Cerca nel blog

sabato 11 ottobre 2014

Chasms - Subtle Bodies

#PER CHI AMA: Dark, Psichedelia, Shoegaze
L'estate è ormai un lontano ricordo, e i Chasms anticipano l'inverno, cogliendomi di sorpresa con un album dai toni freddi e oscuri, dall'anima estremamente malinconica. “N.V.S.” apre l'album ma credo funga più da intro che come brano vero e proprio, ma mi sbaglio. La successiva “Riser” infatti conferma l'anima dark dei nostri, con una musicalità lenta e ossessiva, che sprigiona un fiume emozionale per chi apprezza Dead Can Dance e affini. Le litanie dei Chasms rappresentano la colonna sonora che mi può accompagnare in quei momenti in cui desidero isolarmi dal mondo e vagare solo con la mia mente, come in questo sabato sera di metà ottobre. Eteree voci femminili, sonorità celestiali, riverberi che sembrano appartenere ad un altro mondo, costituiscono la matrice di 'Subtle Bodies'. “Soft Opening” è una stranissima song che si muove tra il noise/drone e il dark wave. Decisamente non il genere adatto da essere ascoltato in spiaggia sotto il sole cocente, sarebbe meglio una stanza buia con le pareti nere come la pece e circondato dal nulla. “When It Comes...” riprende quasi il canonico concetto di canzone, ma le sue linee melodiche, lo stralunato battito del drumming e le sue vocals, non riescono proprio a far breccia dentro la mia anima dai tratti dannati. Lo stesso dicasi per le rimanenti due tracce (di cui sottolineerei la durata di undici minuti della conclusiva e strumentale “Dissolution Into Clear Light”) che propongono il medesimo canovaccio e finiscono solo per annoiarmi. (Francesco Scarci)

(Sleep Genius - 2014)
Voto: 55

https://www.facebook.com/oooCHASMSooo

Quercus - Sfumato

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Esoteric, Skepticism
I Quercus arrivano dalla Repubblica Ceca e vantano anni di esperienza e uscite discografiche. Quest'ultimo album esce per l'etichetta underground MFL records, un'etichetta fondata da musicisti russi facente parte della "Mosca Funeral League", nata per sostenere bands dedite al funeral e al doom metal. In attività dal 2002, i Quercus mostrano oggi una tecnica compositiva fantasiosa e originale carica d'atmosfera e variegata, toccata dalla genialità e pregna di personalità. Ispirata all'arte del grande talento artistico Leonardo, l'album assume una classe, un'intensità sulfurea ed una carica esoterica focalizzata sulla scuola di tutti quei nomi mitici che hanno reso la musica del destino una musica di culto e che la band ringrazia nel booklet interno. Possiamo affermare entusiasticamente che i Quercus sono una doom band fuori dagli schemi, che la loro proposta musicale incrocia in questo lavoro, l'animo dei primi Paradise lost ('Shades of God'), con le movenze gelide ed astrali degli Skepticism, suonano come i Katatonia ma sfoderano la classe degli Swans nel creare un mondo sonoro carico ed introspettivo. Difficile dunque catalogarli e questa è la cosa migliore, poiché l'album è una continua scoperta, dove la cadenza è si doom ma senza dimenticare una buona dose di psichedelia cosmica e un sanguigno sound moderno figlio degli Esoteric ed una espressività epica eccelsa di scuola In the Woods. Pesantezza e fantasia compositiva, registrazione perfetta, suoni calibratissimi e buone doti tecniche, rendono il disco inaspettato e delizioso, in un continuo movimento creativo e mai ripetitivo, omogeneo e dal tocco altamente artistico, tra violento deragliamento emotivo, chitarre gotiche, funeral metal, incursioni jazz ed un growl narrante memorabile. Preparatevi ad incontrare non il solito doom, ma musica metal riflessiva decisamente d'avanguardia, composta da tre ottimi brani molto lunghi, per un totale di cinque pezzi racchiusi in circa cinquanta minuti di musica di alto livello. Il doom incontra l'avanguardia, un sodalizio perfetto, dove i suoni rubati al post grunge si muovono lenti ed oppressivi, deambulano astratti e profondi, grondanti lacrime di speranza e delusione. L'infinito vi attende! Non fatelo aspettare... (Bob Stoner)

