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giovedì 13 novembre 2014

Maud - Fish/Cow


#PER CHI AMA: Noise, Unsane, Jesus Lizard
Tempo fa, cercando notizie in google per ricostruire i tragici fatti della Costa Concordia, mi sono imbattuto nella pagina bandcamp di una band noise tedesca, dove faceva bella mostra di sè un brano intitolato “Schettino”. Per me questo fu un motivo sufficiente per volerne sapere di piú, e cosí oggi, grazie alla generosità dei Maud (questo il nome della band) che ci hanno omaggiato dei loro due album, dedichiamo un piccolo spazio per esaminare la loro esigua ma interessante discografia. I Maud sono un trio, formatosi nel 2009, che ha fondato la propria educazione nei '90s mandando a memoria la discografia di etichette quali Amphetamin-Reptile e, aggiungerei io, Touch and Go. Il disco di debutto arriva nel 2010, si chiama 'Fish' ed è roba da non crederci: registrato praticamente in casa, è un concentrato di furia e ragione, feedback e ritmi spezzati, assalti frontali e divagazioni ritmiche e strumentali davvero impressionanti. Le influenze sono evidenti e si colgono tutte, ma il risultato finale è validissimo. Dai Cows ai Janitor Joe, dai Jesus Lizard agli Unsane agli Helmet, le 10 tracce di 'Fish' macinano suoni, umori ed atmosfere con una lucidità che sorprende per un gruppo all’esordio. Sezione ritmica inesorabile, chitarre disturbanti, voci strozzate e feedback a infilarsi in ogni dove. I brani sono tutti davvero di altissima qualità e cito tra gli altri "LS Sail", "Baklava", "Emily Eternity", "Orange". Quà e là fanno capolino poi citazioni post hardcore ("Qaramel"), altrove si cerca di avvicinarsi al concetto di melodia (lo strumentale conclusivo "Cow is a Good Feeder") mentre il pachidermico incedere di "Elephant" segna l’apice noise del disco, concedendo gli ultimi 3 dei suoi 10 minuti ad una coda composta unicamente di feedback chitarristici. Trascorrono due anni prima che veda la luce il seguito, 'Cow', che sembra voler aggiustare il tiro su quello che forse era l’unico difetto dell’esordio, ovvero una personalità non ben definita. 'Cow' asciuga il suono e la struttura dei brani, concentrandosi sulla potenza e l’impatto. 'Schettino' inaugura una schiera di pezzi quadrati e devastanti: dopo la registrazione della comunicazione radio tra il comandante piú (tristemente) famoso d’Italia e la capitaneria di porto si viene travolti da uno schiacciasassi che non si ferma particamente mai. Basso e batteria sono precisissimi, la chitarra piú chirurgica e controllata rispetto a 'Fish', la voce piú urlata e presente. 'Cow' mette maggiormente a fuoco la proposta dei tre bavaresi ("Moaner", "Cheese", "Postfire" sono veloci, potenti, brevi e asciutte), anche se rispetto al suo predecessore perde qualcosa in termini di varietà. Solo alla fine, con "Primrose", ci si concede di sforare i quattro minuti e riprendere l’eclettismo post hardcore che aleggiava su 'Fish'. Che dire, una bellissima sorpresa quella nascosta nelle tracce di questi cd (confezionanti in eleganti cardboard) e non posso fare altro che consigliarne l’ascolto. Se solo siete fan di uno dei nomi di riferimento, non potrete che rimanerne entusiasti. (Mauro Catena)

('Fish' - Ampire Records - 2010)
('Cow' - Self - 2013)

https://www.facebook.com/MAUDmusic

Sequoian Aequison - Onomatopoeia

#PER CHI AMA: Post Rock/Doom
Dalla ricca città russa di San Pietroburgo arriva questo album post-rock, rigorosamente strumentale e prodotto dai Sequoian Aequison. La band è un quartetto formatosi nel 2012 e da allora ha raccolto il materiale necessario per produrre questo 'Onomatopoeia', disponibile in versione digitale, cd e vinile. Quattro brani per più di quaranta minuti di suoni ambient/post-rock, ricchi di malinconia e break di pura rabbia, il tutto per trasmettere nel miglior modo possibile le emozioni dei musicisti. Lo schema è il solito: chitarre strapiene di riverbero/delay, mentre la parte ritmica rimane lenta ed articolata, a volte anche troppo. Per carità, le emozioni sono personali e non possono essere fintamente positive, quindi se queste sono quelle della band, allora va bene così. "Opening Walls" apre con un arpeggio inquietante a cui poi si legano gli altri strumenti, il tutto ad una velocità vicina al doom e quindi ascoltabili se si è in un particolare mood esistenziale. Suoni sempre perfetti per la situazione, ma quello che manca è un tema principale che permetta di memorizzare la traccia o per lo meno di distinguerla da tanti altri brani presenti nell'etere. Infatti "Rest On The Way To Nowhere" coglie questa sfida, sfruttando al meglio il basso e rendendo gli arrangiamenti protagonisti del brano. Le stesse chitarre sono più incisive, con una distorsione non esasperata ma messa al punto giusto, il groove può cambiare in meglio e arricchire la melodia già di per sé, semplice e lineare. L'album è fatto bene, per gli amanti del genere è altro materiale da consumare avidamente, ma la numerosità di ensemble simili, rende la concorrenza spietata e quindi sopravviverà chi riuscirà a dare quel qualcosa in più. Infatti le grandi band hanno interpretato il genere a modo loro, inserendo influenze oppure puntando su suoni e ritmiche particolari. Aspettando che il prossimo lavoro veda la luce più velocemente di questo, speriamo che i Sequoian Aequison evolvano, scegliendo un percorso personale ben preciso. (Michele Montanari)

(Slow Burn Records - 2014)
Voto: 70

https://www.facebook.com/seqaeq

mercoledì 12 novembre 2014

Make Me A Donut - Olson

#PER CHI AMA: Deathcore/Metalcore
Questo gruppo di cinque giovanissimi ragazzi provenienti dalla Svizzera, dal nome piuttosto originale (d'ora in poi MMAD), presentano questo dischetto accompagnato da un curatissimo booklet che mi fa capire fin da subito che i nostri vogliono far sul serio. Di difficile etichettatura, il genere proposto spazia dal classico metalcore alla Slipknot, a derive più pesanti con il deathcore così tanto in voga in questi ultimi anni, fino a elementi classici del progressive più segaiolo (ovviamente nel senso buono del termine). Sicuramente, quello che non manca ai ragazzotti elvetici, è la preparazione tecnica, mentre forse qualcosa da rivedere in fase di composizione ci sarebbe; perchè ascoltando il disco ho avuto la sensazione di ascoltare più o meno sempre lo stesso pezzo, fatto di chitarrone ultracompresse assai precise, basso slappato e ultra effettato, assoli da impeccabile axeman italoamericano (e quindi con conseguente poco feeling), doppia cassa a scandire e doppiare le plettrate delle sei corde, cose già sentite e risentite, per quello che mi riguarda, troppe volte. Per non parlare della voce, a metà strada tra un Tom Araya di trent'anni più giovane e un qualsiasi cantante death neanche troppo propenso al growl, ma piuttosto a quel semi scream-growl che mi ha sempre dato su i nervi. Per carità, gusti personali, ma sto cercando di essere il più obiettivo possibile per cercare di “salvare” un lavoro che ha delle potenzialità secondo me non espresse: “Haunting Seed” è un bel pezzo, così come “We Are Vendetta” e la mia preferita, “Psychic Crystallization”, è davvero valida, ma per quello che riguarda il resto non si supera mai la sufficienza risicata. Formalmente tutto inattaccabile, dalla produzione al lavoro grafico, in questo caso è il contenuto che difetta in qualcosa; non una debacle completa, ma neanche un lavoro che fa strappare i capelli. Peccato, il sapore dell'occasione persa rimane piuttosto persistente. (Claudio Catena)

