Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Viking. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Viking. Mostra tutti i post

mercoledì 8 febbraio 2017

Demogorgon - Dilemma. Revenge. Snow.

#PER CHI AMA: Black Ambient, Burzum, Enslaved
Il numero di band provenienti dalla Cina sta iniziando a crescere di giorno in giorno, merito anche della superpotenza dell'etichetta di Nanchang, la Pest Productions. Francamente, ritengo che questa ondata proveniente dall'estremo oriente sia cosa assai positiva, perché porta una ventata di freschezza ad una scena a tratti stagnante, grazie ai folklorici suoni della tradizione cinese. I Demogorgon sono una delle ultime realtà che compaiono sulle pagine del Pozzo, ma a dire il vero, alcuni suoi membri li abbiamo già incontrati in passato, in quanto l'ensemble include musicisti provenienti dai Zuriaake, Holyarrow e dai Destruction of Redemption. Ma entriamo più in profondità in quello che è il debut EP di questa band. Due le canzoni a disposizione, la lunghissima "Dilemma. Revenge. Snow." e la strumentale "Sadness Moon", per un totale di 25 minuti. Si inizia con le sonorità nordiche della title track, fatte di chitarre in tremolo picking, atmosfere fantasy, chorus epici, che potrebbero far pensare ad una qualche band scandinava dedita al viking metal, in stile Einherjer o Manegarm. I testi arrivano addirittura da una novella cinese sugli eroi marziali, "Fox Volant of the Snowy Mountain". Il risultato è ragguardevole, sebbene la produzione non sia proprio delle migliori. Quelle aspre cime innevate in copertina poi, la spada della back cover, i synth in stile Burzum con harsh vocals annesse, mi spingono a idealizzare la opening track come la melodia perfetta per le 'Cronache del Ghiaccio e del Fuoco', in un brano che tra passaggi ambient e stridori black, ha ancora modo di citare Enslaved e Windir. La seconda traccia si affida completamente al tepore dei synth, un po' come se il Burzum più minimalista, ipnotico e visionario, si mettesse a suonare una musica della tradizione cinese e con la melodia dell'ambient, riuscisse addirittura a dipingere le terre sconfinate di quella terra. Sicuramente l'esperimento riesce, grazie alla solennità dei suoi suoni e ad un incedere che va via via in crescendo, in un brano che altrimenti rischierebbe di suonare troppo ripetitivo. La colonna sonora per un qualche film epico in grado di ritrarre la Cina, la sua magia ed i suoi segreti. (Francesco Scarci)

martedì 18 ottobre 2016

Stormtide - Wrath of an Empire

#PER CHI AMA: Symph Death, Whispered, Tengger Cavalry
L'artwork del debut album degli Stormtide concede largo spazio alla fantasia: montagne incantate, templi e druidi, lasciano presagire ad un che di epico e fantasy che potrebbe tradursi in suoni power metal. Mai ipotesi fu cosi azzardata e soprattutto sbagliata dal sottoscritto. I sei australiani si lanciano infatti in sonorità death sinfoniche che incorporano pesanti elementi orientaleggianti. La title track apre le danze con un sound che in alcuni frangenti mi ha evocato i taiwanesi Chthonic e il loro black folklorico ricco di sonorità della cultura dell'estremo oriente o, per rimanere in Cina, la musica degli Stormtide potrebbe essere assimilabile a quella dei Tengger Cavalry, mentre se guardiamo in Europa, l'accostamento più plausibile sarebbe con i finlandesi Whispered ed il loro "samurai" sound. Fatto sta che gli Stormtide mi piacciono e mi convincono sin dal primo pezzo in cui, complice una ricerca spasmodica di melodie dell'estremo oriente, identificano le tastiere come elemento cardine su cui si vanno poi ad inserire tutti gli altri strumenti, compreso il growling del frontman, Taylor Stirrat. Certo, questo potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio per chi mal sopporta brani stracarichi di orchestrazioni sinfoniche, ma a quel punto meglio lasciar perdere e volgere la propria attenzione altrove. Qui tutto quello che dovete e potete aspettarvi, sono brani stracolmi di melodie che scomodano in un modo o nell'altro altre influenze derivanti dal viking ("As Two Worlds Collide") che chiamano in causa Einherjer e Amon Amarth. I nostri provano a essere un po' più aggressivi con robuste linee di chitarra ("Dawnsinger"), ma inevitabilmente si torna a cavalcare quello che è il genere che identifica gli Stormtide: un melo death aggressivo per ritmiche e vocals, corredato da fiumi di tastiere che guidano l'intero evolversi dei brani. Immaginate dei Children of Bodom in versione più orchestrale, anche se poi in un brano come "Conquer the Straits", i ragazzi di Melbourne hanno il merito di picchiare come fabbri e, sebbene le cinematiche tastiere rispolverino un non so che dei Bal Sagoth, ci ritroviamo fra le mani una traccia ruggente ed incazzata. La durata delle song si assesta quasi ovunque sui 4-5 minuti, permettendo una più facile memorizzazione delle stesse, sempre traboccanti di groove. La cosa che convince è poi un approccio musicale che volge il proprio sguardo all'heavy metal classico piuttosto che agli estremismi sonori di altri esponenti di questo genere. Anomalo il break di basso centrale di "Sage of Stars", che mostra una ricerca di originalità da parte dell'ensemble australiano, in un genere ove è parecchio difficile inventarsi qualcosa di mai sentito. In fatto di liriche, inevitabile che i testi contengano storie di rovina (la ballata folk "Ride to Ruin"), eroismi ("A Heroes Legacy") o gesta malvagie. 'Wrath of an Empire' non può che essere un album epico che trova ancora il tempo di sorprendere con quella che è la mia canzone preferita, "Ascension", non la song più veloce del lotto, ma quella che a suo modo, trova anche punti di contatto con il black metal. Il disco si chiude con un pezzo, "The Green Duck", che invece sembra strizzare l'occhiolino ad un viking/power che, per quanto mi riguarda, non apprezzo più di tanto, ma che comunque non modifica il mio personale giudizio di un disco che, pur non presentando grandi novità, ha comunque il merito di coinvolgerci per oltre 42 minuti di buona musica. (Francesco Scarci)

sabato 23 luglio 2016

Krigere Wolf/Waldschrat/Notre Amertume/Antiquus Scriptum - The Beginning of the End

