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mercoledì 6 maggio 2015

Himinbjorg - Wyrd

#PER CHI AMA: Pagan Black Progressive, Enslaved
Li ho persi di vista per parecchio tempo, lo devo ammettere, addirittura dal 2005 quando uscì 'Europa'. Sono trascorsi 10 anni e neppure mi sono accorto che fosse stato rilasciato nel 2010 'Chants d'Hier, Chants de Guerre, Chants de la Terre...', un lavoro quasi totalmente trascurato dalla critica, ma che ho fatto mio quanto prima, per rimediare alle mie mancanze. Tornano gli Himinbjorg, che io ho imparato ad amare con 'Haunted Shores' (al pari di 'The Mantle' degli Agalloch), con il loro settimo full length, dal semplice titolo 'Wyrd'. Ci rituffiamo quindi alla scoperta di tempi lontani, in cui la fierezza dei popoli si manifestava in guerre di conquista per assoggettare popoli rivali. Ecco in sintesi la proposta pagana del quartetto transalpino, che si muove tra le linee di un viking black epico e maestoso. Una breve intro e poi "The Sword of Dignity" apre le danze richiamando i Bathory più ispirati, gli Enslaved più potenti e il duo Falkenbach/Agalloch nella loro veste più bucolica. La proposta del combo di Chambéry è più che mai convincente, alternando rasoiate estreme, coadiuvate da vocalizzi abrasivi (stile Immortal) a frangenti in cui è la solennità della musica a ergersi sopra a tutto. Suscitano notevolissimo interesse i ragazzi della regione del Rodano-Alpi, anche quando attaccano inviperiti con un rifferama mordace, quello di "The World of Men Without Virtue - The Circle of Disillusion", song che trova la sua summa quando è una visione più evocativa dei nostri a prevalere e lo screaming cede il passo a eroici chorus o declamanti parole in francese, mentre sul fondo, le meravigliose melodie vengono disegnate da tipici strumenti folk, che creano naturalistiche atmosfere. Un break acustico mi rimanda all'impareggiabile 'Haunted Shores', per non parlare poi dello splendido assolo che chiude una traccia che ha lasciato solo brividi sulla mia pelle. Un inizio alla Primordial per la quarta "The Circle of Warriors", song assai ritmata, una sorta di inno alla guerra che richiama nei suoi cori gli ultimi Enslaved, forse la band a cui i francesi tendono maggiormente col proprio sound. Splendido il finale poi, affidato alle melodie delle cornamuse. Si torna a picchiare che è un piacere con "Initiation", ove la furia imperversa sovrana attraverso vertiginose scorribande black e in cui il dolce suono di un flauto si palesa a metà brano e duetta con quello delle vibranti cornamuse, mentre le chitarre impreziosiscono una prova già di per sé meravigliosa. Coadiuvati da una eccellente produzione, gli Himinbjorg si affidano al black progressive di "The Mirror of Suffering - The Circle of Ghosts" per stupire i propri fan (e i nuovi che verranno): la song è oscura e minacciosa con Zahaah alla voce, che sembra abbandonarsi quasi a un rituale sciamanico. Quell'effetto sciamanico che rivive anche e soprattutto in "The Shamanic Whisper", cosi come indica il titolo, ed esalta l'animo guerriero dei nostri in una traccia dai contorni iniziatici. Un bell'intermezzo strumentale etno-folk con "Another Shore" e si arriva alla conclusiva "The Eternal Light", pezzo mid-tempo che decreta il ritorno in grande stile degli Himinbjorg, per cui prometto fin d'ora di non perderne più le tracce. Voi fate altrettanto e ascoltate senza esitazione 'Wyrd', una vera e propria epopea sonora! (Francesco Scarci)