(Tenacity Music - 2013)
Voto: 60

https://www.facebook.com/makemeadonut

Jackknife Seizure - Time Of The Trilobites

#PER CHI AMA: Groove Metal, Soundgarden
I Jackknife Seizure sono un interessante quartetto di Londra attivo dal 2010, salito agli onori dei metallari grazie alla vincita dell'ultimo “London Metal 2 The Masses” e uno show live al “Bloodstock Festival” la scorsa estate. Questo 'Time Of The Trilobites' è il loro debutto: quattro brani registrati perfettamente – la qualità audio è davvero straordinaria, per essere un EP – che pescano il meglio dalla scena rock-metal degli anni ’90 (Soundgarden soprattutto, sia nella struttura delle canzoni che negli arrangiamenti, e qualcosa dei primissimi Pantera di 'Cowboys from Hell') per tritarli in un metal sbarazzino di ispirazione decisamente più moderna. Evidenti gli echi agli Alice In Chains nel primo minuto di “Wanker (Means You’re a Cunt)”; c’è anche qualcosa degli ultimi Mastodon (ma non certo nei suoni: qui è tutto limpido e definito) nell’incedere dispari di “Mechanical Mosquito”. Il riffing è tagliente e preciso, accompagnato da una sezione ritmica mai eccessiva – non aspettatevi fraseggi brutali e blastbeat al fulmicotone: i Jackknife Seizure prediligono la melodia alla durezza, e gli interventi metal sono misuratissimi (qualche cavalcata di doppia cassa; un paio di accelerazioni interessanti; e più in generale suoni, distorsioni ed equalizzazioni). Su tutto questo, la voce pulita e potente di Gerry, costruisce melodie ben fatte di chiara ispirazione cornelliana. Un EP ottimamente prodotto, che dura una manciata di minuti (solo 25) e scorre via liscio come l’olio. Vale l’ascolto se siete nostalgici del bel rock-metal di una ventina di anni fa e se non siete abituati a brutalità death o ai suoni sporchi dello sludge. Sarà interessante ascoltare i Jackknife Seizure alla prova ufficiale del primo full-lenght. (Stefano Torregrossa)

Lost Ubikyst In Apeiron - Abstruse Imbeciles Nailed On Slavery

#PER CHI AMA: Extreme Progressive, Devin Townsend, Meshuggah, Cynic
Attenzione, attenzione!! Fermate qualsiasi attività e concentratevi nella lettura di questa recensione perchè mi sa tanto che abbiamo una bomba in mano pronta a detonare da un momento all'altro. Dovremo certamente parlare di new sensation proveniente dalla Francia quella dei Lost Ubikyst In Apeiron, una one man band pazzesca, guidata da Mr. Schrissse, dedita a sonorità estreme, progressive-alternative o come diavolo volete definirle voi, in questo caso tutto passa in secondo piano. 'Abstruse Imbeciles Nailed On Slavery' sembra un lavoro uscito dalla mente del geniale folletto Devin Townsend, arricchita tuttavia di altre splendide trovate. Vorrei però partire menzionando l'artwork del lussuoso digipack prima ancora del suo contenuto, che vale da solo l'acquisto del disco. Poi muoviamoci pure alla musica, ma premetto che parto già conquistato da cotanto gusto estetico. "Nothing to S(l)ave" apre le danze con le su bizze caleidoscopiche, suoni gonfi di una cristallina potenza e raffinata aggressività: chitarroni "meshuggani" si intrecciano dinamicamente con splendide tastiere su un tappeto ritmico vertiginoso, in cui trova sfogo la voce urlata del bravissimo Schrissse e una sezione solistica da paura. I cambi di tempo, le melodie gustose, gli arrangiamenti fanno già di questo debut album un must. Ma andiamo avanti e godiamoci la cibernetica "The Way", song che muovendosi tra i Darkane più sperimentali e i Fear Factory più cyber oriented, ci delizia con cinque minuti di accattivanti melodie e voci filtrate, palesando a livello tecnico, una superiorità imbarazzante rispetto alle altre band, giustificando pertanto gli anni spesi dal frontman transalpino per produrre questo eccelso lavoro, che con la terza traccia (in realtà un interludio), riesce addirittura ad evocare i Pink Floyd di 'The Dark Side of the Moon'. "Final Roar" è un selvaggio ruggito di suoni difficili da descrivere: le chitarre sono rabbiose, le vocals dapprima urlate e poi sussurrate, le atmosfere si alternano tra l'incandescente, lo spaziale e il sensuale, denotando sempre di più la grande padronanza strumentale del mastermind transalpino e inducendomi più volte a verificare se quella che sto ascoltando sia la stessa traccia o sia nel frattempo più volte cambiata nel mio lettore. Complesso nella sua struttura, fine negli arrangiamenti, veloce e pesante quando c'è da non esimersi dal picchiare, ricercato ove richiesto ma soprattutto nei mai scontati assoli, 'Abstruse Imbeciles Nailed On Slavery' è un lavoro che dovete procurarvi domani, anzi no, oggi stesso. Se poi siete restii perchè queste mie parole ancora non vi hanno convinto, ci penserà l'uggiosa ambientazione di "Blind Cyclops" a condurvi in un turbinio di suoni avvincenti e ubriacanti che sapranno soddisfare i vostri palati sempre più esigenti (ma mai quanto il mio). Il nuovo eroe francese si spinge là dove voi umani non potete neppure immaginare, con dei giri pazzeschi di chitarra che consentiranno anche ai puristi del progressive, di avvicinarsi senza remore a questo assurdo lavoro. Con "Swallow the Earth" preparatevi a scalare una montagna di ben oltre 10 minuti di suoni che esordiscono piano ma che cresceranno febbribilmente nel corso di un brano che ha il pregio di non tirarsi mai indietro e provare ad andare oltre i propri confini, con un arrembaggio folgorante che scomoda e supera anche Cynic e Atheist, i maestri del techno death. Il disco nel frattempo ha imboccato strade che neppure potevo immaginare, prima di immergermi nel suo ascolto, per un fantascientifico lavoro che si candida peraltro a stare in cima alla mia top ten di quest'anno. E proprio se di fantascienza vogliamo parlare, dovreste ascoltare le chitarre aliene di "Dead and Gone" e i numeri da circo che il bravissimo Schrissse combina, un nuovo Steve Vai della musica estrema. Ora capisco perchè l'artista ha impiegato ben sei anni per scrivere questa release, la cui complessità, considerato che da solo fa tutto, raggiunge livelli esagerati. La spettrale "Sarkoma" propone altre variazioni ad un tema che si conferma mai scontato, offrendo una serie di sovrapposizioni vocali entusiasmanti per non parlare del consueto pazzesco lavoro ritmico, in cui si fatica a credere che la batteria sia in realtà una drum machine. Ma il prode Schrissse garantisce che dei musicisti in carne ed ossa si uniranno a lui per scrivere il prossimo lavoro, di cui qualcosa già bolle in pentola. Io nel frattempo vi lascio alle conclusive "The Void", song molto vicina agli ultimi Cynic, in cui da incorniciare è il sound potente del basso e " Gaïane", ultima scheggia di follia di un musicista obbligatoriamente destinato al successo. Ora, tutto dipende da voi... (Francesco Scarci)