mercoledì 8 ottobre 2014

Deconstructing Sequence - Access Code

#PER CHI AMA: Progressive Death-metal, Avantgarde, Industrial
Due tracce da circa 8 minuti ciascuna. Un artwork da fantascienza vintage, con una gigantesca nave squadrata che incombe sul pianeta Terra, su un cielo rosso sangue. Una strumentazione (chitarra, basso e batteria, ma anche synth e programming) che promette grandi cose e una produzione di prima classe. Non da ultimo, l’esperienza di un precedente EP ('Year One', 2013) e gli anni di militanza nei polacchi Northwail. L’opera si apre con la celebre frase “My god: it’s full of stars…” da '2001: Odissea nello Spazio'. È il primo verso di molti, lungo tutto il lavoro, a raccontare un concept: la metafora del viaggio nella gelida desolazione dell’universo come viaggio nella disperazione interiore. Le coordinate musicali dei Deconstructing Sequence, invece, sono più complicate da tracciare: ci sono elementi degli Arcturus più sperimentali, degli Emperor, di Ayreon, persino dei Gojira. Ma è tutto modellato in un’ottica talmente personale che il risultato supera la semplice somma algebrica delle parti. “A Habitable World is Found” mette subito tonnellate di carne al fuoco: c’è il riffing prog intelligente e furioso (ascoltate la splendida intro), ci sono le cavalcate death di doppia cassa e blast beat, le aperture sinfoniche di synth, gli inquietanti arpeggi di chitarra pulita, la decostruzione ritmica del math metal e persino un accenno di industrial in alcuni passaggi più elettronici. La seguente “We Have The Access Code” apre con un piccolo capolavoro di batteria, che sfocia con rabbia in una canzone veloce, oscura e violenta. Mentre i testi raccontano di una nave persa nello spazio che l’equipaggio, disperato, continua a pilotare verso il nulla, la canzone implode in sé stessa, diventando un lento e melanconico respiro dell’universo; salvo poi tornare ad evolvere in un prog-death da antologia fino all’esplosivo finale. Le voci contribuiscono a dare colore e personalità alle diverse parti del brano: growl e harsh da un parte, spoken-words con effetto radio dall’altro, piccoli e misuratissimi gli accenni melodici. L’impressione – resa splendidamente – è quella di un continuo e disperato dialogo tra la terra e la nave, o tra la nave e lo spazio stesso. Tanta personalità creativa e un tale livello di forza narrativa di musica e testi sono davvero rare in una band emergente. Resta da vedere se, alla prova del primo full-lenght, sapranno mantenere le ottime premesse di questo piccolo gioiello del metal contemporaneo. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2014)
Voto: 80

martedì 7 ottobre 2014

Luna – Ashes to Ashes

#PER CHI AMA: Symphonic Funeral Doom, Ahab, Thy Catafalque
La one man band di Kiev, formatasi nel 2013 e capitanata dal polistrumentista DeMort, si manifesta con un album carico di maestosità sinfonica, dalle linee pesanti e al contempo ariose, dalla gravosa ombra dell'opera classica riletta in chiave funeral doom con innesti death metal, in poche parole una perla per chi la saprà apprezzare. 'Ashes to Ashes' è un'opera apocalittica dal valore esagerato e dalle potenzialità enormi, una sola composizione lunga quasi un'ora, frutto di una personalità ricca di tecnica e buone idee costruttive, un musicista dotato di elevata sensibilità, che l'ha portato a creare un album d'infinita bellezza. In questo lavoro troviamo la drammaticità delle classiche intro da teatro dell'orrore alla maniera dei Cradle of Filth, con l'impasto sonoro che si accosta alle cose più sofisticate degli Emperor, anche se il suono è più pesante e profondo, meno black e più orchestrale, gutturale, cupo, dal sapore tragico, una eclissi sonica eterna che crea un legame tra Ahab e Thy Catafalque. Un monumento di emotività oscura, musica strumentale, concettuale carica di visionaria introspezione, la perfetta colonna sonora epica e isolazionista, la misantropia, una visone romantica del lato oscuro dell'infinito, l'eterno. Una colossale e potentissima parata di ombre pronte a toglierci il respiro e a donarci l'oblio. Licenziato via Solitude Prod., 'Ashes to Ashes' dei Luna potrebbe divenire il vostro incubo migliore. Divinità d'altri tempi. Ascolto obbligato! (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 2014)
Voto: 75

