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venerdì 31 ottobre 2014

Mystical Fullmoon - Chthonian Theogon

#PER CHI AMA: Black/Avantgarde, Blut Aus Nord, Dimmu Borgir
A distanza di cinque anni dal non troppo fortunato, in termini di risonanza mediatica, 'Scoring a Liminal Phase', torna il trio milanese dei Mystical Fullmoon con un album nuovo di zecca e una storica label di supporto, la Beyond Production. Dieci le tracce a disposizione dei nostri per convincermi della bontà della loro musica, per cui un lustro è stato speso per la sua composizione. Sorvolando sull'intro, mi lancio all'ascolto di "An Outermost Resonance", prima vera traccia di 'Chthonian Theogony', song che palesa fin dalle sue prime note il rinnovato amore dei nostri verso il black sinfonico dei maestri norvegesi. Non dico nulla di nuovo fin qui, che già non avessi riscontrato nel precedente album. La song è una bella cavalcata sorretta da maestose tastiere e da un bel lavoro di chitarre, con alcuni passaggi psichedelici, il cui cadenzato ritmo litanico (al limite del doom), mi ha evocato Blut Aus Nord e Deathspell Omega. Se in passato avevo identificato in Emperor o Limbonic Art, le influenze più superficiali da attribuire al combo meneghino, per questo secondo lavoro devo rivedere le mie affermazioni e puntare sulla scena black francese come spunto per il nuovo corso dei Mystical Fullmoon. La song avanza marcescente e allucinata per larghi tratti, anche se nel finale, sono orchestrazioni di chiara scuola Dimmu Borgir, a dominare. "Reward for the Blind" evoca nuovamente la mefistofelica creatura di Vindsval e soci, almeno nelle linee di chitarra, fatto salvo per ringhiarci contro un riffing che sembra più orientato al thrash death. Il sound camaleontico dei Mystical Fullmoon non tarda a mutare, variando tempi, generi e spesso modo di suonare, mentre immutevole rimane lo screaming troppo nasale di Gnosis. Ascoltare questa song è come avere a che fare con quattro band differenti allo stesso tempo. Eccolo il carattere mutevole del terzetto formato da Heru, Gnosis e Arcanus Incubus, che torna a colpire col suo ibrido di black, death, noise ambient ("Stone of Splendour"), prog, suoni orchestrali e avantgarde, per un risultato a tratti fin troppo confondente. "A Red and Black Sacrament" è un esempio di una song che fatica a trovare una propria identità ben definita ed è un vero peccato; questo perchè la band cade spesso nella tentazione di voler infarcire i propri brani di tutto lo scibile musicale estremo possibile, suonando alla fine troppo pomposi e fuorvianti. Troppi sono i generi che si rincorrono nelle song: qui addirittura si passa dal black al death per finire a deliranti cori liturgici, per un risultato che alla fine spiazza non poco. Forse tutto questo rappresenta un pregio; non nascondo che molto spesso mi sono lamentato per la pochezza di idee espresse dalle band, qui soffro addirittura per la difficoltà a incanalare la dirompente verve creativa dell'act italico, in una direzione ben precisa. "The Reader and the Naked Scientist" è alla fine la traccia che preferisco dell'album, forse un po' più lineare, anche se un break psicotico arriva ben presto a destabilizzarmi. Le chitarre suonano più melo death oriented, anche se poi la ritmica dirompente black prende il sopravvento, ma per poco, visto che il finale della song ha un flusso cinematico (ricordate la colonna sonora di 'Inception', il film con Di Caprio?). "After the Coil" è una lunga e complessa song per lo più strumentale, ove fa la sua comparsa un sax, a dimostrazione dell'elevata e raffinata tecnica strumentale, cosi come pura la costante volontà di stupire sempre l'ascoltatore. Con "Aghori" perlustriamo i meandri profondi della musica fantasy, mentre l'ultima track del disco è affidata a "Dream Brother", quanto mai inattesa cover di Jeff Buckley. Ecco, se i Mystical Fullmoon volevano stupirci un'altra volta, devo ammettere che hanno colto nel segno al 100%, con un album che necessita di tantissimi ascolti per essere assimilato e digerito. Da due mesi, 'Chthonia Theogony' corre nel mio hi-fi e credo che necessiti ancora parecchio tempo affinchè possa allinearsi con la mia mente disagiata. Avanguardia spinta! (Francesco Scarci)