martedì 11 novembre 2014

Decapitated - Blood Mantra

#FOR FANS OF: Death Metal
I have been waiting a long time for this album. Unlike a lot of people, I didn't have any problems with 'Carnival is Forever,' even though most people I've talked to don’t really care for that album. And I admit, when I first got it, I gave it a few uninspired listens, then just put it on the shelf and forgot about it. Not quite sure what prompted me to pick it back up a year later and give it another spin, but when I did, I found myself not listening to anything else. Over time it really grew on me, to the point where I prefer it to previous Decapitated albums. So to be perfectly honest, I was hoping for more of the same, and 'Blood Mantra' pretty much does just that. However, it does it far better than I would have expected. This is going to sound like blasphemy, but I think this is now my favorite Decapitated album. Why? Because I see it as the band finally matured and found their feet, their own style. While 'Winds of Creation' (while being the great album that it is) was pretty… how do I say this.. it sounds like it was written by teenagers, which it was. Decapitated are much further into their careers now, and yes, it’s like a completely different band. Gone are the speedy, death metal sections in favor of more rhythm driven guitar playing. That’s not to say that this album doesn't have an abundance of great riffs on it, because it does. It’s just that the style is so different it’s completely silly to even compare the old and new Decapitated. Anyway, onto the what really matters: the music. The album kicks off with “Exiled in Flesh”, before launching into “The Blasphemeous Psalm to the Dummy God Creation”, and I must say, this is exactly what I was wanting to hear. Untraditional guitar work, excellent drumming, and just a rhythmic powerhouse. I was a tad disappointed when Krimh left the band, but new drummer Mlody appears to be doing a damn fine job. The production and sound on this album are worth nothing. It’s pretty similar to 'Carnival is Forever', but meatier, with thicker, angrier guitars. Vocals are nicely laid in the mix, which is a good thing, as I have no problems with Rafal’s style, he fits the music perfectly. Someone like Sauron would just not complement the music well, and as I have said before, that’s all in the past now. The drums and bass are nice and clear, nothing too exceptional or flashy here, they just do their jobs well and serve the songs the way they are meant to be served. The title track is just an absolute monster, it just oozes greatness and class. That opening riff is killer. The verse riffs are killer. The breakdown at 3:56 is killer. The band are in top form and at this point they’re just knocking it out. This is some seriously heavy and addictive song writing. “Nest” sees Vogg taking an even more rhythmic approach to guitar playing here, but not in the Meshuggah sense really, though I could see how some people could find similarities, even though to me the two bands sound nothing alike. What really kicked me in the face was “Instinct”, probably my favorite song on the album. The riffing is just masterfully crafted, and you can tell that a lot of work and care went into this song. Not just the riffs, but in the arrangement as well, which is what truly makes it shine. The breakdown at 3:34 and the section which follows right after is probably one of the best things I have ever heard from Decapitated. “Red Sun” gives you a bit of room to breathe before delivering the final blow in the form of “Moth Defect.” I've heard some people accuse Vogg of abusing the low E string and calling them nu-metal. Either those people have dicks lodged firmly in their ears, or have no idea what they are listening to. Too much chugging? Abusing the low E? May I point you in the direction of “Spheres of Madness”? That’s what I thought. Overall, I was very impressed by this album, and I had set the bar quite high, even though I tried not to so I wouldn't be disappointed with the end result. But disappointed was the last thing I was, as this is a serious slab of just straight up, quality metal. The boys from Poland are on top form, and this is not to be missed. (Yener Ozturk)

(Nuclear Blast - 2014)
Score: 90

http://www.decapitatedband.net/

Moonless - Calling All Demons

#PER CHI AMA: Stoner Doom, Black Sabbath
“The snow is falling from a led grey sky, it’s the season of evil, it is time to die”. Con queste precise parole, scandite con marcato accento nordico, si apre “Mark of the Dead”, il primo brano di questo primo vero e proprio album dei Moonless, quartetto danese dedito al culto di Tony Iommi. Il lavoro in questione, pubblicato nel 2012 da Doomentia, è stato però registrato nel 2010, sull’isola di Samsø, nel retro del museo della Austin, la marca di automobili della Mini, e non solo. Non so perché l’ho dovuto dire, ma per me questa cosa aggiunge un bel po’ di fascino ad un disco che, già di per se, non può non lasciare indifferenti. Tonnellate di Black Sabbath. Questo, essenzialmente, è quello che troverete in 'Calling All Demons'. I quattro sono praticamente riusciti a clonare il suono della chitarra di Iommi, e a ricreare la selvaggia e oscura potenza dei primi lavori dei Sabbath, compresa – cosa per nulla secondaria – la capacità di sfornare brani assolutamente catchy, che si stampano nel cervello senza volersene andare per un bel po’. Le prime tre tracce sembrano estratte dal manuale del perfetto sabbathiano: riffoni lenti, batteria pestona, basso fuzz che procedono compatti e inesorabili fino al canonico cambio di ritmo di metà brano (splendide, a questo proposito, “Mark of the Dead” e “Devil’s Tool”). Molto bella la voce, un potente ibrido tra un John Garcia più roco e Glenn Danzig. La seconda parte del lavoro (che in totale mette in fila 6 brani) si sgancia dagli stilemi pseudo doom per approcciare uno stile più hard-blues, suonato con immutata convinzione e potenza. Gruppo e disco solidissimi, senza fronzoli, ricami e sottigliezze. Così come una vecchi auto, per esempio una Austin degli anni '60, dalla lamiera spessa e zero elettronica in cui non poteva rompersi praticamente nulla. Niente di nuovo sotto il sole, quindi, se non una quarantina di minuti che hanno il pregio di stare in piedi se suonati in sequenza tra 'Masters of Reality' e 'Blues for the Red Sun'. Ditemi voi se è poco. (Mauro Catena)

(Doomentia/Hjernespind Records - 2012)
Voto: 75

https://moonless.bandcamp.com/

Northern Oak - Of Roots and Flesh

#PER CHI AMA: Death/Black Folk, Jethro Tull, Skyclad, Primordial
Mi sono avvicinato ai Northern Oak per molteplici motivi: il primo, perchè il sito della band di Sheffield riporta che la loro musica suona come un ibrido tra Jethro Tull, Pink Floyd ed Emperor, quindi questo ha solleticato non poco la mia attenzione e fantasia. In secondo luogo, devo ammettere che mi ha sedotto enormemente la cover del disco. Poi, quando ho anche ricevuto l'elegantissimo digipack a casa, ho premuto play e 'Of Roots and Flesh' ha esordito nel mio lettore, non posso negare di essere stato ammaliato quasi immediatamente dalla qualità del suono e dalla proposta folk black dei nostri, anche se catalogarla in questo modo sarebbe alquanto riduttivo e ingiusto. "The Dark of Midsummer", la opening track, è guidata da un meraviglioso flauto (a cura di Catie Williams), struggenti melodie, ma anche da un incedere dal fare progressivo che trova il proprio sfogo estremo in saltuarie galoppate epiche e nelle growling vocals, in background, del frontman Martin Collins. Con la seconda "Marston Moor", nel sound dei nostri ecco incontrarsi l'approccio pagano dei Primordial con il folklore degli Skyclad, con i flauti andare a sfidare la poesia dei violini (di cui qui il maestro è Digby Brown), mentre sullo sfondo chitarre vibranti e harsh vocals, completano un quadro tanto epico quanto selvaggio. Eccola, l'ho già individuata la mia traccia preferita ne sono certo. "Gaia", la terza song, affida il suo intro al caldo basso di Richard Allan, che verrà successivamente seguito da tutti gli altri strumenti, ma per cui spenderei una parola in più per il bombastico sound del drumming, preciso e fantasioso, grazie a Paul Whibberley, altro valore aggiunto del combo albionico. La song poi sembra essere maggiormente ancorata a suoni folk rock che agli estremismi del black metal, relegati solo all'ultima parte della traccia. Raffinati, non c'è che dire, anche a livello di porzione solistica, in cui a mettersi in evidenza alla sei corde è questa volta Christopher Mole. Ancora echi dei primi Skyclad si incontrano in "Nerthus", ma sarà un po' la costante dell'album, per cui mi muovo, passando per la strumentale "Isle of Mists", a "Taken", song dal chiaro sapore doomish, in cui in sottofondo sono altri strumenti del folklore celtico (mi pare un hurdy gurdy) a comparire. La ritmica a tratti si rivela pesante e profonda, alternando passaggi rock ad altri death doom, senza dimenticare un ipnotico break centrale, forse l'unico punto di incontro che ho incontrato sin qui con i Pink Floyd. “The Gallows Tree” potrebbe essere ascrivibile a una di quelle musiche utilizzate nelle tradizionali danze celtiche: mi immagino infatti gente ballare attorno al fuoco in mistica allegria. "Bloom" un altro bel pezzo tiratissimo la cui melodia di fondo si stampa nella testa, un brano che trascina per energia e variazioni di tema, e che va a collocarsi al secondo posto delle mie preferenze di questo 'Of Roots and Flesh'. La title track vanta un bellissimo lavoro al basso, un fremito palpitante in grado di regalare, in combutta con le chitarre, profonde emozioni. La conclusiva "Only Our Names Will Remain" (anche se una ghost track si cela nell'ultimo minuto e mezzo) offre gli ultimi scampoli elettro acustici, di un lavoro assai interessante che rischia solo di difettare per l'eccessivo (sebbene caratterizzante) utilizzo del flauto, vero strumento portante dell'album che molto spesso ruba spazio agli altri musicisti, che meriterebbero invece di dar mostra delle loro eccelse qualità. Non conoscevo i Northern Oak e me ne dolgo, ora andrò in esplorazione della loro vasta discografia, voi nel frattempo divertitevi con 'Of Roots and Flesh'. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 80