#FOR FANS OF: Black/Death/Viking/Pagan
Gathering four bands together, this new split effort containing Italian black/death upstarts Krigere Wolf, Austrian black/folk metal newcomers Waldschrat, internationally-based atmospheric black metal group Notre Amertume and a lone track from Portuguese black/Viking metallers Antiquus Scriptum for a wholly enjoyable mixture and variety present. Starting with Krigere Wolf, their pummeling mixture of frantic tremolo-picked black metal with the dexterous tempo-changes and rather pounding rhythms here makes this quite a ferocious beast, making their swirling tremolo patterns at the forefront to create a dynamic and wholly-enjoyable up-tempo assault that rattles along at consistent speeds for maximum impact and devastation while still managing to successfully incorporate the sprawling majestic melodies in the appropriate manners for the perfect augmentation to the ferocity presented elsewhere. This is easily the best band on the split and really has a lot to like with their three blistering tracks. ‘War's Ancestral Prophecies’ uses an atmospheric intro that gives way to furious swirling riff-work and pounding drumming holding the frantic tempos along throughout the extended rhythms with sprawling atmospheric patterns off-set with the crashing drumming into a majestic epic makes for a fine opener. ‘Come to Die with Us’ takes rattling drumming and intense swirling riff-work pounding along through a series of frantic and intense rhythms pounding along through the tight rhythms full of swirling tremolo patterns and pounding drumming for a wholly dynamic and engaging highlight. Their last effort, ‘Supreme Energy of the Universe’ slowly moves through a sprawling opening into a frantic full-throttle series of blasting drumming and ferocious swirling patterns in the riff-work for a rather tight, ferocious series of patterns for a great conclusion to their efforts. With Waldschrat, again the omnipresent use of swirling tremolo patterns is at the forefront though instead there’s a far more pronounced blend of folk-influenced arrangements for the riffing. This still carries itself along quite well with plenty of strong and truly ferocious rhythms presented here, but the blasting tendencies are cut in favor of melodic swirling patterns and rather looser-fitting arrangements that are given a raw edge to the overall work with some great harmonic lines throughout which helps this out infinitely more to give another dynamic impact to the music. Some of the longer sprawling sections seem to go on far longer than they really should but overall there’s a lot to like here.‘Wer Wind sät…’ features tight, raw swirling tremolo patterns and utterly relentless drumming carrying the bouncy tempos along through the raging riff-work blending a series of ferocious patterns along into the frantic pounding tempos and charging tempos for a rather impressive highlight. ‘Die Ruhe vor dem Sturm’ uses a lighter series of rhythms and tight drumming to blast away at a fine mid-tempo charge with the more fervent melodic riff-work and lighter drumming making a far more relaxed and folk-leaning series of rhythms in a highly enjoyable effort. ‘...wird Sturm ernten’ crashes into a melodic mid-tempo series of swirling patterns and tight drumming careening along with majestic melodies and a series of frantic, simple drumming that brings the rawer riffing into play during the rather extended sprawling sections for another strong effort. Up next is Notre Amertume and the international project is the clear weak-link in this offering. The simplistic, sluggish nature of their tracks is hardly impressive next to the other works, and their cliched use of celestial-influenced arrangements, plodding drumming and lethargic doom-like sprawling sections predominant in their music isn’t that enjoyable with numerous other bands attempting those elements at far more pronounced and enjoyable mixtures. The main impetus holding them back is the lethargic, lifeless doom-like paces that don’t really give them much room to really express their atmospheric patterns and in the end their three contributions are on the whole eminently skippable. ‘Cella Serpentibus’ slowly works through a simple series of grand majestic patterns and heavy thumping rhythms that sluggishly lurch along to the melodic celestial swirling riffing with plenty of strong, heavy lines throughout leaving it a decent enough offering. ‘Tartaros’ features a simple, crushing pace with celestial swirling patterns and tight sluggish paces with plenty of simple rhythms carrying alongside the rather lame spoken-word section and letting the sluggish patterns continue on into the finale for a decent effort. ‘Le Sand d'Ouranos’ features a far stronger and tighter series of thrilling arrangements that keeps a far heavier and more dynamic series of riffing along the beginning before lowering into the rather lame spoken-word section and bringing the crushing doom-like paces along for a somewhat fun if again overall decent effort. Finally, Antiquus Scriptum contributes just a lone track, which is a highly enjoyable one even with all the different elements thrown into it. There’s symphonic keyboards, medieval-sounding horn-blasts, swirling tremolo riffing and more in the near-twenty-minute effort, and it does seem like overkill given the track has no need to go that long and really could’ve been trimmed down into a more digest form. Still, the generally up-tempo pace and convergence of influences makes for an overall fun time here and overall there’s a lot of rather enjoyable work here as there’s at least one or two sections present to appeal to most fans.‘Primordium / The Skeptic Beholder’ blares along with triumphant horn-blasting and pounding drumming that turns into utterly relentless tremolo riffing and full-throttle blasting drumming with a tight, heavy crunch and simplistic rhythms that continually swirl along into the epic lengths for an overall fun time here. (Don Anelli)

(Fallen-Angels Productions - 2015)
Score: 80

martedì 12 luglio 2016

Toska - S/t

#PER CHI AMA: Black Epic, Windir, Melechesh, Enslaved
Partiamo da un assunto che potrebbe influenzare questa mia recensione sin dall'inizio: amo l'Islanda, come luogo, come storia, come attitudine, come popolo, ancor di più dopo le ultime vicende calcistiche degli Europei di Calcio. L'Islanda ha stupito tutti, non solo per l'exploit della sua nazionale ma per quella spinta emozionale della loro gente, espressa attraverso l'ormai celebre, e ahimè copiato, "geyser sound". Avrete pertanto intuito che la band di cui andrò a parlare arriva proprio dalla terra dei vulcani, celebre soprattutto per quell'esplosione di Eyjafjöll nel 2010 che investì dapprima l'isola nordica e poi l'intera Europa, con le sue nubi di cenere. I Toska arrivano da quel luogo primordiale, magico aggiungerei io, coperto di ghiaccio e nel cui interno invece ribolle lava. Le analogie tra la musica del combo islandese e la propria terra si sprecano lungo le sette tracce di questo vibrante EP. Una breve intro e poi ecco le palpitanti melodie e scorribande sonore di "Night I - Algid Gales", tre minuti di incandescenti ritmiche tra funambolici suoni black e parti folkloriche. Il disco potrebbe essere assimilabile ad un'unica traccia che prosegue con "Night II - Throbbing Tumulus" e le sue serrate ritmiche punkeggianti, tra misteriche vocals in background, deflagrazioni disarmoniche che però ben si amalgamano nel sound schizofrenico dei Toska, in un condensato sonoro che rievoca lo spettro dei Windir, lo sublima con influenze alla Melechesh, lo estremizza con le nuove forme di post black americano e lo arricchisce con il sound pagano dei conterranei Árstíðir Lífsins, in un lavoro quasi unico. Gli amanti di sonorità black sperimentali, si faranno deliziare dalle chitarre di "Night III - Iced Spectres" e dalle sue parti atmosferiche che collidono con aperture di furia vertiginosa. Un temporale in lontananza echeggia nella quinta ambientale "Spirits Of The Winter Moon" che preannuncia lo scatenarsi degli agenti atmosferici in "Night IV - The Howling Descent", song dotata di un aura primordiale che si manifesta nelle nevrotiche ritmiche, nella ferocia dei suoi arrangiamenti e nella struggente malinconia delle sue melodie ataviche. L'ultima "Notte" è affidata alla maestosa epicità di "Night V - Blizzard Tales" e al suo piglio battagliero che sfocia dapprima in una cacofonia musicale che si altalena fra parti più atmosferiche (in stile Fleurety) e nuove ondate di flusso magmatico. Un'ultima curiosità: le liriche si ispirano al poeta e drammaturgo polacco Tadeusz Miciński, tra i precursori dell'espressionismo e surrealismo in Polonia. Pericolosi. (Francesco Scarci)

