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lunedì 11 marzo 2024

A/Oratos - Ecclesia Gnostica

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Non sembra ci sia voglia di cambiar politica in casa Les Acteurs de L’Ombre Productions, della serie squadra che vince non si cambia. Eppure, a un certo punto, inizierei a cercare qualcosa di più originale per evitare di incancrenirsi con proposte che rischiano di divenire un po' troppo scontate. Oggi mi trovo di fronte i parigini A/Oratos che provano a mischiare un po' le carte, muovendosi comunque nel panorama black di casa. 'Ecclesia Gnostica' è il loro primo album su lunga distanza, dopo l'EP 'Epignosis' uscito nel 2019. Ora, dopo un covid di mezzo, la band torna finalmente a far sentire la propria voce con sette nuovi brani che si muovono nei meandri di un black glaciale, contrappuntato da una vena mistico-esoterica che si declina attraverso alcune parti vocali salmodianti in un po' tutti i pezzi. Si parte dalle ritmiche infuocate dell'opener "Le Hiérophante", guidate comunque da una discreta ed epica melodia di fondo e dal dualismo vocale (black/pulito) di Aharon (che abbiamo peraltro avuto modo di incontrare recentemente anche con i suoi Griffon). Diciamo che se non ci fossero state queste parti declamate in francese, avrei tagliato corto nella recensione, descrivendo i nostri come una delle tante band seguaci dei dettami Swedish black dei Dark Funeral. Fortunatamente, ci mettono del loro e in quel caos sonoro generato, riescono addirittura a carpire la mia attenzione. Penso al pacato arpeggio che apre "Deuteros" e che ci dà modo di prender fiato dopo il martellamento asfissiante delle prime tracce. Poi la song prosegue tra le maglie sghembe di un black sinistro (o "gnostico", cosi come definito dalla band stessa). Ancora meglio, citerei le orchestrazioni adoperate nell'incipit di "Le Septième Sceau" (o nell'atmosferica "Ô Roi Des Eons"), un brano le cui trame chitarristiche evocano in un qualche modo la musica classica, un po' come fatto in passato da Dispatched o Windir, cosi come da sottolineare, c'è pure più ampolloso passaggio dai tratti sinfonici. Quello su cui lavorerei ora è una maggior ricerca di originalità, che già emerge a tratti nell'evoluzione di questo disco, ma che rimane spesso ancorata alla brutalità delle ritmiche. Per il resto, la strada imboccata sembra quella giusta, ma qualche accorgimento lo prenderei per il futuro. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2024)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/ecclesia-gnostica

venerdì 1 marzo 2024

Griffon - De Republica

#PER CHI AMA: Symph Black
Terzo album per i nostri amici Griffon, band parigina che abbiamo già avuto modo di ospitare qui nel Pozzo un altro paio di volte. 'De Republica' è il terzo album per il quartetto transalpino che continua a mostrarsi particolarmente ispirato, forse qui ancor più che in passato, grazie a un black/death che sembra incrementare quell'eredità sinfonico-goticheggiante che avevamo apprezzato in passato. E cosi, già l'iniziale "L'Homme du Tarn" (ispirata a un'icona antimilitarista francese, Jean Jaurès) regala grandi emozioni tra scorribande in territori estremi, rallentamenti dal taglio sinfonico e i vocalizzi del duo formato da Aharon e Antoine, che si muovono in molteplici territori, dallo scream efferato al pulito gotico, fino ad arrivare a un growling comunque espressivo. Complimenti, dopo il primo brano comprerei il disco a scatola chiusa. I nostri intanto proseguono nella narrazione della storia francese con brani altrettanto corposi, e la violenza espressa in "The Ides of March" ne è la prova, con un'alternanza tra furibonde ritmiche, parti più atmosferiche e altre ancor più sinfoniche che strizzano l'occhiolino ai nostri Fleshgod Apocalypse, ma anche alla musica classica, soprattutto nel comparto solistico di questo brano (ma da estendere poi anche agli altri). "À l'Insurrection" ha un piglio rutilante che ammicca tanto ai primi Dispatched quanto alle forme più orchestrali di black metal, il che palesa la grande personalità e fiducia dei nostri nel proporre un sound fresco che mancava da un po' in questa scena. Bel colpo, mi fa piacere notare la crescita costante dei Griffon, ancor più palese nella successiva "La Semaine Sanglante", forse il brano che più ho apprezzato, per quel suo approccio epico che mi ha evocato anche un che degli Emperor nelle partiture più agguerrite, senza scordarsi della bellezza degli assoli e delle pompose ed eloquenti linee melodiche. Insomma, tanta roba. Anche laddove i nostri partono col freno a mano tirato ("La Loi de la Nation"), per poi lasciarlo in una discesa vorticosa negli abissi, la band si dimostra costantemente ispirata e mai scontata. A chiudere il disco, dotato peraltro di una splendida copertina, ecco la title track, che ci regala gli ultimi sontuosi minuti di un'ottima quanto inaspettata release: qui, tra solenni narrazioni in stile Misanthrope, registrazioni di battaglie, una tensione crescente e un suono compassato ma sempre magniloquente, esempio della grandeur francese anche nella musica, i nostri chiudono in bellezza un disco che si appresta a posizionarsi nella mia top ten dell'anno. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2024)
Voto: 80

https://ladlo.bandcamp.com/album/de-republica

giovedì 1 febbraio 2024

RüYYn - Chapter II: The Flames, The Fallen, The Fury

#PER CHI AMA: Black Old School, Gorgoroth
Mi sono preso una lunga pausa, lo ammetto, ma ora sono tornato. Il mio rientro coincide con la recensione della one man band francese Rüyyn, una creatura, quella guidata da Romain Paulet, che avevamo già ascoltato in occasione del debut EP del 2021. Il progetto del factotum transalpino torna con un nuovo capitolo, 'Chapter II: the Flames, the Fallen, the Fury', e un black sound che si conferma rabbioso, glaciale, caustico. Si perché le sei tracce qui incluse, proseguono in quella medesima direzione iniziata in occasione dell'uscita omonima, anzi sembrano aver addirittura aumentato i giri del motore, come dimostrato dalle selvagge ritmiche di "Part I" o del suono più rutilante di "Part II". Lo spazio per deviazioni più atmosferiche non manca nemmeno in questo lavoro e ancora le porzioni più riflessive di "Part II", lo palesano. Poi largo a ritmiche di rimembranza norvegese, con i Gorgoroth in cima alla lista delle influenze, in compagnia però di mostri sacri come Mgła o Deathspell Omega. Non mancano tuttavia anche dei richiami al prog rock che conferiscono in questo caso maggior brio alla proposta del polistrumentista. Strano che mentre scriva queste cose, sia ancora fermo al palo del secondo pezzo (quasi nove minuti), il brano che forse meglio incarna lo spirito dei Rüyyn. Andando avanti, è ancora la furia distruttiva black/thrash a farla da padrone, con la voce vetriolica del frontman e le chitarre, a tratti dissonanti, a guidare l'ascolto. Se "Part III" non tocca le mie corde nel modo adeguato, ci pensa però la più criptica e complessa "Part IV" (altri otto minuti e mezzo di lampi di classe) a sostenere la qualità di un lavoro che affonda le proprie radici negli anni '90 e li riporta in auge con un livello qualitativo medio alto. I due brani in chiusura, "Part V" e "Part VI", proseguono con quanto di buono fatto sin qui, sebbene non mostrino la medesima qualità compositiva. Cercherei infatti per il prossimo disco di lavorare maggiormente sulla personalizzazione dei suoni, per evitare di ritrovarmi qui alla prossima recensione, di fare l'elenco delle band a cui i Rüyyn potrebbero essere accostabili. (Francesco Scarci)

