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sabato 14 novembre 2015

Sumer - The Animal You Are

#PER CHI AMA: Post Metal/Prog/Grunge/Alternative
I Sumer sono una band inglese di 5 elementi, formatasi nel 2010, che esce solo nel 2014, con 'The Animal You Are', l'album di debutto, costituito da nove tracce intriganti. È quasi inutile dire che nel loro sound si sentono molto le influenze dei Karnivool e dei Tool, tuttavia i nostri londinesi provano più volte a distaccarsi dai dettami dei gods sopraccitati e dai clichè del genere, lasciando spazio ad esempio a una leggera vena grunge nel cantato, che conferisce al quintetto britannico una certa dose di personalità. Le song si dimostrano tutte assai interessanti: con “The Animal You Are”, la title track, i Sumer portano una carica che coinvolge e disorienta, fatta di introspettive atmosfere post metal che colorano molto l’album, caricate da riff scuri e potenti, nonché da controtempi ben centellinati. “Lure” invece sposta l’attenzione alle armonizzazioni a due voci ben curate, mentre “Vanes” si fa notare per certe aperture con ritornelli, da cantare facendo lenti headbanging al braccio. Tre chitarre son sempre difficili da gestire, ma i Sumer riescono ad equilibrarle perfettamente e, ben calibrati alla sezione ritmica, fan capire subito il loro elevato livello tecnico. E con “Progenesis” lo dimostrano alla grande: ti vien infatti voglia di suonare la batteria mentre la ascolti e in un attimo ti ritrovi a fare air drumming come nel video di “New Millenium Cyanide Christ” dei Meshuggah. Personalmente spero, ma credo siano già sulla buona strada, che i Sumer continuino a sperimentare con la loro musica, per potersi levare di dosso il continuo confronto che viene spesso da fare con Maynard & Co. e possano creare finalmente una propria e definita identità. Comunque meritevoli di tutta la vostra attenzione. (Alessio Perro)

Odetosun - The Dark Dunes of Titan

#PER CHI AMA: Space Rock/Death Progressive, Opeth, Nahemah
Sapete quanto sia affascinato da tematiche astronomiche e quest'oggi mi trovo ad affrontare Titano, il più grande satellite di Saturno ed uno dei corpi rocciosi più massicci dell'intero sistema solare, nonché uno dei più affascinanti, per la presenza di ghiaccio d'acqua, laghi di idrocarburi e altre caratteristiche che l'accomunano alla nostra Terra primordiale. I tedeschi Odetosun, forse affascinati quanto il sottoscritto per l'astronomia ma anche ispirati dal romanzo 'As on a Darkling Plain' di Ben Bova, ne hanno voluto esplorare la superficie, cosi come fece la sonda Cassini-Huygens nel 2004, dedicandoci 4 lunghi brani. Brani che si aprono con l'inusuale (ma solo per posizionamento nella scaletta - e a cui personalmente avrei affidato l'outro) strumentale "At the Shore of the Ammonia Sea", che ci delizia comunque con dieci minuti di caldo rock progressive anni '70, che conferma quanto Bob Stoner aveva dichiarato nella recensione del debut 'Gods Forgotten Orbit', ossia che il terzetto di Augsburg sfodera una classe innata e già matura. Ma la "battigia di quell'oceano di ammoniaca" non puzza decisamente come il gas tossico e dall'odore pungente citato nel titolo, anzi profuma di dolce, e alla fine ci regala atmosfere dilatate di space rock di grande spessore. "Machine Horizon" irrompe con un riffing tempestoso, per cui mi sembra quasi di immaginare dei fulmini all'orizzonte di quel mare sopra descritto, mentre le arcigne vocals di Luke Stuchly calzano a pennello sulla matrice sonora dei nostri (ma in futuro mi aspetto evoluzioni sull'aspetto vocale dei nostri). L'atmosfera diviene più rarefatta e l'assenza di ossigeno intorpidisce la mia mente, ma niente paura perchè anche il sound degli Odetosun va via via ammorbidendosi lanciandosi in squarci di rock senza tempo: c'è chi cita i Pink Floyd, chi i Voivod o gli ultimi Opeth, io preferisco pensare che le splendide note che fuoriescono da 'The Dark Dunes of Titan' siano degli Odetosun e di nessun altro. Classe sopraffina lo confermo, soprattutto nella sei corde di Benny Stuchly e se "Remember Sequoia Forest" è un troppo breve interludio strumentale, alla fine mi abbandono alla conclusiva title track e ai suoi meravigliosi 15 minuti abbondanti di musica che mi catapultano nello spazio più profondo, in cui trovo modo di viaggiare ancor di più con la mia fantasia. È un mid tempo ragionato, in cui death metal (colpa del growling urlato di Luke), progressive e oscuro post metal (ricordate gli spagnoli Nahemah?) collidono come asteroidi sulla superficie di un pianeta, generando profondi canyon, montagne, laghi e valle, dando origine alla stupefacente armonia della natura. Altrettanto fa il terzetto teutonico, in grado di muoversi con agio attraverso fraseggi jazz, dilatazioni post apocalittiche, tastiere settantiane e assoli strepitosi, il tutto corredato da un'eccellente lavoro ritmico, con un plauso particolare infine alla batteria del bravissimo Gunther Rehmer. Il tutto mi induce all'oblio totale, una sensazione straordinaria per i miei sensi. Non saprei che altro dirvi per solleticare i vostri di sensi e indurvi all'ascolto (mandatorio) di questo sorprendente 'The Dark Dunes of Titan'. Per gli Odetosun garantisco io. (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 85