(Beyond Production - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/mysticalfullmoon

giovedì 30 ottobre 2014

Hadez - Morituri te Salutant

#FOR FANS OF: Black/Death Metal, Conqueror, Blasphemy, Archgoat
While it may not be the most familiar tags in the genre, Peruvian horde Hadez are one of the most professional at deploying what is the War Metal tag, which for all intents and purposes comprises bestial-sounding Black/Death Metal with a raw edge and a near-continuous assault of blastbeats throughout. That’s what is delivered throughout this one as we get that intense mixture of chunky, dynamic riffing that rages through plenty of varying patterns from Old-School Death Metal to a variety of blistering Black Metal touches throughout here which carries together quite well as the primordial, dripping-with-evil atmosphere of the former meshes with the harsh arrangements and intensity of the latter, allowing for a more traditional sounding approach to the two genres. It’s not until we get the intense blasting throughout this that it really adds to the War Metal moniker here with this likewise generating plenty of extremity here with this blowing through frantic, razor-wire hymns alongside the blasting drumming that really sells this quite well. Add in a touch of Doom for some slower, lurching patterns that’s quite indicative of Latin Extreme Metal in general which runs through here as well and this becomes a highly enjoyable piece to their catalog. Opener ‘Caligula’ is pretty much exactly what you’re going to get here anyway, with precise riffing, a devastating drum-bashing and plenty of savage leads that work up the energy and intensity levels incredibly well. ‘Forgotten God’ manages to showcase a little more of their Doom influences since it’s not full-throttle all the way through and slows it down a touch, but it still blasts along enough to serve as a highlight track. The title track is back to showing off those bestial, primordial rhythms and intense, blasting drumming while retaining the edge Latin extreme metal bands have in their guitar-work as the thick patterns are melded perfectly with the rampaging atmosphere, making for the album’s overall most explosive offering. This is carried over quite nicely into ‘Extrema Unción,’ which contains an excellent mixture of their primordial blasting with a few slower sprawling patterns thrown in along the way, making for another solid highlight. ‘Embrace the Wings of Death’ is the lone weakness among the tracks, dragging itself out far too long with meandering riffs and sluggish paces that shows the slower, sprawling efforts don’t mesh too well with the rest of the material and causes this to stick out somewhat. Raging speedster ‘It Could be Yourself’ gets itself back into blasting mode and reaps plenty of benefits from that with a tight, frantic effort that might not contain the brutality of earlier efforts but certainly has the speed down. ‘Death Terror’ likewise follows the urgent, blistering riff-work pattern as this one re-affirms the intensity of the riffing with a fine slew of battering blastbeats to whip through one raging, enjoyable effort. Finally, the Black Sabbath cover of ‘Symptom of the Universe’ works well with the bouncing tempo and sprawling tempos matching their original work while the intensity in the blastbeats adds quite well to the sluggish original and making for a fine way to end this one. Really, this one comes off quite well with a lot of really enjoyable qualities about it. (Don Anelli)