(Eihwaz Recordings - 2016)
Voto: 80

https://toskabm.bandcamp.com/album/toska-2

giovedì 30 giugno 2016

The Apparatus - Heathen Agenda

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Black Sperimentale
A volte mi domando per quale assurdo motivo i gruppi scelgano nomi brutti, buffi o assurdi da pronunciare o da scrivere. Gli Apparatus, ennesima dimostrazione di questo trend, appartengono certamente alla prima categoria, de gustibus. Continua la nostra rassegna alla scoperta di vecchi album e oggi ci troviamo di fronte ad una band norvegese, proveniente da Trondheim, che si proponeva di suonare una sorta di “Melodic Extreme Metal”. Nati nel 1999 e dopo essere stati di supporto a bands del calibro di Mayhem, Deicide, Vader e Keep of Kalessin, il sestetto scandinavo si è autoprodotto questo 'Heathen Agenda' nel 2004, lavoro che ha catturato l’attenzione della inglese Dream Catcher Records che ne ha ristampato l’album e gli ha permesso una distribuzione più consona. Il genere proposto dai ragazzi, è un death/black/doom atmosferico, vagamente influenzato dagli Ancient Wisdom, dai primi Fleurety, dalla stramberia dei Ved Buens Ende e dal viking metal, ma anche da un certo groove assai ispirato; insomma c’è né per tutti i gusti. L’album, pur non godendo di una produzione cristallina, è piacevole da ascoltare e soprattutto costituisce l'unica uscita ufficiale prima dello scioglimento della band nel 2005. Assai godibile è l’ottimo lavoro del bassista, ispiratosi fortemente al grande Steve Di Giorgio; la batteria invece appare leggermente ovattata, mentre le chitarre imbastiscono riff non del tutto ortodossi, ispirati appunto alle disarmonie dei Ved Buens Ende. Infine le vocals spaziano dal growl a tonalità leggermente più alte. La musica del combo norvegese è sofferente, malata, con passaggi atmosferici e meditativi, grazie all’abile lavoro ai synths di Per Spjøtvold (ora negli Atrox), che ci permettono di tirare il fiato e rituffarci nella follia degli Apparatus. Un album sicuramente acerbo che lasciava trasparire tuttavia grandi sviluppi per il futuro, peccato... (Francesco Scarci)

(Dream Catcher Records - 2004)
Voto: 65

https://myspace.com/theapparatus

domenica 26 giugno 2016

Skoll - Grisera

#PER CHI AMA: Black/Epic, Bathory, Summoning
Skoll. Abbiamo avuto modo di recensirli con la loro ultima release, 'Of Misty Fire We Are', di fare due chiacchiere interessanti con M (the bard) in un'intervista qui nel Pozzo dei Dannati, e ora ho pensato di riesumare il precedente album, 'Grisera', che segnava il ritorno sulla scena del "bardo" (nel 2013), dopo ben cinque anni di silenzio dal secondo lavoro, 'Misty Woods'. La versione in mio possesso (l'edizione coreana della Fallen Angels Productions), a differenza dell'edizione europea edita dalla Ewiges Eis Records, include anche la bonus track "The Bard", ma andiamo pure con ordine. Iniziamo la nostra carrellata da "Grush", una song che palesa in modo lapalissiano, l'amore viscerale di M nei confronti dei Bathory (come dichiarato anche da lui stesso in sede di intervista) e della loro epicità dei tempi migliori. Arpeggi acustici, cori epici, lo stesso vento che soffiava in 'Twilight of the Gods' e le sue aperture ariose, sottolineano la vena ispirata degli Skoll. Quello che mi lascia un po' perplesso è semmai una produzione un po' approssimativa che penalizza enormemente il risultato conclusivo, anche se magari è una cosa voluta appositamente per restituire alla musica, quello spirito genuino che è andato perduto nel corso degli anni. La title track continua la sua opera di rievocazione dello spirito di Quorthon, questa volta affidando l'evocazione ai testi in italiano, al suono di quello che credo essere uno scacciapensieri e all'arrembante proposta di M, che tuttavia affida la seconda parte del brano ad una emozionante parte acustica, in cui ad emergere è il violino di Laura. Con "Hrothahaijaz" a venir fuori è la componente più atmosferica degli Skoll, in un black metal mid-tempo, influenzato da Summoning ed Emperor, per un risultato comunque interessante. Di nuovo brividi di piacere corrono lungo la mia schiena, grazie ad un breve inserto di violino che introduce a "Wolves in the Mist", prima che i toni si facciano un po' più accesi, in una canzone che tuttavia stenta a decollare. Giungiamo infine alla bonus track, "The Bard", che oltre a mostrare una registrazione casalinga, sembra essere un messaggio diretto di M, colui che canta del tempo andato, degli eroi dimenticati e dei miti perduti. Epici. (Francesco Scarci)