domenica 5 ottobre 2014

Putiferio - Lovlovlov

#PER CHI AMA: Noise Rock
I Putiferio sono di Padova, sono in quattro e non si chiamano così a caso. Nascono nel 2004 e dopo quattro anni escono con 'Ate Ate Ate', album che non ho ancora avuto modo di ascoltare, ma che trova grande riscontro dalla critica, soprattutto per il coraggio e la determinazione nel portare avanti un prodotto difficile come la loro musica. Un mix di noise rock e post-qualcosa, suoni anni '90 e ritmica a nervi scoperti. Tutto volutamente difficile da ascoltare per chi non si smuove da Radio Italia o 105 e punta a suscitare emozioni scomode e impreviste. "Void Void void" esplode dopo una serie di feedback di chitarre (sono in due, senza un bassista fisso nella line up) con una sezione ritmica forsennata, arrangiamenti che non ti permettono di canticchiare nemmeno una strofa. Il tutto condito da stralci elettronici lo-fi che aumentano la matassa noise del brano. Il cantato è pura follia, urla come unghie che grattano su una lavagna o che affondano nella gola stretta a soffocare. Poi cambia tutto e le chitarre diventano più prepotenti, si riesce pure a scandire il ritmo con la testa, ma l'illusione finisce presto e si viene catapultati verso le tracce successive. "True Evil Black Medal" inizia scandendo battiti di puro groove elettronico, una versione malata degli attuali Radiohead carichi di tensione e suoni stridenti, gli strumenti si intrecciano tra di loro come matasse di fili elettrici che non hanno un inizio e una fine, ma solo una metamorfosi. La voce è più distesa, lontana e privata della timbrica naturale. Poi l'entrata degli archi riporta una calma apparente, quasi metafisica, segnata da arrangiamenti in tonalità minore rispetto ai precedenti, a destare una sorte di malinconia. Ma questi torneranno irruenti, cancellando il miraggio di un possibile riscatto e chiudendo la traccia a circa sette minuti e mezzo. I Putiferio potrebbero essere una delle varie personalità multiple de Il Teatro degli Orrori, come se un episodio di bipolarismo li avesse creati e lasciati liberi a vagabondare in cerca di una propria esistenza. 'Lovlovlov' è volutamente un prodotto che raccoglie intorno a se un pubblico vittima di una selezione naturale, da ascoltare e valutare personalmente. (Michele Montanari)

