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venerdì 4 marzo 2022

Monolithic - Frantic Calm

#PER CHI AMA: Death/Hardcore
Se l'idea di una traiettoria musicale che scaturisce dagli sbaciucchiamenti death grind dei Napalm Death di 'Scum' (ad esempio in "Nemesis") per giungere al deathcore peace-n-love dei Converge (udibile in "Payback") con tanto di doom-lentone da slinguazzata sul divanetto mentre il doppelganger di Chuck Palahniuk mastica i vostri intestini ("No Way Out"?), magari transitando attraverso metanfetamiche cavalcate analog-hardcore (i quasi 200 bpm di "Into Dust") e ipervoltaiche tempeste psych-jam stile tool-divorati-da-un-branco-di-cinghiali-klingoniani (la sorprendente "Cry Out"), possa stimolare a dovere i vostri nauseabondi gangli necrotici, allora questo secondo album pubblicato dalla band composta da due jötunn al basso e alla chitarra e un kråken alla batteria, potrebbe avere su di voi lo stesso effetto piacevolmente anestetizzante del gigantesco Uomo della pubblicità di Marshmallow sulla mente di Ray Stantz. Ascoltate questo disco violentissimo, increduli del fatto che due membri della band su tre, abbiano conseguito una laurea in musica classica e jazz presso il conservatorio di Trondheim. Un posto dove a questo punto vi sconsiglio di mettere piede. (Alberto Calorosi)

(Stickman Records - 2015)
Voto: 70

http://kennethkapstad.no/

domenica 30 gennaio 2022

The Mummies - Death by Unga Bunga!!

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Punk/Garage Rock
Un'acufenica e praticamente inascoltabile discarica di singoli e ritagli assortiti buttata giù a passeggiata di cane da parte della più ortodossa, fracassona e strafottente band della intera ultraortodossa, iperfracassona e strastrafottente scena garage/surf/revival californiana fineottanta/inizio'novanta. Produzioni eterogenee, barattolose, meteoritiche, sguaiate. Tantissimo garage (tipo "I'm Gonna Kill My Baby Tonight"), tantissimo surf (tipo "A Girl Like You" e "Die!") e una conclamata, rivendicata, ostentata inettitudine nei confronti di qualunque forma di armonia, intesa nell'accezione più ampia del termine. I musicisti sono ignare mummie, i costumi di scena sono bende di tela, gli strumenti solo scomodi sarcofagi musicali. Tutti i vinili pubblicati a suo tempo, vale a dire nei primi novanta, dai Mummies riportavano la scritta "fuck cd", ciò che apparirebbe hipsterosamente snob oggigiorno, eppure nel booklet di questa compilation postuma avrete il piacere di individuare una iconoclastica "fuck vinyl ha haa". Non è sufficiente per affezionarsi al progetto, ma è un inizio migliore di altri. (Alberto Calorosi)

(Estrus Records - 2003)
Voto: 58

http://www.themummies.com/

mercoledì 5 gennaio 2022

Closure in Moscow – First Temple

#PER CHI AMA: Indie/Prog Rock
Poco tempo fa avevamo presentato la ristampa, ad opera della Bird's Robe Records, dello splendido primo disco di questa band australiana, amatissima in patria e capace con questo secondo album intitolato 'First Temple', di arrivare al primo posto in classifica, come miglior album nella categoria hard rock/punk indipendente, agli AIR awards del 2009. La band alla fine del 2008, si sposta in blocco negli Stati Uniti per continuare la fruttuosa collaborazione con il produttore Kris Crummett, che già nel precedente, 'The Penance and the Patience', aveva dato alla luce un ottimo debutto per la giovane band di Melbourne, che in questo modo rinvigorisce il proprio sound, aumentando il cast degli strumenti usati e la qualità di produzione, per un lavoro che risulterà più elaborato, levigato al meglio, meno spigoloso e più accessibile, coloratissimo come la sua splendida copertina, variegato e di moderna visione, un mix perfetto per non passare inosservati e creare una sorta di marchio di fabbrica definitivo per i Closure in Moscow. Un modo di vedere il prog rock contaminato da visioni psych, hard rock, indie punk, con suoni caldi e profondi, voci che incantano e una timbrica sempre pulsante. L'intensità della musica, che in tutte le sue diversità di stile, viene proposta e sviluppata ovunque nel modo migliore, mostra una capacità di esecuzione e di composizione al di sopra della media (ascoltatevi "Afterbirth" e ditemi cosa ne pensate!). Una proposta musicale che non mostra lacune, che si fa ascoltare a tutto tondo senza perdere mai lo smalto, brano dopo brano, ed anche se il suo aspetto risulta essere evidentemente volto al mainstream, niente lo rende banale o derivativo, anche oggi che ha superato il decennio di vita dalla sua prima uscita, via Equal Vision Records e Taperjean Records nel 2009. I richiami sono al solito rivolti ai The Mars Volta, ai Coheed and Cambria e ai Pain of Salvation, avvolti da un'aurea di indie intelligente e fresco alla Byffy Clyro (stile 'Infinity Land'), ma tutto filtrato dall'amore per il prog rock dei seventies ed il virtuosismo acrobatico spalmato all'interno delle coloratissime composizioni, in perfetta sintonia con la classe della band di Claudio Sanchez e soci. Fa scuola il brano "Arecibo Message", una canzone dalle potenzialità enormi. Un disco che all'ascolto risulta accessibile ma assai complicato, divertente e sofisticato allo stesso modo, un album pretenzioso, anche a livello stilistico (non tutti si possono permettere un brano in acustico come "Couldn't Let You Love Me"), ma studiato con un sound fresco ed evoluto, per essere ascoltato con facilità e valutato come un piccolo gioiello, anche dopo numerosi ascolti, un album che supera a pieni voti le aspettative degli amanti del genere. Album da non perdere assolutamente. (Bob Stoner)