(Fallen Angels Productions - 2013)
Voto: 70

https://www.facebook.com/BandSkollIta

martedì 17 maggio 2016

Skoll - Of Misty Fire We Are

#PER CHI AMA: Black/Pagan
Mi domando per quale motivo nessuno in Italia abbia dato una chance agli Skoll. Stiamo parlando di una band attiva nell'underground italico da più di vent'anni, fautrice di un black pagano che affonda le proprie radici nella tradizione folklorica nostrana. Che esce però per un'etichetta coreana e qui sta l'anomalia. Ci hanno comunque visto bene gli amici della Fallen Angels Productions a prendere sotto la propria egida l'act piemontese, che nella propria line-up vanta peraltro membri ed ex di Opera IX, Huginn e The True Endless, tanto per citare solo alcuni nomi. Il nuovo 'Of Misty Fire We Are' segue a distanza di tre anni 'Grisera', che ben aveva impressionato per il suo epico viking black. La sensazione con il nuovo disco è quella di immergersi nella desolata brughiera e li attendere, anche se non so cosa esattamente. E l'evocazione della opener "La Luna del Lupo", oltre a richiamarmi per mal celati motivi, 'Il Trono di Spade', è alla fine un epico e malinconico inno alla Luna e al suo essere in totale equilibrio con quanto di naturale stia sotto la sua luce. Il sound è quello di sempre, capace di miscelare un po' tutte le componenti black, pagane e vichinghe che da sempre contraddistinguono la band di M. e soci. "Into the Misty Forest I Go" è una tiratissima traccia di black thrash in cui a mettersi in luce è il martellare incessante del drummer Mayhem e a sorprendere invece una seconda parte dai forti connotati folk, sia a livello musicale che vocale. "Teutoburgo" è la narrazione di una battaglia, tra il fragore delle armi e le urla dei guerrieri, il tutto cantato rigorosamente in italiano (ma non è la sola traccia del disco ad utilizzare il nostro divin linguaggio), in un epico sound che può essere facilmente accostabile a quello degli Spite Extreme Wing. "Exercitus Antiquus" presenta invece un'importante componente atmosferica, fin qui tenuta in secondo piano, ma che qui assolve invece il ruolo predominante nell'economia di un brano che probabilmente per intensità emotiva, incedere doom e per il contenuto delle liriche, si conferma la più oscura del lotto. Non la mia preferita però, rappresentata piuttosto dalla successiva "Misty Mountains", con quel suo sound a metà strada tra Primordial e i Dimmu Borgir di 'Enthrone Darkness Triumphant', in cui la voce di M. si diletta tra l'evocativo e un growl sempre facilmente comprensibile. Arriviamo a "La Tempesta degli Elementi", il penultimo pezzo dei disco e non possiamo che rimanere piacevolmente colpiti dal suo incedere minaccioso, sorretto da sprazzi tastieristici che si contrappongono alle possenti trame ritmiche. A metà brano arriva anche il vento a sferzare con potenza l'aria, riuscendo addirittura a suggestionarmi e indurmi brividi di freddo, prima che il pezzo si infuochi nella sua seconda metà tra decadenti melodie e cupi fraseggi. A chiudere il disco ci pensa la breve ma efficace "Eternal Path" che in pochi minuti riassume l'epica e suggestiva strada imboccata dagli Skoll. Dei pagani! (Francesco Scarci)

(Fallen Angels Productions - 2016)
Voto: 75

https://www.facebook.com/BandSkollIta

domenica 31 gennaio 2016

Blot – Ilddyrking

#PER CHI AMA: Viking Pagan Folk Black Metal, 
Sulla pagina facebook di Pagan Storm Webzine, la band norvegese dei Blot era in lista per la corsa alla vittoria tra i migliori album pagan folk black metal del 2015. A ragione e in pieno merito si aggiudicano il nostro plauso per aver dato vita ad un album veramente entusiasmante, dal suono fiero e guerriero, prodotto divinamente e in totale indipendenza. Caricate quindi le vostre armi e spiegate le vele che cavalcheremo i mari a bordo di una qualche nave vichinga alla ricerca di conquista, sorretti da una colonna sonora di tutto rispetto, gelida e tagliente e dotata delle dovute diramazioni acustiche cariche di suggestioni disseminate negli angoli dei nove insidiosi e aggressivi brani ("God of War" è una gemma in tal senso). Tutti i pezzi ivi contenuti sono violenti e velenosi, velocissimi e carichi d'atmosfere bellicose, con lo screaming micidiale, cosi come la batteria e i riff di chitarra. La lunghezza dei brani è moderata e consente un ascolto molto easy dell'intero lavoro, molto impegnato ma piacevole e fluido. Attivi dal 2007 e provenienti da Kristiansand, non dovrete confonderli con l'omonima band di Oslo; i nostri dopo aver fatto uscire un EP nel 2009, si rivolgono ora al grande pubblico con un full length, ricercato e curato nei dettagli, pieno di carattere, e pronti per uscire dai sotterranei dell'immenso oceano del black metal a sfondo epico, pagano e folk alla maniera di Nordheim, Tyr, gli immancabili Bathory, Bifrost e primi Enslaved. L'anima dei Dissection è intrinseca nel DNA di questa band norvegese e la cover di "Where Dead Angels Lie", usata come bonus track in fondo al cd, ne è la dimostrazione e la conferma di quanto il loro suono paghi il tributo alla band svedese, risultando comunque, sempre originali, genuini ed interessanti. I Blot sono alla fine un'ottima band, dalla struttura saldamente legata alle origini di questo genere ma in grado di mostrare un lato più versatile e carismatico, un'alta qualità d'esecuzione e una certa padronanza tecnica, in un lavoro egregio contenente cinquantadue minuti di cristallina e gelida potenza. Immancabile l'ascolto per i guerrieri più puri del pagan metal. (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 80

giovedì 9 luglio 2015

Árstíđir Lífsins - Aldafödr Ok Munka Drottinn

#PER CHI AMA: Black/Viking/Folk, Einherjer, Primordial, Enslaved 
Non mi stancherò mai di ribadire come la Ván Records rappresenti un indiscusso sinonimo di eccelsa qualità. L’abbiamo visto recentemente con band del calibro di Macabre Omen, Sulphur Aeon o i nostrani Caronte, lo confermo oggi con il come back discografico degli impronunciabili islandesi Arstidir Lifsins e del loro terzo album, uno splendido doppio lavoro in formato digipack, dal semplicissimo titolo ‘Aldafödr Ok Munka Drottinn’. Il disco, che vanta anche un raffinato booklet interno tra testi in lingua madre e traduzioni in inglese, affronta le consuete tematiche legate alla mitologia nordica, che rappresentano la principale fonte di ispirazione del terzetto islando-germanico. Cinque le tracce comprese nel primo cd di questa eroica saga, che apre con la lunga “Kastar Heljar Brenna Fjarri Ofan Ǫnundarfirðinum” che narra la storia dei fratelli Hoskuldr e Sigfùss, muovendosi tra furibonde cavalcate black e intermezzi di epica narrazione, con le voci che si alternano tra un selvaggio screaming e un parlato narrativo che tornerà anche nei seguenti brani. Proprio all’inizio di “Knǫrr Siglandi Birtisk Á Löngu Bláu Yfirborði” infatti, vi è infatti un racconto introduttivo di Marsél Dreckmann (membro dei tedeschi Helrunar). Poi le spade vengono brandite al cielo, gli eserciti allestiti per la guerra e quello che posso immaginare nella mia fantasia, è il momento che anticipa la battaglia e gli inni che vengono intonati prima di essa, con la musica che si muove tra suggestioni cinematiche, scorribande black e frangenti ambient. Il fragore delle armi irrompe nella malvagia “Þeir Heilags Dóms Hirðar”, song black mid-tempo che ha modo di esibire fantastici intermezzi acustici che ne placano l’incedere violento e funesto, in una lunga evoluzione di quasi 14 minuti. Con “Úlfs Veðrit Er Ið CMXCIX” immagino di contare i morti sul campo di battaglia, complice l’avanzare greve all’insegna di un doom drammatico e solenne che da lì a poco evolverà verso lidi di rabbia furente, interrotta solo dal calar delle tenebre, che si manifestano con un ridondante suono di chitarra acustica e voci narranti in sottofondo che raccontano le gesta di antichi eroi. “Máni, Bróðir Sólar Ok Mundilfara” sembra suonare interlocutoria, quasi come un ponte che colleghi il primo disco al secondo che va a prepararsi. I cadaveri dei caduti vengono bruciati e le loro anime che si dirigono verso il Valhalla, celebrate con i canti folklorici di “Tími Er Kominn At Kveða Fyrir Þér”. Le ostilità riprendono con “Norðsæta Gætis, Herforingja Ormsins Langa”, song che mostra qualche richiamo ai Primordial e sembra dotata di un forte sentimento vichingo. Si continua a mantenere alta la tensione con “Bituls Skokra Benvargs Hreggjar Á Sér Stað”, altro esempio di come si possa combinare black, viking, epiche melodie, folklore e doom, senza rischiare di stancare l’ascoltatore. A chiudere ‘Aldafödr Ok Munka Drottinn’ ci pensa la mesta melodia di “Sem Lengsk Vánar Lopts Ljósgimu Hvarfs Dregr Nærri” che nella mia mente rappresenta il ritorno a casa dei pochi fieri sopravvissuti alla guerra. Arstidir Lifsins, un gradito ritorno. (Francesco Scarci)