(Macina Dischi - 2012)
Voto: 70

Maeth – Oceans into Ashes - Cd version

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Cult of Luna
Ok, lo so, questo disco è uscito circa un anno fa e ok, lo so, è già stato recensito ovunque (pozzo compreso) in termini entusiastici. Il punto è che io sono un po’ lento. Ho bisogno di tempo e, soprattutto, ho bisogno di supporti fisici su cui ascoltare musica. Ecco perché ho decine, forse centinaia di album in mp3, sul mio hard disk, che non ho praticamente mai ascoltato. È che preferirò sempre avere tra le mani un cd, e al cd darò sempre la precedenza, rispetto ad un file da ascoltare (male) sulle casse del pc. Anche a costo di perdermi cose buone o addirittura ottime come questo esordio sulla lunga distanza dei Maeth. Quindi, in sostanza, ne scrivo adesso perchè adesso ho avuto la possibilità di ascoltarlo su cd, nonostante la lodevole iniziativa dei tre ragazzi del Minnesota di lasciare il dowload gratuito dal loro bandcamp. L’artwork mette subito di buon umore, con il suo cartoncino di qualità, gli adesivi e le illustrazioni a metà strada tra i supereroi Marvel, le divinità induiste e Yattaman. Sul contenuto non posso fare altro che accodarmi alla fila degli entusiasti o quanto meno, dato che l’entusiasmo è sentimento personale e soggettivo, a coloro che ritengono che 'Oceans into Ashes' sia un lavoro davvero eccellente. Riesce a centrare l’obiettivo tutt’altro che semplice di risultare estremamente vario e sorprendente pur essendo perfettamente a fuoco, coerente e affatto dispersivo. Quello che propongono i Maeth è un metal pensante, caleidoscopico, mutante, che coniuga le tensioni post di Isis e Cult of Luna con slanci quasi prog, che non scadono peró mai in un tecnicismo eccessivamente arido. L’intro di "Prayer", delicato strumentale elettroacustico, è scandito dal verso dei gabbiani, per cui ci si trova immediatamente in mare aperto, davanti agli occhi l’infinito oceano delle possibilità, che i Maeth finiscono per esplorare in lungo e in largo. "The Sea in the Winter" si fonde perfettamente alla successiva "Nomad", quasi come a formare una suite che è un viaggio negli stili e nella testa dei tre musicisti, dai riff serrati e le ritmiche non lineari di stampo post fino ad arrivare ad un doom ferale, passando per un flauto orientaleggiante assolutamente inaspettato. A sottolineare la drammaticità che i Maeth riescono sempre ad evocare, ci sono vocals sofferte e profonde, che completano magnificamente un meccanismo che sfiora piú volte la perfezione. E cosí si procede con la scurissima "Wolves", le parimenti ottime "Burning Turquoise" e "Troödon" fino alla conclusiva "Big Sky", splendido strumentale le cui improvvise aperture chitarristiche portano l’ascoltatore a stagliarsi in volo contro un cielo finalmente azzurro. Menzione particolare per quel gioiello di raggelante intensità che è "Blackdamp", drammatico spoken word su un bel tappeto di chitarra acustica. Gran disco, niente da dire. Meritatissimi tutti i complimenti ricevuti sin qui. Compratelo e custoditelo con cura. (Mauro Catena)

(Minnesconsin Records - 2013)
Voto: 80

sabato 4 ottobre 2014

Dormin - Psykhe Comatose Disorder

#PER CHI AMA: Dark Ambient, Atmospheric Black, Ulver
Uscito nel dicembre 2013 via Masterpiece Distribution, il primo lavoro del duo siculo dei Dormin si abissa in uno stile confusionale, variegato e di difficile collocazione. Nato come un concept basato su una serie di degenerazioni mentali della psiche che hanno ispirato il cantante chitarrista Rex, in conseguenza alla perdita della madre a causa di una grave malattia, 'Psykhe Comatose Disorder' è un album che riflette bene gli stati d'animo sconcertati e bui che gli hanno dato vita. La musica è frastagliata, a tratti violenta e spesso si rende liquefatta, prendendo le distanze con un certo tipo di black metal atmosferico, inoltrandosi nel dark ambient dotato di venature vagamente shoegaze, anche se certa elettronica di base può ricordare alcune performance degli Ulver più sperimentali e rarefatti tipo 'Themes from William Blake's, The Marriage of Heaven and Hell'. Bello il cantato aggressivo in lingua madre in "Spettri nello Specchio" e lo screaming in inglese nelle parti più violente che amalgamano un suono reso un po' piatto da una drum machine scarna e lineare e da una produzione non sempre all'altezza. Sicuramente suonato e composto con anima e cuore, tralasciando alcune scritture leggermente sottotono, l'ascolto si rivelerà piacevole e variegato, frutto di una volontà d'espressione focalizzata a 360° su tante e inusuali realtà musicali più oscure e sotterranee. Un disco che va preso con le pinze, che sarà apprezzato dai cultori della sperimentazione in senso oscuro. La sola traccia "World of Nooses and Plastic Drama" vale l'ascolto per la sua inconsueta evoluzione che la spinge a passare dal black metal cacofonico al dark rock a la Christian Death, mentre la lunga "The Glyph of Solitude", nella sua sonorità crudele e primordiale, emana tutta la sua drammatica essenza, con un finale tesissimo di etereo, oscuro minimal ambient, seguito da una ballata gotica di buon effetto che chiude le danze. In realtà siamo di fronte ad una forma di espressione sonora che deve essere amata per la sua interpretazione e non per la sua mera esecuzione. Quella forma di libera espressione sonora che se coltivata a dovere potrebbe dare ottimi risultati nei lavori a venire. Quello dei Dormin è un album da ascoltare nella più completa solitudine e nella massima libertà mentale, un corridoio lungo e buio che vi chiede di essere percorso per trovare una lucente via d'uscita. (Bob Stoner)