mercoledì 15 dicembre 2021

Kavrila - Mor

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore/Doom, Down
Dopo averci deliziato con il sound intelletualoide dei Dying Hydra, la Narshardaa Records ci prende ora a schiaffoni con i tedeschi Kavrila e il loro nuovo album 'Mor'. Dieci pezzi, dieci schegge impazzite di hardcore e non solo, per un totale di 28 minuti di suoni a dir poco caustici. Ci avevano già impressionato con l'uscita, peraltro sempre quest'anno, di 'Rituals III', e i nostri tornano a colpirci con questo nuovo capitolo in cui nel primo pezzo, "Watershed", la sensazione è quello di farsi la doccia con una bella dose d'acquaragia ed il loro classico concentrato abrasivo di punk hardcore. Con "Halfway Vanished", le carte in tavolo vengono ribaltate anche se la prima metà (sto parlando di un paio di minuti complessivi) si mantiene nei paraggi del punk, mentre la seconda si muove dalle parti di un dronico e asfissiante doom. Con "Nebula", la proposta sembra invece includere un mix tra i primissimi e acidissimi Nirvana, e ancora punk e post-hardcore. Più robusto e sludgy il sound di "The Facts", sebbene quelle arcigne vocals ci ricordino sempre da dove i nostri musicisti teutonici arrivano. Più ritmata e gradevole "Tremor", sicuramente meno "supposta in culo" rispetto alle precedenti tracce e per di più con un inedito break atmosferico che prende parecchio le distanze dai primi pezzi. Esperimento interessante. Un bel basso di pink floydiana memoria ("One of These Days") apre invece la title track, la song più varia e divertente del lotto, grazie a quel suo bel piglio melodico che colpisce dritto nel segno. Carta igienica con effetto carta vetrata invece per le sonorità killer di "Flay", e quel suo sporco punk nella prima parte, mentre si presenta oscurissima e pesantissima nella seconda metà. Il disco ha ancora da regalare la stralunata "Endocardium", cosi ricca di groove, "RIP" che ci assale con un violentissimo attacco thrash e in chiusura, ecco "Retribution", il pezzo più lungo del disco, ma anche quello più melodico, apparentemente ruffiano, ma che mantiente comunque intatto lo spirito indomito hardcore dei nostri con quel loro fare tra Entombed e Down che sembra non passare mai di moda. Ben fatto ancora una volta. (Francesco Scarci)

(Narshardaa Records - 2021)
Voto: 75

https://narshardaa.bandcamp.com/album/kavrila-mor

martedì 14 dicembre 2021

Malota - The Uninvited Guest

#PER CHI AMA: Punk/Hard Rock
Dici Go Down Records, dici hard rock. Ormai il nome della label romagnola è diventata sinonimo di uscite in territori garage/desert/punk rock. E cosi non sono da meno questi veneziani Malota, che i più attenti ricorderanno per il loro EP omonimo uscito nel 2015, all'insegna dello stoner e il successivo 'Космонавт', più votato a sonorità doom/space rock, di cui francamente non ricordo dato che inizio a perdere neuroni a grappoli. Decido quindi di avvicinarmi ai nostri con tutta l'apertura mentale di cui dispongo. E cosi fra le mani mi ritrovo questo 'The Uninvited Guest' che ci prende a sportellate con il suo selvaggio e sfrenato mix tra hard rock, punk e noise, come suggerito peraltro dal flyer informativo dell'etichetta. E il punk in effetti lo ritroviamo già nei primi secondi dell'opener "Lampedusa", quasi una sorta di tributo ai Sex Pistols, prima di virare verso sonorità ben più robuste. Ma sarà in realtà un'alternanza tra i due generi che si esplica attraverso svariati cambi vocali in concomitanza del genere proposto, che troverà un terzo e più ipnotico cambio sul finire del brano. Più ritmata "Anti-social" con il suo mood di motorhediana memoria, che a me non fa proprio scapicollare, ma che per una serata di pogo sotto il palco potrebbe anche essere efficace, giusto per scaricare un bel po' di adrenalina accumulata in questi mesi. Molto interessante "Ministers of Fear", con quella sua apertura un po' più sperimentale, quasi di scuola System of a Down, che s'intervalla con sgroppate più feroci ma sempre molto orecchiabili, decisamente il mio pezzo preferito di 'The Uninvited Guest', quello più originale di sicuro. Si, perchè con la successiva "The Queen, the Lady" si torna a respirare quel mix musicale, ormai marchio di fabbrica dei nostri, fatto di punk e hard rock. La chiusura del dischetto è affidata alla title track, una song che mostra invece un lato più post grunge dei Malota (chissà perchè mi sono venuti in mente gli Stone Temple Pilots ascoltandola) tenuto sin qui in soffitta, rivelandosi qui dritti, un po' acidi, ammiccanti ma sempre assai graffianti, anche laddove forse la band finisce per incartarsi a livello ritmico. Alla fine 'The Uninvited Guest' non è affatto male, certo non un disco da grammy ma un lavoro che si lascia comunque piacevolmente ascoltare. (Francesco Scarci)

