#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Cult of Luna |
Ok, lo so, questo disco è uscito circa un anno fa e ok, lo so, è già stato recensito ovunque (pozzo compreso) in termini entusiastici. Il punto è che io sono un po’ lento. Ho bisogno di tempo e, soprattutto, ho bisogno di supporti fisici su cui ascoltare musica. Ecco perché ho decine, forse centinaia di album in mp3, sul mio hard disk, che non ho praticamente mai ascoltato. È che preferirò sempre avere tra le mani un cd, e al cd darò sempre la precedenza, rispetto ad un file da ascoltare (male) sulle casse del pc. Anche a costo di perdermi cose buone o addirittura ottime come questo esordio sulla lunga distanza dei Maeth. Quindi, in sostanza, ne scrivo adesso perchè adesso ho avuto la possibilità di ascoltarlo su cd, nonostante la lodevole iniziativa dei tre ragazzi del Minnesota di lasciare il dowload gratuito dal loro bandcamp. L’artwork mette subito di buon umore, con il suo cartoncino di qualità, gli adesivi e le illustrazioni a metà strada tra i supereroi Marvel, le divinità induiste e Yattaman. Sul contenuto non posso fare altro che accodarmi alla fila degli entusiasti o quanto meno, dato che l’entusiasmo è sentimento personale e soggettivo, a coloro che ritengono che 'Oceans into Ashes' sia un lavoro davvero eccellente. Riesce a centrare l’obiettivo tutt’altro che semplice di risultare estremamente vario e sorprendente pur essendo perfettamente a fuoco, coerente e affatto dispersivo. Quello che propongono i Maeth è un metal pensante, caleidoscopico, mutante, che coniuga le tensioni post di Isis e Cult of Luna con slanci quasi prog, che non scadono peró mai in un tecnicismo eccessivamente arido. L’intro di "Prayer", delicato strumentale elettroacustico, è scandito dal verso dei gabbiani, per cui ci si trova immediatamente in mare aperto, davanti agli occhi l’infinito oceano delle possibilità, che i Maeth finiscono per esplorare in lungo e in largo. "The Sea in the Winter" si fonde perfettamente alla successiva "Nomad", quasi come a formare una suite che è un viaggio negli stili e nella testa dei tre musicisti, dai riff serrati e le ritmiche non lineari di stampo post fino ad arrivare ad un doom ferale, passando per un flauto orientaleggiante assolutamente inaspettato. A sottolineare la drammaticità che i Maeth riescono sempre ad evocare, ci sono vocals sofferte e profonde, che completano magnificamente un meccanismo che sfiora piú volte la perfezione. E cosí si procede con la scurissima "Wolves", le parimenti ottime "Burning Turquoise" e "Troödon" fino alla conclusiva "Big Sky", splendido strumentale le cui improvvise aperture chitarristiche portano l’ascoltatore a stagliarsi in volo contro un cielo finalmente azzurro. Menzione particolare per quel gioiello di raggelante intensità che è "Blackdamp", drammatico spoken word su un bel tappeto di chitarra acustica. Gran disco, niente da dire. Meritatissimi tutti i complimenti ricevuti sin qui. Compratelo e custoditelo con cura. (Mauro Catena)
(Minnesconsin Records - 2013)
Voto: 80