http://www.northernoak.co.uk/

domenica 9 novembre 2014

Vampillia - Some Nightmares Take You Aurora Rainbow Darkness

#PER CHI AMA: Math/Experimental/Ambient
Ritornano i folli giapponesi Vampillia, già recensiti in occasione del precedente lavoro, dal fido Bob e valutati con un 110 cum laude. Abbandonati gli estremismi sonori di quella release, i nostri diminuiscono anche drasticamente il numero di song contenute nell'album ma le novità non si limitano solo a questo. 'Some Nightmare Take You...' infatti propone una nuova veste per la band del Sol Levante. La title track, posta in apertura del disco è infatti una canzone di oltre sette minuti che si muove ondeggiando su un tenue tappeto di chitarre classiche, violini e un finale drone/noise/wave. I nostri non si smentiscono, anche se non è il folle grind mischiato a musica classica a saturare le mie orecchie. Con “Fedor” ritornano a farsi sentire gli strumenti elettrici e quindi mi attendo verosimilmente il delirio. L'inizio infatti è affidato a una batteria schizofrenica, chorus celestiali e fraseggi ambient prima della definitiva esplosione del tipico sound dei Vampillia: schegge impazzite di grind/math su cui si innestano pianoforte, strumenti ad arco, chitarre classiche e frammenti di urla farneticanti, che sottolineano ancora una volta la genialità del combo giapponese, uno che quando c'è da sperimentare non si tira certo indietro. Il sound fiabesco riprende con la terza “The Volcano Song”, in cui ancora sono eteree voci di donzelle unite a violini a dare una parvenza di normalità ad un sound che spinge per liberarsi da quelle catene che lo tengono costretto alla normalità. Qualche riffone infatti ben più pesante cerca di erompere nella quiete ultraterrena che quegli angeli provano a mantenere con i loro soavi vocalizzi, ma questa volta la follia rimane del tutto controllata fatto salvo per un bellissimo assolo conclusivo accompagnato però da mefistofeliche vocals e da un drumming tribale e ossessivo. È forse il suono di una spinetta quello che apre “Silences” song che nei suoi primi 30 secondi mette in scena tutta la teatralità musicale dei Vampillia: musica classica e grind, un binomio perfetto per un risultato fuori dal comune. Il disco prosegue con una serie di pezzi che non superano i due minuti di durata in cui emerge forte l'anima dei nostri. In “Dream” la musica di questi pazzi sembra richiamare le colonne sonore cinematografiche degli anni '50, mentre “Hope” potrebbe rievocare gli anni '60. A chiudere il disco ci pensano le delicate atmosfere di “Kizuna”, l'ennesimo pezzo che stravolge completamente il concetto musicale dei Vampillia, che in nove brani sono stati in grado di dire tutto e il suo contrario. Genialità e follia allo stato puro. (Francesco Scarci)

(Candlelight Records - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/pages/Vampillia-official

Deportivo Lb - Gigante

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Crossover, Linea77
I Deportivo Lb vanno subito premiati per essersi autodefiniti brutal-pop, magari per la goliardia o giusto per rompere le palle a chi classifica ogni cosa. La band nasce così nel Piacentino nel 2003 e unisce cinque prestanti ragazzotti con la passione per i riff potenti e pestati. 'Gigante' esce nel lontano 2008 e raccoglie il lavoro fatto dalla band in cinque anni di attività, ben tredici brani per un totale di sessanta minuti. L'album è sorprendente, nel senso che unisce sonorità alla RATM, Linea 77 e altre influenze in maniera molto semplice e armoniosa, potenza come piovesse e suoni un po' nostalgici, almeno per chi ha superato i trenta'anni come il sottoscritto. In certi passaggi si sentono anche venature dei vecchi Timoria, tipo quando la band, in "Il Macaco Julian" inizia in maniera ipnotica, sostenuta da gran chitarre che schiacciano ed elargiscono pressione sonora. Il brano è arrangiato con attenzione, anche nella parte ritmica dove la batteria scalpita a dovere e il basso si fa sentire nei punti giusti e sostiene la struttura per tutti i sei minuti abbondanti. Il cantato (in italiano) è un mix di growl e cori che arrichiscono al brano. Forse i cori andavano studiati un po' meglio, solo per il fatto che il livello generale è buono e quindi può sbilanciare. Pregevole il break a tre quarti della canzone, l'assolo lento di chitarra è ricco di riverbero e delay che concede al suono di aprirsi e spaziare, dando respiro a chi è al di là degli altoparlanti. Poi il finale si ingrossa nuovamente, a ricordare di che pasta sono fatti i Deportivo Lb. "Lo Specchio" mostra il lato più psichedelico della band, con un'intro di basso irriconoscibile e riff dal sapore orientale. Pochi minuti per mostrare che la band si destreggia bene anche con pezzi meno cattivi e più riflessivi. "Il Pellegrino Luis" ci illude di essere una ballad, ma l'illusione dura solo un minuto e poi la devastazione dei nostri si abbatte come un gigante iracondo. Riff claustrofobici e ritmica ansiogena che lascia spazio poi ad un break limpido e cristallino, che cresce fino alla conclusione del pezzo. 'Gigante' è un buon album, probabilmente se fosse stato spinto bene e seguito meglio in alcuni fasi di produzione avrebbe dato risultati ben diversi. A questo punto resta da vedere se la band è ancora attiva e se ha intenzione di bissare questo cd, magari stavolta il vento soffierà a loro favore. La generazione che non ce l'aveva è cresciuta, forse in meglio. (Michele Montanari)

Elderblood - Son of the Morning

#FOR FANS OF: Symphonic Black Metal, Dimmu Borgir, Carach Angren
Being a debut, there’s very little reason why this one is as good as it is but therein lies the fact that this Ukrainian act has just positioned themselves at the forefront of the genre with this commanding, impressive release. Being a Symphonic Black Metal act, there’s very little about this that should appear as a surprise to any listener for the band simply opts for an excessive amount of cinematic-style keyboards that appear as if they’re scoring the battle to an epic battle in a Fantasy/Adventure film, which is precisely the case here but then the band throws one of the few genuinely impressive curveballs around with the ability to actually compose material for the guitars to go winding through the lead on here. Filled with tough, muscular rhythms bristling with technical rhythms and blinding speed, there’s a majesty and grace afforded to these rhythms that nicely off-sets the swirling keyboards and makes this music all the more enjoyable. With all this impressive material up-front of the album, there’s little reason why the spectacular drumming holds up or the dynamic bass-lines keep this going but there’s just so much to like here that this one really gets a lot to like about it. While some of the epics could’ve been trimmed down some, there’s still not much to dislike here as the most expansive epic here is the most enjoyable and blistering piece of music on the album so there’s little to not like about that feature here as the songs are just that good. After the pointless noise collage of ‘Gates to Oblivion,’ proper first song Dies Irae’ gets this going nicely with a stellar combination of their influences wrapped in a tight, muscular package that overwhelms to the point of utter enjoyment. ‘Manifestation ov Dark Essence’ is pretty similar only does so with less time, proving that the band doesn’t need to pen epic-length material to have an epic sound and comes off as one of the better highlights here. Even better, the title track manages to come off as utterly, incredibly bombastic with an overload of symphonic keyboards mixed nicely alongside the chaotic guitar patterns while generating a lot of great rhythms and faster tempos than anything before it, serving as a back-to-back highlight. The melancholic ‘My Death’ attempts to place mid-tempo plodding and atmospheric keyboard work instead of the bombastic symphony-laden approach which gets a little tiresome just due to the meandering mid-section but still has the right approach to remain likeable enough. ‘Triumph of the Beast’ is yet another epic-length barnburner like the title track which gets in plenty of raging symphonic leads, tight guitars and pounding drumming with a touch of the atmospheric for yet another stand-out effort. While not an overall bad song, ‘The XI-th Angle’ does tend to sound like most of the others here so it doesn’t really stand out in any special way yet still contains all the greatness of what made the others so enjoyable so it does have a lot to like about it. The expansive epic ‘Naglfar’ pretty much makes most of the other tracks here obsolete with a solid nine-plus minutes of technical guitar-work, blazing drumming that hurtles forth at maximum speed for the duration of the track and off-set with gorgeous keyboards shimmering and humming along wielding explosive energies and non-stop tempo variations, making for one of the most enjoyable pieces of music in the scene and single-handedly making this a must-buy release. While not up to par with that gorgeous epic, ‘Egocide’ is still quite enjoyable with a multi-sectioned approach of plodding, mid-tempo work with gorgeous, lighter keyboards up front while delving into traditional blasting-heavy approaches and plenty of bombast in the second half. About the only really weak effort here, ‘Re-Birth’ is just too slow and lethargic to make the most of its ho-hum bombast and middling tempo. ‘Dreamless’ is simply just a simple, spacey keyboard melody signaling the end of the journey as this ends on a positive note. Like a breath of fresh air in the genre, this is easily one of the more impressive Symphonic Black Metal acts to come along in a while and is the start of a hopefully impressive career. (Don Anelli)