sabato 18 novembre 2023

Pénitence Onirique - Nature Morte

#PER CHI AMA: Black Atmosferico
Pénitence Onirique atto terzo. Non tanto perché sono tre gli effettivi album rilasciati dalla band transalpina ma anche perché è il terzo lavoro del sestetto di Chartres che recensisco su queste pagine. La band prosegue nel mietere vittime con il proprio sound votato ad un black a cavallo tra il sinfonico e l'atmosferico, il cui minimo comun denominatore, resta comunque un'importante componente melodica. 'Nature Morte' esploderà nel vostro hi-fi con "Désir", una cavalcata epica, potente e violenta, che ancora una volta evoca i fasti dei primissimi Limbonic Art, richiamando anche, nelle parti più sontuose, un che dei Cradle of Filth, e dei conterranei Malevolentia. Semplicemente maestosi. Quello che volevo sentire. Un sound virtuoso e sinfonico messo a servizio di un'intemperanza musicale che a volte sembra addirittura sfociare nel death metal, come accade nella seconda "Les Mammonites", in cui il cantato urlato lascia peraltro il posto ad un pulito diabolico o a un growling decisamente gutturale. I nostri però viaggiano a velocità iper sostenute, senza comunque mai rinunciare alle più che buone linee melodiche. Con il terzo brano, la title track, il misterioso ensemble francese rallenta drasticamente la propria proposta, permeandola di una discreta vena malinconica, in un mid-tempo davvero convincente, che mostra una rinnovata ecletticità anche su ritmiche non troppo sostenute, che consentono al disco di non risultare eccessivamente ripetitivo. Certo, non mancano nemmeno qui le velocità iperboliche nella sua seconda metà, ma il taglio decisamente grooveggiante delle chitarre mescola nuovamente (e in modo vincente) le carte in tavola. Un breve ed obliquo intermezzo strumentale ed è tempo di "Je Vois Satan Tomber Comme l'Éclair", che vince la palma come song con il titolo più lungo, e che torna a palesare la medesima irruenza sonora dell'opener. Si prova a rallentare il treno lanciato a tutta velocità con le atmosfere soffuse dell'incipit di "Pharmakos", ma dopo pochi secondi, i nostri tornano a pestare l'acceleratore, regalandoci ancora ottime melodie, soprattutto grazie al lavoro eccellente delle tastiere e ad un assolo posizionato verso il quarto minuto e mezzo che incanta per pathos e poi via, sparati a tutta birra con le chitarre (ben tre!) che giocano a rincorrersi, intrecciarsi e accavallarsi l'una con le altre, per un disco che trova probabilmente la sua summa nelle note conclusive della lunga "Les Indifferenciés". Questo è un pezzo atmosferico, meditabondo, con un break al quarto minuto ai limiti del post rock, che sembra quasi consegnarci i Pénitence Onirique in una nuova veste artistica. Staremo a sentire che cosa accadrà in futuro. Per ora la progressione sonora sembra andare nella giusta direzione. (Francesco Scarci)

venerdì 27 ottobre 2023

Lunar Tombfields - An Arrow to the Sun

#PER CHI AMA: Post Black
Tornano i francesi Lunar Tombfields (LT) dopo l'esordio dello scorso anno che non avevo proprio trattato benissimo. Speriamo che con questo 'An Arrow to the Sun' i due musicisti d'oltralpe possano rifarsi e farmi quindi rivalutare la loro proposta. Il disco si apre con una blanda intro atmosferica che ci introduce a "Solar Charioteer", song che sottolinea immediatamente come i pezzi del nuovo capitolo siano relativamente più brevi (8-9 minuti) rispetto a quelle maratone musicali in cui ci eravamo imbattuti lo scorso anno. La traccia comunque si affida a delle ritmiche melodiche (un filo depressive) su cui si addensano i vocalizzi di M. e in cui i nostri provano anche a dar spazio a partiture atmosferiche che dovrebbero affiancarsi a quel rigore glaciale che avevo riscontrato nella precedente release. Ecco, dovrebbero, perchè anche in questo caso non ci trovo molto calore nella proposta del duo transalpino, fatto salvo per quegli intermezzi più composti da cui ripartire con la furia iconoclasta che continua a caratterizzare i LT. "Représailles" prova a partire con meno spinta propulsiva, infarcendo il tutto con un filo di melodia in più, cupa e malinconica, che prova a stemperare quei momenti piuttosto canonici di mistura tritasassi che tende ad esasperare la proposta della band. Apprezzabile comunque quella continua ricerca di melodia nelle linee di chitarre, un assemblare sprazzi di atmosfera quasi al limite del death/doom che potrebbero accostare il suono del duo anche a quello più atavico dei Deafheaven, che a mio avviso, rimangono comunque di un altro livello. Buono il tentativo di utilizzare poi dei parlati nei momenti più compassati che dimostrano comunque una certa progressione sonora in un cosi breve periodo di tempo. Non si perdono però le vecchie abitudini e "As Iron Calls, So Pile the Dreams" viene sparata a tutta forza con la sua caustica forza metallica, spezzata fortunatamente da un solenne ed emozionale break acustico verso il quinto minuto e che per un paio di giri d'orologio, ci coccola tra le sue calde braccia. "The Amber Her" ha un piglio più tribale nelle sue percussioni e non è affatto male, ma poi, eccole li, le scorribande nere come la pece, riprendono a correre verso le viscere della Terra accompagnate dalle abrasive vocals del frontman che solo nell'ultima "Le Chant des Tombes", prende il coraggio a due mani utilizzando un cantato pulito assai sofferto, su cui proverei a soffermarmi un po' di più in futuro, e rallentando ulteriormente le velocità del brano, ci regalano quello che è a parer mio, il miglior pezzo di un lavoro che mostra segni di progresso, ma non ancora sufficienti per farmi gridare al miracolo. (Francesco Scarci)