(Beyond Productions - 2013)
Voto: 70

Eldjudnir - Angrboða

#PER CHI AMA: Black/Doom
La Danimarca ultimamente sta riscoprendo il verbo nero del black metal. Dopo il recente debutto di "Miss" Myrkur, ecco vedere finalmente stampato dalla cinese Pest Productions, il full length dei Eldjudnir che vide in realtà la luce nel 2012 sotto forma di cassetta e che oggi finalmente gode di una più larga distribuzione (e migliore produzione) grazie all'etichetta di Shanghai, ma soprattutto, il formato è quello giusto (almeno per il sottoscritto), il cd. 'Angrboða' consta di cinque pezzi che si aprono con la dirompente title track che mette in chiaro immediatamente come stanno le cose: il quartetto di Copenhagen ci scatena contro un black ammantato di sonorità nere come la pece che trovano fortunatamente la brillante idea di concedere un certo spazio anche a momenti più epici e dal flavour vichingo. Non è infatti un caso che il nome dei nostri si rifaccia alla tradizione nord europea, cosi come i titoli dei brani richiamino creature della mitologia norrena. Con la seconda traccia, "Jörmundgandr", a fronte di un rallentamento della sezione ritmica, c'è da segnalare una maggior cupezza nelle atmosfere, quasi catacombali, ad opera del 4-piece danese. Un sound sordo, al confine con lo sludge/doom, che trova comunque modo di vivacizzarsi con qualche pestilenziale sfuriata black e qualche chorus epico. Il disco avanza sinuosamente con "Hel", la dea degli Inferi, figlia di Loki (dio dell'inganno) e di Angrboða, una gigante il cui nome significa "presagio del male", che abbiamo già incontrato all'inizio del disco. Il suono malefico del brano, il suo incedere lugubre e spettrale, va molto vicino nel dipingere la figura negativa della divinità; ciò che mi colpisce maggiormente nella traccia è un break centrale quasi tribale che lo rende assai più interessante. Arriviamo a "Bundinn" e le atmosfere apocalittiche (ma dall'approccio decisamente più melodico) a tratti litaniche, la fanno da padrone, conducendoci mentalmente dinanzi a un rito sacrificale che si teneva durante le cerimonie vichinghe. La song conclusiva, "Fenris", si presenta come la più infernale e completa dell'intero lotto, in cui blast beat, screaming vocals, ritmiche convulse, frangenti etnici e macabre atmosfere oscure, coesistono in una lunga traccia della durata di più di 11 minuti. In conclusione, 'Angrboða' è un lavoro che pur non inventando nulla di nuovo, lascia intravedere qualche buono spunto da parte degli Eldjudnir, anche se dopo una carriera decennale, probabilmente era lecito attendersi qualcosina in più. (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2014)
Voto: 65