https://www.facebook.com/odetosun

Obsidian Sea - Dreams, Illusions, Obsessions

#PER CHI AMA: Dark/Doom/Psych
La Bulgaria, Sofia di preciso, è la città natale degli Obsidian Sea, tre musicisti che si sono incontrati nel 2009 per dare vita ad un progetto interessante, ma soprattutto divenuto in poco tempo conosciuto e fondamentale per la scena doom/psych rock bulgara. La band ha lanciato il debut album nel 2012, lavoro che ha riscosso buoni feedback dalla critica, ma anche dai fan, locali e non (se non lo avete già fatto, trovate la recensione tra le pagine del blog). In poco tempo il trio ha calcato i palchi di importanti festival, trovandosi gomito a gomito con icone del calibro di Ufomammut, 1000Mods e tanti altri. Questo ha permesso alla band di maturare in fretta ed ora ci riprovano con 'Dreams, Illusions, Obsessions', album prodotto dall'instancabile Solitude Productions. Il doom degli Obsidian Sea è classico, quello degli Electric Wizard per capirci, quindi non preoccupatevi, non vi strapperete i capelli gridando al sacrilegio perchè una band doom ha osato contaminare il sacro genere. Ritmiche lente, chitarre con accordature che raggiungono le basse frequenze dell'inferno e quant'altro. In realtà la band non sfutta i classici muri di chitarre, ma preferisce riff e assoli più blues e psichedelici, lasciando più spazio agli altri strumenti e alla linea vocale. Le atmosfere sono oscure e richiamano antichi rituali, tra sabba ed evocazione di mostri provenienti da altre dimensioni. La scelta dei suoni e del mix è di tipo vintage, quindi suoni caldi e avvolgenti, pochi fronzoli e tanto groove. "The Trial of Herostratus" apre le danze con una middle tempo classica nella struttura e negli arrangiamenti, ma di cui si coglie subito la qualità e l'essenza della band bulgara. La voce è carica di riverbero come vuole lo stile, sembra quasi provenire dall'oltretomba pur regalando una piacevole atmosfera e lasciando comunque il cantato, di facile interpretazione, ad uno stile vintage. Nonostante la ritmica sia relativamente lenta, batterista e bassista si prodigano a intrecciare diverse trame arricchendo così la canzone e rendendone più gradevole l'ascolto. Il riffing poi non è cosi invasivo, ma si fonde perfettamente al resto degli strumenti e grazie a riff convincenti e diversi cambi di tempo e assoli, arriva a forgiare un brano ben fatto. Accelerazioni, rallentamenti e quant'altro dimostrano la capacità artistica e tecnica non trascurabile del trio di Sofia. "Confession" ci porta nelle profondità psichedeliche delle mente umana, dove sogno, illusioni e ossessioni attanagliano la mente umana incatenandola ad un livello di realtà che rende ciechi e ci allontana dalla verità assoluta. Nei sei minuti abbondanti, si assaporano con gusto tutte le sfumature provenienti dai vari strumenti e in un impianto hi-fi di buona fattura, è puro godimento per i timpani. La traccia si sviluppa in modo costante per tutta la durata e la band ha spazio a sufficienza per esprimersi al meglio, come il chitarrista che si lancia in assoli e riff davvero orecchiabili. Perfino il tanto bistrattato basso riesce ad avere il suo momento di gloria, anche se in effetti, fa un gran lavoro lungo l'intero album. La chiusura è in fade out, una scelta che non reputo quasi mai positiva perchè sembra dettata dalla pigrizia, ma conoscendo la band deduco che si tratti di un'opzione puramente stilistica. Altro pezzo degno di nota è "Somnambulism", oscuro e sensuale come un'ombra che danza scalza, alzando la polvere dal suolo e si mescola al sudore. Liquidi lisergici scorrono nelle vene e fumi densi offuscano la vista, ma aprono il terzo occhio che proietta sul vuoto infinito. La bravura degli Obsidian Sea sta proprio nel saper creare atmosfere che abbracciano l'ascoltatore disposto a socchiudere gli occhi e lasciarsi andare a stati mentali paralleli. Musica solida quella degli Obsidian Sea; se cercate un buon album ricco di doom e rock psichedelico, allora 'Dreams, Illusions, Obsessions' è ciò che fa per voi. Se invece cercate qualcosa di anche lontanamente originale e innovativo, volgete il vostro sguardo altrove. (Michele Montanari)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/ObsidianSeaDoom/