mercoledì 27 settembre 2023

Aset - Astral Rape

#PER CHI AMA: Esoteric Black
Quanta curiosità avevo nell'ascoltare il debutto degli Aset, nuovo progetto che racchiude membri dei francesi Seth, dei finlandesi Oranssi Pazuzu e di un'altra indefinita band tenuta al momento misteriosa. Dietro ad un progetto cosi ambizioso, anche una etichetta ambiziosa, l'onnipresente Les Acteur de l'Ombre Productions. La domanda cardine è ora "gli Aset incarnano le due band madri o propongono tutt'altro in questo 'Astral Rape'"? Beh, non facile rispondere a questo quesito, visto che ascoltando l'opener "A Light in Disguise", finisco per cogliere più la maestosità dei blacksters francesi piuttosto che la psichedelia dei gods finnici, che comunque si muove nel sottofondo di una proposta che vede come influsso principale i Deathspell Omega (che siano loro la terza band che vuole rimanere nell'anonimato? Banale speculazione la mia, attenzione). Suoni obliqui, completamente sbalestrati, dotati di una certa animosità che si traduce in chitarre sparate a tutta velocità e smorzate da un cantato tra il litanico e l'harsh black. Ecco come si presentano gli Aset. Che il disco graviti nei pressi di un'intelaiatura metallica sghemba è dimostrato anche dalla seconda iconoclasta "Abusive Metempsychosis" che, a fronte di ritmi forsennati, trova in alcuni rallentamenti atmosferici di scuola mesopotamica (penso ai Melechesh), pochi secondi in cui ritemprarsi lo spirito. La discesa negli abissi prosegue con la deviata ma più compassata "A New Man for a New Age", in cui il cantante sperimenta vocalizzi simili a quelli del buon Attila Csihar, e che vede ad un terzo del brano, una super frenata a livello ritmico da cui ripartire più infervorati che mai, grazie ad una rutilante enfasi ritmica. Fin qui tutto bene, ma in tutta franchezza, mi sarei aspettato qualcosa di ben più originale dai nostri, considerata soprattutto la presenza di musicisti schizzato come quelli degli Oranssi Pazuzu e invece, 'Astral Rape', anche nello svolgersi delle successive "Lord of Illusions" (violentissima peraltro nel suo morboso incedere), "Astral Dominancy" e la più sludgy "Serpent Concordat", si conferma un lavoro ordinario, in cui l'unica eccezione sembra essere rappresentata dalla più ritualistica "Force Majeur" che appare più ricercata a tutti i livelli, musicale, atmosferico, e vocale, senza dover per forza puntare sulla furia bieca delle sue chitarre (seppur comunque presente). In soldoni, 'Astral Rape' è un disco interessante ma non troppo, forse penalizzato dall'eccessivo carico di aspettative che ci avevo messo sopra. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2023)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/astral-rape

sabato 1 luglio 2023

Miasmes - Répugnance

#PER CHI AMA: Black/Death
Li avevo recensiti poco meno di un anno fa in occasione del loro EP di debutto, 'Vermines'. Tornano oggi i francesi Miasmes, questa volta con Lp d'esordio, 'Répugnance'. Lo stile black old school mi sembra trovare ampie conferme anche in questa nuova release, che sembra non far sconti a nessuno in fatto di brutalità. Nove i pezzi a disposizione per sancire la ferocia di questo terzetto transalpino che, fin dall'iniziale "Délivrance", fa della violenza il proprio pamphlet con un sound davvero malvagio e incazzato. Echi di Impaled Nazarene sembrano confluire nell'impasto sonoro dei nostri con un concentrato granitico di black, death e punk. Ecco, queste poche righe basterebbero a descrivere il contenuto di questa release, che di certo non sprizza originalità dai suoi pori, ma che poi in realtà mostra come per fare un bel bordello, sia necessario anche avere gli attributi, le idee, e le competenze. Ebbene, i Miasmes non si tirano certo indietro, macinano vittime lungo il proprio cammino con armi convenzionali, dal basso assassino di "Prophétie" che ben va a braccetto con il caustico screaming di G. E poi ancora "Calvaire" e le sue ritmiche tanto devastanti quanto sghembe, e quelle sue chitarre che potrebbero evocare anche i Mayhem, con quel rifferama più vicino ad una sega circolare che al suono della sei corde. Non male poi l'assolo selvaggio che chiude il pezzo che ci introduce immediatamente ad un'altra song di violenza inaudita, "Peste". Se pensate di trovare melodie ruffiane, parti orchestrali, break atmosferici o quant'altro, beh potete pure scordarvelo, qui non passa lo straniero, diceva qualcuno. E siamo solo a metà strada. Il massacro infatti continua "Répulsion", una song che per lo meno, nel suo incipit mostra un approccio più mid-tempo, cosa che non si può altrettanto dire di "Malemort" e "Aversion", un altro paio di brani che ci rifilano un uno-due tra mandibola e stomaco, lavorandoci poi ai fianchi, con precisione chirurgica la prima, e dirompenza punk hardcore la seconda. Siamo quasi agli sgoccioli e mancano le ultime due song, la deflagrante "Destructeurs" (con cui però inizio a percepire i primi segni di stanchezza dall'ascolto della release) e la conclusiva "Pestilence", il pezzo più lungo del lotto, che condensa verosimilmente quanto ascoltato nei precedenti 36 minuti con ritmiche serrate di scuola Mayhem unite a quell'attitudine degli Impaled Nazarene. Alla fine 'Répugnance' è un album onesto di suoni vecchia scuola che piacerà però esclusivamente agli amanti di tali sonorità e pochissimi altri. (Francesco Scarci)

(Ladlo Productions - 2023)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/r-pugnance

lunedì 26 giugno 2023

Moonreich - Amer

#PER CHI AMA: Black/Death
Moonreich atto III, almeno qui nel Pozzo dei Dannati, con questo quinto capitolo della loro discografia, ‘Amer’, che sembra consegnarci una band in forma dopo le fatiche del periodo Covid. Il disco include cinque nuove tracce per 43 minuti di sonorità dissonanti di scuola Deathspell Omega e su questo non avevo dubbi, condividendo il paese d’origine delle band, la Francia, che sembra aver imbastito una scena estrema che si muove proprio sulle orme dei maestri Blut Aus Nord e Deathspell Omega appunto. Quindi, il duo di Parigi si lancia con questa nuova prova miscelando ancora un death black con visionarie ed estemporanee porzioni sperimentali. Ascoltatevi il break improvviso di “Of Swine and Ecstasy”, un pezzo spigoloso ma che racchiude stralunate trovate artistiche sia a livello ritmico che solistico, con ventate di melodia che si mischiano a bordate nucleari. Le medesime che prendono fuoco nella seconda “Amer”, la title track, un concentrato di death black senza troppi fronzoli, fatto salvo per un malinconico rallentamento nella seconda metà del brano che ne controverte il mio giudizio finale, un po’ abbottonato fino a quel momento. Il disco comunque prosegue su coordinate similari, tra rasoiate ritmiche dal piglio post-black (“Astral Jaws”), laceranti rallentamenti atmosferici, voci addirittura grooveggianti (“Where We Sink”), ma anche una certa venatura progressiva che sembra chiamare in causa Enslaved e The Ocean (ancora “Astral Jaws” e la lunga – oltre 13 minuti – e tribaleggiante “The Cave of Superstition”). ‘Amer’ alla fine è un lavoro complesso, che forse all’inizio potrà puzzare di già sentito, ma che dopo innumerevoli ascolti, potrebbe invece rivelare interessanti aspetti che inizialmente rimangono celati dietro ad un ascolto superficiale. Un disco a cui dare più di una chance. (Francesco Scarci)