venerdì 3 ottobre 2014

Athanatheos - Alpha Theistic

#FOR FANS OF: Death Metal, Hate Eternal, Immolation
Finally getting settled on a definitive name after several incarnations, this debut offering is a wholly impressive collection of tight, brutal and modern-sounding Death Metal that has a distinctly unique approach. While this might not come in the form of its’ music, as this tends to utilize the same tight guitar lines throughout this that showcase furious rhythms and a sense of technically-complex arrangements that are nothing new, that works in its favor throughout this. Opting for a mix of brutality with some technically-complex arrangements while wrapped around a series of tight rhythm sections, pounding drumming and a wholly diverse approach that allows for hints of melody, Gothic-styled atmospheric interludes and even eerie-sounding chanting are all pushed together to make a loud, tight and overall pleasing blast of epic, scathing Death Metal that is pretty original and far better than it should be, especially for a debut. The problem with this is that the material is just too epic for its own good, often-times going on endlessly for no reason other than to throw in another atmospheric interlude section before going back to the guttural blasting that was a part of it all along, or just firing away at needlessly overdrawn progressive influences that really shouldn’t be there as it tends to meander around quite often in this extended running times that have no place in a Brutal Death Metal band. Even with those progressive influences, there’s no reason an album like this should contain seven-eight minute songs, much less a scalding epic over fifteen minutes in length as those tend to get quite overlong quickly and even lose some of their impact and energy at that length when it contains nothing but furious-paced blasting for several minutes to the point it tends to get repetitive and boring, and that doesn’t happen on the more traditional four-five minute pieces. That’s appropriate for this style and really tends to let the band utilize its talents in their best capacity, keeping the best tracks in that slot and never really having to worry about much else. Intro ‘Dawn of Genesis’ sets the stage immediately with raging drumming and tight guitar rhythms with frantic patterns and mid-tempo paces that runs through multiple riffing patterns to maximize the damage. Much like that, ‘Freedom Shall Never Come from God’ features dynamic tempo changes, varying riff arrangements and a slew of impressive atmospheres to make for a wholly engaging opus and one of the albums’ best. The short blaster ‘Everything That Is on the Earth Shall Perish’ is also pretty fast and intense, while ‘To Harden the Heart’ showcases the bludgeoning technicality better than anything else here for a wholly dynamic offering. The massive epic ‘Purification by Primordial Waters’ builds on the technicality into more progressive realms with varying tempos, alternating riffs and a slew of dynamic arrangements within the guitars and drumming to leave a slightly bloated and overlong feel for a brutal Death Metal track but still gets a lot of material right about it. ‘You Are Not’ thankfully gets back to the raging tempos and frantic arrangements that allow the brutality of the technically-complex arrangements to work rather well, while the dynamic ‘As Your Lord Was in the Storm’ starts off with a slow, plodding beginning before getting into faster-but-still-mid-tempo paces for a better finale. ‘Ghost and Chimera’ gets the blazing speed and furious rhythms back in full-force with a vicious, rabid assault here that has plenty of complex riffing and dynamic energies throughout. Finally getting to the massive epic ‘The Soul’s Congregation (Soul Injected Part II),’ it showcases almost every variety of arrangement and tempo pattern possible in a weighty, overlong epic teeming with impressive variations and dynamics which allow this a dignified grace that’s mostly missing from the rest of the album and scoring this one quite positively. Overall, this is quite surely a rather impressive effort. (Don Anelli)

(Self - 2012)
Score: 85

Wreck and Reference – Want

#PER CHI AMA: Experimental/Drone/Post Rock
È da un po' che tengo sott'occhio questa band statunitense, ma vuoi per un motivo, vuoi per un altro (l'aver pubblicato la precedente release solo in vinile ad esempio), non sono mai riuscito ad affezionarmene. L'uscita del nuovo 'Want' e la sua recensione mi danno finalmente motivo di avvicinarmi ai Wreck and Reference. La band si propone con una propria personale chiave di lettura del post black, come già fatto da altri ensemble del rooster Flenser Records, da sempre esempio di sperimentalismo sonoro. I WaR non sono da meno e ci offrono il loro lugubre sound: nessun assalto di stile cascadiano, nessun accenno folk, ma “solo” un tragico slow-mid tempo funereo, ricco di preziosi inserti dark e pompose melodie d'organo, con le vocals che si dipanano tra uno screaming disperato e uno pulito/sussurrato. “Stranger, Fill this Hole in Me” è una stravagante song in cui si unisce l'anima dannata dei nostri con inserti industrial/noise. L'ascolto della musica dei WaR non è quasi mai facile e la delicata (almeno musicalmente) “Bankrupt” ne è un esempio. Se non ci fossero le abrasive vocals del cantante, potremo parlare di sperimentalismi a la Radiohead ai tempi di 'Amnesiac' in un inedito connubio con i Massive Attack di 'Mezzanine'. Le atmosfere tenebrose di “A Glass Cage for an Animal” sembrano far pensare ai Fields of the Nephilim in una versione più catartica. Ma l'elemento caratterizzante la musica dei WaR e forse anche la componente che dona un certo estremismo sonoro alla band americana, è proprio quel demoniaco dualismo vocale che domina nelle song e che rende il sound dei WaR difficilmente etichettabile ma comunque di grande fascino. (Francesco Scarci)

