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domenica 2 ottobre 2016

Chiral - Gazing Light Eternity

#PER CHI AMA: Epic Post Black/Folk, Agalloch, Burzum
I Chiral li abbiamo incontrati la prima volta lo scorso anno quando recensii 'Night Sky', opera seconda di Teo Chiral, mastermind piacentino che si cela dietro a questo progetto. Attirata l'attenzione della cinese Pest Productions che ne ha ristampato quel cd, il musicista emiliano si è rimesso al lavoro, con l'intenzione di dare un seguito ancor più maturo a quel disco, già di per sé assai buono. Le coordinate stilistiche su cui si muove Mr. Chiral si confermano quelle del black metal emozionale, costituito da lunghe cavalcate di black melodico interrotto da break acustici e d'ambiente. Il tutto è immediatamente confermato dalla spettacolarità della opening track, "Part I (The Gazer)", una epopea di quasi quindici minuti, in cui l'alternanza tra sonorità mid-tempo e sfuriate post black, delineano egregiamente la proposta dell'act italico. Ampio spazio viene affidato all'ambito strumentale e alle galoppate in cui si insinuano quei richiami folk/ambient che già avevamo sottolineato in passato e che in un qualche modo evocano gli Agalloch più agresti ma anche le cose più epiche dei Burzum. La progressione sonora c'è e si sente nei solchi di questo nuovo lavoro, testimoniato anche da una maggior vena sperimentale che in "Part II (The Haze)", mette in scena un sogno ad occhi aperti grazie a suoni onirici su cui si installa prima un dialogo tra un uomo e una donna e poi uno spoken word su un'eterea chitarra acustica, che rende il tutto più surreale. La giusta pausa (di oltre sei minuti) che prepara all'ascolto di "Part III (The Crown)", ancora una lunga suite di oltre tredici minuti, in cui il bravo Teo ripropone il suo tipico sound estremo ma atmosferico, permeato da una forte componente depressive che si evince dai suoni glaciali delle chitarre e da un cantato inizialmente sussurrato, che da li a poco tramuterà nel caratteristico screaming del frontman. Il riffing si conferma lineare e senza esagerati sussulti almeno per i primi cinque minuti, in cui i soli synth garantiscono quei giusti ricami a completamento del tutto. Le ritmiche poi lentamente si ingrossano e la sensazione è la classica "quiete prima della tempesta", tempesta che comunque tarda ad arrivare, perché nel frattempo è una certa coralità di fondo a riempire lo spazio e il tempo in questa ispiratissima traccia che trova modo di regalare brividi di piacere nel suo ipnotico svolgimento ancestrale. La tanto agognata furia black divampa a due minuti dalla fine con una serratissima ritmica (da rivedere ancora il drumming e i volumi delle chitarre) in un dinamico finale melodico. 'Gazing Light Eternity' chiude i battenti con i sei minuti del suo quarto capitolo, "Part IV (The Hourglass)", un pezzo noise in grado di concederci gli ultimi attimi di magia di questo nuovo episodio della saga Chiral. Ben fatto! (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 80