(Ladlo Productions - 2023)
Voto: 73

https://ladlo.bandcamp.com/album/amer

mercoledì 10 maggio 2023

Hyrgal - Sessions Funeraires anno MMXXIII

#PER CHI AMA: Black/Death
Dopo aver recensito più o meno positivamente tutti i full lenght degli Hyrgal, ecco che fra le mani mi capita anche il loro nuovo EP, 'Sessions Funeraires anno MMXXIII'. Registrato (credo) volutamente con un approccio casalingo, l'album consta di cinque nuove tracce più la cover dei Marduk, "Dark Endless". Come ovvio che sia, il quartetto transalpino continua a muoversi nel sotterraneo mondo estremo già dall'iniziale "Deuil Éclair". Come da protocollo, i nostri ci trascinano nel loro personale inferno fatto di sonorità black metal nude e crude, come più volte sottolineato dal sottoscritto nelle precedenti recensioni. Difficile quindi trovare grandi spunti innovativi nelle song qui contenute, se non un tentativo di coniugare in taluni frangenti il black al death (soprattutto a livello di un robustissimo rifferama), o di affidare ad interessanti porzioni melodiche lo svolgimento di un brano comunque complesso e controverso come può essere "Phalanges Assassines". Sghemba al punto giusto "Épique Spleen", spaventosa peraltro nel suo roboante incedere, che la rende, nella sua magniloquente potenza, anche sontuosamente claustrofobica. "Gorge Blanche/Surin Noir" entra assai lenta e inquietante, quello che stupisce è poi la porzione ritmata su cui poggia un brillante assolo (si, avete letto bene, un assolo, che peraltro tornerà anche nel finale) e i vocalizzi dannati dell'ex Svart Crown, Clément Flandrois (aka C.F), sia in forma urlata che più pulita. Ecco, se all'inizio parlavo di pochi spunti innovati nel sound degli Hyrgal, mi devo rimangiare le parole, visto quest'ultimo brano e l'esperimento ambient/noise della successiva "炎が秒を貪り食う場所 (Honō Ga Byō o Musabori Kuu Basho)", sottolineano una ritrovata vena di creatività dei nostri. Certo, se poi riproponi una cover dei Marduk, ecco forse una volontà di cambiamento non la leggo affatto e sulla scelta di includere questo brano, ci sarebbe forse un po' da discutere. Comunque, un discreto ritorno sulle scene, sebbene l'ultimo album fosse datato 2022 e quindi ritengo non fosse strettamente necessario dare un segno di vita. Eppure, qualcosa di interessante e potenzialmente rivoluzionario, lo si può anche ritrovare in questo 'Sessions Funeraires anno MMXXIII'. A voi l'arduo compito di recepirne il messaggio subliminale. (Francesco Scarci)

martedì 11 aprile 2023

Räum - Cursed by the Crown

#PER CHI AMA: Post Black
Una grandinata di riff caustici come la morte irrompono in questo debut album dei belgi Räum, intitolato ‘Cursed by the Crown’. “Andromeda” è la furibonda traccia che esplode nei nostri cervelli con quel riffing scarno e angosciante, mentre la voce ringhiante di Olivier Jacqmin, lascia trasparire tutto il proprio odio. Si tratta certamente di un furente post-black dai rari tratti atmosferici (giusto un paio di break acustici interrompono infatti la furia cieca del quartetto originario di Liegi) che potrebbe evocare nelle partiture più ragionate, un certo black norvegese di metà anni ’90. Ci provano infatti solo per pochi secondi nella title track, secondo atto di questo disco, a offrire un sound più compassato, ma dopo pochi attimi si riparte con un suono glaciale, tiratissimo (dove peraltro non mi convince affatto l’acustica della batteria), decisamente asciutto e questo screaming che alla lunga diventa a dir poco fastidioso. Fortunatamente il mattatoio messo in atto dai nostri s'interrompe a metà traccia, lasciando il posto a sonorità più affabili, quasi sognanti e con la comparsa contestuale di vocals pulite e oscure che comunque abbassano quella tensione quasi insopportabile che si era creata nei primi 11 minuti di ascolto. Con un fare vicino a certe sonorità death doom, la band sembra ripartire da un black più ragionato che per lo meno non persiste in frustate continue. Addirittura, un assolo dal piglio scandinavo chiude un pezzo comunque movimentato e più interessante di quello in apertura. Il sound tipicamente old school riprende però nella terza “Fallen Empire” e lo fa macinando riff serrati a mo’ di contraerea nei cieli di Baghdad con un rifferama tagliente, qualche episodico frangente melodico e poco più, il che non arriva a scardinare la mia emozionalità in fatto di sonorità estreme. Un peccato, perchè qualche idea discreta ci sarebbe pure, ma la sensazione che avverto, anche alla fine della lunghissima (12 minuti), spettrale e meno ammorbante “Beyond the Black Shades of the Sun“, è che quello che ho fra le mani, sia un prodotto austero, forse ancor troppo ancorato ai dettami della tradizione black. C’è ancora un po’ da lavorare per scrollarsi di dosso quell’impronta old fashion che rendono i Räum, ancora una band tra tante. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions – 2022)
Voto: 64