(Flenser Records - 2014)
Voto: 70

Grace Disgraced - Enthrallment Traced

#PER CHI AMA: Technical death metal, primi Death, Carcass, Morbid Angel
Dalla Russia con furore: i Grace Disgraced sono un potente quartetto di Mosca, che hanno debuttato con questo densissimo full-lenght 'Enthrallment Traced'. L’album è una sorta di concentrato del meglio del thrash-death anni ’90 (Death, Carcass, Morbid Angel), arricchito da una spaventosa attenzione alle ritmiche e alla tecnica. Niente è lasciato al caso, nessuna scelta è banale: i tempi cambiano spessissimo, i riff si inseguono in continuazione tra cambi repentini e accelerazioni, il tutto condito da tempi dispari, sfuriate di doppia cassa e la rinuncia quasi totale alla forma canzone tradizionale (strofa-ritornello-strofa-assolo e così via: ascoltate la opening “Prophecy Of Somnambulist”). E non parliamo di veloci pillole hardcore: la maggior parte dei brani supera i 6 minuti, e la finale “Orchids Of The Fallen Empire” sfiora addirittura gli 8 minuti di lunghezza. Una vera sfida, per un genere abituato a pezzi ben più sintetici. Il primo applauso va senz’altro al granitico Andrew Ischenko alle pelli: in certi passaggi mi ha ricordato il Paul Bostaph dei tempi d’oro, per la capacità di colorare in maniera sempre diversa ogni rullata e per l’ottima gestione di tempi sincopati, stop-and-go ritmici e spietati blast-beat. Ascoltate “To Autumn” o “Adzhimushkai”, con le improvvise accelerazioni, le pause e le cavalcate ossessive di doppia cassa. Il secondo applauso è invece per le capacità vocali della cantante: Polina Berezko, bionda e apparentemente innocua, gorgoglia e ringhia per tutta la durata del disco. È un cantato perfettamente allineato con i canoni del genere e più che sbalorditivo per una ragazza ma, personalmente, il suo ruggito piatto e invariabile alla lunga stona con l’enorme varietà musicale e ritmica proposta dal resto della band. 'Enthrallment Traced' è comunque un disco d’esordio di cui essere fieri: produzione, testi, artwork, arrangiamenti e tecnica musicale sono di altissimo livello. È perfetto per i nostalgici del thrash-death e per gli amanti del metal tecnico e brutale degli anni ’90: ma se cercate originalità, forse questo non è il disco adatto. I Grace Disgraced sono giovani: sarà un piacere scoprire se la loro evoluzione li porterà a soluzioni più personali e innovative. (Stefano Torregrossa)