(Paragon Records - 2014)
Score: 80

https://www.facebook.com/HADEZPERU

mercoledì 29 ottobre 2014

Sverdkamp - Fraa Ryfylke

#PER CHI AMA: Black Viking Epic, Otyg, Tyr, Finntroll, Einherjer
Virile pagan viking black metal per l'album 'Fraa Ryfylke', debut autoprodotto composto da cinque brani per un totale di una ventina di minuti, di questi norvegesi Sverdkamp. La band si forma nel 2010 per mano dei due musicisti Nattsvart e Venomenon, che in questo primo mini suonano egregiamente tutti gli strumenti e si prestano degnamente anche al canto. "Til Strid" apre le danze violentemente e mostra l'attitudine guerriera dei nostri con cori barbari che ricordano i mitici Otyg, un'interpretazione molto teatrale, rude e crudele corredata da una struttura melodica e una ritmica devastante. Nel brano che segue si avverte la presenza del fantasma macabro e burlesco dei Finntroll, con la sua vena canora da taverna oscura, risate e cori osannanti un imminente attacco. Il rimando ai Tyr e ai loro momenti epici lo si può percepire in 'Hymne til Heimlandet', mentre il quarto brano si delinea per un inizio glorioso e incalzante, una cavalcata che sfocia in un black metal guerrafondaio, insano ed incestuoso con un rumorosissimo epic metal dall'ardore preso in prestito dai grandissimi Equilibrium. Per il gran finale, gli Sverdkamp si affidano ad un attacco frontale che condensa e consolida il sound underground della band, aggiungendo la saggezza del verbo pagano degli storici Menhir con la melodia e l'aggressione sonora da tipica band guerriera. Magari i nostri impavidi vichinghi non saranno innovativi e originali ma il loro angolo di personale rivisitazione del genere lo hanno trovato e la loro salda nicchia di estimatori non tarderà a venire se al full lenght ci arriveranno con questa verve tritatutto. Onore e gloria! Ottimo debutto. (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Sverdkamp

Nomotion - Ritual Murders

#PER CHI AMA: Folk Rock/Gothic, Nick Cave, Gun Club
I Nomotion sono un quintetto nato sul finire dello scorso anno da un’idea di Jonny Bergman, Eros Piani e Lorenzo Della Rovere, ex membri di band quali Calle Della Morte e Grime, ai quali si sono affiancati presto i gemelli Andrea e Alessio De Colle. L’idea musicale dietro al progetto è quella di un folk-rock oscuro, profondamente americano nelle radici e mediato dall’immediatezza del punk, quasi gotico tanto nella musica quanto nelle tematiche trattate. Per questo loro EP d’esordio decidono di fare le cose davvero in grande, a partire dal tema hard-boiled che fa da sfondo all'intero lavoro, un concept sull’omicidio rituale, passando dal supporto scelto, una chiavetta usb in legno intagliato, alla splendida confezione cartonata e in edizione limitatissima (la mia copia è la 31 di 49, come scritto a mano sul retro). Al cospetto di cotanto contenitore, il rischio è che il contenuto non sia all’altezza, ma fortunatamente non è cosí, anzi. La chiavetta contiene infatti cinque brani autografi (presenti tanto in mp3 quanto in formato lossless), ognuno accompagnato da un video creato appositamente. Le canzoni si fanno apprezzare per il modo in cui coniugano immediatezza e drammaticità, azzeccando melodie scandite da chitarre elettriche e acustiche e un pianoforte che aggiunge solennità. I riferimenti piú immediati sono quelli che portano al primo Nick Cave post- 'Birthday Party', ai 16 Horsepower o i Gun Club meno blues e piú inebriati dal country di 'Miami'. Tanto che, in piú di un passaggio, c’è una certa vicinanza di atmosfere (anche per la voce del cantante) con 'I Knew Jeffrey Lee', il disco tributo che Il Circo Fantasma dedicó al compianto leader dei Gun Club. Ma il modo migliore per godere di questi pezzi, è “assaggiarli” in abbinamento con i video, creati utilizzando in maniera creativa e inquietante spezzoni di vecchi film horror o fantastici (sarebbe molto interessante conoscere i titoli delle pellicole), che esaltano al meglio la tematica malsana della musica dei Nomotion. Difficile citare qualche brano in particolare, ma è davvero difficile non rimanere stregati dal connubio lisergico musica-immagini di tracce quali “1000 Stiches”, o la magnetica e disturbante festa gore di “Love is Murder”, o ancora la visionarietà da inferno dantesco in acido di “Summer Rites”. Lavoro affascinante e per nulla banale, che si presta a diversi livelli di lettura e approfondimento. Di gran classe. (Mauro Catena)