https://ladlo.bandcamp.com/album/cursed-by-the-crown

lunedì 3 aprile 2023

Limbes - Ecluse

#PER CHI AMA: Post Black
Altro giro, altro regalo, nel senso di un'altra one-man-band francese, che ormai devo ammettere non faccia più notizia. I Limbes sono della scuderia Les Acteurs de l'Ombre Productions, e anche questo non sembra nemmeno più far notizia e se ci aggiungiamo il genere, beh che volete aspettarvi, black nella più classica tradizione dell'etichetta francese. Almeno cosi sembrerebbe... Già, perchè mi sa tanto che la label di Nantes ci ha visto lungo un'altra volta e ha aggiunto un'altra entità davvero fuori dagli schemi a quelle già interessanti del proprio roster. Guillaume Galaup, responsabile del progetto, che peraltro abbiamo già incontrato nei Blurr Thrower, ha tirato fuori un album di debutto sconvolgente, per intensità e violenza, con un lavoro sparato a tutta velocità fin dall'opener "Lâcheté", tra linee di chitarra selvagge, melodiche e taglienti, vocals strazianti ed un vertiginoso senso di inquietudine, sorretto da eccellenti atmosfere che più o meno interrompono quella furia bieca che contraddistingue la matrice di fondo delle sonorità qui incluse. I Limbes fanno male in 'Ecluse', nonostante le sole quattro tracce, ma se pensate che solo "Leurre" dura un quarto d'ora, potrete immaginare come qui ci sia ben poco da scherzare. E il buon Guillaume ci investe in "De Courbes & de Peaux" con un torrenziale sound, di quelli che non fa prigionieri, non salva nessuno, black nero come la pece in una pericolosa mistura di suicidal, depressive e post-black malefico e dolorante, che sarà solo in grado, con la sua inarrestabile furia, di devastare tutto quello che gli si para avanti. Non bastano i break atmosferici per darci una parvenza di melodia o più facile digeribilità di un disco che troverà nell'epicità delle chitarre di "Corridors" uno dei suoi punti di forza per poi annientarci definitivamente con quei quindici interminabili minuti del distruttivo finale affidato a "Leurre", una song che rappresenta la summa della proposta dei Limbes come tormento vocale, vigore sonico (l'impeto che si sente al quarto minuto non ha eguali nel disco) e malvagità. Insomma, un disco questo, da maneggiare certamente con estrema cautela. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2023)
Voto: 77

https://ladlo.bandcamp.com/album/ecluse

venerdì 24 febbraio 2023

Deliverance - Neon Chaos in a Junk​-Sick Dawn

#PER CHI AMA: Black/Sludge
Sei tracce per oltre sessanta minuti di musica, pronti a sostenerle? La proposta del quartetto parigino, al terzo atto con questo ‘Neon Chaos in a Junk​-Sick Dawn’, è un black variegato che si muove tra sfuriate di una violenza inaudita, intermezzi elettronici e parti decisamente al limite dello sludge. Tutto questo è quello in cui vi imbatterete nell’ascolto di questo disco, condito poi dalle graffianti vocals di Pierre Duneau e da una buona e costante dose melodica. Parlavo poco fa di black/sludge, ed è ciò che avrete modo di saggiare già dall’iniziale “Salvation Needs a Gun”, song che parte feroce, veloce, melodica ma che ad un certo punto del suo corso, tirerà la migliore delle inchiodate (termine gergale tipico delle mie parti per identificare una super frenata) per poi proseguire verso un finale tutto in salita, interrotto ahimè troppo prematuramente. Si riparte poi con le stralunate chitarre di “Venereal”, una traccia dal piglio più criptico e sinistro. I pezzi forti del disco mi sembrano tuttavia rappresentati dalle due maratone, affidate ai 18 minuti di “Odyssey” e agli oltre 17 di “Fragments of a Diary from Hell“, che combinate tra loro, costituiscono oltre la metà del disco, in fatto di durata. I contenuti? Molteplici, dal dark rock iniziale di “Odissey”, in cui anche la voce di Pierre assume sembianze pulite, ad una musicalità decisamente più orecchiabile e minimalista, visto un lungo break atmosferico poco prima di metà brano. Poi i nostri, in un percorso quasi orrorifico, aumentano i giri del motore, almeno per quanto concerne la potenza delle chitarra e, infarcendo il tutto di una buona dose di psichedelia, post metal e sludge/doom, sfoderano una prova davvero interessante. Almeno quanto il secondo interminabile capitolo, la lugubre “Fragments of a Diary from Hell“, che per quasi sei minuti tiene banco con quelle sue atmosfere ambient-droniche di pink floydiana memoria, per poi dirottare verso suoni sludgy, responsabili della chiusura del disco. In mezzo invece le più ordinarie (si fa per dire) “Up-Tight” e “Neon Chaos”: la prima nella sua andatura sludge sfoggia dapprima un lisergico break e poi fendenti black; la seconda invece, mostra un cantato quasi robotizzato in un contesto ancora sludge e post metal. Alla fine quella dei Deliverance è una proposta a tratti assai originale, che necessita tuttavia di molteplici ascolti per essere immagazzinata nel migliore dei modi. (Francesco Scarci)

venerdì 17 febbraio 2023

Jours Pâles - Tensions

#PER CHI AMA: Depressive Black
Avevo recensito il primo album dei Jours Pâles, trio transalpino, i cui membri arrivano da realtà similari quali Asphodèle e Aorlhac. 'Tensions' è il loro secondo lavoro edito dalla lunga mano della Les Acteur de l’Ombre Productions e ingloba nove nuovi pezzi all’insegna di sonorità estremamente orecchiabili (basti ascoltare la super ruffiana "Jour de Pluie, Jour de Fête" in apertura, per avere una vaga idea della proposta dei nostril qualora non li conosceste). Melodie frizzanti, voci pulite e qualche growling vocals sparata qua e là (con testi rigorosamente in francese, come accadde anche in 'Éclosion'), qualche intermezzo atmosferico affidato a porzioni arpeggiate di chitarra e il gioco è fatto. I Jours Pâles sono pronti a prendere il volo anche se probabilmente non saranno i fan più estremisti dell’etichetta transalpina quelli che si avvicineranno ai nostri, visto l’interesse per realtà più death/black oriented. Con la successiva "Saint-Flour Nostalgie", l’aura sembra farsi più malinconica, e accanto a questa tendenza depressive, il terzetto accosta anche qualche breve sfuriata black che rinforza quanto di buono avevo avuto modo di ascoltare in passato. E la schizophrenia black si palesa anche nelle note iniziali della terza "Ecumante de Rage" che oltre a dar sfoggio di estremismi sperimentali, quasi di scuola Pensees Nocturnes, si dipana in splendidi giri di chitarra e sonorità che potrebbero evocare l’eleganza blackgaze degli Alcest nei giri forbiti di pianoforte, ma è comunque la struttura globale del brano, cosi asservita a continui cambi di tempo, tra rallentamenti ed epiche galoppate, che la renderanno alla fine anche il mio pezzo preferito. Forse perchè nel corso dell’ascolto troveremo qualche altro brano davvero interessante: dalla tumultuosa title track a "Saturnienne Lassitude", che fa l’occhiolino ai Les Discrets nel suo portamento cosi drammatico e decadente, ipnotico e quasi avanguardistico, ma dal finale di scuola tipicamente classic metal. Non ci si annoia di certo durante l’ascolto di 'Tensions', soprattutto quando tempeste ritmiche si affiancano a delicati break strumentali ("Hâve") o se a fare la sua comparsa è una qualche guest star come accade in "Ode à La Vie (Chanson Pour Aldérica)", dove incontriamo le sinuose vocals di Natalie Koskinen dei mitici Shape Of Despair in un pezzo dai tratti soffusi che avrà modo di evocare un che dei nostrani Novembre lungo la sua traiettoria sonora. Ultima menzione per il post punk di "Dose(s)" e delle spettrali melodie della lunga e conclusiva "Les Feuilles Tombent". Diavolo, stavo poi per dimenticarmi dello splendido artwork di copertina, a cura del buon Niklas Sundin dei Dark Tranquillity che testimonia come 'Tensions' sia un lavoro ispirato che sottolinea le ottime qualità dei Jours Pâles, e soprattutto di una dose di personalità da vendere. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 78