(Paragon Records - 2013)
Score: 85

https://www.facebook.com/Elderblood

sabato 8 novembre 2014

Conjonctive - Until the Whole World Dies...

#PER CHI AMA: Deathcore
È con questo debut album che gli svizzeri Conjonctive giungono sul mercato, dopo aver fatto la classica gavetta tra live, EP e quant'altro, maturando la giusta esperienza che trasuda tra le note di 'Until the Whole World Dies'. Infatti, questo disco tutto sembra tranne che un album di debutto. Votati al deathcore più intransigente, si notano influenze thrashcore e perchè no, qua e là, anche elementi di symphonic black che riportano immediatamente alle sonorità create da gruppi quali Dimmu Borgir, Cradle of Filth e compagnia bella. Dico subito quello che secondo me è il tratto distintivo del gruppo: il simbiotico dualismo delle vocals, una maschile ed una femminile, che dal primo all'ultimo secondo ci presentano un growling che dire estremo è dir poco. Mai un secondo di pausa, mai una clean qua e là...sempre e solo growl; oddio, per quello che mi riguarda non esattamente una buona notizia, però gli stilemi del deathcore più conservatore vogliono questo, e qua vengono decisamente rispettati. Il dualismo tra i due profondi urlatori, femminile e maschile, però tende a rendere più interessante quanto qui proposto. La musica invece, mi ha fatto venire in mente questa immagine piuttosto esplicativa: una motosega che dilania tutto quello che incontra sul suo percorso, senza tentennamenti di sorta. Una distruzione totale, ossessiva, talvolta più frenetica ("The Rise Of The Black Moon" e la title track), altre volte più lenta e cupa ("Emily Rose" e "Victoria's Lake"), ma che giunge sempre allo stesso risultato: le ossa triturate. La violenza senza compromessi è il tratto distintivo di questo album, senza intervalli melodici e fronzoli, accompagnata però da una notevole perizia tecnica agli strumenti da parte dei ragazzoni elvetici. Nulla da eccepire anche per quello che riguarda la produzione, assolutamente di livello e talmente precisa da risultare tagliente come una lama pericolosissima. Album da ascoltare in blocco e riascoltare per gustare le sfumature più sottili; un buonissimo risultato, debut album assolutamente valido. (Claudio Catena)

(Tenacity Music - 2013)
Voto: 75

Vertigo Steps - Disappear Here In The Reel World: A VS Coda

#PER CHI AMA: Progressive Rock, Porcupine Tree
I Vertigo Steps sono un progetto del duo finnico/portoghese formato nel 2007 da Bruno A. (all guitars, keys, programming & samples, music) e Niko Mankinen (lead vocals), che si avvale di Daniel Cardoso (drums, bass, backing vocals ) come session e di altre collaborazioni. 'Disappear Here in the Reel World: A VS Coda', si propone come un sunto del background della band, creando un'antologia che pesca dalla discografia del gruppo dall'album d'esordio 'Vertigo Steps' del 2008, all'ultimo 'Surface/Light' del 2012, passando per 'The Melancholy Hour' (2010). Già dai primi tre brani, che formano ognuno uno step nella discografia dei Vertigo, si può avere un assaggio della crescita del gruppo dagli esordi a oggi. "Fire Eaters" si presenta fra i tre come il brano meno ispirato e dalle tendenze eccessivamente commerciali, soprattutto per quanto riguarda la sezione iniziale e la sua ripresa finale, la parte che sta nel mezzo è invece più interessante, con chitarre acustiche, note stoppate e sovrapposizioni vocali a creare un alone sonoro dal gusto più sperimentale. Purtroppo una produzione che privilegia troppo la sezione chitarristica toglie respiro alla parte vocale e gli altri strumenti. "Silentground" alza il tiro e la posta in gioco, con un sound più omogeneo e idee negli arrangiamenti e nei temi più interessanti, pur mantenendo strutture e atmosfere simili al brano d'apertura. Eccellenti sono le prestazioni della chitarra solista, come le suggestioni melodiche e le scariche elettriche che porta con sé. Solamente con "Railroads of Life" viene però completato il viaggio attraverso questo ideale trittico d'apertura che passa in rassegna gli archivi della band dal 2008 al 2012. Il pezzo si apre con una chitarra acustica che inaugura una delle semi-ballad più belle di quest'antologia, essa dialoga con il caldo registro basso del vocalist e viene puntellata da interventi delle chitarre soliste. All'esplodere della seconda sezione del pezzo stupiscono anche le registrazioni di dialoghi parlati e gli interventi di una voce femminile dal sapore orientale. In "The Swarming Process" un'introduzione accattivante cattura subito l'attenzione. Un brano davvero interessante, che mischia arrangiamenti metal a un atteggiamento post rock e a una linea vocale dal timbro suadente e levigato, malgrado l'uso del registro alto del vocalist. Il giro di basso che domina la strofa iniziale è davvero efficace tanto da risaltare come il punto di forza su un pezzo dai molti spunti intriganti. Un'altra semi-ballad si affianca a Railroads of Life. "The Porcupine Dilemma", il cui titolo rimanda subito alla band fondata dall'eclettico Steven Wilson, si presenta in ultima analisi come un pezzo enigmatico, infatti quello che può sembrare un brano orecchiabile e immediato nasconde vie traverse percorse dalla struttura e dal sound che portano subito l'ascoltatore a fermarsi e rimandare il pezzo da capo. Intro e autro portano con sé tocchi cristallini di triangolo, e una strofa ruvida ma malinconica che sfoga nella parte centrale del pezzo il un grido corale supportato da un muro di chitarre ritmiche dagli accordi ostinati. Chitarra acustica, armonici naturali e piatti accompagnano l'apertura di "INhale". La voce si muove su un registro medio-basso quasi esalato e leggermente filtrato nella parte iniziale e la struttura è costituita in un crescendo continuo che domina sempre più imponente fino al finale. Difficile definire semi-ballad una struttura così aperta e semplice che si muove in linea retta, il suo tramonto altrimenti ripetitivo viene giustificato e valorizzato da tale struttura a sovrapposizione sonora. "Through Sham Lenses", con una bella chitarra in clean iniziale, si presenta come un pezzo dalle forti influenze di band come gli U2, specie nelle vocals, il tutto trasportato nella stile proprio della band. Un pezzo che senza troppe pretese prende con molta efficacia già dal primo ascolto. Da un fade in esplode "The Spider & The Weaving", un pezzo che lascia poco spazio ai ragionamenti e s'impone per la sua possente fisicità. La potenza della batteria domina, le chitarre l'attorniano dialogandovi, la voce prolunga questa forza. Inaspettatamente il brano viene spezzato da un intermezzo di piano dal sapore malinconico, per poi riprende nel finale l'iniziale forza poi sfumando questa volta in fade out. "Silent Bliss", brano dal sound molto moderno e curato, non riesce a imporsi ulteriormente a livello compositivo, passando leggermente inosservato, certo è che questo assaggio tratto dall'ultimo lavoro dei nostri trova il suo perché in un alone sonoro ricco di riverbero che permea musica e voce. "Someone (Like You)" è la prima vera ballad dell'album. Dall'arrangiamento nella prima parte minimale e nella seconda più pieno, dai cori e dalle sovrapposizioni vocali e infine dall'andamento ritmico andante ma calmo, s'intuisce l'intenzione di creare un'esperienza istintiva, fatta di impressioni sonore più che di strutture tematiche distinte e sfoggio di perizia tecnica fine a se stessa. I brividi sono assicurati già all'apertura di "Nothing At All". Magistrali l'interpretazione del vocalist e la sua versatilità nel muoversi tra registri bassi e caldi e falsetti morbidi. Tutta la prima sezione si muove calma tra chitarre clean minimali e samples dai suoni di batteria elettronica e un piano che incanta e adombra il tutto contemporaneamente in un'atmosfera strana e surreale non priva di un lucente fascino. La seconda sezione si rivela più piena nell'arrangiamento, espediente strutturale che rimanda nel brano precedente. Dal nulla nasce "Synapse (Sleepwalking Metaphorms)", che assieme a "Railroads of Life", "The Swarming Process", "The Porcupine Dilemma" e "Nothing at All" sale sul podio dei 5 brani più validi e interessanti di questa raccolta. Dolce chitarra acustica, interventi corali come aure pulsanti di suono, brandelli di registrazioni di dialoghi prima dell'entrata di basso e batteria. La voce si sovrappone alla chitarra clean dell'inizio e a questo morbido tappeto della sezione ritmica. Finché non esplode la granata del chorus dalla chitarra ritmica che strizza l'occhio al metal. L'ultima parola va alla chitarra solista che chiude la porta al chorus per aprirla a una ripresa della strofa iniziale. Questo rapporto cangiante tra esplosione e implosione tra queste sezioni portanti costituisce l'ossatura del brano. L'assolo di chitarra centrale, supportato da una forte ritmica derivata dal chorus si fonde a essa, in una metamorfosi impercettibile che porta alla lunga coda delle chitarre in larsen. A chiudere questo notevole excursus tra la discografia della band vi è "Sunflowers/Remissions", e mai titolo poté meglio descrivere questo gioiello strumentale cui le chitarre acustiche e le elettriche in clean, dai molteplici timbri, donano linfa vitale. Il pezzo in realtà è strutturato in due parti, divise da una frase parlata, quasi sussurrata, per lasciare infine spazio alla musica dove le parole non possono arrivare. I Vertigo Steps hanno la freschezza e lo stile di band come gli Alter Bridge unite alla sensibilità espressiva e la cura nel sound di band come i Porcupine Tree. Grazie a questo viaggio negli archivi del gruppo dagli esordi agli ultimi lavori è possibile notare una maturazione nella qualità del sound, specie per ciò che concerne gli equilibri tra le molteplici traccie nel mixaggio. L'artwork si mantiene sempre raffinato ma moderno e dall'alta professionalità. Malgrado gli eterogenei spunti stilistici la band riesce a creare comunque uno stile personale e omogeneo, anche considerando la discografia nella sua interezza. L'originalità, seppur calibrata alla fruibilità di un ascolto da parte di un ampio spettro di pubblico proveniente da più generi, appare sempre in modo ragionato e mai disorientante, riuscendo comunque a dare un tocco di classe a questo progetto che unisce idealmente il freddo nord europa al caldo sud. (Marco Pedrali)