(European Tribes - 2015)
Voto: 85

domenica 15 febbraio 2015

Forest Whispers - Magiczny Las

#PER CHI AMA: Black Metal, Burzum, Nokturnal Mortum
La scena metal polacca può vantare nomi del calibro di Behemoth, Vader, Hate, Lux Occulta e Devilish Impressions, tanto per citarne solo alcuni. Ora si arricchisce di una nuova entità, i Forest Whispers, one man band formatasi nel 2013, e fuori sul finire del 2014, con un debut album intitolato 'Magiczny Las'. La creatura di Hern suona un black old school, che andava di moda negli anni '90 e che, con una certa nostalgia, riporta in auge gloriosi temi pagani e il proprio omaggio alla natura. Niente di nuovo quindi, per un cd che ha da offrire otto tracce che possono trovare un qualche punto di contatto con i Nokturnal Mortum più seminali o i Burzum più spietati. Dopo la classica intro, ecco scatenarsi la ritmica tagliente di "Nieskończona Potęga", guidata da una melodia di fondo folk black e dalle harsh vocals del mastermind polacco. Il martellare nevrotico della prima traccia prosegue anche in "Godzina Dusz", song mid-tempo che gioca su accelerazioni black che strizzano l'occhiolino all'humppa finlandese, per trovare poi in frangenti acustici, un attimo di ristoro. Il sound è secco e il drumming molto spesso assai serrato. Ci pensano le aperture arpeggiate ("Ziemia Praojców") o i numerosi ed efficaci break acustici a smorzare la furia insita nel DNA del nostro druido polacco. La quinta traccia mi fa sobbalzare dalla sedia: si tratta infatti di una breve cover degli Ulver estratta da 'Kveldssanger', "Høyfjeldsbilde" per l'esattezza. Con la title track, il musicista polacco torna a pestare con le solite linee di chitarra acuminate, mentre "Król Przeznaczenia i śmierci" è un lungo brano assestato su tempi medi che richiama nuovamente i vecchi classici del panorama scandinavo, con i tipici riff reiterati all'infinito, sulla scia del modus operandi di Burzum. La song tuttavia ha un finale abbastanza atipico, in cui una chitarra spagnoleggiante gioca ad intrecciarsi con quella elettrica. A chiudere il disco ci pensano i synth dell'ambient "Wyzwolenie", che conferma l'amore del bravo Hern per sonorità da un po' finite nell'oblio. Discreto esordio per i Forest Whispers che, se sviluppato con maggiore personalità e minore furia sonora, potrà regalare interessanti sviluppi futuri. (Francesco Scarci)

(Taste of Winter Production - 2014)
Voto: 65

sabato 23 agosto 2014

Panychida - Grief for an Idol

#PER CHI AMA: Black Pagan, Borknagar, Eluveitie, Primordial
Da uno scambio di battute con il patron della Paragon Records, mi sono ritrovato in mano quasi casualmente il terzo full lenght dei cechi Panychida, uscito nel dicembre 2013. La parola "panychida" in ceco e nella chiesa greco-ortodossa, rappresenta l'osservanza liturgica in onore del defunto. Il suono che esce da questo 'Grief For The Idol' è un concentrato di sonorità black metal pagane che partendo da abrasive ritmiche martellanti (come quelle offerte dalla furiosa opening track o da "The Great Dance of Dyonisos"), vengono impreziosite da epici vocalizzi a la Bathory ('Hammerheart') e da musica di estrazione etnico-bucolica. "Two Untouched Moments" è un pezzo evocativo, che mette in luce la classe ma anche la capacità del quartetto di Plzeň, di abbinare veloci sfuriate black con favolose melodie arcaiche che potrebbero richiamare alla vostra mente acts quali Graveland, Negura Bunget, gli stessi Bathory, e ancora Borknagar, Einherjer, Primordial, Eluveitie e Falkenbach, per un risultato finale davvero esaltante. "Wayfarer's Awakening" è un brano dalle partiture tipicamente folk, suonato anche con cornamusa e flauto. Il pianto di un bambino apre "Don't Tell Lies to Children", traccia che evidenza come l'heavy classico scorra nelle vene di questi ragazzi: ritmiche tirate e precise, suoni gonfi e ottimi assoli. "Doomsayer" una breve traccia pseudo strumentale, corredata solo da qualche chorus pomposo e da una fenomenale linea di chitarra che ci introduce a "O Velji Vezě", altro piccolo gioiellino dell'act ceco, bravo a ricamare orpelli chitarristici là dove e richiesto e allo stesso tempo battere con violenza. Ottima la prova del lead vocalist Vlčák (anche tutti gli altri membri della band cantano su vari pezzi), bravo nel districarsi tra voci growl, scream, clean ed epic. In "Minnestund" compare addirittura V’gandr degli Helheim a prestare la sua voce in un altro brano folk, con liriche in norvegese. Insomma 'Grief For The Idol' è una bella sorpresa da una band comunque dotata di un pedigree di tutto rispetto. (Francesco Scarci)