lunedì 11 ottobre 2021

Aorlhac - Pierres Brûlées

#PER CHI AMA: Punk/Black, Windir
Li avevo io stesso recensiti nel 2018 i francesi Aorlhac (mi raccomando ve lo ricordo nuovamente, si pronuncia "our-yuck") con il terzo capitolo della loro trilogia, 'L’Esprit des Vents'. Li ritrovo oggi con questo 'Pierres Brûlées', che ci dice quanto la band originaria di Aurillac, sia più in forma che mai e la Les Acteurs de l'Ombre Productions non può che sfregarsi le mani. L'intensità palesata dai nostri in questa nuova opera ha infatti del miracoloso con la forza d'urto della opening track, "La Colère du Volcan", pari a quella dei vulcani (islandesi e ora anche quello delle Canarie) che stanno sprigionando pericolosamente sulla Terra. E quindi non possiamo far altro che lasciarci travolgere dalla colata lavica eruttata dagli strumenti di questo quartetto transalpino attraverso le sfuriate epic black che non faranno certo prigionieri. Il disco, brano dopo brano, si conferma una strepitosa cavalcata, che trova i suoi punti di forza nella sontuosa eleganza ed epicità trasudata dalle note malinconiche della seconda "Au Travers de Nos Cris", il mio pezzo preferito, spoilero subito, forse perchè il brano più lungo e strutturato del lotto, ma anche quello più completo e nelle cui chitarre conclusive, sento quella magia pagana dei Primordial e che avevo apprezzato nei dischi di un'altra delle band del batterista, quel K.H. che milita anche negli Himinbjorg. Insomma, l'esperienza accumulata in questi anni di militanza nell'underground da parte dei membri degli Aorlhac mi sembra abbia pagato e questo sia il positivissimo risultato. Vi raccontavo quali fossero poi i pezzi che più mi hanno esaltato e aggiungerei l'esplosività delle chitarre della terza "Vingt Sièges, Cent Assauts", quasi una versione black dei Motorhead miscelata con l'epic dei Windir, in un brano sparato alla velocità della luce. Di "katatonica" memoria invece l'incipit di "Nos Hameaux Désespérés" anche se poi le vocals, la linea delle chitarre, e il drumming furioso in blast-beat, ci conducono in realtà da tutt'altra parte, anche se questa song alla fine suonerà un po' meno frenetica delle precedenti. "La Guerre des Esclops" è un altro bel pezzo, scaraventato a tutta velocità con le sue urticanti chitarre (a tratti taglienti, in altri frangenti più compassate), le caustiche vocals di Spellbound (un altro che abbiamo apprezzato recentemente nei Jours Pâles) e una batteria fragorosa che sembra la classica contraerea nei cieli di Baghdad della Prima Guerra nel Golfo. Interessante sentire come nella seconda parte del brano, le chitarre citino i Cradle of Filth in un vorticoso maelstrom sonoro. In chiusura la title track e gli ultimi travolgenti e acidi minuti di questa release punk black, ove a mettersi in luce sono le chitarre (ottimo assolo peraltro) e la voce qui nel suo formato più epico che stempera quella devastante porzione ritmica in grado di lasciarci semplicemente senza fiato. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 76

https://ladlo.bandcamp.com/album/pierres-br-l-es

lunedì 13 settembre 2021

De Press – Block to Block / Product



#PER CHI AMA: Punk/New Wave
Parlare di una band che in un solo anno di attività ha lasciato il segno nella storia del post punk europeo non è compito facile. I detrattori potrebbero dire che non era tutta farina del loro sacco, che dentro alla loro musica, in un periodo temporale a cavallo tra la fine del punk e la nascente scena post punk/new wave di primi anni '80, c'erano mille richiami stilistici di altri gruppi ben più noti e le correnti che attraversavano le composizioni di Andrej Nebb (Andrzej Dziubek) e compagni si cullavano tra riferimenti punk alla The Blood, tensione esistenziale alla Warsaw, punk oi!, ska, dark rock, art punk berlinese emiliano alla CCCP, new wave alla Theatre of Hate e per l'appunto, tutto il nascente fenomeno post punk. La musica dei De Press del primo album, 'Block to Block', era evidentemente debitrice di tutte queste band ma con una particolarità stilistica che li rendeva padroni di una formula musicale unica di quel periodo, ossia un'attitudine naturale e una singolare capacità di inglobare in ogni loro composizione, tutti assieme i dogmi e i modi di fare più consoni, di tutte le altre band appartenenti a questo genere musicale tanto trasversale al tempo e tanto diverso da quello che oggi viene chiamato erroneamente post punk. I primi due dischi della loro sterminata discografia, sono stati ristampati e rimasterizzati con cura e ottima qualità, anche in formato vinile, dalla Apollon records. Per festeggiare il quarantesimo anniversario di 'Block to Block' ed il secondo 'Product', del 1982, registrato con la band ormai già sciolta e che vedeva il trio spostare il suo sound verso lidi new wave ancor più convincenti e vicini alla musica di The Sound e Joy Division, vengono oggi riportati alla luce nella loro totale bellezza, due album che sono entrati nella leggenda e che rendono il giusto omaggio ad un gruppo imperiale. Nato e cresciuto nel panorama sotterraneo norvegese, la band ha lasciato un segno indelebile nella storia musicale dell'epoca, in Norvegia e Polonia ma anche nel resto d'Europa. La band resa famosa anche dal canto inusuale in lingua pseudo inglese/polacco/norvegese, dal bassista e vocalist, musicista e rifugiato politico dalla Polonia in Norvegia, con 'Block to Block' ha ottenuto, in terra scandinava, il riconoscimento di miglior album rock del XX secolo. Due dischi fondamentali, colmi di rabbia, immediatezza stilistica, impegno sociale, politico e tanta ribellione, che non possono mancare negli scaffali di un estimatore del post punk tout court, alla pari di 'Hymns of Faith' dei Crisis, 'Always Now' dei Section 25 oppure 'Westworld' dei Theatre of Hate. La prima incarnazione dei De Press chiude la propria discografia con l'ottimo epitaffio discografico live, del 1983, dal titolo 'On the Other Side', che depone le armi del trio e ne affossa definitivamente l'attività artistica di quel periodo. L'attività musicale riprenderà solo un decennio più tardi, per continuare fino ai giorni nostri senza interruzioni, con una nuova formazione capitanata sempre dall'instancabile Andrej Nebb, che nel 1991 fa rinascere la band sotto una nuova veste musicale a metà strada tra musica folk della tradizione polacca, reminiscenze rock e protesta sonora alla The Fall, confezionando ad oggi un'infinità di opere musicali. Ma questa è un'altra facciata della storia dei De Press su cui poter ancora scrivere diverse pagine. Una band che è stata un culto dell'underground, un fenomeno venuto dal grande nord che pochi ricorderanno, ma che vale la pena rispolverare e ammirare ancora una volta. (Bob Stoner)