https://chiral27.bandcamp.com/

Psykokondriak - Gloomy Days

#PER CHI AMA: Rap Rock, Rage Against the Machine
In passato diverse band hanno saputo fondere rock ed hip pop con risultati interessanti e su quest'onda, i Psykokondriak o P3K, hanno pensato bene di lanciarsi nella loro avventura musicale, iniziata all'incirca nel 2012, quando produssero il loro primo EP 'Hopital PsyKotrip'. Questo 'Gloomy Days' è un album che contiene dieci tracce, avvolte dal classico cd sleeve cartonato dalla grafica dark-comics. Mi sono lasciato trasportare dalla musica del sestetto francese (originario di Lille) dove è evidente il loro amore spassionato per RATM, Run DMC e Beastie Boys. Una band nata per far ballare la gente nei club o ai festival, mentre i due vocalist si divertono con il loro free style (molto ben fatto), accompagnati dalla tradizionale line-up chitarra/basso/batteria e un Dj. Le vagonate di funky arrivano con "The Fine Art of Terror" con un'intro azzeccata e ballerina, mentre le doppia voce rincara la dose e lo scratch impazzito è un buon sostituto degli assoli alla Tony Morello. La struttura del pezzo è classica, ben dosata e piacevole da ascoltare con allunghi ed esplosioni al punto giusto per trascinare l'ascoltatore. L'intro all'album " Introducing the Body Boys" è in pieno Beastie Boys style al 100%, con quella musicalità tipicamente West coast degli anni 80/90. Settantacinque secondi al top, ben rappresentati da una qualità sonora di registrazione, missaggio e mastering degna di una band ben avviata a livello di carriera. Andando avanti con i pezzi, approdiamo a titoli come "Think it up" dal freestyle roboante e "Hot Day, Hotter Night", più rilassata all'inizio, ma pronta ad esplodere a suon di riff veloci e graffianti. Il suono della chitarra è perfetto per il genere dei P3K, potente il giusto, senza cadere in sonorità troppo pesanti che avrebbero estraniato il genere, giusta anche la sezione effetti che va dal wah-wah, flanger/phaser e quant'altro. L'aggiunta del Dj poi alla formazione permette alla band di essere d'impatto anche durante i loro live show, aspetto non da sottovalutare per un gruppo che vive per suonare davanti ad una folla scatenata. Come per i RATM, basso e batteria sono fondamentali per costruire la spina dorsale dei brani, soprattutto quando la chitarra lascia volentieri spazio alla sezione ritmica, capendo che a volte è meglio togliere che aggiungere. Finalmente qualcuno ha capito come sfruttare questa potente arma compositiva. Fantastica infine l'outro elettronico che chiude questo ottimo 'Gloomy Days', un disco ben fatto e di qualità che spicca tra le produzioni rap/rock e affini al momento disponibili sul mercato. Da tenere sott'occhio. (Michele Montanari)

giovedì 29 settembre 2016

martedì 27 settembre 2016

Pénitence Onirique - V.I.T.R.I.O.L

#PER CHI AMA: Black Atmosferico, Limbonic Art
Che la parabola musica francese sia in grande ascesa, lo diciamo da tempo e non lo scopriamo di certo oggi. Quello che sorprende è che già dai debut album delle band transalpine, possiamo parlare di miracoli, grandi lavori, musiche ispiratissime od originali e quindi bisogna tributare a queste realtà, l'onore di avere idee chiare e buone fin dagli esordi e all'etichette francesi di puntare sempre sui talenti di casa propria, insomma tutto quello che manca in casa nostra sia nel calcio che nella musica. Gli ultimi arrivati in casa Emanations/Les Acteurs de l'Ombre Productions, sono questi blacksters in erba, che rispondono al nome di Pénitence Onirique, che rilasciano il loro debut intitolato 'V.I.T.R.I.O.L' (qui però mi permetto di fare un appunto su un titolo cosi abusato, Absu o Terra Tenebrosa, per citare le prime due band che mi vengono in mente). Il sound proposto dalla band di Chartres è, come si evince dalle mie parole, un black dinamico, ricco di atmosfere e melodie. "L'Ame Sur les Pavés" è l'opener del disco che palesa nei suoi oltre otto minuti le caratteristiche essenziali del duo formato da Bellovesos (tutti gli strumenti) e Diviciacos (vocals): suoni scarni, tiratissimi, oscuri ma sicuramente carichi in fatto di melodie e ambientazioni, per un risultato che li avvicina a quello di 'In Abhorrence Dementia' dei Limbonic Art, in una commistione tra black lacerante e magiche orchestrazioni, confermate lungo le infinite cinque tracce (tutte tra i 9 e gli 11 minuti) che compongono il cd. "Le Soufre", "Le Sel", la title track, fino alla conclusiva "Carapace de Fantasme Vide" saranno in grado di sommergerci con ritmiche serrate, corredate da blast beat ipersonici, vocals taglienti ma abbastanza risicate nella loro performance, questo per dar maggior spazio ad una musicalità a tratti psichedelica, epica ma comunque sempre evocativa. I testi poi, tutte in lingua madre, trattano tematiche metafisiche, occulte, legate alla vita e alla morte, anche se la mia scarsa conoscenza del francese, non aiuta granché nella lettura e interpretazione dei testi. Quello che stupisce è comunque una maturità già consolidata nel sound dei nostri, capace di mostrare una forte vena malinconica nelle chitarre in tremolo picking, in quelle urla sofferenti o in quei desolati paesaggi dipinti dalla musica dei Pénitence Onirique, che si possono scorgere in "Le Sel" o nella decadente title track che seguirà da li a poco, un'altra arrembante cavalcata di black epico e sanguigno, che avrà modo di dischiudere tremebonde trame doom. Alla fine 'V.I.T.R.I.O.L' è un lavoro davvero buono che, pur non offrendo nulla di particolarmente rivoluzionario, trova modo di offrire una più moderna interpretazione di quelli che furono grandi classici del passato, quali Limbonic Art e primi Emperor, in un maestoso approccio esoterico. (Francesco Scarci)