domenica 26 ottobre 2014

Nova – [Passages] Framed by Nova

#PER CHI AMA: Electro Jazz, The Kilimanjaro Darkjazz Ensemble, Brian Eno
Terza compilation di estrema bellezza e sofisticata eleganza per il pirotecnico DJ, musicista, produttore, giornalista Massimo Terranova aka Nova. Di stanza a Londra, Nova trova l'humus adatto per questa raccolta di vari artisti di varie nazionalità, più o meno celebri che incredibilmente creano un mood sonoro tanto eterogeneo che nell'ascolto dell'intero lavoro si ha la costante impressione di essere davanti ad una lunga colonna sonora futurista ambientata in una moderna, tecnologica metropoli nebbiosa e autunnale, costellata di rimandi dub e drone ambientali di alta classe come se Ryuichi Sakamoto avesse fatto incetta di musica downtempo, cercando lo stile world dark music astratto, etnico, psichico e sacrale dei Dead Can Dance. Questo box di dodici brani uscito per Ultimae Records è un mantra straordinario di misticità fatta elettronica, dai tocchi minimali e intimisti, dai bassi profondi ed eterei, dalla vena sognante e cosparsi di lieve malinconia, ideali per paesaggi notturni, dedicati al viaggio introspettivo. Fasci di luce incantevole per una contemporanea ed originalissima miscela elettronica che trae ispirazione dai lavori di grandi maestri attuali e non. Quindi echi di Brian Eno, Robert Fripp, le compilation Buddha Bar, Tricky, Fever Ray, Autechre, Boards of Canada, The Kilimanjaro Darkjazz Ensemble, Fennesz e chi più ne ha, più ne metta. Tutto questo immaginando il tutto traumatizzato da una scarica Dub/Trip Hop/elettro jazz lodevole con un'ottima produzione ad alta fedeltà e una forza ipnotica impressionante. Rinchiusi in un lounge bar immaginario a riflettere sull'infinito circondati da tele dipinte in bianco e nero incorniciate dai mix di Nova. Un vero gioiellino da ascoltare rigorosamente in orario notturno! (gli artisti che compaiono con i loro brani nella compilation: James Murray, Fingers in the Noise, Cygna, Brando Lupi, Miktek, Murya, Martin Non Static, Lars Leonhard, Aes Dana, Connect.Ohm,Max Million, Zinovia). (Bob Stoner)

An Autumn For Crippled Children - Try not to Love Everything you Destroy

#PER CHI AMA: Shoegaze, Post Punk
A distanza di quasi un anno da 'Try Not To Destroy Everything You Love', tornano gli olandesi An Autumn For Crippled Children, con un EP di due pezzi puramente digitale che richiama (e rivolta) il titolo del precedente album. Dicevamo di due song, che si aprono con la title track, che conducono inevitabilmente al lavoro dello scorso novembre. Se avete pertanto amato la band nel nuovo corso post-punk shoegaze, continuerete ad apprezzarla anche in questo concentrato ristrettissimo di sonorità eteree, in cui solo il rancido ed efferato screaming, mantiene una sorta di legame con gli esordi più burrascosi dell'act orange. Largo spazio dunque a synth e in secondo piano a ronzanti chitarre che tessono linee dotate di una malinconia disarmante. "Post War", sebbene un violentissimo incipit, a cura di chitarre iper vitaminizzate, è poesia desolante allo stato puro che solamente chi è avezzo a tali sonorità, potrà percepire e godere; gli altri vi sentiranno infatti solo il frastuono di zanzarose ritmiche serrate, in cui i synth alla fine assumono un ruolo assai invasivo nell'economia del brano. In attesa di un ritorno sulla scena, dotato di maggior carisma e personalità da parte dei nostri, godiamoci questo dolcetto del trio di Friesland. (Francesco Scarci)