mercoledì 1 settembre 2021

Dez Dare - Hairline Ego Trip

#PER CHI AMA: Punk Rock
Un po' di insana follia punk rock era tempo che non la ascoltavo. Dovevo attendere questo frescone inglese nato in Australia che, durante il famigerato lockdown, ha pensato di mettersi in proprio e buttare giù un po' di stravaganti pezzi orecchiabili. Ecco la genesi di questo 'Hairline Ego Trip' dei Dez Dare. Nove brani che partono dal punk primigenio di "Dumb Dumb Dumb", tanto selvaggio quanto scanzonato per poco meno di due minuti di musica. La cosa prosegue con il garage rock di "Conspiracy, O' Conspiracy", niente di travolgente ma mostra un tocco che palesa già una certa personalità. Quella che emerge forte invece in "King + Queen Monstrosity", laddove potrebbe sembrare stravagante, ma non lo è affatto, parlare di psych punk doom, vista la natura slow motion del brano. Esperimento riuscitissimo. Si passa ad un surf rock sporcato di venature stoner con "My My Medulla", un pezzo che ci conduce direttamente agli anni '60. Non male ma un po' lontano dai miei gusti musicali. Divertente ma troppo vintage. Si continua a percorrere la strada dello stoner/desert rock polveroso con "Sandy’s Gonna Try" ed un cantato che invece sembra uscire da uno dei brani dei Sex Pistols, ma l'energia che emana ahimè non è la medesima. "Break My Vice" sono 100 secondi di uno stralunato post punk, mentre "Crowned by Catastrophe" ha quasi un piglio blues rock nel sua cantilentante incedere ipnotico. "Goodbye Autonomy" mette in scena altri 107 secondi di un sound tanto stravagante quanto difficile da etichettare senza doverci scrivere una tesi che descriva cosa il musicista di Brighton voleva realmente proporre. Ancora punk rock con la lunghissima "Tractor Beam, Shitstorm", quasi dieci minuti di musica psicotica e ridondante in grado di destabilizzare i sensi con i suoi giri di chitarra in loop ma anche in grado di sottolineare l'imprevedibile genialità di quest'artista britannico. (Francesco Scarci)

martedì 17 agosto 2021

super FLORENCE jam - S/t

#PER CHI AMA: Garage Rock
Continuano le uscite relativa al decimo anniversario della Bird's Robe Records, questa volta con il quartetto dei super FLORENCE jam (mi raccomando scritto rigorosamente in questo modo, non mi sono sbagliato). L'EP di quest'oggi rappresenta il loro debutto del 2009 e l'etichetta australiana ci ripropone il rock'n roll dei nostri per darci un assaggio di questi campioni (almeno in patria) di Sydney. La loro proposta? Lo dicevo una riga poco più su, un garage rock di settantiana memoria che sembra coniugare i Led Zeppelin (soprattutto con un vocalist che strizza l'occhiolino o forse meglio dire le corde vocali, con Robert Plant) con un che dei Beatles, mantenendo intatto quello spirito libertino di fine anni '60. Lo dimostrano le chitarre e i chorus dell'iniziale "Ghetto Project Fabulous", cosi come i fumi psichedelici della lenta e doorsiana "The Circle" per quello che un vero tuffo nel passato musicale più lisergico della nostra storia. Certo, siamo ovviamente lontani dalle divinità di quegli anni, però meglio non lamentarsi e divertirsi ripescando vecchie sonorità in grado di coniugare garage, punk, rock, psych e perchè no, anche stoner, con una verve allegra e rallegrante, come quella offerta da "Marcy" o dalla melodia orecchiabile di "Ten Years" e ancora dal roboante sound di "No Time", dove il frontman (in versione Ozzy qui) urla quasi fino a far esplodere l'intera collezione di bicchieri di cristallo che ho in casa. In chiusura, spazio alla malinconica "No Man's Land", una specie di ballata semiacustica, e dai tratti pink floydiani a livello solistico, che chiude un disco forse più indicato per gli amanti di simili sonorità, curiosi di conoscere una realtà che forse si erano lasciati scappare in passato. (Francesco Scarci)

Sordide - Les Idées Blanches

#PER CHI AMA: Black/Punk
Quello dei francesi Sordide è un bell'esempio di black dalle sfumature punkeggianti. 'Les Idées Blanches' è il quarto album per la band transalpina che nelle sue fila conta membri di Ataraxie, Mòr e Malemort. Sette malvagi brani che probabilmente non aggiungeranno molto di nuovo al panorama estremo se non la visione sghemba di questo trio originario di Rouen. Quindi, se siete amanti di sonorità scuola Deathspell Omega o Blut Aus Nord, il tavolo è apparecchiato per una nuova storia di suoni distorti, voci catramose, ritmiche trasversali e un caos primigenio che vi terranno incollati allo stereo per poco meno di quaranta minuti di musica ostica e ostile. Parlavo di punk inizialmente e infatti lo potrete cogliere nelle linee di chitarra dell'iniziale "Je N'ai Nul Pays" o nella ritmica incalzante di "Ruines Futures". Questi suoni si mischiano poi con elementi disarmonici che caratterizzano alla fine la proposta del terzetto normanno, abile non solo nelle linee musicali più veloci, ma anche in quelle più atmosferiche. Le influenze punkeggianti rieccheggiano nella parte iniziale di "L'atrabilaire" sebbene il pezzo affondi poi le sue radici nel black old school di scuola norvegese, che vede in esponenti quali Carpathian Forest, Taake e Darkthrone, i maggiori punti di riferimento per i nostri. Quello che sorprende poi è che in un brano come "Ne Savoir Que Rester", i nostri rallentino vertiginosamente le loro ritmiche spietate per immergersi in un sound decisamente più fangoso, oserei dire quasi sludge. Ecco il punto di stacco dal black norvegese, la capacità di modulare la ferocia della propria proposta in pezzi dal piglio più compassato, come ritroveremo anche nella melmosa ed ipnotica title track o nella conclusiva "Vers Jamais" che coniuga un po' tutte le caratteristiche della band in un'unica e lunga song di quasi nove minuti che arrivano addirittura a strizzare l'occhiolino a sonorità prog avanguardistiche. 'Les Idées Blanches' alla fine è un gradito ritorno, certo non sarà facile da apprezzare sin da subito ma i fan di queste sonorità lo adoreranno, ne sono certo. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/les-id-es-blanches