lunedì 26 settembre 2016

Dee Calhoun – Rotgut

#PER CHI AMA: Rock Acustico
Non è raro che chi suona in band di musica hard decida ad un certo punto di esprimersi in un ambito apparentemente lontano da quello abituale, pubblicando dischi per lo più acustici, quieti, intimi. Basti pensare ad esempio ai Neurosis e alle uscite soliste di Steve Von Till e Scott Kelly, a Wino o al “nostro” Stroszek. Alla lista si aggiunge anche "Screaming Mad" Dee Calhoun, da qualche anno voce della storica band doom degli Iron Man. Il suo esordio da solista esce per l’etichetta ligure Argonauta Records ed è un lavoro sicuramente interessante, per i fan della band madre ma non solo. 'Rotgut' è un disco prettamente acustico, scritto, suonato e cantato in modo totalmente autarchico dal buon Dee, ad eccezione di qualche parte di armonica e violoncello. Quello che emerge in maniera preponderante è la voce di Calhoum, potente e versatile, al di là di quanto già sentito negli Iron Man. Il nostro è in grado di scegliere tra più registri e risultare comunque convincente, sia quando aggredisce il microfono con tono rauco che quando fa volare le sue corde vocali in alto in modo sorprendentemente limpido. Musicalmente i brani si muovono tra atmosfere alla Alice in Chains acustici ("Unapologetic", "Babelwoka"), western-blues polverosi ("Backstabbed in Backwater", "Cast Out The Crow"), ballate toccanti ("At Long Day’s End") e suggestioni folk ("Winter: A Dirge"). Ci sono poi brani meno definiti, in cui Calhoum sfoggia un approccio forse un tantino epico e che in generale appaiono un po’ troppo prolissi ("The Train Back Home") e c’è anche spazio per un omaggio al figlioletto (che canta con lui) nella prescindibile "Little’Houn, Daddy ‘Houn". La resa sonora non è impeccabile, ma quest’aria da demo casalingo contribuisce ad accrescere quel senso di spontaneità che fa bene ad un album sincero ed appassionato, cui avrebbe sicuramente potuto giovare una nemmeno troppo generosa sforbiciata nel minutaggio. (Mauro Catena)