(Ethereal Sound Works - 2014)
Voto: 80

Cross Examination - Dawn of the Dude

#FOR FANS OF: Thrash/Crossover
Thought the thrash revival was over? Well, you're right. Metal is now so diverse that there really is no governing genre at any time. But thrash metal, ruler of the mid/late eighties, enjoyed a welcoming comeback in the mid 00s. However successful or obscure thrash became - its bastard-child, crossover, pioneered by the likes of S.O.D, Suicidal Tendencies and D.R.I, never really went anywhere. It just gradually became more violent, frenzied, and humorous. This is music for those who truly do not give a fuck - and Missouri's Cross Examination epitomize that characteristic in hilarious fashion. These thrasher's debut full-length "Menace II Sobriety" was a furious, yet surprisingly contained, piece of crossover madness, with memorable riffs and clear song-structures. But if their new EP "Dawn of the Dude" is any sign of things to come...then prepare to rip some fucking wallpaper. The riffs have been diluted by a messier production which boosts the volume of the cymbals and the bass. It's VERY sloppy in comparison to previous releases, which provides the perfect atmosphere for this 13-minute mayhemic monster. Fortunately, Kegmaster's vocals have become even more frantic and hysterical - making him the star of the whole affair. Any crossover fan should reap much joy from hearing him shout "WHAT! THE! FUUUUCK?!" in "Opposite Day". Plenty of samples and spoken-word sections make this a self-aware and charming EP which is guaranteed to plant a smile on the most hardened metalhead. The musings of opener "Wake Up Call", the rhythmic gang-shouts of "Hail To The Jeef", and the sheer chaos of "Ritual Snackrifice" contrast wonderfully with full-blown thrash flings like "The Bluntacolypse" and the groovier title-track, resulting in a schizophrenic, yet endearing, chunk of insanity. Considering its brevity, Cross Examination manage to cram a decent amount of variety into "Dawn of the Dude”, as well as the consistency to remain stylistically loyal to the crossover psychopaths they clearly worship. Highly recommended. (Larry Best)

(Organized Crime - 2014)
Score: 80

giovedì 6 novembre 2014

Khaossos - Eksistentialismi

#PER CHI AMA: Black Old School
Vive qualcosa di realmente malato in questa nuova opera dei finlandesi Khaossos che segna un vistoso balzo in avanti nella loro dimensione artististica, con la loro cadenza depressiva che incombe anche nelle partiture più veloci e taglienti, nei rallentamenti ossessivi e monotoni, grigi, deformi, che si muovono a stento, tombali, offrendo la sensazione di un viaggio doloroso fatto di tetra e cupa negatività. Un sound viscerale e affascinante, misterioso e lugubre, inconcepibile per alcuni, amabile alla follia per altri. Il loro modo di fondere il psico dramma sonico di un purosangue del genere funeral metal con l'iconoclasta volgare e sudicia velocità del black metal old school più degenero e sotterraneo, quello che vive nella penombra e non vede alcun spiraglio di luce. La one man band di Uusima non fa prigionieri e i pochi rimasti li tortura con litanie devastanti, sepolcrali, come le interpretazioni vocali dell'unico membro effettivo, Goatinum Morwon, in grado di gestire bene anche tutti gli strumenti usati nell'album. Un suono spoglio e freddo quanto reale e crudele, carico di sentimentale oscura ispirazione che colma anche piccole lacune compositive che altrimenti risulterebbero compromettere l'intensità dell'intero box. Pochi virtuosismi e tanta genuina tristezza, un'efferata volontà di trasmettere emozioni oscure che mai titolo migliore, 'Eksistentialismi', avrebbe potuto riassumere. Sei brani autoprodotti dall'indole isolazionista per una durata notevole di circa quaranta minuti divisi equamente tra funeral e black metal senza un confine certo e palpabile. Difficile paragonare questi brani con qualche altro artista ma possiamo dire che la scuola Burzum si sente, anche se non prevale ed il suono Inquisition, più corposo e diretto, ha un certo sopravvento. Anche il minimalismo stilistico dei Frozen Ocean dona la sua partecipazione. Colpisce soprattutto la sfera di coinvolgimento cerebrale che fa lievitare il lavoro e lo rende interessante, quel senso di follia malsana e solitaria che colpisce fin dalle prime note, quella brezza gelida venuta da lande desolate e deserte che sovrastano il tutto. Statico, convenzionale, decadente e perversamente geniale. Poche armi ma usate benissimo da un guerriero molto intelligente! Da ascoltare! (Bob Stoner)