venerdì 16 luglio 2021

One Arm - Mysore Pak

#PER CHI AMA: Alternative/Dark/Post Punk, Joy Division, Primus
Una trio tutto al femminile nasceva a Parigi nel 1992 con il moniker One Arm. Un sound all'insegna del post punk e concerti senza sosta in giro per l'Europa, prima dello scioglimento del 1997. In realtà, la band da li a un anno, si riforma integrando la defezionaria chitarrista con due giovani virgulti, uno al basso, l'altro alla batteria, per una stravagante formazione a due bassi e due batterie. Altre peripezie travolgeranno la band portandola allo scioglimento per altri 15 anni. Finalmente i nostri ritornano sulle scene questa volta sotto l'egida della Atypeek Music che propone alla band di riproporre i vecchi demo in una versione finalmente professionale. Ecco come nasce 'Mysore Pak' e i 12 pezzi in esso contenuti che ci faranno da Cicerone e narrarci la storia dei nostri, partendo dalle psichedeliche melodie di "Real", in cui si sentono i due bassi duellare tra loro, manco fossero i Sonic Youth miscelati ai Primus, in una versione dark/post punk che chiama in causa Bahuaus e Joy Division, cantati dalla paranoica voce di Laure. Interessante no? Non scontato direi semmai io, grazie alla forte originalità che caratterizza l'intero lavoro. La successiva "Esg" è un funk pop punk, in cui il suono dei bassi entra nella testa e sembra sinaptare con i pochi neuroni rimasti nel cervello. Le atmosfere sono oscure ma estremamente orecchiabili, tra il synth pop dei Talk Talk e il post rock. Man mano che si va avanti con l'ascolto mi sembra di sprofondare nei turbamenti di questi quattro atipici musicisti e "Space is the Place" sembra essere un tributo alla scena trip hop di Bristol. Peraltro il brano vede la partecipazione di una serie di ospiti: la poetessa cantautrice new yorkese Little Annie con le sue vocals cosmiche, Pierre Alex Sigmoon al basso (il terzo?) e DEF alle tastiere (e tornerà anche in "Change"). Ancora stravaganze musicali, ma aspettatevene a iosa in tutto il disco, con la ondivaga traccia omonima che mi dà quasi l'impressione di trovarmi in un club londinese, pieno di fumo, bevuto e fatto di acidi fino al midollo, con suoni dilatati, siderali, inserti di sample, e poi quelli che mi sembrano addirittura essere degli archi e tutto un apparato elettronico che mi fa letteralmente perdere i sensi e non capire più nulla. Ma l'approccio lisergico è uno dei cavalli di battaglia dei One Arm, lo dimostrano i vocalizzi e le melodie visionarie di "Fiddle". Un po' di post punk settantiano con "City", una song maledetta che sembra nuovamente evocare quei Primus che apprezzai particolarmente nel folle 'Frizzle Fry'. Che i nostri non siano una band ordinaria lo si deduce anche dalle sensuali ma apocalittiche melodie di "B.O.", un pezzo strumentale ove le voci sono affidate solo a dei sample; qui l'ospite di turno è il tastierista Realaskvague. Stesso concept musicale per "Change" altra song strumentale carica di una certa inquietudine, in cui occhi e orecchie non possono che focalizzarsi sui giochi di basso. Sonorità psych/noise/dub per "Hitch-Raping" per un altro viaggio a base di peperoncini allucinogeni. Siamo quasi al finale, con le ultime tre tracce del cd: "Top Tone" è coinvolgente con quel riffing ritmato di bassi, voce strafatta, influenze indiane per una bella dose (quasi otto minuti) di insana follia. "Step 3" ci regala altri tre minuti di musica inqualificabile, non nel senso che sia indecente, ma che si faccia davvero fatica ad apporre un'etichetta specifica di un genere. A chiudere, la liquida e strumentale "Virgule", che sancisce con la sua synthwave, lo spessore artistico di una band che non ha avuto grossa fortuna in passato, ma a cui mi sento di augurare un enorme in bocca al lupo per un luminoso futuro. (Francesco Scarci)

martedì 25 maggio 2021

Regnvm Animale - Ignis Sacer

#PER CHI AMA: Black/Crust
Gli svedesi Regnvm Animale non è la prima volta che li incontriamo qui all'interno del Pozzo. Ve ne abbiamo parlato in occasione del loro debut 'Et Sic in Infinitum', poi in compagnia degli islandesi Norn nello split 'Brinna / Brenna' e ora in questo nuovo EP intitolato 'Ignis Sacer' e contenente cinque nuovi pezzi. La nuova proposta della band di Stoccolma si snoda dall'opener "Att Leva Utan Självaktning", un pezzo che in realtà non è altro che uno spezzone del film "Passione" di Ingmar Bergman, fino alla conclusiva "Suveränitetserosion". In mezzo, tanti spunti più o meno interessanti, dal folk metal di "Interregnum" che riprende se volete quanto fatto nel precedente split con "Våga Se Mig I Ögonen", e un sound all'insegna di parti acustiche e vocals graffianti. Si passa poi alla più cupa title track, con sonorità a cavallo tra hardcore, doom e crust, il tutto proposto in chiave atmosferica. Mi rendo conto che sia difficile comprenderlo ma voi dategli un ascolto e capirete meglio queste mie parole. Come al solito, mi preme sottolineare che l'ensemble scandinavo non stia inventando nulla di nuovo e originale, ma è comunque qualcosa che si lascia piacevolmente ascoltare tra ottime rabbiose accelerazioni e rallentamenti criptici dove a palesarsi positivamente è il lavoro in sottofondo del basso. "Missväxt" mi sembra un pezzo decisamente più dinamico tra black melodico, punk e crust, con buone linee di chitarra (soprattutto a livello di una specie di assolo), un basso perennemente pulsante dietro le quinte e le harsh vocals del frontman sostenute da un drumming costantemente incessante nel suo martellare furibondo. In chiusura, la già citata "Suveränitetserosion", un pezzo più meditabondo nel suo primo giro d'orologio, prima che esploda in raffiche di mitragliatrice ritmica nel resto del brano, gigioneggiando ancora tra black e crust-punk. Insomma, la degna conclusione per i Regnvm Animale e il loro nuovo 'Ignis Sacer'. (Francesco Scarci)