domenica 25 settembre 2016

Harmonic Generator - Flesh

#PER CHI AMA: Hard Rock, Aerosmith
La Francia si sa, vanta scene musicali differenti, dall'elettronica al metal e anche quella rock resiste, magari con qualche difficoltà nel trovare musicisti che siano in grado di riportarla in auge. Gli Harmonic Generator (HG) ci provano da otto anni e da poco sono usciti con questo EP che segue altri quattro lavori precedenti. 'Flesh' ci è arrivato nel classico CD sleeve cartonato, dalla grafica semplice con predominanza del giallo e nero. Una volta inserito nel lettore, ci appaiono quattro tracce per un totale di circa diciotto minuti di rock in stile anni '90, ovvero un mix di glam e hard rock pulito e pettinato. I suoni infatti sono fin troppo da bravi ragazzi, distorti ma non eccessivamente, così da piacere un po' a tutti ed evitare di essere ascoltati solamente dai patiti del genere. Probabilmente una mossa che avrebbe dato qualche frutto in passato, da un po' le statistiche dimostrano che il metal è uno dei generi più ascoltati su Spotify e quindi le situazione simil-pop rischiano di cadere nel dimenticatoio assai presto. In realtà, i brani sono anche ben fatti ed equilibrati, come "Dance on Your Grave", una ballata rock con molto groove e riff civettuoli che stimolano i fianchi delle giovani pulzelle pronte a scatenarsi sul dance floor. Il vocalist si destreggia bene tra strofe e ritornelli, la timbrica è piacevole e adatta al genere, lo stesso vale per i musicisti, che senza perdersi in sezioni ultra tecniche, riescono a portare a casa un brano adrenalinico e dinamico. "Secret Garden" piace per le sonorità simil Bon Jovi e Aerosmith, la partenza è più minimal con chitarre al limite del crunch, stacchi che permettono di riprendere fiato (non che ce ne sia bisogno) e allunghi con classici assoli di chitarra e pattern veloci di basso/batteria ben intrecciati. Un buon EP, leggermente nostalgico per chi ha superato i trent'anni e vuole rituffarsi in sonorità di qualche anno fa, ma è una valida alternativa per chi vuole rifornire la proprio collezione con materiale nuovo. (Michele Montanari)

(Self - 2015)
Voto: 65

http://www.harmonicgenerator.com/

Megascavenger - As Dystopia Beckons

#FOR FANS OF: Swedish Death Metal, Demiurg, Necrogod, Paganizer
Swedish death metal project Megascavenger are part of multi-instrumentalist extraordinaire Rogga Johansson’s never-ending series of bands dedicated to keeping the flame alive for the original wave of Swedish-flavored death metal. That is the main focus of the album, atmospheric Swedish death that whips the familiar churning buzzsaws through the blazing tremolo-accented riffing and plenty of flowing buzzsaw grooves that make for the ever-present Stockholm-style brand of Swedish death metal that is part of Rogga’s trademark style. The different vocalists present do give the songs a somewhat different vibe here with the different growling and shrieks generating a wholly varying atmosphere to go along with the album’s main drawback in the enhanced usage of industrial keyboards. This is so prominent in the second half of the album that it really derails the intensity and savageness of the first half and drags the album down considerably. Still, for the most part the songs are quite enjoyable. Opener ‘Rotting Domain’ gets this going nicely with stuttering start/stop riff-work and churning buzzsaw rhythms with that slowly form into a stylish gallop with crushing drumming and plodding rhythms that bring along plenty of full-throttle patterns in the final half for a strong opener. ‘The Machine That Turns Humans into Slop’ uses a blaring industrial intro before turning into a frantic mid-tempo groove with blistering drumming and hard-hitting rhythms that churns and burns throughout the final half for a fine and enjoyable enough offering. ‘Dead City’ features more melody-tinged riffing into a fine mid-tempo gallop with the rumbling rhythms and stylish patterns keeps the straightforward and plodding riff-work charging along with the melodic accents keeping the fiery melodies along throughout the final half for a decent enough effort. ‘As the Last Day Has Passed’ goes for the heavily industrial rhythms and pounding patterns that rumble along throughout the first half as the tradeoff with the blaring keyboards and the deep churning riff-work carries throughout the final half for a decent effort. ‘The Hell That Is in This World’ takes scattered riffing and straightforward rumbling drumming along through a stylish and simplistic series of riffing with the exposure of extreme industrial keyboards rattling along to more choatic patterns in the final half for a somewhat disjointed and jarring effort. ‘Dead Rotting and Exposed’ offers more industrial sampling that gives way to swirling tremolo-picked riffing with plenty of stylish howling riffing and plodding industrial tones that give way to the accented patterns throughout the final half that starts off great but really peters out in the finale. ‘Steel Through Flesh Extravaganza’ drops the churning riffing for a straight industrial charge with chugging riffing and simple drumming carrying the straightforward churning riff-work and pounding rhythms along through the final half for a decent offering. ‘The Harrowing of Hell’ goes for a complete industrial rock vibe with straightforward chugging riffing and an abundance of industrial keyboards without any churning riffing patterns and clean vocals that offers such a distracting, out-of-touch vibe that it really doesn’t fit on the album as a whole. Lastly, the instrumental title track outro goes for more industrial-flavored keyboard series of noises and blaring noises that fits with the eerie tone of the rest of the album but just seems like wasted time on the release overall which does end this on a somewhat bad note with the back-to-back weak tracks. Still, it gets enough right to work somewhat. (Don Anelli)