mercoledì 11 novembre 2015

Nocturnal Escape - S/t

#PER CHI AMA/FOR FANS OF: Black/Death/Folk/Prog 
I Nocturnal Escape sono una giovane band tedesca, nata solo nel 2014, ma formata da navigati musicisti (Disgusting Perversion, Bleak). Nel 2015 fanno uscire il loro primo full length, distribuito in maniera indipendente tramite Bandcamp. Partiamo dall'artwork, accattivante, strano ed anticonformista. L'album è formato poi da otto brani per una durata di circa un'ora che si srotola in maniera contorta e sofisticata tra death, folk e black metal di stampo epico e progressivo, con variegati cambi di stile e tempi (come potrete apprezzare nella opener, "War of Beliefs"), tecnica sopraffina, il tutto completato da voci demoniache e cantati puliti assai evocativi, in stile TYR. Le trame melodiche inserite tra i brani distolgono per un istante l'ascoltatore dall'idea di trovarsi di fronte ad un disco true metal, come nel prologo e nel bridge acustico di "Lucid Mind" che poi s'incamminerà attraverso tutt'altro percorso sonoro, decisamente più duro e dal tono simil guerrafondaio. Tutto l'album ruota attorno a questi stravaganti accostamenti di stile e fantasiose diversità, sempre assai curate e a volte bizzarre, comunque da apprezzare, poiché rendono il lavoro interessante e assai vario, giocato su una tecnica chitarristica che esplode in molteplici e caleidoscopici assoli. Il trio teutonico di Augsburg, formato da Leo Bergmann (chitarre, synth, drum machine), Klaus Bergmann (basso) e Thomas Zimmermann (voce), gioca molto bene le sue carte soprattutto nelle parti più veloci e thrash oriented, con ritmiche incalzanti che ricordano i Moonsorrow, con un che dei Die Apokalyptischen Reiter, per quell'attitudine al bizzarro, insolito e inaspettato. La band mostra un suono compatto e brillante, con il cantato sempre in evidenza, e il tutto supportato da una buona produzione, talvolta sin troppo cristallina e puntigliosa, ma che comunque esalta tutti gli strumenti a dovere. In alcune ritmiche, i nostri ricordano i mitici folk metallers irlandesi Cruachan o i teutonici Menhir, anche se i Nocturnal Escape sembrano prediligere più la componente epica e black dai risvolti progressivi. Infatti, nella stesura dei brani, il combo germanico lascia si al folk un ruolo importante ma mai predominante, dirottando di frequente il sound verso lidi progressivi, nella vena di Immanent o Corr Mhona. L'intera release scorre veloce e fantasiosa, palesando melodia e grinta, con le parti più black/death oriented a mostrare forse il lato migliore della band, anche se in generale il songwriting si confermerà di notevole efficacia e sempre di alta qualità, pur usando un'asettica drum machine. Ottimi i chiaroscuri di "Gaia's Demise", contrappuntata dai suoi toni solenni ed epici. Il brano conclusivo, "Call to Humanity" esalta infine la vena più classicamente speed metal del terzetto, con voce e assoli affidati a poco conosciute guest stars, con il risultato finale di rincarare la dose, aumentando ulteriormente la forza dirompente di questo lavoro. Ottimo debutto. È forse la nascita di una nuova stella nel cosmo metallico? Staremo a vedere... (Bob Stoner)