Spätregen - Schattenwandler

#PER CHI AMA: Black Symph, Angizia
Solo tre pezzi (di cui un intro) per valutare i teutonici Spätregen. La one man band di Esslingen am Neckar, ci offre solo un assaggio della propria musica con la title track, un black sinfonico dai contorni cinematici. Si perché "Schattenwandler" gode infatti di ottime orchestrazioni che supportano un sound che, diciamoci la verità, di black metal ha ben poco, se non lo screaming un po' tagliente di Kumras, il factotum che si cela dietro a questo monicker. Per il resto ho trovato certi punti di contatto con gli austriaci Angizia, che erano soliti infarcire le loro composizioni con massicce dosi di musica classica. Ampio spazio quindi a synth, magniloquenti orchestrazioni e buone melodie. Tutto questo descrive in estrema sintesi questo maxi single, che vede la conclusiva "Epilog" come traccia di chiusura, più vicina a una colonna sonora cinematografica piuttosto che a musica ambient. Avete presente 'Lyckantropen Themes' o 'Svidd Neger' degli Ulver, ecco la proposta di Kumras ci va molto vicino. Troppo poco però un paio di pezzi, peraltro estremamente cosi diversi tra loro, per valutare approfonditamente la proposta del mastermind tedesco. Comunque, se queste sono le premesse, credo che, se ben supportato da un batterista in carne e ossa (e da un artwork più accattivante e meno primitivo), ne potremo sentire delle belle in futuro. (Francesco Scarci)

The Unchaining - Ruins at Dusk

#PER CHI AMA: Black Metal atmosferico
Il secondo album della one man band friulana The Unchaining intitolato 'Ruins at Dusk' e licenziato via Behemoth Records, si adagia sulle tetre ali del black metal più misantropo ed isolazionista, proprio là dove Burzum e Centuries of Deception decantano le loro lodi, tra lande desolate, boschi e montagne innevate. Il nostro oscuro bardo esalta nell'artwork l'essenza vitale emanata dalla visione delle Dolomiti, mitiche e irraggiungibili in quanto a bellezza e si circonda di solitudine, suonando brani ossessivi e laceranti, a volte influenzati da sonorità più doom a volte tipicamente pagan occult black metal. La costruzione riflette i canoni del genere ed il verbo si arricchisce di personalità solo se valutiamo il lato espressivo della musica, poichè il limite tecnico-compositivo è evidente, anche se non pregiudica del tutto il risultato finale. Quello che lascia a volte sconcertante è l'uso di una presunta drum machine calibrata male con dei suoni nefasti che tentano di imitare i maestri ma con uno scarso approccio sonoro. Belle le intromissioni e le aperture sul versante più ambient e folk mentre l'interpretazione vocale, seppur monotona, dona un'ottima aura mistica, macabra ed ipnotica a tutti i brani. Sette tracce per circa un'ora di difficile e drammatico black metal, che farebbe del suo isolazionismo l'arma perfetta ma che in realtà deve essere ancora sviluppata e lavorata in maniera più ricercata e sofisticata. Tutto è troppo incerto e non basta essere forzatamente lo-fi per trasmettere emozioni profonde e introspettive, bisogna levigare le spigolature, lavorare sulle strutture, sui dettagli e i particolari per creare qualcosa di unico e magico, magari aggiungendo strumentazione e suoni all'altezza. L'atmosfera c'è e soddisfa molto, il lato musicale tra alti e bassi viene rimandato ai lavori futuri (da ascoltare 'Fornost Erain', uscito nel giugno 2014 via bandcamp - theunchaining.bandcamp.com/album/fornost-erain). Un gioiellino incompleto. (Bob Stoner)

giovedì 23 ottobre 2014

Ëdïëh - In Case the Winds Blow...