(Ván Records - 2014)
Voto: 80

mercoledì 6 maggio 2015

Himinbjorg - Wyrd

#PER CHI AMA: Pagan Black Progressive, Enslaved
Li ho persi di vista per parecchio tempo, lo devo ammettere, addirittura dal 2005 quando uscì 'Europa'. Sono trascorsi 10 anni e neppure mi sono accorto che fosse stato rilasciato nel 2010 'Chants d'Hier, Chants de Guerre, Chants de la Terre...', un lavoro quasi totalmente trascurato dalla critica, ma che ho fatto mio quanto prima, per rimediare alle mie mancanze. Tornano gli Himinbjorg, che io ho imparato ad amare con 'Haunted Shores' (al pari di 'The Mantle' degli Agalloch), con il loro settimo full length, dal semplice titolo 'Wyrd'. Ci rituffiamo quindi alla scoperta di tempi lontani, in cui la fierezza dei popoli si manifestava in guerre di conquista per assoggettare popoli rivali. Ecco in sintesi la proposta pagana del quartetto transalpino, che si muove tra le linee di un viking black epico e maestoso. Una breve intro e poi "The Sword of Dignity" apre le danze richiamando i Bathory più ispirati, gli Enslaved più potenti e il duo Falkenbach/Agalloch nella loro veste più bucolica. La proposta del combo di Chambéry è più che mai convincente, alternando rasoiate estreme, coadiuvate da vocalizzi abrasivi (stile Immortal) a frangenti in cui è la solennità della musica a ergersi sopra a tutto. Suscitano notevolissimo interesse i ragazzi della regione del Rodano-Alpi, anche quando attaccano inviperiti con un rifferama mordace, quello di "The World of Men Without Virtue - The Circle of Disillusion", song che trova la sua summa quando è una visione più evocativa dei nostri a prevalere e lo screaming cede il passo a eroici chorus o declamanti parole in francese, mentre sul fondo, le meravigliose melodie vengono disegnate da tipici strumenti folk, che creano naturalistiche atmosfere. Un break acustico mi rimanda all'impareggiabile 'Haunted Shores', per non parlare poi dello splendido assolo che chiude una traccia che ha lasciato solo brividi sulla mia pelle. Un inizio alla Primordial per la quarta "The Circle of Warriors", song assai ritmata, una sorta di inno alla guerra che richiama nei suoi cori gli ultimi Enslaved, forse la band a cui i francesi tendono maggiormente col proprio sound. Splendido il finale poi, affidato alle melodie delle cornamuse. Si torna a picchiare che è un piacere con "Initiation", ove la furia imperversa sovrana attraverso vertiginose scorribande black e in cui il dolce suono di un flauto si palesa a metà brano e duetta con quello delle vibranti cornamuse, mentre le chitarre impreziosiscono una prova già di per sé meravigliosa. Coadiuvati da una eccellente produzione, gli Himinbjorg si affidano al black progressive di "The Mirror of Suffering - The Circle of Ghosts" per stupire i propri fan (e i nuovi che verranno): la song è oscura e minacciosa con Zahaah alla voce, che sembra abbandonarsi quasi a un rituale sciamanico. Quell'effetto sciamanico che rivive anche e soprattutto in "The Shamanic Whisper", cosi come indica il titolo, ed esalta l'animo guerriero dei nostri in una traccia dai contorni iniziatici. Un bell'intermezzo strumentale etno-folk con "Another Shore" e si arriva alla conclusiva "The Eternal Light", pezzo mid-tempo che decreta il ritorno in grande stile degli Himinbjorg, per cui prometto fin d'ora di non perderne più le tracce. Voi fate altrettanto e ascoltate senza esitazione 'Wyrd', una vera e propria epopea sonora! (Francesco Scarci)

(European Tribes - 2015)
Voto: 85

mercoledì 29 ottobre 2014

Sverdkamp - Fraa Ryfylke

#PER CHI AMA: Black Viking Epic, Otyg, Tyr, Finntroll, Einherjer
Virile pagan viking black metal per l'album 'Fraa Ryfylke', debut autoprodotto composto da cinque brani per un totale di una ventina di minuti, di questi norvegesi Sverdkamp. La band si forma nel 2010 per mano dei due musicisti Nattsvart e Venomenon, che in questo primo mini suonano egregiamente tutti gli strumenti e si prestano degnamente anche al canto. "Til Strid" apre le danze violentemente e mostra l'attitudine guerriera dei nostri con cori barbari che ricordano i mitici Otyg, un'interpretazione molto teatrale, rude e crudele corredata da una struttura melodica e una ritmica devastante. Nel brano che segue si avverte la presenza del fantasma macabro e burlesco dei Finntroll, con la sua vena canora da taverna oscura, risate e cori osannanti un imminente attacco. Il rimando ai Tyr e ai loro momenti epici lo si può percepire in 'Hymne til Heimlandet', mentre il quarto brano si delinea per un inizio glorioso e incalzante, una cavalcata che sfocia in un black metal guerrafondaio, insano ed incestuoso con un rumorosissimo epic metal dall'ardore preso in prestito dai grandissimi Equilibrium. Per il gran finale, gli Sverdkamp si affidano ad un attacco frontale che condensa e consolida il sound underground della band, aggiungendo la saggezza del verbo pagano degli storici Menhir con la melodia e l'aggressione sonora da tipica band guerriera. Magari i nostri impavidi vichinghi non saranno innovativi e originali ma il loro angolo di personale rivisitazione del genere lo hanno trovato e la loro salda nicchia di estimatori non tarderà a venire se al full lenght ci arriveranno con questa verve tritatutto. Onore e gloria! Ottimo debutto. (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Sverdkamp