Nocturnal Escape is a young German band, founded in 2014, but made up of already experienced musicians (Disgusting Perversion, Bleak). In 2015 they released their first full length, distributed independently via Bandcamp. Let's start with the artwork: captivating, funny and unconventional. The album contains 8 tracks with nearly an hour of music that unrolls itself in a twisted and sophisticated way between death, folk and black metal with a pinch of epic and progressiveness. With varying style and time changes (as you can appreciate in the opener, “War Of Beliefs”), excellent technique, everything completed by demoniac voices and clean voices very evocative in a TYR style. The melodic plots inserted in the tracks distract the listener for a moment from the idea of being in front of a true metal disc, as in the prologue and in the acoustic bridge of “Lucid Mind” that will walk you through another sound path, much harder and in a warmonger-like tone. The whole album revolves around these weird combinations of styles and smashing diversity, always neat and sometimes bizarre, however to appreciate, because thanks to them the work is interesting and varied, played with a guitar technique that explodes in kaleidoscopic solos. The teutonic trio from Augsburg, consisting of Leo Bergmann (guitar, synth, drum machine, shout vocals) , Klaus Bergmann (bass) and Thomas Zimmermann (clean vocals), plays very well its cards, mainly in the fast and thrash oriented parts, with relentless rhythms reminiscent of Moonsorrow, with a pinch of Apokalyptische Reiter; for that attitude to the bizarre, unusual and unexpected. The band shows a compact and brilliant sound with the voice always highlighted, and everything supported by a good production, sometimes even too clear and punctilious, but that exalts every instrument as it should anyway.In some rhythms they remind of the mythical Irish folk metallers Cruachan or the teutonics Menhir, even if Nocturnal Escape seems to like the epic components of the black metal with progressive implications more. In fact, during the tracks the German combo leaves folk an important role but it's never predominant but diverting frequently the sound to progressive shores, as in the vein of Immanent or Corr Mhona. The whole release flows fast and imaginative, revealing melody and grit, with the most black/death oriented parts to show, maybe, the best side of the band, even if in general the songwriting will be confirmed highly effective and always of high quality, besides the usage of an aseptic drum machine. Excellent chiaroscuro of “Gaia's Demise”, counterpointed by solemn and epic sounds. The ending track, "Call to Humanity" exalts in the end the more classical speed metal mood of the trio with voice and solos assigned to little known guest stars, with the result of increasing the value of the dose, rising further the disruptive force of this work. Very good debut. Is this the birth of a new star in the metal cosmos? Let's see... (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto/Score: 80