(Paragon Records - 2013)
Voto: 80

http://www.panychida.com/

sabato 2 agosto 2014

Gnosis of the Witch – Dauðr Burðr Þrysvar

#PER CHI AMA: Black old school
L'intro di "Ek Bjóða Inn​.​.​" non può che generare una sola parola in me... occulti. Questo l'esito del mio primo approccio con il MLp degli statunitensi Gnosis of the Witch che anche con la flebile e tremulante (per l'uso del tremulo picking) “Ormar Eitr” non si discosta più di tanto dall'idea che mi sono fatto dei nostri. Anche quando i nostri accelerano con cavalcate caustiche e caotiche, mantengono inalterato il loro atavico feeling occulto. La furia black divampa come in quei demo tape di primi anni '90 che si ritrovavano nei lugubri circuiti underground del nord Europa. Registrazioni casalinghe, assenza di tecnicismi, ma solo feroci e primitive linee di chitarra su cui si impiantano abominevoli screaming ma che incorpora anche alcuni elementi del dark metal e del pagan. Qualche atmosfera lugubre e pomposa, qualche rallentamento apocalittico, nonché l'uso limitato ma ben azzeccato di affascinanti tastiere, mi inducono a non bollare l'album come obsoleto ma anzi mi suggeriscono di invitarvi addirittura all'ascolto di un lavoro che sembra riaprire vecchie strade black che credevo ormai chiuse. (Francesco Scarci)

(Iron Bonehead Productions - 2014)
Voto: 70

https://www.facebook.com/GnosisOfTheWitch

domenica 29 giugno 2014

Hercyn - Magda

#PER CHI AMA: Post Black/Folk, Agalloch, Arbor, Fen
Visto che in Italia nessuno ha considerato gli statunitensi Hercyn, me ne prendo carico io e vi spiego quanto siano bravi questi quattro ragazzi (3 dei quali sembrano avere origini italiane visti i loro cognomi). La band, di stanza in New Jersey, esiste dal 2011 e 'Magda' rappresenta il loro EP di debutto, uscito sul finire del 2013 (ma contenente materiale scritto tra il 2011 e 2012) e rilasciato tra l'altro, in versione acustica nel 2014. Interessante l'esperimento dei nostri nel coniugare tutte le loro influenze in un'unica song, "Magda" appunto. Ventiquattro minuti di sonorità da brividi che in un climax ascendente emozionale, sapranno scaldarvi il cuore. Il brano inizia in modo assai ispirato, un po' come accadde una decina d'anni fa, per 'The Mantle' degli Agalloch. Atmosfere soffuse, giri di chitarra acustico/elettrici da brividi, e piano piano il suon cresce fino a quando una batteria inizia a martellare in modo forsennato e le vocals di Ernest Wawiorko emergono nel proprio stile, uno screaming al vetriolo. Il sound dei nostri si sviluppa poi in realtà su un mid-tempo ragionato, che qualcuno definisce post-black, qualcun'altro cascadian venato di influenze folk: tutte queste definizioni alla fine calzano a pennello per i nostri. La band non si tira certo indietro quando c'è da pestare sull'acceleratore (la parte centrale della song ne è un esempio), ma il tutto viene edulcorato dall'eccellente lavoro fatto dalle chitarre che dipingono decadenti paesaggi autunnali, con le loro splendide melodie. Ancora una volta ripenso a 'The Mantle' (per me il miglior disco degli Agalloch), ma anche agli inglesi Fen o agli Arbor di Portland. Tuttavia non manca una personale visione da parte degli Hercyn, band dotata di grande carisma e intelligenza, che mi sentirei di suggerire a etichette nostrane (Aural ad esempio). Interessanti poi le visioni psichedeliche, palesate dall'ensemble di Jersey City, sul finire del brano, che mostrano l'ecletticità dei 4 americani. I margini di miglioramento per la band sono assai ampi e il voto ribassato di mezzo punto, rispecchia la fiducia e l'aspettativa che conservo nel sentire un nuovo full lenght dotato di una bellezza infinita. (Francesco Scarci)