https://ladlo.bandcamp.com/album/tensions

ACOD - Cryptic Curse

#PER CHI AMA: Symph. Death/Black
Non ho fatto in tempo a recensire 'Fourth Reign Over Opacities and Beyond' che mi ritrovo per le mani un nuovo lavoro dei marsigliesi ACOD. Era ottobre 2022 quando recensivo quel disco, eccomi qui oggi a distanza di solo qualche mese a parlarvi di questo EP intitolato ‘Cryptic Curse’. Il nuovo arrivato contiene giusto tre song che sembrano tuttavia richiamare in tutto e per tutto ‘Fourth Reign…’ e dare una certa continuità al percorso intrapreso dai nostri, ossia quel black/death orchestrale che avevo trovato davvero convincente, pur senza rinnegare un passato dalle tinte thrash. Lo si evince dalle roboanti trame ritmiche dell’iniziale "The Hourglass Slave" per poi proseguire con eccellenti risultati anche nelle successive "The Mask of Fate" e nella title track. Oggi, a differenza della precedente recensione però, manca forse per me quell’effetto sorpresa che avevo avuto modo di saggiare all’epoca, ma non posso certo nascondere la bellezza di alcuni assoli, del prestante growling del bravissimo Fred o dell’oscure linee di chitarra che Jérome sciorina nella seconda traccia, tutti elementi che, affiancati ad un’ottima preparazione tecnica, ad un ricercato gusto per le melodie e ad una perfetta registrazione da parte di Tony Lindgren ai Fascination Street Studios, rendono questo breve (17 minuti) capitolo della saga ACOD, di un certo interesse. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2023)
Voto: 73

https://ladlo.bandcamp.com/album/cryptic-curse

lunedì 23 gennaio 2023

Wesenwille - III: The Great Light Above

#PER CHI AMA: Experimental Black
Wesenwille atto terzo. È infatti la terza volta che mi trovo a dover recensire una release dei folli olandesi, divenuti nel frattempo una one-man-band a tutti gli effetti, guidati dal buon Ruben Schmidt. 'The Great Light Above' prosegue con il barbarico e dissonante sound che avevamo già avuto modo di apprezzare nei primi due lavori e, per quanto mi aspettassi un calo fisiologico del nostro mastermind, mi ritrovo invece una band in piena forma e progressione sonora. Sette le devastanti song a disposizione del polistrumentista di Utrecht, con il disco che si apre con il black tutto (di)storto di "Revelation of the Construct" in una cavalcata irrefrenabile che vede un importante uso delle melodie e momenti più atmosferici, che interrompono quello sferzare tipico dei nostri, assai simile alle raffiche del blizzard che soffia a latitudini polari. Quello che adoro di questo pezzo, che sfiora peraltro i dieci minuti, sono gli splendidi giochi di chitarra che, per quanto mi riguarda, potrebbero già sancire una elevata valutazione della release. Ma non ci accontentiamo e guardiamo oltre, con la più breve e rutilante "Transformation", brano che mette in mostra i muscoli e al contempo il cervello del musicista dei Paesi Bassi. Largo spazio alla strumentalità, ad un rifferama che somiglia più al suono dei cingoli di un carroarmato, ma che quando dà spazio alla voce graffiante di Ruben, si trasforma in un mid tempo più ragionato che sembra prendere le distanze dai maestri Deathspell Omega. Niente paura però, per quelle sonorità deviate e disarmoniche, basta pazientare la più lunga "The Legacy of Giants", con il suo fare cupo e oppressivo che ben si abbina ad un riffing sbilenco ma progressivo e che sembra percorrere i medesimi passi seguiti dagli Enslaved ai tempi di 'Monumension', in un incedere mai banale (a tratti dotato anche di una certa vena orchestrale) che sottolinea come oggi sia ancora possibile fare black metal tanto originale quanto sperimentale, senza sporcarsi troppo le mani con trovate bizzarre o l'utilizzo massivo di effettistiche varie. Il disco mi piace molto, non è certo semplice da affrontare, ma molto meglio di una passeggiata con temperature polari che di questi tempi ci allietano le giornate. "Trinity" è un pezzo mortifero sotto i quattro minuti di durata, che nasconde tutta la malignità della band nelle sue fosche e deliranti note. Quando si dice che il bello deve ancora venire, ecco piombarci addosso "Our Sole Illuminator", un disumano concentrato di post black, tracce di prog deathcore e improbabili sperimentalismi sonori (a tratti malinconici) che innalzano ulteriormente, nemmeno ce ne fosse stato bisogno, il tasso qualitativo del disco. Un interludio strumentale ("Eclipse") e ci dirigiamo verso lo spettrale finale affidato all'ispiratissima e labirintica "The Specular Gaze", degna chiusura di un album che vanta peraltro in copertina la foto di Harold Edgerton, grande innovatore tecnico nel campo fotografico e dell'ingegneria elettrotecnica al MIT, nello scorso secolo. (Francesco Scarci)

lunedì 28 novembre 2022

Houle - S/t

#PER CHI AMA: Epic Black, Windir
New sensation da Parigi? Il quintetto di oggi risponde al nome Houle e arriva sulla scena con questo EP omonimo di debutto che segna la prima pietra miliare per la discografia dei nostri. Quattro pezzi black che sembrano pescare a piene mani dal black scandinavo con un sound tagliente ma altrettanto melodico. Il suono dei gabbiani apre l'iniziale "Le Continent", una traccia che parte in sordina, con un paio di giri di sei corde quasi a voler prendere confidenza con noi. Poi un'esplosione di chitarre epiche e sferzanti e quella voce graffiante della vocalist Adèle Adsa (alias Adsagsona) dotata di un piglio scream davvero notevole. Le chitarre scivolano via crudeli ma tutta la mia attenzione rimane focalizzata sull'ottima performance della frontwoman parigina che nel corso del brano avrà modo di palesare anche il suo cantato pulito e in growl. Il sound non sembra, almeno apparentemente, granchè originale, a parte essere ben suonato e coinvolgermi quanto basta per non indurmi a skippare al pezzo successivo. Il finale però è travolgente, tra cambi di tempo e di tonalità vocali, cosi come pure ci sta alla grande quel fantastico assolo conclusivo, scuola Windir, che accresce la mia curiosità verso i cinque musicisti. L'attenzione è catturata ora del tutto. Mi soffermo sui suoni delle onde che introducono "Au Loin la Tempête", e sulla forza d'urto a cui ci sottopongono i nostri subito dopo, cosi come pure alla stravaganza di suoni e soprattutto voci che mi fanno prendere le distanze da quel concetto di originalità espresso pco più in alto sugli Houle. La band ha buonissime idee e riesce qui a convogliarle in una direzione musicale più vicina a certi suoni di depressive black, coniugati ad un'epica componente che sembra costituire il marchio di fabbrica del combo transalpino. Sono sempre più curioso e la lunga "La Dernière Traversée" (il concept del disco è marino, se non fosse stato abbastanza chiaro) non fa altro che confermare le mie attese grazie ad una lunga intro di basso (una specie di "My Friend of Misery" dei Metallica) al quale farà seguito una devastante tempesta sonora tra le cui note si metterà nuovamente in mostra la teatralità insita nella voce di Adsagsona, vero punto di forza dell'act francese, in un brano dai lineamenti melo-black dei migliori interpreti della scena. Il brano si muoverà ancora tra chiaroscuri eleganti, break strumentali e splendide fughe chitarristiche che innalzano ulteriormente il livello qualitativo espresso dagli Houle. In chiusura, la belligerante "Sous l'Astre Noir" con il suo tremolo picking ad accompagnare la voce dell'ottima vocalist, sancisce verosimilmente che una nuova bestia oscura è pronta a prendersi la scena. A questo punto, confido di sentirne delle belle in futur non troppo lontano. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 78