martedì 10 novembre 2015

Giöbia – Magnifier

#PER CHI AMA: Acid Rock/Psych, Pink Floyd
I Giöbia tornano dopo l’eccellente 'Introducing Night Sound' del 2013, e lo fanno in grande stile, alzando ancora l’asticella di un suono che fa un ulteriore passo in avanti rispetto a quei modelli di psichedelia in qualche modo classica ai quali la band milanese ha sempre mostrato di ispirarsi. I Giöbia hanno ormai, a pieno titolo, assunto una statura internazionale testimoniata dall’appartenenza alla scuderia Sulatron e dall’attività live portata avanti con costanza fuori dai nostri confini. Eppure, se non odiassi il termine, potrei definire questo disco come un ottimo esempio di eccellenza italiana. Tutto qui dentro, dalla scrittura all’esecuzione, fino alla resa sonora, è di altissimo livello, dimostrando che anche in Italia si può fare del grandissimo rock e inorgogliendo tutti quelli che qui ci rimangono per scelta e lavorano con convinzione e serietà. Il rock dei Giöbia è un concentrato di psichedelia pe(n)sante, space e hard dalla densità altissima, che sposa in modo pressoché perfetto l’idea e la sua realizzazione pratica. In questo senso, quello prodotto da Stefano Bazu Basurto (voce, chitarre, ouz, bouzouki, santhur, synth), Saffo Fontana (organo, moog, voce), Paolo Dertji Basurto (basso) e Planetgong (batteria e percussioni) è un autentico gioiello. Non amo leggere recensioni track by track, per cui eviterò di scriverla, ma davvero ognuno di questi 7 brani andrebbe menzionato e commentato, dall'incedere ipnotico dell’iniziale “This World was Being Watched Closely”, allo stomp di “Devil’s Howl”, sferzato da un vento maligno di synth, dalla trascinante “The Pond”, col suo basso distorto, quella voce sinistra che fa tanto primo Roger Waters e la batteria che ti squassa il plesso solare, fino alla vertigine definitiva dei 15 minuti di “Sun Spectre”, una sorta di “One of These Days” sotto steroidi e proiettata nell'iperspazio. Per la riuscita di un disco di questo tipo, la resa sonora è parte essenziale, e il lavoro svolto da Andrea Cajelli alla Sauna di Varese è da valorizzare tanto quanto quello dei musicisti. Lasciatevi assorbire dal suono di questo disco fino a perdere ogni riferimento fisico attorno a voi e sorprendetevi a chiedervi se qualcuno vi abbia messo dell’acido nel caffè. 'Magnifier' rimanda l’immagine di una band proiettata in una dimensione davvero al di fuori dal tempo e dallo spazio. Miglior disco dell’anno? Fin’ora è tra i primissimi. (Mauro Catena)