domenica 23 maggio 2021

Schlaasss - Casa Plaisance

#PER CHI AMA: Rapcore/Punk/Alternative
L'artista più atipico prodotto dalla Atypeek Music propone un intransigente cianfrusaglia-rap genericamente allineato alla contemporanea scena americana, perlomeno per quel che ne può sapere l'autore di queste righe. Effettini ed effettacci di ogni genere e fattura (confrontate "Requiem" con una canzone a caso dei Melt Banana), classic-pop alla Backstreet Boys banging Britney Spears ("Bye Bye"), euro/trance ("Pupote"), angry female rapping ("Nanarchie"), pittoriche secchiate di auto-tuning ("Thug Lilith"), capatine vintage (i jingle otto bit di "No Drog Yourself", per esempio), lolli-rap stile Mélanie Martinez licking Warpaint ("Biscus"), una puntina di Mr. Oizo abusing Salt n' pepa ("Ordo ab Chao") e tanta elettronica alla Aphex Twin, perlomeno per quel che ne può sapere l'autore di queste righe. Schlaass, la cui timbrica vi sembrerà una specie di incrocio tra gli sbadigli di 50 Cent e un Frank Zappa che si lava i denti con la maionese, spazia con misurata disinvoltura nei vari sottogeneri del rap, dal raga al gangsta al vaffankool. D'accordo, d'accordo. Per quel che ne può sapere l'autore di queste righe. L'avete detto voi. (Alberto Calorosi)

venerdì 2 aprile 2021

Burnt Offering - Беснование

#PER CHI AMA: Black Old School, Mayhem, Darkthrone
La band di oggi ha base a Lipsia in Germania, eppure nessuno dei suoi tre membri è tedesco e il titolo 'Беснование' ne è la riprova: Blind Idiot God è infatti russo ed è peraltro bassista dei Darkestrah, cosi come Asbath, batterista di quest'ultimi ma originario del Kyrgyzstan. Charon infine è ucraino. Insomma un bel casino. Cosi come alquanto strana è la storia di questa release che in realtà sarebbe il demo uscito in cassetta nel 2015 per la Narcoleptica Productions e riproposto in digipack a dicembre 2019 dalla Careless Records. La mia speranza è che oltre ad una elegante veste grafica, il dischetto vanti anche una nuova registrazione, eppure quello che sentono le mie orecchie racchiude ancora la grezzura primigenia della prima release (o forse quella era ancora peggio e i miracoli non si riescono a fare?). Fatto sta che il demo in questione contiene cinque tracce dedite a un black puro e selvaggio, senza alcun fronzolo che ci viene sparato in faccia in tutta la sua gretta brutalità sin dall'opener "Пир", un brano sanguinolento che partendo dagli insegnamenti punk/hardcore degli esordi dei Darkthrone, combinato con un black satanico, fa fuoriuscire tutta la bieca malvagità di altri storici act quali Mayhem e Celtic Frost, deprivato ahimè dalla classe innata di quelle realtà. Stonano un po' le storture doomish in apertura di "Псы", che già erano comunque apparse in chiusura della prima song. Poi anche il secondo pezzo si lancia su un lineare e anonimo black metal, senza il benchè minimo briciolo di personalità. Ed è un peccato visti gli elementi inclusi nella band e le mie elevate aspettative. E la medesima matrice sonora si conferma anche nella violenza delle successive "Псоглавый святой" e "Мокошь", dove i nostri corrono sui binari di un feroce e caotico sound (scuola Immortal la prima), in cui le corrosive chitarre si incrociano con lo screaming efferato del vocalist (che però si diletta anche in strane ed apprezzabili sperimentazioni canore) e con il disumano drumming di Asbath. Nella seconda invece si avvertono lontani accenni folklorici alla Isengard, pur sempre immersi in un marasma nero come la pece. In chiusura, l'onirico ambient strumentale di "ДОБ и цинковый гроб" spegne tutte le pulsioni malvagie risvegliate sin qui dai malefici Burnt Offering. (Francesco Scarci)

(Narcoleptica Productions/Careless Records - 2015/2019)
Voto: 55

https://carelessrecords.bandcamp.com/album/--2

lunedì 15 marzo 2021

Valse Noot – Utter Contempt

#PER CHI AMA: Noise Rock
I francesi Valse Noot sono in giro da un decennio e questo 'Utter Contempt' (il loro terzo lavoro, che arriva ben sette anni dopo la loro ultima fatica) è una piacevolissima scoperta. Il quartetto di Brest si immette nel solco di quelle band, penso ad esempio a Metz o Pissed Jeans, che hanno cercato di portare avanti un suono che ha i suoi riferimenti nel noise rock americano anni novanta, di capi scuola quali i grandissimi Jesus Lizard (la qual cosa, per il sottoscritto, è già un grosso merito), senza limitarsi alla mera emulazione ma provando a trovare una loro personale via espressiva. In questo caso i nostri cercano, in sette brani condensati in 30 potentissimi minuti, di portare il noise a lambire territori più vicini a certe divagazioni freeform, pur senza snaturarlo. Ecco quindi che la sezione ritmica si concede interessanti variazioni sul tema, mantenendosi nondimeno inesorabile e granitica, e se la prima parte della scaletta serve a scaldare i motori con brani più “quadrati” e dritti, nella seconda parte emerge un’interessantissima capacità di sperimentare e stupire, come in "Story of a Decadence", dove il caratteristico suono Touch and Go si fonde all’hard punk dei Motorhead, o in "Pigeonholed", dove l’incedere guerresco del basso si innerva di hardcore. In chiusura, la title track si concede anche qualche incursione di synth e un cantato di stampo screamo, per ribadire che nulla è precluso se fatto con le idee ben chiare Un disco sorprendente, fresco, dinamico e molto, molto potente. (Mauro Catena)