Mental Disaster - Raping the Symbol of Humanity

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Deicide, Cannibal Corpse
Il secondo full length dei norvegesi Mental Disaster è intitolato 'Raping the Symbol of Humanity' e si distingue per il suo legame di sangue con band di culto come Deicide, e in parte Cannibal Corpse. Stiamo parlando di metal estremo, super compresso, velocissimo e compatto, un death concepito in modo originale e fuso con elementi thrash, privi di attimi di tregua, con un drumming tritacarne e riff di chitarra spaccaossa. Il suono è tipico del genere e i quattro musicisti di Kristiansand, sfoderando una buona dose di conoscenza dello stile e delle regole di questa forma di metal, riescono a creare una collana di brani ottimi per raccontare musicalmente un album dal titolo così iconoclasta e radicale. Brani veloci e di breve durata media che si aggirano intorno ai tre minuti o poco più, un sentore di claustrofobia disseminato ovunque, growling e screaming a gogo, oltre ad un cinico e macabro sarcasmo che vigila su tutti i titoli e presumo anche nei testi di ogni loro composizione, una visione provocatoria e drastica che accompagna uniforme i circa trenta minuti di violenza sonica del presente cd. Il suono della band, come già detto, è molto compresso e la batteria risalta che è un piacere (ottima "Crush the Opposition"), ove il virtuosismo è tutto in funzione dell'impatto, potente, distorto e letale, ed una buona produzione che ricalca le tracce e i suoni di album come 'Insineratehymn' dei già citati Deicide, rivisto con tecniche di registrazione odierne. "Thoughts of Rot...Thoughts of Hell" mostra i muscoli e una vena più fantasiosa, portando dentro di sé una forma sperimentale di thrashm metal, con una chitarra dal riff graffiante, una potente voce e una batteria al limite dell'impresa umana! L'album è omogeneo e per essere autoprodotto è un ottimo lavoro; indubbia la maestria della band ed il suo gusto compositivo, a tal proposito segnalo l'ottimo giro di basso messo in evidenza dalla bella costruzione del brano "Post-Apocalyptic Bumfight". L'ensemble è lanciatissimo e merita una chance per entrare nell'Olimpo delle death metal band che contano, anche se una ricerca futura volta ad una maggior personalizzazione del suono potrebbe giovare nel definitivo salto in avanti, ed ottenere l'emancipazione sonora nei confronti dei propri idoli, portando cosi i Mental Disaster ad alzare l'asticella e mirare veramente al gradino più alto del podio. Le potenzialità del quartetto nordico sono veramente enormi e questo secondo, nuovo lavoro del 2016, ne è la conferma, quindi, non fermatevi di fronte all'evidenza, sparatevi a volume altissimo un brano come "Cannibal Skull Cult" e gustatevi la sua prelibatezza! Long live to death metal! (Bob Stoner)

The Pit Tips

Francesco Scarci

Fuzz Orchestra - Uccideteli Tutti! Dio Riconoscerà i Suoi
At the Graves - Cold and True
Vow of Thorns - Farewell to the Sun

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Don Anelli

Demon Bitch - Hellfriends
Kinnefret - The Coming of Age
This Ending - Garden of Death

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Kent

Mélopée - Lyellle
Trampled By Turtles - Palomino
Last Minute To Jaffna - Volume III