(Sulatron Records - 2015)
Voto: 85

Temple of Baal – Mysterium

#PER CHI AMA: Black/Death
Continua la progressione artistica della talentuosa band francese capitanata dal funambolico Amduscias che sforna un album eccellente, rumoroso e magnetico. La Agonia Records accompagna i Temple of Baal in questa nuova uscita del 2015, puntando sicura sulla qualità della band, oggi più che mai collaudatissima e forte di una esperienza pluridecennale, motivata da un ottimo album precedente quale era stato 'Verses of Fire' nel 2013. Questa volta i Temple of Baal deliziano i miei timpani con ardore e una potenza inaudita che si espande a suon di watt per tutta la durata del disco, melodia e potenza a profusione, una qualità stilistica da urlo, chitarre lancinanti da amare alla follia e una batteria (Skvm) devastante, suonata al limite delle capacità umane, per violenza, potenza e velocità, una vera macchina da guerra. Non ci sono lacune, tutte le tracce si muovono sinistre e oscure, unendo black e death metal alla perfezione, sfiorando anche cadenze doom e ammiccando in alcuni momenti di delirio alle stupende atmosfere dei Deathspell Omega. La voce di Amduscias è mostruosa al punto giusto per esprimere la sua dichiarata ricerca filosofica satanista, e il sound la supporta pienamente per cui a volte mi sembra di sentire la forza granitica e frastornante degli ultimi Napalm Death, quelli spregiudicati e più rivolti all'avanguardia. Un album, 'Mysterium', ricco di atmosfere buie, tetre, sotterranee, ricco di fantasia e virtuosismi, sia nell'esecuzione che nel songwriting, sempre interessante, per niente banale o derivativo, una visione del genere personalissima e dalle evoluzioni spettacolari. La batteria mi percuote e le chitarre mi stregano, gli assoli lungo i vari brani impressionano per perizia tecnica, velocità, melodia, violenza e schizofrenia, tutte comunque unite da un comun denominatore, un suono vivo e naturale, comprensibile, nessuna traccia di freddi computer o percussioni patinate, ma un sound caldissimo e reale, in puro stile rock, sparato a mille nel giusto carisma del black metal old school. Inutile parlare di un brano in particolare poiché siamo di fronte ad un vero capolavoro, completo ed eccitante, che farà a lungo parlare di sé. Un monumento al black metal che innalza i Temple of Baal nell'olimpo del genere oscuro tra Deathspell Omega, Belphegor e 1349. Un invito a nozze per gli estimatori del genere. Un banchetto lugubre a cui non dover mancare. Un capolavoro! (Bob Stoner)

(Agonia Records - 2015)
Voto: 90

The Pit Tips

Emanuele "Norum" Marchesoni 

Luca Turilli's Rhapsody - Prometheus, Symphonia Ignis Divina 
Trick or Treat - Rabbits' Hill 
Crimson Sun - Towards the Light

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Francesco Scarci 

Thy Catafalque - Sgùrr 
Windfaerer - Tenebrosum 
Dalla Nebbia - Felix Culpa

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Don Anelli 

Amidst the Withering - The Dying of the Light 
Satan - Atom by Atom 
Disloyal - Godless

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Mauro Catena 

Giöbia – Magnifier 
Dizraeli – Engurland 
Seargeant Thunderhoof – Ride of the Hoof 

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Samantha Pigozzo 

Die Apokalyptischen Reiter – Tief und Tiefer 
Eisbrecher – Die Hölle Muss Warten 
Lindemann – Skill in Pills

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Stefano Torregrossa 

James Blake - Overgrown 
Clutch - Psychic Warfare 
Goatsnake - Black Age Blues

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Michele Montanari 

Eagles of Death Metal - Zipper Down 
Infection Code - 00-15: l'Avanguardia Industriale 
Blood Diamond - Death Valley Blues

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Bob Stoner 

Killing Joke - Pylon 
Monster Magnet - Cobras and Fire the Mastermind Redux 
Ephel Duath - Hemmed By Light, Shaped By Darkness