(Self - 2013)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Hercyn

domenica 15 giugno 2014

Firtan - Niedergang

#PER CHI AMA: Epic Black, Bathory, Windir 
Primo full lenght per i teutonici Firtan dal titolo 'Niedergang' (Declino), che rivela al mondo sommerso una nuova entusiasmante band che farà breccia tra i seguaci del black atmosferico. Otto tracce più intro per il combo di Lörrach, piccola cittadina nel sud della Germania. L'album si dischiude con l'acida "Angst", song nevrotica (soprattutto a livello vocale) che alterna sprazzi di eleganti atmosfere con sfuriate black a la Windir. Pagan, black, ambient e post sono solo alcuni degli ingredienti che costituiscono e caratterizzano il terzetto germanico che vede in alcune aperture al limite del sinfonico altri suoi punti di forza. La durata quasi mai eccessiva dei pezzi (fatto salvo per i nove minuti abbondanti della title track e gli otto minuti di "Huckup") contribuisce a rendere le melodie più facilmente memorizzabili. Le keys, posizionate come arrangiamento inizialmente solo in secondo piano (ma più avanti si riveleranno la vera colonna portante dei pezzi), conferiscono un'aura sinistra all'intero lavoro. "Hypnos & Thanatos" è uno splendido pezzo che si muove tra epiche cavalcate, interludi ambient e urla disumane. L'immagine che mi si configura davanti agli occhi è quella di pascoli verdi su sinuose colline, su cui si stagliano però minacciose nubi basse, cariche di pioggia. La lunga e già citata title track ha un che dei primi Alcest nel suo effluvio sonoro: arpeggi malinconici, lo screaming disperato di Phillip Thienger, il marziale incedere delle ritmiche e quel magniloquente suono delle tastiere, che devo ammettere aver catalizzato quasi interamente la mia attenzione, rendono alla fine la release dei nostri di più facile approccio anche per chi non mastica quotidianamente questo genere di sonorità. Fatto un piccolo sforzo iniziale, vi ritroverete coinvolti in eroiche battaglie, in cui le spade brandite volgono al cielo. "Zwischen Wahn und Sinn" è una song morbosa e cupa, in cui predomina la componente sinfonica, mentre la successiva "Seelenfänger" si propone con un mood decadente nella sua introduzione, guerresco e corale nella parte centrale, in cui nuovamente sono le tastiere ad assurgere ormai al ruolo di protagoniste indiscusse del lavoro. La forza brutale del black riesce a trovar sfogo in una breve tempesta sonora, prima che le acque possano trovare la loro tranquillità. Tranquillità che viene spezzata dalla furia dilagante di "Wogen der Trauer", la traccia più brutale del lotto, in cui ad emergere fortissimamente nelle sue ritmiche pagane, sono nuovamente i Windir. Passando oltre la breve e strumentale "Oneiros", arriviamo alla conclusiva e tragica "Huckup": bucolico l'inizio affidato all'acustica, prima che la componente elettrica subentri inneggiando alla guerra. Se solo accanto alle screaming vocals ci fossimo trovati anche una componente vocale declamata o pulita, forse oggi starei parlando di capolavoro. Per ora mi accontento di un signor album che farà la gioia di coloro che trovano giovamento nell'ascolto dei Bathory più epici, degli Agalloch o dei più volte citati Windir. Firtan, un nuovo nome da inserire nel vostro sempre più folto taccuino, ma credo ne valga davvero la pena. (Francesco Scarci)