#PER CHI AMA: Death Doom atmosferico, primi Tiamat
La scena cinese sta crescendo a vista d'occhio e merito va senza dubbio anche alla Pest Productions, che sta sdoganando un sacco di band dell'underground locale per darle in pasto ad un pubblico più internazionale. La politica dell'etichetta di Nanchang, prevede anche la riscoperta e promozione di album usciti solo per il mercato cinese: questo è il caso di 'In Case the Winds Blow...'. Uscito nel 2012 per la Sparrow Cross, vede una luce più luminosa l'anno seguente con l'intervento della P.P.; la one man band di Pechino, guidata da Mr. T, sembra essere assai prolifica con ben nove album dal 2008 a oggi, con questo che andiamo ad ascoltare, essere il penultimo. Si tratta di un 3-track dal forte sapore death doom contaminato da qualche venatura folk. Tralasciando la minimal intro, mi siedo ad ascoltare nel buio della mia stanzetta, "The Pain is Seamless", 12 minuti di sonorità death doom sulla scia delle produzioni Solitude Productions. Suoni deprimenti, growling vocals, melodie malinconiche, atmosfere decadenti, in cui il mastermind T sembra seguire tutte le tendenze dettate dalla scena est europea, con Russia e Ucraina in testa. Di nuovo niente all'orizzonte quindi? In parte è cosi, fortunatamente tra un lamento e l'altro, il musicista dagli occhi a mandorla, ci piazza dentro un qualche bell'assolo, non certo di elevato tasso tecnico, ma che sicuramente ha una buona presa sull'ascoltatore, portandomi a rivalutare notevolmente il risultato conclusivo. Mr. T si aiuta anche utilizzando qualche bell'arpeggio bucolico e qualche passaggio ambient, come nella parte conclusiva della traccia. "I See My Shadow Amongst the Leaves" è il secondo e ultimo brano del disco, un'arrampicata di ben 23 minuti che si apre con eteree melodie dal sapore orientale. Mentalmente mi sembra di camminare nei boschi delle foreste cinesi, con la pioggia che cade, mentre in lontananza percepisco il fragore dei tuoni. Ancora doom, ma dotato di una cinetica più rock progressive che offre delicate linee di chitarra e ha il suo punto di contatto col genere estremo solo per i vocalizzi profondi del frontman. La song scorre lentamente come il tortuoso cammino del fiume Yangtze, toccando il suo punto massimo d'espressione nei suoi conclusivi nove minuti in cui l'ambient si miscela cinematicamente con sonorità sognanti che mi hanno richiamato "Gaia" dei Tiamat e di conseguenza i Pink Floyd. Non chiedetemi le ragioni di queste mie affermazioni, voi fidatevi e basta: questi ultimi minuti li ho ascoltati e riascoltati all'infinito e il risultato è sempre stato il medesimo, quello di produrmi una spettacolare pelle d'oca. Se solo Mr. T si fosse dedicato a song un po' più brevi e meno ridondanti, forse oggi starei scrivendo di un piccolo capolavoro. Tagliare per favore in futuro per rendere più fruibile una melodia a dir poco spettacolare è il primo consiglio che mi sento di dare alla band e visto che di estremo qui rimane ben poco, il suggerimento seguente è quello di modulareci vocalizzi, prendendo ad esempio proprio i Tiamat di 'Wildhoney'. Validi e da seguire. (Francesco Scarci)

martedì 21 ottobre 2014

Sarkast - Komakollektiv

#PER CHI AMA: Crust, Punk
Sporco, diretto e veloce. Così si può sintetizzare 'Komakollektiv' dei teutonici Sarkast. Una corrosiva opera di venti minuti che, già dall'artwork, lascia ben poco spazio all'immaginazione, un ritorno verso la fine degli anni '80, una dedica alla rabbia, una - giustamente - velata non curanza della produzione (anche se una grancassa con meno punta sarebbe stata nettamente più piacevole). Perchè alla fine ciò che conta è il messaggio e questo arriva chiaro e conciso già dalle prime note di "Kreislauf", quando si è investiti da una impalpabile raffica cenerea, distorsioni taglienti e ruvide vibrazioni. Il songwriting ad ogni modo non è portato ai minimi termini e si trovano dei piacevoli ma sporadici rallentamenti e dei pattern di batteria dinamici grazie all'uso del doppio pedale e blast-beat, la cui sintesi la si può ascoltare e gustare nella centrale "Farbenleere"o nell'ultima "Ohne Abschied", tracce a mio parere da considerarsi le migliori del platter, in quanto vincono con una basilare originalità. Tratti melodici, seppur infimi e di dubbio carattere, vengono sfiorati solamente in un paio di tracce, andando a ravvivare le composizioni là ove potrebbere arenarsi nelle classiche ritmiche del genere. Il lavoro nel complesso è onesto e poco pretenzioso, piacerà certamente ai cultori dell'old school nonostante qualche "influenza" moderna, come le ritmiche serrate spesso in combinazione con il sopraccitato doppio pedale o le sporadiche dissonanze. Incazzati! (Kent)