https://ladlo.bandcamp.com/album/houle

giovedì 10 novembre 2022

Acédia - Fracture

#PER CHI AMA: Experimental Black
Dopo un silenzio perdurato sette anni dovuto a quanto pare a qualche assestamento di line-up, ecco ritornare i canadesi Acédia sotto l'egida della sempre più attenta Les Acteurs de l'Ombre Productions. La band originaria di Quebec City torna con il terzo album ed un sound totalmente dissonante sin dalle note introduttive della folle "La Fosse". Servirà tutta la vostra apertura mentale infatti per approcciarvi ad una proposta di per sè parecchio scorbutica, ma che verosimilmente potrebbe regalare grandi soddisfazioni. Perchè dico questo? Perchè dietro a quei giri di chitarra completamente disarmonici si nasconde un mondo estremamente ricercato e complicato da proporre. Certo bisogna entrare in sintonia con le modalità davvero astruse dei nostri che si esplicano attraverso un tremolo picking che mi ha immediatamente evocato i Windir di 'Arntor' in una schizofrenica ed epica galoppata black miscelata ad una più subdola musica classica, il tutto incorniciato dallo screaming efferato di Pascal Landry. Tutto chiaro quindi? Non proprio perchè come dicevo, la proposta degli Acédia non è proprio una passeggiata in riva al mare, direi piuttosto un trekking ad alta quota e con un dislivello di 1000 m, ma coraggio, so che ce la potete fare. In aiuto arriva infatti la seconda " Mont Obscur" che, per quanto mostri un incedere più compassato, regala comunque una proposta ostica e poco accessibile che assomiglia più ad un trapano atto a forare la vostra teca cranica con suoni tanto tecnici quanto insani e cervellotici. Di sicuro la band non si risparmia in fatto di ricerca di originalità, ma a volte la sensazione è quella di voler strafare, e ci sta anche, se solo poi si riesce a non deragliare del tutto dal seminato. Questo per dire che nel corso dell'ascolto delle altre tracce, tutte peraltro che si assestano tra i sei e gli otto minuti fatto salvo per la breve title track, i nostri giocano a rincorrersi con chitarre sghembe e al contempo virtuose (che mi hanno evocato peraltro i nostrani Laetitia in Holocaust), vocalizzi animaleschi tra il growl e lo scream, suoni glaciali dove la tecnica viene messa a servizio di una musicalità che fa del contorsionismo sonoro il proprio motto. E cosi una dopo l'altra - facile a dirsi ma non ad ascoltare - il trio canadese mette in fila la schizofrenica "L'Art de Pourrir", l'altrettanto spericolata "L'Inconnu" e la conclusiva e più controllata "Brûlure du Temps", che chiude un'opera ardimentosa, funambolica e complicata, che sottolinea quanto la band sia vogliosa di sorprendere i fan, prendendosi tutti i rischi del caso, di risultare alla fine ostici per la maggior parte degli ascoltatori. Detto questo, complimenti per il grande coraggio, non è da tutti. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/fracture

sabato 8 ottobre 2022

ACOD - Fourth Reign over Opacities and Beyond

#PER CHI AMA: Symph Black/Death
Devo essermi perso qualcosa. Avevo recensito i marsigliesi ACOD nel 2015 in occasione del loro ‘II The Maelstrom’ e li ricordavo con un sound all’insegna del death thrash. Li ritrovo oggi, dopo aver saltato l’ascolto del terzo ‘The Divine Triumph’, e mi ritrovo una band di tutt’altra pasta e genere. Detto che questo ‘Fourth Reign over Opacities and Beyond’ apre con un intro dal piglio sinfonico orchestrale, ma ci poteva stare dopo tutto, quando “Genus Vacuitatis” irrompe nel mio stereo, ecco lo shock, la band non suona più quel monolitico sound tritabudelle in stile Machine Head, ma ora propone un symph black death che potrebbe ammiccare alla proposta pomposa, ma comunque robusta, dei Septicflesh. Ecco si, in questa veste gli ACOD li apprezzo molto di più, soprattutto perchè non dimenticano le loro origini, una bella dose di death metal nelle ritmiche c’è sempre, ma ora decisamente contaminate dalle sinfoniche partiture che compaiono nei pezzi, congiunta con una bella dose di melodia, suoni di archi, la presenza di una voce femminile che rendono il tutto un filo più accessibile, e che francamente preferisco. “The Prophecy of Agony“ si apre con un tono più compassato, ma le chitarra sono pronte ad esplodere in un tappeto ritmico composto, con la voce del frontman Malzareth a richiamare scomodi paragoni con il buon Nergal. In tutta onestà però, devo ammettere che il lavoro mi piace molto, direi che questi sette anni che non ho assolutamente calcolato la band hanno giovato e la progressione è parecchio significativa. Abili anche nell’alternanza vocale tra grim vocals e voci pulite, la band sciorina una dopo l’altro pezzi assai azzeccati, dove l’atmosfera si mette a servizio di un sound potente, a tratti tagliente (“Sulfur Winds Ritual”), ma gonfio di rabbia (grazie ad un riffing di scuola Morbid Angel), traboccante energia e dinamismo sonoro, cosi come pure una sottile vena malinconica, complice un tremolo picking. Forse il pezzo migliore del lotto. Ma il disco rimane pieno di sorprese soprattutto per i cambi di tono o genere: “Nekyia Catharsis“ mostra infatti un carattere più darkeggiante, tanto da richiamarmi i fasti dei finlandesi Throes of Dawn ma pure i Rotting Christ per quelle sue atmosfere più spettrali ed un utilizzo prezioso della chitarra qui votata ad un melo death dal forte piglio orchestrale, cosi come pure un utilizzo costantemente efficace delle voci pulite. Tutto molto positivo, anche l’incipit di “Artes Obscurae” che segue a ruota l’intermezzo occulto di “Infernet’s Path“. Un pezzo decisamente compassato l’inizio del primo con una bella dose di groove, ma quello che sentiamo dopo saranno saette di chitarra, ritmiche possenti ancora di scuola americana, pomposissime tastiere, vorticosi giri delle sei corde, voci gracchianti, echi a Dimmu Borgir e Cradle of Filth per un finale davvero in crescendo. Vogliamo poi citare l'artwork di Paolo Girardi? Lascio giudicare a voi. Io mi devo solo mettere ad ascoltare il disco precedente e capire se mi sono perso qualcosa di significativo. (Francesco Scarci)