domenica 8 novembre 2015

The Damned – Fiendish Shadows

#PER CHI AMA: British Gothic/Punk
Ecco la band che mi permette di fare un viaggio nel tempo! UK, anni '70, culla del punk. Non a caso, i The Damned assieme ai Sex Pistols e ai Clash formano il cosiddetto “sconsacrato triumvirato del punk britannico” (fonte: wikipedia), formatisi nel 1976, scioltisi poco dopo, riformatisi nuovamente con altri membri, insomma, una band viva e che continua a produrre musica anche dopo 40 anni. Mi trovo tra le mani l'album live 'Fiendish Shadows', uscito nel 1997 e da poco riproposto dalla Westworld Recordings. Dico live, anche se non è del tutto corretto, perché sembrerebbe più un album uscito da una jam session in un club piuttosto che su un palco davanti ad un'orda impazzita di persone. Posso azzardare a suddividere l'opera in tre parti: quella punk pura della metà anni '70, quella un po' più tendente al moderno, e quella un po' più rockabilly. La prima parte si può sentire in canzoni come “Stranger on the Town”, “There'll Come a Day”, “I Had too Much to Dream Last Night”, “Gun Fury, “Love Song”, “Disco Man” e “New Rose”, primo vero singolo datato 1976: non a caso, sono stati supporter dei Sex Pistols. Tutte queste sono in vero stile Oi! (per i profani street punk), sebbene uscite in diversi momenti della carriera della band. La parte più "moderna" si trova nelle note di “Grimly Fiendish, in “Is it a Dream” o anche in “Street of Dreams”: in tutte e tre le song, le tastiere sono ben presenti, i cori all'unisono, con un orecchio comunque orientato alle vecchie sonorità (ma il tutto mantenuto ad un livello più basso). In questo modo, si può addirittura carpire come le varie decadi abbiano modificato leggermente il sound dei The Damned. Addirittura in “Street of Dreams” ci si spinge alle porte del synyh-rock. Parlavo anche del rockabilly: è il caso di “Wait for the Blackout” e “Smash it up”. Nella prima il ritmo è leggero, e può essere tranquillamente ballato in un club mentre si canta; la seconda è malinconica all'inizio, ma poi si riprende e si carica, grazie anche all'incitazione del pubblico, ricordando fortemente i Clash. Degna di menzione è la chicca “Lust for Life”, si, esattamente la cover della canzone di Iggy Pop, suonata magistralmente a mio avviso, anche se la voce è molto differente, ma l'intonazione, la passione e la concentrazione messe al suo interno, non fanno rimpiangere di certo l'Iguana. Come tutte le belle avventure, anche questa ha una fine: è proprio a seguito di applausi e grida di approvazione, che la serata alternativa si chiude e dà appuntamento alla prossima band. (Samantha Pigozzo)

(Westworld Recordings - 2015/1997)
Voto: 80

https://www.facebook.com/pages/The-Damned/10644147851

Interview with Sergeant Thunderhoof

Follow this link for a nice chat with the English Stoner band of Sergeant Thunderhoof:



Dogbane - When Karma Comes Calling

#PER CHI AMA: Heavy/Doom
Superato il momento difficile in seguito alla scomparsa del chitarrista David Ellenbourgh (a cui è subentrato nel 2013 Jeff Rineheart), i Dogbane ritornano sulle scene con il loro secondo full length, 'When Karma Comes Calling' dedicato proprio alla memoria del loro scomparso amico. Gli statunitensi, attivi dal 2010, avevano precedentemente debuttato con l'album 'Residual Alcatraz' (2011). In questo nuovo lavoro, incontriamo le sonorità tipicamente heavy che si erano già palesate nel precedente album, facendosi qui ancora più aggressive e taglienti. Potenti riffoni di chitarra scanditi da un drumming impetuoso ma sempre precisissimo, come nell'opener “Warlord”, in cui si inserisce il graffiante cantato di Jeff Neal, che nei ritornelli viene spesso sostenuto da brevi cori. Non male il lavoro del vocalist anche se in alcuni momenti risulta forse un po' neutro: ci sarebbe bisogno di più aggressività (e magari di un aiutino da parte del mixaggio) per non perdersi nel muro di suoni generato dalle chitarre di Allred e Rinehaeart, che dicono la loro anche nei numerosi e assai pregevoli assoli disseminati in tutto l'album. Fra le poche pecche del disco vi è probabilmente quella della produzione, che seppur nel complesso garantisca un buon sound alla band, non fa risaltare al massimo la batteria, la quale appunto sembra essere un po' “piatta”, poco profonda. Discreto lavoro dunque per il gruppo americano, che come già assodato, presenta solide e potenti fondamenta, restando tuttavia sulla propria linea, senza apportare particolari innovazioni. Buona prova, ma nulla che esca dagli schemi ormai noti. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Heaven and Hell Records - 2015)
Voto: 65