(More Hate Productions - 2012)
Voto: 65

mercoledì 1 ottobre 2014

I Will Kill You – Extrema Putrefactio

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Cannibal Corpse, Belphegor, Suicide Silence, Anima
La band siciliana degli I Will Kill You si presenta in ottima forma in occasione del full length di debutto (all'attivo un EP) e fin dal primo ascolto si capisce che gli intenti di ispirata perversione sonica sono parecchi. Uscito per la Inverse Records in questo 2014 e dotato di una bella copertina sanguinolenta, 'Extrema Putrefactio' sfodera il suo gusto noir con un'ottima verve da navigato serial killer. L'intero lavoro si regge su un magma sonoro avvincente, figlio dei deliri sonici stile Suicide Silence e Cannibal Corpse per impatto killer e una produzione di taglio death metal molto moderna che evoca i Dying Fetus. Di frequente si abbandona ad incesti black metal ibridi dal sapore molto maligno e lugubre sulla scia degli ultimi Belphegor. L'album è apprezzabilissimo e gode di una vena ispirata che sormonta, esalta e mischia una vena romantica di stampo acustico con innesti rubati a classici lenti strappa lacrime metal con effetto cristallino ("Die") ad una lacerata verve sudicia di marcio thrash/black metal carico di violentissimo macabro carisma. L'intero lavoro si avvale di una buona dose di potenza dal sapore horror, come suggerisce senza inganni il titolo e per anarchica scelta stilistica (anche se in realtà i brani riflettono più aree del metal estremo), ci piace accostarli per attitudine alla band tedesca degli Anima (quelli di 'Enter in a Killzone'). L'impatto è violentissimo e sostenuto da un drumming encomiabile e comunque anche se non tutto risulta originale, sicuramente i brani godono di grossa personalità, con l'intrusione mai scontata di chitarre pulite e persino di un brano guidato da un malinconico piano ancestrale ("Ante Mortem") che ben contrasta con l'aria distruttiva dell'intero box. 'Extrema Putrefactio' è un album fatto con passione e intelligenza, un lavoro che cerca in continuazione di stupire e mettere in sincronia l'arte malata del black metal con l'arte violenta e penetrante del death metal più claustrofobico, difficile da inquadrare ma facile da apprezzare ascolto dopo ascolto; un lavoro decisamente invadente e mai scontato che affascina e non delude affatto. Album da ascoltare a fondo, un gioiellino insanguinato!!! (Bob Stoner)

(Inverse Records - 2014)
Voto: 80

Byzanthian Neckbeard - From The Clutches Of Oblivion

#PER CHI AMA: Doom Stoner metal, Iron Monkey, Electric Wizard, Shape Of Despair
C’è un teschio spiritato e barbuto sulla copertina bianchissima di questo 'From The Clutches Of Oblivion'. E nonostante la pulizia del packaging (digipack in edizione limitata), il debutto dei Byzanthian Neckbeard è sporco, grezzo e oscuro come poche altre cose sentite ultimamente. Il quartetto arriva da una sperduta isola britannica nella Manica, dove praticamente tutti allevano una razza pregiata di bovini. Curioso quindi, che da un luogo così verde, bucolico e tradizionalista arrivino questi quattro giganti barbuti, che suonano con accordature letteralmente sottoterra e parlano di cadaveri, occultismo, fine del mondo e allucinazioni. Lo stile si rifà ai grandi del doom metal / sludge britannico: Electric Wizard, Iron Monkey e in parte Orange Goblin. Riff serratissimi (splendide l’opening “Doppleganger” e l’intera “The Ganch”), arrangiamenti intelligenti che mi hanno ricordato certi Paradise Lost, bpm quasi sempre lenti e ossessivi (“Plant of Doom”) salvo poche, misuratissime sfuriate. La voce ha molto in comune con gli Shape Of Despair: un pesantissimo growl di impronta death, che rende tutto ancora più oscuro. Un lavoro che meriterebbe un voto altissimo, se non fosse per due piccoli difetti. Il primo: pur in alcune scelte stilistiche originali (in certi incastri basso/chitarra, ad esempio, o in alcuni repentini cambi di tempo), il disco non aggiunge nulla di veramente nuovo a quanto non abbiano già detto band più illustri. Il secondo: l’unico strumento davvero equalizzato bene è il basso – bello, rotondo, presentissimo, distorto al punto giusto: ascoltatevi l’intro di “Indoctrinate The Priestess”. Tutto il resto poteva essere reso meglio: le chitarre mancano forse un po’ nelle frequenze più basse nonostante l’accordatura, e la batteria a tratti è addirittura ridicola (ascoltatevi i piatti: poca coda, suoni taglienti, poco adatti ad un genere come questo). C’è da concedere ai Byzanthian Neckbeard il beneficio del debut-album: se la linea resta questa, sono certo che il prossimo disco sarà un capolavoro assoluto. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2014)
Voto: 70