sabato 4 ottobre 2014

Eldjudnir - Angrboða

#PER CHI AMA: Black/Doom
La Danimarca ultimamente sta riscoprendo il verbo nero del black metal. Dopo il recente debutto di "Miss" Myrkur, ecco vedere finalmente stampato dalla cinese Pest Productions, il full length dei Eldjudnir che vide in realtà la luce nel 2012 sotto forma di cassetta e che oggi finalmente gode di una più larga distribuzione (e migliore produzione) grazie all'etichetta di Shanghai, ma soprattutto, il formato è quello giusto (almeno per il sottoscritto), il cd. 'Angrboða' consta di cinque pezzi che si aprono con la dirompente title track che mette in chiaro immediatamente come stanno le cose: il quartetto di Copenhagen ci scatena contro un black ammantato di sonorità nere come la pece che trovano fortunatamente la brillante idea di concedere un certo spazio anche a momenti più epici e dal flavour vichingo. Non è infatti un caso che il nome dei nostri si rifaccia alla tradizione nord europea, cosi come i titoli dei brani richiamino creature della mitologia norrena. Con la seconda traccia, "Jörmundgandr", a fronte di un rallentamento della sezione ritmica, c'è da segnalare una maggior cupezza nelle atmosfere, quasi catacombali, ad opera del 4-piece danese. Un sound sordo, al confine con lo sludge/doom, che trova comunque modo di vivacizzarsi con qualche pestilenziale sfuriata black e qualche chorus epico. Il disco avanza sinuosamente con "Hel", la dea degli Inferi, figlia di Loki (dio dell'inganno) e di Angrboða, una gigante il cui nome significa "presagio del male", che abbiamo già incontrato all'inizio del disco. Il suono malefico del brano, il suo incedere lugubre e spettrale, va molto vicino nel dipingere la figura negativa della divinità; ciò che mi colpisce maggiormente nella traccia è un break centrale quasi tribale che lo rende assai più interessante. Arriviamo a "Bundinn" e le atmosfere apocalittiche (ma dall'approccio decisamente più melodico) a tratti litaniche, la fanno da padrone, conducendoci mentalmente dinanzi a un rito sacrificale che si teneva durante le cerimonie vichinghe. La song conclusiva, "Fenris", si presenta come la più infernale e completa dell'intero lotto, in cui blast beat, screaming vocals, ritmiche convulse, frangenti etnici e macabre atmosfere oscure, coesistono in una lunga traccia della durata di più di 11 minuti. In conclusione, 'Angrboða' è un lavoro che pur non inventando nulla di nuovo, lascia intravedere qualche buono spunto da parte degli Eldjudnir, anche se dopo una carriera decennale, probabilmente era lecito attendersi qualcosina in più. (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2014)
Voto: 65

martedì 16 settembre 2014

Ymir's Blood - Voluspa Doom Cold Stone

#PER CHI AMA: Thrash/Viking, Sadus, Sabbat, King Diamond, Venom
Vi è qualcosa di esageratamente metal nel sound di questa band finlandese al proprio debutto con questo EP, dal titolo 'Voluspa Doom Cold Stone'. Un lavoro di circa venticinque minuti diviso in quattro brani di media lunghezza, uscito nel 2014 via Archaic Sound. Un'orgia sonica plasmata con ferro e acciaio per un'ode alle divinità nordiche, lontana dal mainstream anni luce, figlia degenera dei migliori Sabbat con reminiscenze a la King Diamond, un'attitudine maligna a la Venom e un orgoglio glorioso a la Manowar. Niente epic metal in termini canori ma una voce roca e violentissima urlata in faccia come se si trattasse di un pugno ben assestato e una musica carica di rudi retaggi black metal filtrati dalla pesantezza del doom, anche se i ritmi non rallentano mai così tanto. Il trio predilige atmosfere claustrofobiche e oscure con una certa verve punk/ hardcore old school al vetriolo, il tutto è tanto ruvido e volutamente lacerato e si prende con la forza una buona credibilità, proiettando l'ascoltatore dritto in un campo di battaglia medievale con alabarda e scudo pronti all'uso. La costruzione dei brani ricorda molto il grande King Diamond per il suo classicismo compositivo e per certi aspetti la cadenza ed il mid-tempo da puro classico del metal vintage style, dona all'intero disco un'omogeneità e una fluidità d'ascolto esagerata, pur tenendo conto di un ambiente sonoro che di per sé è molto ostico. Buono l'artwork e la produzione, mirata ad esaltare la sonorità acustica e naturale di tutti gli strumenti che godono di un equilibrio perfetto e di una forza d'urto reale, violenta, nuda e cruda. Prende vita in questo lavoro una nuova veste del defender tout court, intrappolato nell'epicità classica ma espressa con sonorità vicine al thrash europeo più sanguigno e realista, con una propensione verso Celtic Frost e Sadus, dal tono perennemente drammatico, sobrio e arcigno. Un nuovo modo di fondere le varie correnti metalliche senza risultare sterili e inconcludenti. Ottimo lavoro! Ascolto consigliato a tutti quelli che si sentono vicini alle saghe vichinghe! (Bob Stoner)