https://www.facebook.com/Dogbane

Sunshadows - Red Herring

#PER CHI AMA: Alternative Electro Rock/Metal
Oggi parliamo dei Sunshadows, un trio francese (Lione) nato nel 2013 e al debutto con questo full length intitolato 'Red Herring'. Loro stessi dichiarano di ispirarsi a band quali Deftones, Limp Bizkit e Alice In Chains, e difatti le sonorità sono prettamente alternative rock/metal. Personalmente li associo a Lacuna Coil, Evanescence e Placebo, anche se la voce è maschile, per l'utilizzo più spinto di suoni elettronici, drum machine e affini. Se la tipologia dei suoni è abbastanza in linea con il genere, cosi come le distorsione moderne, quello che delude un po' in generale è la composizione dei brani e gli arrangiamenti. Tutto risulta assai lineare, prevedibile e asettico, con i brani che vanno sempre in una direzione scontata e l'ascoltatore non viene mai preso alla sprovvista. Gli arrangiamenti sono altalenanti, nel senso che in alcune canzoni sono curati, in altre si ha quasi la percezione che mancasse la musa ispiratrice all'atto della stesura. La copertina gioca invece sul senso del titolo dell'album, che tradotto letteralmente significa aringhe rosse (da qui il piatto con i quattro pesci in bella vista), ma allo stesso tempo in inglese è un modo comune per far riferimento ad una tattica di depistaggio che confonda l'interlocutore. Probabilmente la band ha voluto esprimere la propria diffidenza per i media che oggigiorno hanno spesso la funzione di confondere e depistare, invece che informare liberamente. Andando nel dettaglio, ascoltiamo "Fly Away", il brano che apre il cd e che quindi dovrebbe essere la canzone che meglio rappresenta la band. Nei suoi quattro minuti, il trio si focalizza nell'alternare strofa e ritornello, dove la prima risulta scarna per la mancanza di un tappeto sonoro che la sostenga. Un tappeto di synth o un sample in loop avrebbe sicuramente dato qualche possibilità alla traccia di avere dei connotati più personali. Il ritornello convince già di più, buona potenza e slancio, ma la canzone rimane comunque confinata in una ballad poco originale. "Two Lives" invece capovolge le carte in tavola: una buona dose elettronica e maggiore tiro, regalano infatti un brano di miglior fattura. Qui si nota un maggiore lavoro a livello di arrangiamenti, le seconde chitarre sostengono il brano e il costante crescendo porta all'esplosione di un riff coinvolgente. Il vocalist ha una timbrica pulita e, pur rimanendo all'interno di una estensione non particolarmente elevata, riesce comunque a coinvolgere e dare enfasi ai brani. "My Friend in Black" colpisce positivamente per l'appeal dark, con atmosfere e suoni ben calibrati che accompagnano in un ascolto facile e tutto sommato piacevole. Un coro lontano ed etereo riempie buona parte della traccia, le stesse chitarra entrano in punta di piedi per poi diventare lo strumento trainante. La sezione basso/batteria è lineare e si destreggia nel mantenere il giusto livello di tiro, anche se nell'intero album non ci troveremo mai esplosioni o voli pindarici che permettano di mettere il risalto le doti dei musicisti. La band ha buone potenzialità e dovrebbe cercare un proprio percorso, dopo questo album d'esordio che faccia l'occhiolino a produzioni commerciali, potrebbe essere il momento per mostrare maturità e creatività, magari rompendo gli schemi di un genere che rischia di implodere su se stesso. Ci sono davvero idee assai buone in 'Red Herring' che dovrebbero solamente essere messe in risalto e sviluppate: l'uso di sonorità elettronica è sicuramente una di queste, ma in generale le idee devono diventare un pilastro portante per guadagnare in credibilità e ottenere la fiducia degli ascoltatori. (Michele Montanari)