mercoledì 5 novembre 2014

Cannibal Corpse - A Skeletal Domain

#FOR FANS OF: Brutal Death
It’s that time for another Corpse album. I won’t mess about at all and just have to get this off my chest – this album is mighty. It’s one beast of an album, full of everything and anything you could ever want from Cannibal Corpse. For starters, I’m glad that the band chose to work with a different producer. Not that there was anything wrong with the Rutan albums, but it’s just good to change things up a bit sometimes. It’s a bit of a gamble, sure, but if it works the pay off can be huge, just like it is here – and just like it was on Kill. I wish more bands would take this approach, such as Nile, rather than just working with the same producer over and over again. You never know who’s going to bring out the best in you. “High Velocity Impact Spatter” – just the title is enough to get you going, and shit, does the track ever deliver. One of the most crushing opening tracks in Corpse history. You’ll immediately notice that the guitars sound thicker than ever, the bass is nice and audible, the drums are exactly the way they are supposed to be, and Corpsegrinder sounds fucking amazing. His vocals are nice and loud in the mix without washing everything else out. Perhaps the best thing about this album is that it has something for every Corpse fan. The lighting fast tracks, the mid tempo, groovy tracks, and the downright dirty, evil tracks. It’s easy to hear things from their entire discography here. I've talked with a bunch of Corpse fans about this album, and everyone seems to have their own favorite set of songs – yet they are mostly different. Which just shows to prove that this album caters to a lot of different Corpse styles, which is great. The band, being the seasoned pros that they are, perform flawlessly on this record. That’s to be expected, and it would really surprise me if the technical ability wasn't up there with the best. What did surprise me though was the energy rushing through this album, something I felt their previous record “Torture” lacked. But here, it’s all over the place, and it’s absolutely relentless, and great to hear the band so determined. Another great thing on this album is that we have more contributions from Pat. Criminally under rated, Pat is an amazing guitar player. Not just technically, but he’s a fantastic song writer as well, so hearing more of his stuff on this album is a real treat. I wish Rob could get in there a bit more as well, as I have always loved his writing style in Solstice and Malevolent Creation. That said though, this is the best Cannibal Corpse line up there ever was and will be, and here the guys are in top form. For me, it’s hard to pick my favorites, but I would say that the strongest songs on the album are “High Velocity Impact Spatter”, “Sadistic Embodiment”, A Skeletal Domain”, “Headlong Into Carnage”, “Icepick Lobotomy” and “Hallowed Bodies.” I realize that that’s basically half the album right there, but Corpse really have cut the fat off of this one and just thrown that sucker on the grill. And the end result is just pure death metal badassery. Go get this. (Yener Ozturk)

(Metal Blade - 2014)
Score: 90

http://www.cannibalcorpse.net/

+1476+ – Edgar Allan Poe: A Life Of Hope & Despair

#PER CHI AMA: Soundtracks, Gothic, Neoclassical, Ambient, Ulver
Di questo duo del New England abbiamo avuto già modo di parlare lo scorso anno, in occasione della splendida accoppiata 'Wildwood'/'The Nightlife', che li rivelava come band interessantissima ed estremamente eclettica, ed oggi torniamo ad occuparcene in concomitanza con l’uscita di questo nuovo, particolare lavoro. Per l’occasione i 1476 ci hanno concesso una lunga ed ricchissima intervista (la prima di una, si spera, lunga serie per il Pozzo) in cui ci hanno parlato, tra le altre cose, anche di questo loro nuovo lavoro. Come si intuisce dal titolo, si tratta di musica ispirata alla vita di Edgar Allan Poe, una vera e propria colonna sonora per una mostra dedicata al grande scrittore americano da una galleria d’arte di Salem. Il gruppo si è buttato con entusiasmo nel progetto, prendendo ad ispirazione la vita piú che le opere di Poe. Il risultato sono otto brani, per 44 minuti di musica, per la gran parte strumentali, dalle atmosfere drammatiche e sempre estremamente suggestive. Per lo piú incentrate sul pianoforte, nelle otto composizioni si alternano momenti puramente neoclassici ad altri vicini all’ambient piú sinistro e meno rassicurante in cui fanno la loro comparsa gli archi, chitarre acustiche ma anche droni e beat elettronic. Loro stessi, nell’intervista, arrivano a definire questo lavoro come il risultato di un’accoppiamento tra Chopin e Ulver (!). Si prenda ad esempio l’iniziale "A Circle of Hope & Despair", drammatica e ottocentesca, o la raggelante elettronica di "Extranction Environs". L’unica vera e propria canzone, "A Circle is Eternal", è una fenomenale cavalcata di sette minuti, che mette in mostra la straordinaria capacità dei nostri di costruire crescendo emozionanti, oltre a confermare le doti vocali di Robb Kavjian, mentre per tutto il resto del programma ad incantare è soprattutto la perizia pianistica di Neil DeRosa. Lavoro di sicuro molto particolare e certamente interlocutorio, che serve come succoso antipasto per un nuovo album (pronto al 75%, come ci rivela lo stesso Robb) e che rivela una faccia inedita del combo americano, in grado di affascinare e ammaliare con oscure arti di seduzione. Inafferrabili. (Mauro Catena)

(Seraphim House - 2014)
Voto: 70

http://www.1476cult.com/

The Pit Tips

Don Anelli

Death - Leprosy (remastered)
Frightmare - Midnight Murder Mania
Autopsy - Severed Survival
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Francesco "Franz" Scarci

In Flames - Siren Charms
Scar Symmetry - The Singularity
Solstafir - Otta
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Kent

Jayke Orvis & The Broken Band - Bless This Mess
Highlonesome - Highlonesome
Sons Of Perdition - The Kingdom Is On Fire
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Stefano Torregrossa

Aphex Twin - Syro
Transatlantic - Kaleidoscope
Conan - Monnos
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Michele "Mik" Montanari

Thom Yorke - Tomorrow's Modern Boxes
The Slaughterhouse 5 - Alban B. Clay
YOB - Clearing the Path to Ascend
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Roberto Alba

Plateau Sigma - The True Shape Of Eskatos
Thee Maldoror Kollective - Knownothingism
Mysticum - Planet Satan
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Mauro Catena

Iceage - Plowing Into The Field Of Love
Jon Spencer Blues Explosion - Orange
Cristina Donà - Cosí Vicini
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Bob Stoner

Dodheimsgard - 666 International
Gorefest - Soul Survivor
Alex Machacek, Terry Bozzio - Sic
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Claudio Catena

Obituary- Back from The Dead
In Flames- Whoracle
Exodus- Blood In Blood Out

domenica 2 novembre 2014

Coraxo - Starlit Flame II

#PER CHI AMA: Cyber Death, The Kovenant, ...And Oceans
Non è nemmeno passato un anno da quando ho recensito 'Starlit Flame', Ep d'esordio dei finlandesi Coraxo, facente parte di una trilogia che comprende quell'album, il qui presente 'Starlit Flame II' e verosimilmente una parte III che non tarderà certo a uscire. L'impronta musicale dei nostri era apparsa già alquanto chiara in quell'esordio: un death melodico frammisto a una pesante porzione di elettronica. Citavo per l'appunto gli ...And Oceans e non posso far altro che confermare quell'affermazione, non appena "Lanterns" scoppia minacciosa nel mio stereo, dopo la breve intro. Le novità rispetto al precedente lavoro non sono cosi palesi: le tematiche proseguono infatti la storia delle Starlit Flame, una razza di nanomacchine aliene che si infiltra nella terra del venticinquesimo secolo, e l'inevitabile (quanto mai abusato) scontro tra uomini e macchine per la sopravvivenza. Il death melo-cibernetico torna a riaffacciarci tra ritmiche tiratissime, synth che richiamano suoni intergalattici e vocals abrasive. "Tangier" torna a strizzare l'occhio ai The Kovenant, con un mid-tempo melodico che gioca sul contrasto tra le harsh vocals e le delicate note delle tastiere. "The Bastion", la quarta traccia, mi fa pensare all'attacco delle macchine contro gli umani, per quel suo incandescente impeto iniziale con cui erompe nel mio hi-fi. La ferocia dei suoni arriva presto a placarsi, forse gli umani sono riusciti a scacciare le macchine, ma si tratta sicuramente di una tregua passeggera. "The Citadel" evoca musicalmente gli Edge of Sanity più melodici e progressivi, complice la presenza di Dan Swano dietro alla consolle nei suoi Unisound studio, mentre le vocals abbandonano lo screaming per tonalità leggermente più profonde. La song ha comunque nelle sue note un che di etereo, con le linee di chitarra più leggere rispetto alle precedenti tracce e comunque una bella linea melodica guida l'intero pezzo fino alla fine. La mano della vecchia volpe Dan si sente forte e chiara e questo non può che essere un punto a favore dei Coraxo che si giocano l'ultima carta con "Ghosts", la sesta e ultima song di questo esuberante 'Starlit Flame II'. La traccia è assai spettrale, lenta e malinconica, grazie a un delizioso impasto keys/chitarre da brivido, sicuramente la più intensa del lotto e anche la mia preferita. Il terzo episodio della saga 'Starlit Flame' promette di essere ancor più delizioso, visti i progressi del trio finlandese in cosi poco tempo e c'è già chi si sta leccando i baffi, il sottoscritto no... (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 75