(Archaic Sound - 2014)
Voto: 80

lunedì 17 marzo 2014

Circsena - S/t

#PER CHI AMA: Black Folk Atmosferico, Agalloch, Menhir 
E' decisamente controverso il mio giudizio sull'album in questione per tutta una serie di motivi: partendo da quello negativo, posso dire che non mi piace la grafica fantasy troppo elementare della cover cd e della pseudo brochure che lo accompagna. Tuttavia considero una bella trovata proprio quella della brochure, che narra la storia della band teutonica, ne ritrae i suoi componenti in modo stilizzato, descrive i brani track by track, narra la epica storia alla base di questo cd ed infine ne riporta i testi. Insomma, i nostri hanno già fatto tutto da soli, probabilmente non sarebbe necessario neppure il mio commento, ma quando serve un giudizio obiettivo, eccomi materializzarmi per voi. 'Circsena' è un EP di quattro pezzi che apre con il dolce flauto di "Wandering Above the Trees and Moors" che palesa immediatamente l'amore del duo della Sassonia per un viking black folk mid-tempo, carico di melodie nordiche abbinate ad un riffing mai troppo pretenzioso e ai vocalizzi graffianti di Daniel Kirchhoff. Un che dei primi Einherjer o dei connazionali Menhir, emerge dai solchi di questo self titled EP. Con "The Sleeper" ci si ritrova nel bel mezzo della foresta, ne percepisco l'odore del muschio e delle rocce bagnate. L'atmosfera è rilassata e quasi sognante: si tratta di una song strumentale in cui a mettersi in evidenza è il pulsante suono del basso e di una chitarra che ricama psichedeliche ambientazioni che mi conducono a "Here I Am", terza traccia di questo interessante lavoro. Una song che ha abbandonato quasi del tutto gli umori vichinghi della opening track (fatto salvo per il break centrale), e che sembra piuttosto aver abbracciato un sound molto più vicino a 'The Mantle' dei maestri Agalloch. Meravigliose (e malinconiche) le linee di chitarra, ottimi i suoni bucolici nella sua parte centrale e spiazzante la comparsa delle eteree vocals della guest Janina Jones a creare un ambientazione ancora più sognante; azzeccatissima infine la scelta dei cambi di tempo. Ottime le tastiere che con un bel riffing ritmato, aprono la conclusiva "The Age of the Dryads Pt.1", song di breve durata che mette in luce altre analogie con i gods di Portland, e che fanno balzare i Circsena in testa alle mie preferenze all'interno di questo genere. Non so se siano la risposta europea agli Agalloch, sinceramente me lo auguro, perchè Daniel e Jens Wallis di talento ne hanno da vendere. Sono certo che di risposte ne avrò a breve, visto che questo EP è preludio ad altri due cd in arrivo che continueranno la saga del potente regno di Dryad. (Francesco Scarci)

(Self - 2013) 
Voto: 75 

sabato 15 febbraio 2014

Fortid – Voluspà part III Fall of the Ages

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Black Viking, Borknagar, Tyr, Enslaved
Fortid è una band islandese accasatasi in Svezia e dedita ad un sound decisamente vichingo figlio della musica di Bathory, Tyr e Borknagar con una spiccata attitudine al black metal dei primi Enslaved. Guidati dal vocalist Einar “Eldur” Thorberg, ex Thule e Potentiam, i nostri ci porgono questo lavoro del 2009 uscito per la Schwarzdorn Production e terza parte di un triplo concept sulla saga del 'Völuspá' (La profezia della veggente) che è il primo e più famoso poema dell'Edda poetica. La saga vichinga sulla storia della creazione del mondo e la sua futura fine narrata da una veggente che parla ad Odino del declino e della rinascita del mondo degli dei, il Ragnarok. La musica dei Fortid mette radici in tutte le direzioni prese dal genere oscuro, dal black d'avanguardia a quello sinfonico, dal più atmosferico e melodico della stupenda "New Dawn", che supera ogni aspettativa e suona come un capolavoro (la mia preferita) dove la voce pulita di Eldur spopola per maestosità e intensità fino alle velocissime cavalcate epiche ed i mid tempo di "Heltekinn", la malinconia di "The Future" dove la capacità espressiva della band trova un altro apice che ricorda l'infinita tristezza degli In the Woods e dei 3rd and the Mortals in una forma esasperata e devastante, senza dimenticare la buia psichedelia di Wolves in the Throne Room e la sperimentazione dei Sòlstafir. Maestosi e astratti come nell'iniziale "Ancient Halls", moderni nella concezione e nella sonorità come in "Ragnarok Army from the East", intelligenti e potenti, sognanti ed epici come in "Equilibrium Reclaimed", guerrieri e bardi... Un album di tutto rispetto per una band veramente completa. Un piccolo gioiello! (Bob Stoner)

(Schwarzdorn Production - 2010)
Voto: 80

http://www.facebook.com/fortid

domenica 26 maggio 2013

Vredehammer - Pans Skygge

#PER CHI AMA: Black/Epic, Falkenbach, Borknagar, Amon Amarth, Behemoth
I norvegesi Vredehammer sono già una band di culto pur avendo all'attivo solamente tre EP, di cui uno appena uscito e datato 2013. “Pans Skygge” è l'album che lo precede del 2012 ed è composto di cinque brani potenti e carichi di feroce black/death metal macinato a dovere, targato Obscure Abhorrence Productions. La fama di cult band è comprensibile per i Vredehammer, che si fanno notare fin dalla grafica fumettistica/noir che ricorda le avventura di Jack lo Squartatore, anche se qui è ritratto con un martello insanguinato, praticamente un richiamo al loro nome che più o meno tradotto dal norvegese fa: Ira del martello (!?!). Dai titoli i nostri cantano in madre lingua e lo fanno con gusto come del resto la qualità della produzione è più che buona, molto coinvolgente con marcate venature di classic metal, viking metal e prog metal ma con virate ad un sound moderno, dinamico e coinvolgente. L'intro cinematografico dal titolo “Oktober” ci proietta in una città nebbiosa e umida dove sicuramente succederà qualcosa di molto grave e sanguinoso. La successiva velocissima e sinistra “Misantrop” apre le danze con un sound efficace studiato ad arte per far scuotere la testa, con quei cori puliti ed epici in stile Borknagar o Falkenbach e quella doppia cassa da pole position. Tutti i brani scorrono senza intoppi e si lasciano ascoltare di getto anche le parti più progressive sono di sicuro interesse come gli assoli che non mancano di stupire e farsi notare. L'intero lavoro ruota sulla conciliazione e l'equilibrio perfetto di suoni moderni e metal di classica fattura, con innesti d'atmosfera e ipnotici pilotati da cori cupi e profondi. Il cantato possente e ruvido rende tutto molto curato e credibile, le tastiere e lo sporadico e moderato uso di soluzioni ed effetti elettronici accrescono la credibilità di questo bel disco, un mix tanto originale e potente di epic/black/death metal norvegese che soddisferà tanti palati fini. Attendiamo con ansia di recensire il nuovo EP dal titolo “Mintaka” e magari al più presto il primo full lenght di questa fantastica band perché questo “Pans Skygge” dura circa ventuno minuti e noi di musica così ne vogliamo di più! Molta di più! (Bob Stoner)