Dreams - 3Am

#PER CHI AMA: Shoegaze, Amesoeurs, Lifelover.
La risposta americana agli Alcest? Se qualcuno la cercasse, sarà solo in parte accontentato dall'EP della one man band statunitense dei Dreams. '3Am' è il lavoro di Morbid (già noto per un'altra band del roster Pest Productions, i blacksters Happy Days), la mente che si cela dietro questo progetto e che ci rifila sei song all'insegna dello shoegaze nella sua accezione però più primordiale. Lasciate quindi perdere Alcest e compagnia e focalizzate le vostre menti piuttosto sui My Bloody Valentine e forse avrete una più chiara idea di cosa propongono i nostri. Dicevamo sei tracce che partono con "Parallel Anxiety" che mette immediatamente in luce le sonorità post punk del mastermind americano. "Delta Wave Overload" sembra una song uscita da uno dei primi lavori dei The Cure, almeno fino a quando le chitarre un po' più pesantucce di Mr. M. prendono il sopravvento. L'approccio è comunque quello tipico del sound anni '80-90, con song dalle brevi durate, atmosfere eteree, suoni malinconici e vocals che potrebbero ricordarvi quelle pulitissime degli Alcest (anche loro hanno tuttavia scopiazzato dalle grandi realtà dei tempi d'oro), con Morbid accompagnato da una gentil donzella, tale Michelle Nighshade. Il disco scivola piacevolmente verso la sua breve conclusione (22 soli minuti), passando attraverso la discreta "Abduct Me", la lunga (5 minuti) "Sleepless Lullabies", e le conclusive "Swallowing Conciousness" e "3Am", pezzi che, a dire il vero, si assomigliano un po' tutti, per melodia e architettura. Però chi conosce lo shoegaze, sa perfettamente che la musica riflette questi canoni e pertanto sa già a cosa va incontro. '3Am' è un album onesto che non ha nulla da chiedere, se non un vostro gentile ascolto. (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2014)
Voto: 65

https://pestproductions.bandcamp.com/album/3am

domenica 19 ottobre 2014

The Bastard Sons - Roads

#PER CHI AMA: Hard Rock Blues
No, non sto per scrivere una recensione sulla band italiana omettendo la divinità greca che ne completa il nome, quindi mettete pure giù i forconi e le torce perché non ho perso il senno. Questi cinque bastardi provengono dalla vecchia York (Inghilterra) e si sono formati nel 2011. 'Roads' è il loro secondo EP ed pieno zeppo di suoni al limite hard rock e metal. Un mix che sapientemente dosato può dare ottimi risultati, quindi immaginate la mia frenesia nell'accendere il fido impianto Hi-fi e aspettare i primi giri del cd. "O' Brothel where Art Thou" apre l'EP con tutta la birra che la band ha in canna, quindi ritmica veloce e riff grossi, ma con la classica equalizzazione che fa l'occhiolino al popolo hard rock sparso nel mondo. Assoli old stile e doppio pedale nei punti giusti aiutano il brano a stare sempre in alto, senza incappare in cali di tensione che permettono all'ascoltatore di cambiare traccia o andare al bancone a prendesi la sesta o settima birra. Il vocalist è aggressivo, non ha un'estensione vocale degna di nota, ma punta tutto sul timbro graffiante, a volte un pelo troppo strozzato. "Sobre la Muerte" è il brano più riuscito, ritmica meno veloce, ma tanta botta e headbanging spinto a più non posso. Gli arrangiamenti sono stati fatti ad arte, alternando momenti più distesi che poi permettono di apprezzare al meglio l'accelerazione. Gran musicisti i The Bastard Sons, dove gli axemen trascinano la composizione dei brani, ma drummer e bassista non sono da meno. La ritmica è in continua evoluzione durante tutti i brani, sempre pulita e precisa, feeling non sempre facile da trovare. In generale i suoni sono abbastanza moderni, non ripudiando però la vecchia scuola che tanto ha insegnato negli ultimi vent'anni. Peccato per "Season End" che poteva essere sviluppata maggiormente, invece che essere tagliata a poco più di un minuto di durata. Batteria e voce carichi di effetti creano grande atmosfera, un fertile terreno per le tastiere che dominano e puntano sul fattore emotivo di chi si immerge nell'ascolto. Se la band l'avesse sviluppata maggiormente con un attacco di quelli che fanno tremare i muri, probabilmente avremmo avuto la traccia perfetta. Gli inglesi ci sanno comunque fare e questo EP non lascia dubbi, inoltre fa ben sperare nel fatto che non siano ottusamente chiusi nel genere, ma si possano aprire ad altre influenze, abbracciando vecchio e nuovo. Dai ragazzi, fatto l'EP ora datevi da fare con un vero e proprio album. (Michele Montanari)