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Matteo Baldi

Sunpocrisy - Eyegasm, Halleluja!
Messa - Belfry
Hate&Merda - La Capitale de
l Male 

giovedì 22 settembre 2016

Virgo - S/t

#PER CHI AMA: Desert Rock
Secondo full length per il quintetto veneto che, dopo l’esordio autoprodotto de 'L’Appuntamento', si sono aggiudicati il premio MEI in occasione della “Biennale Marte Live 2014”, con la possibilità di registrare un lavoro per l'Alka Record Label. 'Virgo' è un album intenso e molto interessante nel suo coniugare il desert rock d’oltreoceano con testi in italiano. Il suono si conferma potente, compatto e aggressivo, valorizzato da una produzione di alto livello, in grado di rimandare al meglio l’ottima coesione dei musicisti. Quello che appare evidente fin dal primo ascolto però, è la fortissima connotazione data al loro sound dal connubio tra la voce di Andea Perrino ed i testi delle canzoni. Sappiamo quanto la lingua italiana sia difficilmente domabile ed adattabile al rock duro, tanto da aver generato negli anni tanti approcci diversi, dal cut-up dei primi Afterhours, allo spoken-word dei Massimo Volume, passando per il quasi non-sense dei Verdena, più attenti al suono delle parole che al loro reale significato. I testi dei Virgo cercano un approccio più poetico ed ermetico, simile ai primi Marlene Kuntz, senza paura di utilizzare termini ricercati e accostamenti arditi. Questo, unito al timbro scuro, profondo e bluesy di Perrino (che mi ha ricordato alcune band anni '90 tipo Movida o Politburo) crea una combinazione estremamente personale, che può piacere o meno, ma infonde indubbiamente carattere alla band. Nel suo dipanarsi tra 12 episodi ugualmente convincenti, il disco raggiunge picchi in cui il mix tra testo e musica risulta particolarmente azzeccato ("Danza di Corteggiamento" o "Selene", giusto per citarne un paio), anche se, alla lunga, sembra pagare un’eccessiva uniformità di atmosfere che tendono a far sì che nella seconda parte i brani finiscano tutti per assomigliarsi un po’. Un lavoro assai interessante, soprattutto per l’esposizione di un linguaggio fortemente personale. Se riusciranno a variare un po’ il canovaccio (e ne saranno senz’altro capaci, basti ascoltare le ottime versioni unplugged di alcuni brani presenti sul loro sito) e a fare i conti con una voce che può risultare “ingombrante”, sono certo che i Virgo potranno regalarci in futuro cose eccellenti. (Mauro Catena)

(Alka Record Label - 2016)
Voto: 70

https://soundcloud.com/virgo-the-band

mercoledì 21 settembre 2016

Drachenblut - A Foretaste of Apocalypse

#PER CHI AMA: Symph Death, Graveworm
Sorprendente come i Drachenblut abbiano impiegato "solamente" cinque anni dalla loro fondazione, per partorire il loro demo cd, di cui posso vantarmi di essere uno dei pochi fortunati possessori. Ancor più sorprendente ascoltare suoni che pensavo un po' scomparsi dal panorama musicale da parecchi anni. Si perché i parmensi Drachenblut (che in tedesco vuol dire sangue di drago), propongono un death dalle forti tinte sinfoniche che si esplica attraverso i due brani contenuti in 'A Foretaste of Apocalypse'. Il primo, "Kingdom Apocalypse", è caratterizzato da un sound in cui potrete udire un ipotetico ibrido tra il symph death degli altoatesini Graveworm e le suggestioni gotiche dei Cradle of Filth, in una certa alternanza a livello ritmico, dove sottolineerei la bella prova alle tastiere di Daniele Corradi (anche se un po' troppo abusate in taluni frangenti) e la convincente performance dietro al microfono di Saylor, possente nelle sue growling vocals, più originale nella sua timbrica pulita. "Swancry" è la seconda lunga traccia del dischetto che si farà ricordare per il suo inizio fantasy, la sua bella cavalcata centrale, ma ancor di più per la sezione solistica che si (e ci) diletta in un avvincente finale, in cui il quintetto sfodera tutte le potenzialità a livello tecnico. Auspico che i nostri possano ottenere quanto prima quel minimo di visibilità per farsi notare ad un pubblico più vasto e farsi perché no, esponenti di una nuova ondata di death sinfonico che necessiterebbe di una bella ventata d'aria fresca. Per ora un piccolo assaggio, gradirei qualcosa di più sostanzioso per placare la mia fame. (Francesco Scarci)