sabato 17 settembre 2022

1/2 Southern North - Narrations of a Fallen Soul

#PER CHI AMA: Occult Doom Rock
Della serie Les Acteurs de L’Ombre Productions colpisce ancora, ecco arrivare gli evocativi 1/2 Southern North con un esempio di dark doom occulto. ‘Narrations of a Fallen Soul’, primo capitolo della one woman band greca guidata dalla sacerdotessa IDVex Ifigeneia, si apre con la lunghissima “Alpha Sophia” che prova a darci le prime indicazioni della proposta dei nostri. Oltre dodici minuti di suoni oscuri, compassati, esoterici, psichedelici, deliziati dalle vocals della frontwoman ellenica. Il sound dei 1/2 Southern North mi ha evocato quello dei californiani Lotus Thief, abili miscelatori di psych rock, ambient, space, post e un non so che di black metal. Qui ci troviamo al cospetto di un’artista che si muove su coordinate similari e che fa sicuramente della propria voce l’elemento portante e distintivo che va poi a poggiare su atmosfere orrorifiche che vedono peraltro la presenza di una sgangherata partitura di violino nella title track a cura di Efraimia Giannakopoulou, una dei tanti ospiti che popolano questa release. “Hearts of Hades” affida la sua parte introduttiva ad una declamazione in greco che poggia su suoni di flauto e tamburo. L’effetto è sicuramente particolare, soprattutto quando la voce della cantante si fa più suadente, anche se otto minuti di questo tipo rischiano di frantumare i neuroni anche dei più stoici. E la ridondanza sonora è uno dei must di questo lavoro: ascoltatevi la parte introduttiva di “Breastfeed Your Delighful Sorrow” e ditemi se anche voi come il sottoscritto avete perso la pazienza dopo i primi 60 secondi. Poi il brano evolve in un crescendo melodico accattivante, tra parti atmosferiche, altre arpeggiate, ma che tuttavia rischia di stancare per la sua eccessiva durata, un’altra peculiarità di un disco che raggiunge I 67 minuti di durata con pezzi che si assestano tra gli 8 e i 12 minuti. L’unica eccezione è rappresentata da “Song to Hall Up High”, storica song dei Bathory dei tempi di ‘Hammerheart’, riletta completamente in chiave avanguardistica dai nostri, ma mantenendo intatta l’epicità dell’originale, “sporcandola” semmai di influenze noise/droniche. A completare il quadro delle canzoni incluse in questo disco, ci sono ancora l’inquietante “Elegy of Hecate”, forse il brano più sperimentale e progressivo del lotto che mi ha evocato peraltro anche un che dei Thee Maldoror Kollective di ‘Knownothingism’. Infine, gli oltre 12 minuti di “Remnants of Time”, un pezzo che ammicca addirittura al jazz e in cui a trovare posto sarà questa volta il sax di George Kastanos. Quello dei 1/2 Southern North è alla fine un lavoro davvero ambizioso, concettualmente interessante ma decisamente ostico musicalmente parlando, che pertanto necessiterà di svariati ascolti per essere assimilato. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions/Satanath Records/Fog Foundation - 2022)
Voto: 68

martedì 13 settembre 2022

Hyrgal - S/t

#PER CHI AMA: Black Old School
E sono tre i lavori da me recensiti degli Hyrgal: dopo ‘Serpentine’ nel 2018 e ‘Fin de Règne’ lo scorso anno, eccomi alle prese con il terzo capitolo della loro discografia, questa volta un album omonimo. La proposta del quartetto provenzale continua a mietere vittime in territori estremi, miscelando quanto prodotto nei primi due lavori, ossia un black nudo e crudo con divagazioni atmosferiche e sghembe, degne dei migliori Deathspell Omega. “Diablerie” tuttavia apre il disco con fare black old school, scuola Gorgoroth, e un riffing mid-tempo acuminato, oscuro e orrorifico che si affida comunque ad un barlume di melodia per costruire l’architettura complessa del brano in cui la voce di F.C prosegue (in compagnia di N.M) a terrorizzare con quel suo screaming paralizzante. Da sottolineare l’epico assolo a metà brano. Si prosegue con “Légende Noire”, un pezzo dalle ritmiche serrate, sinistre e distorte, con le vocals aberranti del frontman a farla da padrona. La bellezza del pezzo risiede nei suoi continui cambi di tempo e per la presenza di una splendida ed epica chitarra in sottofondo a guidare l’ascolto del brano tra sfuriate velenose e parti atmosferiche. “La Foudre Puis La Nuit” è il pezzo che forse più ho apprezzato durante un primo e più distratto ascolto del disco, forse perchè è quella che mi si è piantata nella testa e da li non si è più mossa. L’apertura è violentissima con chitarra e basso che frustano che è un piacere. Quando entra in scena la seconda chitarra è solo piacere per le mie orecchie e la divagazione della timbrica vocale, qui in territori più evocativi/pagani, vale veramente l’ascolto del pezzo, prima di un dronico ed inquietante break che ci accompagnerà per un tratto prima del diabolico e deturpante finale. Ancora mid-tempo per “Vermines”, ma l’impressione che si cela in queste note è quella della classica quiete prima della tempesta. Detto fatto. Il brano si scatena infatti in un terremotante assalto all’arma bianca, destinato a non fare prigionieri, sebbene mantenga una certa parvenza di linea melodica di fondo prima degli ultimi 60 secondi all’insegna di partiture ambient. “Serment de Sang” ha un approccio ancora una volta sbilenco nel suo lento e fluttuante incedere sonoro tra spettrali giri di chitarra, accelerazioni improvise e caustiche vocals. Si continua a martellare come fabbri anche con “Fureur Funeste”, altro brano davvero tagliente che trova la sua normale evoluzione in un epilogo più compassato in cui anche la voce del cantante diventa molto più comprensibile. Esperimento ben riuscito considerato che a chiudere il disco troviamo “Au Gouffre”, la giusta risposta su come conciliare black norvegese con quello francese per un’ottima e riuscitissima release estrema. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 75

https://ladlo.bandcamp.com/album/--3