http://coraxo-official.com/

Emrevoid - Riverso

#PER CHI AMA: Black/Death, Svart Crown, Dismember, Ulcerate
Piacevole all'udito ed alla vista, l'EP di debutto degli Emrevoid scorre fluidamente già dal primo ascolto. Una sapiente miscela di dissonanze (infondo vogliamo tutti bene agli Ulcerate), violente accelerazioni e un sound corposo sono la chiave vincente del combo romagnolo, le cui composizioni avanzano imponenti e senza tregua per tutta la durata dell'opera. Nessuna carenza tecnica e nesuna sporcizia, giusto quel leggero velo cinereo nel suono per rendere il tutto più oscuro, polveroso e di conseguenza apprezzabile. Il songwriting seppur calcante le linee classiche del genere, viene valorizzato dall'alta varietà di pattern utilizzati dal gruppo, ciclicamente ripetitivi in tutta la durata del disco ma comunque capaci di tenere alto il livello d'attenzione e di piacere. Particolarità di 'Riverso' sono le liriche in italiano che non stonano nel complesso ed acuiscono una malevola sensazione nel momento in cui si riescono a comprendere alcune frasi. Altra menzione doverosa si deve alla costante ombra melodica svedese (mi sovvengono all'ascolto, freddezze alla Dark Funeral e Dissection) che gioca a nascondersi ed apparire per brevi momenti, rinvigorendo notevolmente alcune tracce, dove "Il Tuo Disegno" ne diventa l'emblema. Tirando le somme, questo debut album è ben concepito e sembra promettere (speriamo in bene) in un futuro full-length che sviluppi pienamente le varie idee della formazione italica. Chiudo invitando i cari ascoltatori della vecchia scuola a non spaventarsi più di tanto, poichè ho qui riportato solo i particolari che caratterizzano l'opera, la base rimane un consistente death metal che strizza continuamente l'occhio ai primordi Mordib Angel ed Obituary; verso la fine del disco lo percepirete sempre di più, in primis nelle ritmiche. (Kent)

(Drown Within Records - 2014)
Voto: 65

https://www.facebook.com/emrevoid

Have a Nice Life – The Unnatural World

#PER CHI AMA: Dark/Shoegaze
Alla costante ricerca di nuovi talenti, mi imbatto oggi nei Have a Nice Life e nel loro vinile 'The Unnatural World', Lp di otto tracce. Non so davvero cosa aspettarmi da questa band ma quando “Guggenheim Wa...” apre col suo sound sporco e oscuro, ne rimango immediatamente affascinato. Sembra si tratti di musica dark, ma una conferma più precisa ve la darò con i successivi pezzi. Intanto mi godo i riverberi, le atmosfere rarefatte ma dilatate, voci a la Depeche Mode e un qualche cenno agli ultimi lavori dei norvegesi Beyond Dawn. Proseguo curioso di capire quale sia la reale collocazione di questi personaggi e “Defenestration...” in effetti conferma la direzione electro dark dei Have a Nice Life, fatta di una ritmica abbastanza primitiva e ripetitiva, con le vocals che si muovono tra Dave Gahan e urla punk. Forse siamo in presenza di una creatura post punk/shoegaze/dark dal sound accattivante, o forse di un nuovo genere difficile da etichettare, soprattutto dopo l'ascolto della terza track. “Music Will Unntu...” chiude con i suoi frammenti drone/wave il side A del disco che si riapre nel lato B con “Cropsey” e spezzoni estratti da una qualche trasmissione degli anni '70, mentre in sottofondo va il suono di un carrion e di una batteria; infine il tutto si rimette in sella con voce e una iper distorta chitarra, in una song che sembra un lontano sogno confuso. “Unholy Life” strizza l'occhiolino ai The Cure di “A Forest...” cosi come “Dan and Tim, ...” e il loro basso in primo piano, non fanno altro che citare la band di Robert Smith e soci mischiata in un qualche modo ai già citati Depeche Mode. Insomma, 'The Unnatural World' è un album che piacerà a chi è nostalgico per quei suoni che in un qualche modo hanno scritto la storia della musica dark miscelata ad altre sonorità più moderne. Un bell'esperimento a cui dare sicuramente una chance. (Francesco Scarci)

(Flenser Records - 2014)
Voto: 70

https://www.facebook.com/pages/Have-A-Nice-Life

Twentyfourlives - Peaks​.​.​. Peaks​.​.​. Peaks!

#PER CHI AMA: Post Rock, Mogwai, 65daysofstatic
Ah, il Belgio… Confesso di avere un debole per questa terra, quando si parla di calcio, birra e musica rock (ho delle riserve sul cioccolato, ma questo non importa). Succede infatti che dal Belgio arrivino alcune delle band che piú ho amato negli ultimi vent’anni, dai Deus agli Zita Swoon, dai Soulwax ai Venus, fino ai Girls in Hawai. I Twentyfourlives sono un quartetto piuttosto classico (chitarra, basso, tastiera, batteria), dedito ad un rock per lo piú strumentale, ascrivibile per semplicità a quel non-genere che chiameremo post-rock. Arrivano, dopo due EP, a pubblicare il loro esordio dulla lunga distanza, confezionato in un elegante digipack dalla grafica essenziale che ricorda alla lontana i Joy Division di 'Unknown Pleasures'. Non è questa la sede per una trattazione su quello che puó essere il senso del post-rock, oggi, e anche se non si può fare a meno di pensare che davvero tutto sia già stato fatto prima e meglio da qualcun altro, sarebbe quantomeno ingiusto non dare una chance ai quattro ragazzi belgi. Ingiusto e sbagliato, per di piú, dato che questo album ha le carte in regola per farsi apprezzare e ricordare ben piú a lungo dei 35 minuti che servono per scorrerlo fino alla fine. Ecco, scorrere, questo è il verbo che prima di tutti mi viene in mente per descrivere la musica dei Twentyfourlives. Tutte le otto tracce scorrono che è un piacere, senza inciampi, cadute di stile o inutili prolissità. La lezione di gente come Mogwai o This Will Destroy You è stata assimiliata, ibridata con qualche acrobazia math e ora viene riproposta con gusto e personalità. Piace, nel risultato finale, l’equilibrio tra i sapori e i colori, tra irruenza e soluzioni piú meditate, la grande attenzione riservata all’aspetto melodico senza per questo rinunciare alle ruvidezze del suono o alla complessità strutturale e ritmica. L’iniziale "Peaks" ha il merito di dire tutto quello che altri gruppi stanno cercando ancora di dire, e di farlo in soli quattro minuti. Un’intro notturna, con tanto di glockenspiel, apre "Horses", che fa montare la tensione fino poi a esplodere in un breve momento di spasmi ritmici e virtusosismi chitarristici. Spesso sembra di sentire i 65daysofstatic meno elettronici e piú concisi, come in quello che è forse il capolavoro del disco, "Mammoth", che in poco meno di sei minuti riesce a condensare epica ed emotività in maniera spettacolare. Tra i meriti ascrivibili al quartetto belga, l’invidiabile capacità di saper costruire i pezzi in maniera mirabile, con una semplicità a tratti disarmante, e ció è particolarmente evidente nei due brani cantati, tra i migliori del lotto: "Scarecrow" parte sorniona per poi montare in intensità nei suoi gorghi chitarristici, e "Htommam", che nasce da un’idea melodica elementare, per poi farsi marziale e potente. Niente di nuovo sotto il sole, sia chiaro, ma realizzato benissimo, come un abito sartoriale di cui si apprezzano il taglio, la scelta dei materiali e la cura dei dettagli. Ottimo. (Mauro Catena)

(Self - 2014)
Voto: 75

http://www.twentyfourlives.be/