengeance' all'album che i Radiohead avrebbero potuto fare dopo 'The Bends', se non avessero optato per una svolta più elettronica. Comunque, i tre giovani musicisti statunitensi suonano bene e sfoderano idee originali anche se a volte un po' bizzarre, allucinate e informali. La triade di brani iniziale è assassina, sicuramente da evitare per i troppo emotivi! Progressivamente si toccano lidi che sfiorano il pop d'alto rango e quello a sfondo pastorale, con un vocalist dalle potenzialità eccezionali, una voce irrequieta e affascinante, figlia del già citato Jeff Buckley all'ennesima potenza, velate sfumature jazz rock disossate e carica da musical, suoni di batteria super indie, distorsioni secche e ruvide, il soft noise e le visioni alternative country, l'ipnosi rubata alla musica di Nick Drake ed Elliott Smith. Questo album per i fan dell'indie supera ogni aspettativa e regala emozioni a raffica! Da avere! (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 70

http://sama-dams.com/