(Obscura Abhorrence Productions)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Vredehammer

lunedì 1 ottobre 2012

Kråke - Conquering Death

#PER CHI AMA: Black Symph., Dimmu Borgir, Old Man's Child 
Signori, ho il piacere di annunciarvi che il black metal sinfonico non è ancora morto. A tenerlo in vita ci pensano infatti i norvegesi Kråke che, ereditata la pesante eredità dagli Emperor e dagli ultimi Dimmu Borgir, mostrano al mondo che c’è ancora spazio per dire qualcosa in questo genere ormai logoro. E io non posso che goderne. Devono averla pensata come il sottoscritto anche quelli della Indie Recordings, da sempre label lungimirante (penso ad esempio agli Enslaved), che ha dato la chance ai nostri di rilasciare questo album. La solita tastieristica intro dà il la al cd e poi ecco esplodere il melodico symph black dei nostri, che parte piano piano, mostrando addirittura una certa vena viking, con dei chorus che sarebbero più azzeccati in release di band quali Thyrfing o Amon Amarth, ma “… And a Colder Breed” lascia ascoltarsi lo stesso e anzi devo dire che mi piace parecchio; nel frattempo, l’album ingrana ed incrementa poco a poco la sua base sinfonica con la malinconica “Hearts Blood”, mentre l’aggressività si accresce con l’incipit di “Ed”, una song decisamente ben strutturata e complessa, che passa dall’arrembante prologo, tipicamente black, passa attraverso un mid-tempo ragionato, fino ad evolvere a coordinate più progressive. L’eco degli Enslaved lo si riesce cogliere nel corso dell’ascolto, ma anche quello dei Dimmu Borgir meno ruffiani (“Enthrone Darkness Triumphant”), cosi come pure l’influenza dei già citati paladini del viking, grazie a quelle epiche atmosfere, corredate da qualche tastierona e atmosfere da battaglia. Bombastica e assai curata anche la produzione, tipico per questo genere di uscite: il lavoro ci regala difatti un suono pieno, cristallino e potente, da godere assolutamente con le cuffie conficcate nelle orecchie. Per carità non è poi tutto oro quel che luccica, in quanto “Conquering Death” talvolta perde smalto in qualche frangente e rischia di gettarmi nel torpore (ad esempio nella strumentale “Snowfall”), ma niente paura, perché il diabolico quintetto scandinavo, si rialza velocemente e con fierezza, piazzando qualche bel colpo ben assestato, come “The Gatekeeper” o la sognante ultima traccia, “I Ly Av Lyset”, cantata rigorosamente in lingua madre, e che segna la fine del primo positivo capitolo targato Kråke. Ci sarà da sistemare ancora qualche cosina, per risultare più convincenti e meno ridondanti. Direi che per ora mi sento di consigliare il lavoro agli amanti di sonorità, si estreme, ma assai melodiche. Da tenerli sotto stretta osservazione, perché la band ha le carte in regola per vincere. To be continued… (Francesco Scarci)

(Indie Recordings) 
Voto: 75 

sabato 25 agosto 2012

Warseid - Where Fate Lies Unbound

#PER CHI AMA: Viking/Progressive, Amon Amarth, Cynic
Sicuramente mi sto spingendo veramente in profondità nell’underground per fare cosi fatica a reperire informazioni sulle band che sto recensendo nell’ultimo periodo; poco importa quando è poi la musica a parlare. Oggi è il turno dei vichinghi statunitensi Warseid, proveniente dal Wisconsin, la cui proposta è di sicuro legata alla tradizione nordica europea, in quanto le quattro tracce di “Where Fate Lies Unbound” richiamano Odino e il Valhalla, e le ormai mitologiche battaglie nelle lande scandinave. I Warseid sono i nuovi portabandiera del viking metal oltreoceano, mischiando nel proprio sound, feroci cavalcate death con l’epico ardore che ha reso grandi gli Amon Amarth e il risultato, che talvolta trascende l’ordinario, sconfinando addirittura in preziosismi techno death, ha del miracoloso. Quattro brillanti tracce, per poco più di trenta minuti, che si esplicano attraverso le quattro parti che costituiscono il concept che si cela dietro questa release, in cui una larga componente folk vede trovar posto in “Frost Upon the Embers”, mentre il sound dei Warseid strizza l’occhio ai Cynic in “The Vengeance Pact”, dimostrando l’ampia ecletticità ed intelligenza di questi baldi ragazzoni che salgono alla ribalta con una proposta articolata, originale, variopinta e ricca di spunti interessanti, in grado di prendere facilmente le distanze dai ben più famosi colleghi svedesi (o finlandesi, per cui mi vengono in mente i Thyrfing), arrivando ad insinuarsi in territori che probabilmente appaiono ancora del tutto inesplorati: difficile infatti immaginarsi un death ipertecnico, brulicante di accenni folkish (soprattutto nella lunga e bucolica conclusione di “Farewell” dove tra flauti, archi e strumenti tipici della tradizione folk, i nostri ne combinano di tutti i colori), progressive, black (ma solo per lo screaming di Logan Smith che si contrappone al cantato pulito di Joe Meland) e partiture heavy classiche, in cui i nostri abilmente si districano. Ottimo convincente lavoro. Da risentire quanto prima con una release più lunga, per valutare se i tempi sono già maturi per etichettare i Warseid come dei veri e propri fenomeni… (Francesco Scarci)

martedì 1 maggio 2012

Oskoreien - Oskoreien

#PER CHI AMA: Black, Ambient, Burzum, Agalloch
Una band Americana, che suona viking metal e che viene prodotta da una label cinese? Ecco uno degli esempi più azzeccati della globalizzazione e di quanto anche in ambito musicale, anche la Cina stia emergendo prepotentemente. Gli Oskoreien sono una one man band californiana, guidata da tal Jay Valena, che sembrerebbe essere un grande patito della mitologia nordica, a tal punto da chiamare la propria band come l’orda di anime morte che vagano tra il regno dei vivi e quello dei morti, una sorta di limbo della religione cristiana cattolica. E a fronte di un nome cosi epico, ecco che il nostro tuttofare statunitense, ha rilasciato il proprio debut omonimo che ci guida, un po’ come Virgilio con Dante ne “La Divina Commedia”, in un dimenticato mondo senza tempo. Tra le mani mi trovo un classico esempio di cascadian black metal, quella forma di black naturistico, primitivo, epico e sognante che sta prendendo forma e sostanza nella Western coast grazie, in primis ad act quali Agalloch e Wolves in the Throne Room. E proprio da queste grandi band, gli Oskoreien traggono spunto, arricchendo la propria proposta con sfuriate in stile Burzum, con aperture atmosferiche da capogiro, incursioni acustiche, melodie astrali e ataviche che riempiono con somma gioia il mio cuore pulsante. Cinque splendide tracce, che unendo la furia tipica del black con le chitarre tirate, suonate con l’immancabile tecnica del tremolo, agganciate ad un efferata batteria stracolma di blast beat sin dall’assalto frontale dell’opening track “Illusion Perish” che mette in evidenza immediatamente l’attitudine “wild” dei nostri, complice anche le demoniache screaming vocals del mastermind. Quello che poi solleva l’elementarità della proposta, sono quelle invasioni barbariche, epiche che conferiscono una certa solennità ed un’aura di mistero a questo enigmatico lavoro, dalla copertina alquanto inusuale per un lavoro black. Lampi post rock, accenni di psichedelia e frangenti ambient, completano il quadro di un album che ha il pregio di avere molte cose da dire. Da ricercare accuratamente sul sito della Pest Production, un’etichetta, che certamente ce ne farà sentire delle belle in futuro. Intanto godiamoci appieno questi Oskoreien, godibilissimi! (Francesco Scarci)

(Pest productions)
Voto: 80