OJM - Live at Rocket Club

#PER CHI AMA: Stoner/Garage Rock
Gli OJM non hanno bisogno di presentazioni, essendo una delle band di culto negli ambienti stoner rock e nella psichedelia, e avendo una carriera alle spalle notevole con svariate release e performance che li hanno resi popolari in tutta Europa ed anche oltreoceano. La band vanta tour e collaborazioni importanti con artisti del calibro di Brant Bjork o Paul Chain e numerosi concerti assieme a band di fama internazionale. La compagine trevigiana è entrata di diritto nell'olimpo dello stoner rock del vecchio continente partendo dalla gavetta e sudando note da tutti i pori, mangiando pane e distorsioni fuzz per tanto tempo, coltivando il rito dell'esibizione live, credendo in essa come nella massima espressione del rock'n'roll, che doveva essere esplosiva, trascinante, acida, proprio come nella loro formula musicale. Quindi la Go Down Records, in collaborazione con la Vincebus Eruptum, decidono in questo 2021, a 10 anni di distanza da quell'evento, di dare alle stampe, in edizione limitata in vinile di sole 300 copie, l'intero live degli OJM al Rocket Club di Landshut, in Germania, donando ai fans della band un'occasione in più per riassaporare la grande energia, sprigionata sul palco e catturata da Martin Pollner nel lontano 2011, nel tour dell'ultimo studio album intitolato, 'Volcano'. L'act italico non si è mai sciolto, si è semplicemente preso una lunga pausa e questo disco ci delizia e accompagna, dopo tanto tempo di latitanza, nella riscoperta di un combo compatto, lisergico e allucinato, che traeva spunto dal garage dei The Fleshstones, quanto al mito degli Mc5, che osavano rivendicare una vena altamente psichedelica, riproponendo "Hush" dei primi Deep Purple, suonando ruvido e sporco come i primi Mudhoney. L'album si fregia della presenza di piano bass e organo elettrico, suonati da Stefano Paski, che risaltano il ricercato suono vintage, mentre il resto degli strumenti sputano fuoco e fiamme per una prestazione assai calda e sanguigna. Il solo difetto di questo disco, a mio parere, sta nella qualità che si avvicina più ad un buon bootleg live vecchio stile ponendosi pertanto inferiore alla qualità del precedente 'Live in France' del 2008 (prodotto da Michael Davis – Mc5), pur risultando essere un'ottima fotografia dell'ultimo periodo del gruppo, con molti brani estratti da 'Volcano' e, oltre alla già citata cover dei Deep Purple, con brani tratti dal precedente album in studio, 'Under the Thunder'. Un disco che farà la felicità dei fans degli OJM e del loro sound, averlo sarà un buon pretesto per completare la loro discografia oppure, per chi se li fosse persi fino ad ora, un ottimo motivo per scoprirli in tutta la loro irruente energia live. Un nuovo disco dal vivo che ci porta alla riscoperta di una grande band, stimata da molti musicisti di livello internazionale. (Bob Stoner)

venerdì 26 febbraio 2021

Shame on Youth! - Human Obsolescence

#PER CHI AMA: Punk/Garage Rock
Spaccano di brutto questi Shame On Youth!, quartetto originario di Bolzano che mette il punto esclamativo non solo alla fine del proprio monicker ma anche della propria performance sonora. 'Human Obsolesence' è il loro debut a cinque anni dalla loro fondazione, un disco che miscela alla grande punk hardcore con il garage rock, il tutto certificato già dall'opener "Got No Choice" che irrompe in tutta la sua frenesia punk rock senza rinunciare a bordate stoner e che prosegue anche nelle ritmiche fortificate della successiva "The Show Must Go Wrong". Contraddistinta da una bella carica di groove nei suoi giri fuzzati di chitarra e nelle elucubrazioni del basso, si presenta anche con quei chorus che invitano a lanciarsi in un pogo infernale. Le due asce non si sono certo dimenticati di come si facciano gli assoli, brevi, efficaci nel loro stamparsi nel cervello e dal classico taglio heavy rock. "Seed" ha un intro poco rassicurante, per poi lanciarsi in una cavalcata tesa ed incazzata che invoglia solo un headbanging frenetico, di quelli che ti aggiustano la cervicale, a meno che non ve la rompiate prima durante una danza ipercinetica. Ma la traccia rallenta pure, s'incunea in versanti dark, per poi ripartire di slancio ancor più rabbiosa negli ultimi 45 secondi dove i nostri vi faranno vedere i sorci verdi. E si prosegue sulla falsariga anche nella successiva "Mr. Crasher", più lineare e meno convincente a mio avviso, quasi che l'effetto sorpresa si sia esaurito con la precedente 'Seed'. E allora avanti con più curiosità per ascoltare "A Bunch of Crap (I Don't Care About)" e sperare di essersi sbagliati. Nel suo chorus iniziale mi ricorda un coretto di un vecchio disco dei Rostok Vampires, poi la canzone ha un piglio più old style che sembra depotenziare quella verve micidiale dei primi pezzi. Il basso velenoso di Matteo Cova apre "Uniform", un pezzo quasi hardcore, dotato di una pesantissima linea di chitarra che unita a quel cantato rabbioso opera di tre ugole, la rendono forse il brano più efferato del platter. "Fluke of Faith" è un breve inno al punk, cosi come "Premium 9,99", punk rock'n roll sufficiente per farci fare gli ultimi salti prima della conclusione affidata a "Demons are Right". La song, all'insegna di un ruvido garage rock, ci regala gli ultimi imprevedibili giri di orologio di 'Human Obsolesence', un buon biglietto da visita dei nostri italici portatori di vergogna. (Francesco Scarci)

sabato 23 gennaio 2021

Pontecorvo - Ruggine

#PER CHI AMA: Stoner/Punk/Noise
Uscito in piena quarantena, questo 'Ruggine', primo long-playing dei Pontecorvo, rappresenta un’ottima medicina per le difficoltà che tutti noi stiamo sperimentando da un annetto a questa parte. Non che il concentrato di stoner, noise e bluesaccio slabbrato del gruppo milanese sia un inno all’ottimismo o evochi paesaggi utopici, ma la grinta e la sfrontatezza sfoderata in queste sette tracce di musica ad alto contenuto di decibel, vi forniranno la spinta necessaria per sopravvivere.