Storm Breeder - The Knave

#FOR FANS OF: Progressive/Thrash Metal, Vektor, Abysmalia
When thinking of the term ‘One-Man Band,’ it is quite rarely used to describe Thrash acts so Australia’s Storm Breeder are in very rarified air on this debut. The most apparent factor on the album is Ben Petch’s obviously skilled guitar playing on here which is the main highlight to many of these songs as the skill-set featured here is quite varied and dynamic with just about all the main songs here ranging over seven minutes, one clocking in at nine and only one at five minutes so there’s a lot of material to get through here. The progressive influences come from the incredibly varied tempo changes and dynamics that occur throughout most of the tracks here given that their extended running time allows for such experimentation and variety to happen, while also utilizing the more renown part of Progressive Metal of incorporating the chugging guitar rhythms for its main weapon of attack here which is at times fitting to the music, while others are such radical departures that they cause the music, however well-written and composed they are to stick out quite readily throughout. Despite the length being a big factor here, the music does have a tendency to remain far-too low-key and down-tempo when it really should be a lot faster so the plodding energy can have a lowered effect on the music as a whole here when it really fails to muster any kind of energy for the music on hand. Still, the majority of the tracks here being quite good does make-up for those flaws. The title track immediately sets things in motion with a slew of proficiently arranged rhythms, challenging drum-beats and various tempo changes that showcase the talent on hand while giving off a clear view of what’s to come. A huge misstep after that fine opener, ‘Blood Stained Crown’ nearly eschews thrashing paces for simple riffs, melodic dirges and an energy level that rivals your average ballad for its extended running time, barely keeping the interest in there. The massive epic ‘Scarlet Shade of Death’ is little better with a slew of light, melodic guitars, female vocals and simple riffs throughout a near-ten minute romp that occasionally features a few harder segments but really keeps the lighter sections in play until the finale when it really thrashes away with abandon to save it, but it’s still barely eight minutes into this. Thankfully, ‘March of the Damage Men’ gets back into the energetic riffing with plenty of up-tempo patterns, technically-complex arrangements and plenty of melody while still keeping this going along nicely which makes for a more enjoyable track overall. ‘Mechanised Extermination’ opts for more industrial influences in terms of cyber-sounding keyboards and pounding drumming alongside tight, marching guitars for another rather enjoyable track here. Offering a bit of a further departure from the norm, ‘Demoniacal’ offers the kind of plodding pace, lush keyboard histrionics and melancholic vibe that recalls Gothic Metal at times, a strange choice on a straight-up Thrash record and does have a love/hate relationship to it: it’s a good song as it’s written but just seems like such a left-handed turn from the rest of the material it doesn’t mesh well with anything else. The instrumental ‘A Cold Day in Hell’ serves well as a fine break in the action with its lighter pace and plodding rhythms keeping this short and to the point. Starting off with a bang, ‘Revelation’ carries the better elements in here along with quite a few rather engaging segments that switches things up nicely and ends this on a positive note. Overall, this one isn’t that bad and has some rather decent moments to make for a rather engaging if flawed listen. (Don Anelli)

(Paragon Records - 2013)
Score: 70

https://myspace.com/stormbreeder