È impossibile non lasciarsi trascinare dal tiro dell’introduttiva “Cade” o dalla sferragliante cavalcata di “Gaviscon Blues” che, a differenza di quanto annunciato nel titolo vira con naturalezza su territori di stampo punk. I Pontecorvo riempiono con grande abilità questi venti minuti scarsi di diverse soluzioni sonore e dinamiche, arrivando a toccare persino lidi sludge nei pachidermici riff di “Freddo” e “Qualche Santo”, al punto che giunti al termine della conclusiva “Prendere Sonno”, coricarsi sarà decisamente l’ultimo dei vostri desideri: il fuoco di queste rabbiose chitarre divamperà dentro di voi e il vostro cuore batterà al ritmo implacabile della batteria.

Registrato, mixato e masterizzato presso quell’istituzione della musica indipendente che è il Trai Studio, 'Ruggine' avrebbe meritato di uscire in un periodo più favorevole. Sicuramente è l’ottimo biglietto da visita di una band che in sede live promette di rendere anche il doppio. (Shadowsofthesun)

sabato 16 gennaio 2021

The Flop - Underground Slaves

#PER CHI AMA: Punk Rock/Post Grunge
Mi sa tanto che la label Wings of Destruction non si sia sbagliata e mi abbia anzi di proposito inviato tutte le proprie release dalla notte dei tempi a oggi. Si perchè quello che ho fra le mani è un lavoro del 2012, anche se riproposto nel 2020 dalla stessa etichetta russa. Sto parlando dei The Flop, un nome un programma, che ci propongono nove tracce di garage punk rock. Non certo il mio genere preferito, però nel corso della mia lunga carriera di scribacchino, album del genere ne ho masticati diversi. E allora sapete già fondamentalmente a cosa andiamo incontro. Brevi e scanzonati pezzi, attitudine simil Sex Pistols, però il tutto rapportato ai giorni nostri. Almeno questo è quanto mi dice "Go Home", traccia in apertura di 'Underground Slaves'. La seconda "Black Sheep" è infatti già diversa, ossia la ritmica è più lenta e mortifera, esiste forse una forma di punk doom? Si perchè qui c'è un po' meno da divertirsi, essendo un pezzo più decadente e maledettamente alcolico, quasi i nostri siano in preda ad un delirium tremens bello pesante. E "White & Sticky", iniziando con un giro di chitarra stile System of a Down, si incunea in un sound malinconico, una sorta di post grunge di (primi) Nirvana memoria, imbevuto di una dose non indifferente di alcolici e sostanze psicotrope, per un cocktail servito a sole anime disperate. Anche "The USA" sembra uscito da un disco dei Nirvana, con la voce del frontman qui un po' meno tormentata. Inoltre la song è più controllata, fatta eccezione per la parte di coro. Più ostica da digerire "Hello My Dear", dissonante e con un assolo flebilmente accennato in chiusura. Con "Fucking Children" si torna al punk della traccia d'apertura, anche se questa volta non sembra gioioso come nell'opener. Più cantilenante "Own Priest" ma con un riffing più lineare e pesante. "Alice" è un pezzo semplice con la voce accompagnata dalla sola chitarra acustica. Mentre la conclusiva "The Toilet" beh, darebbe adito ad una battuta scontata stile Fantozzi, ma in realtà è l'ultimo pezzo punk oscurissimo e malato di questo 'Underground Slaves', un album non proprio indispensabile nella collezione di tutti ma per chi ama il genere, perchè non dargli una possibilità? (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction - 2012/2020)
Voto: 63

https://wingsofdestruction.bandcamp.com/album/underground-slaves

giovedì 22 ottobre 2020

Mad Dogs - We Are Ready To Testify

#PER CHI AMA: Hard Rock
Non è facile evitare di cadere in certi pregiudizi o clichè da trito e ri-trito, se nell’Anno Domini 2020 ci troviamo per le mani un disco hard rock. Ma bisogna pur ammettere che si avverte, eccome, quando le corde sono fatte vibrare con il cuore e con passione. O quando a prevalere über-alles è la trascinante carica di certe schitarrate, che ti obbligano a scuotere la testa, senza un preciso motivo. Lo fai e basta. Questa nuova uscita per la Go Down Records, nonché terzo album in studio per i Mad Dogs, racchiude appieno il rock’n’roll sanguigno e genuino della band, senza mezze misure. Di derivazione spiccatamente seventies, ma con un’energia affilata e straripante. L’opener del disco, “Leave Your Mark On What You Do”, si presenta già con un richiamo Zeppeliniano negli stacchi di batteria iniziali. Semplice riscaldamento muscolare prima delle folli cavalcate che ci attendono, scandite da una raffica di groove: reminiscenze australiane in questa direzione, ma senza scomodare Bon Scott e compagni una volta tanto. Citiamo piuttosto le influenze dei Radio Birdman per affinità (con i cui componenti tra l’altro, i Mad Dogs hanno condiviso il palco). Siamo a bordo ormai, su questa locomotiva che corre all’impazzata: i rockers marchigiani non cedono di un beat e si prosegue a tutta birra. Le sei corde sono letteralmente “on fire” e senza tregua danno vita a riff diretti e travolgenti ed assoli irrefrenabili. Bad Religion e MC5, saltellando freneticamente tra garage rock e street punk, poi una rapida apparizione delle tastiere nella title-track, ma sempre e comunque guidati dallo stesso filo conduttore, unico vero e proprio credo: il Rock. Anticipato dall’uscita di tre singoli ("Not Waiting", "Hard Fight" e "Postcard From Nowhere"), 'We Are Ready To Testify' è la consacrazione del rock’n’roll secondo la visione della band italica e allo stesso tempo ne incarna appieno il messaggio. Si respira a pieni polmoni la devozione che i nostri hanno da sempre dedicato alla loro vera fede. E non si può che apprezzare la semplice caparbietà con cui scelgono di imboccare questa strada: testa bassa, pochi giri di parole e qui si suona sul serio. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(GoDown Records - 2020)
Voto: 78

https://www.facebook.com/maddogsrnr/