(Self - 2014) 
Voto: 75 

lunedì 28 aprile 2014

Furia - W Melancholii

#PER CHI AMA: Post Rock/Doom, Mono, Slint, Tim Hecker, Skepticism
Due soli brani dalla durata piuttosto lunga e contorta contraddistinguono questo lavoro della oscura band polacca uscita nel 2013 per la Pagan Records. Nel totale di circa diciotto minuti i Furia cercano di creare un ibrido tra musica d'atmosfera minimalistica e rock, o meglio post rock con sonorità che affondano radici nel pagan metal più misantropo. Ci sono delle buone idee che elaborano morbide melodie malinconiche e una buona propensione alla cadenza doom, ma il matrimonio tra le correnti ispiratrici non va mai in porto e raramente ci si sente coinvolti a dovere durante l'ascolto dei due brani. La causa principale è una registrazione sommaria che toglie a batteria, chitarra e alla musica in genere, la sua stessa vitalità. Acerbi suoni, tipici di un primo demo, senza carisma e poco ricercati. La cosa che non si capisce di queste composizioni e che ci lascia con l'amaro in bocca, è proprio la scarsa resa dei brani. Oltremodo rammaricati, dopo aver constatato che la band ha fatto un ottimo lavoro in fase di mixaggio curando dettagli inaspettati. Comunque l'assenza di una voce si fa notare e un taglio dal tipico accenno elettronico in un contesto così tanto post rock e dalle cadenze molto rallentate, risuona scontato e poco incisivo soprattutto se non si calca la mano sulle tecnologie hi-fi o sulla vena doom. Rivedendo molti dettagli, potrebbe anche essere l'inizio per una giusta strada, ma ci vuole un po' più di lucidità nello scegliere da che parte stare; per puntare al potere di Tim Hecker, Goodspeed You! Black Emperor, Slint, Mono o Skepticism bisogna aprire la porta dell'anima e lavorare sodo. (Bob Stoner)

(Pagan Records - 2013)
Voto: 55

sabato 5 aprile 2014

Blutnebel – Niedergang

#PER CHI AMA: Pagan metal, Belphegor, Rapture, Waylander
Arrivano dalla Sassonia carichi di spirito epico e pagano e portano il nome di Blutnebel, sono attivi dal 2008 e questo dal titolo 'Niedergang' è il loro secondo album autoprodotto. Il quintetto (che non usa tastiere, bene sottolinearlo) gioca le sue carte in un opera divisa in dieci brani dal taglio melodico e di sicuro impatto che non rifiuta i canoni del black metal ma che opta per uno stile diretto e ricco di mid-tempo rendendo le tracce tutte molto appetibili e di stampo chiaramente più classic metal. L'album fila via liscio come l'olio nella sua atmosfera battagliera, il suono è curato a fondo e la registrazione offre un perfetto equilibrio tra gli strumenti per un ascolto ottimale. Si apprezza tutto, dalla voce sprezzante ed agguerrita alle chitarre acustiche, piatti cristallini e basso pulsante, chitarre mordenti e costantemente votate alla melodia, ogni cosa giace al giusto posto. Forse quello che manca è un po' di originalità in più nelle composizioni, ma nell'insieme questo è un album che renderà felici molti black metallers dall'animo epico, con una (pacata) propensione al power metal e amanti di Belphegor, Waylander, Rapture o dei divini Atanatos. Dieci brani ben orchestrati tra loro divisi in momenti di acustica atmosfera, degna di una foresta incantata e folate di metallo fiero e glorioso che trovano un riassunto ideale nel brano centrale strumentale, dal titolo "Zeitenwende" che rispecchia alla perfezione lo stile della band. La seguente "Verdammnis" è una song esplosiva dove la voce rigurgita tutta la sua malignità anche se la massima espressività vocale la si ha con lo start del brano "Geboren in Feuer" dove il vocalist Namon tocca vertici di malvagità notevoli. Un lavoro completo e di carattere anche se un tantino omologato, comunque carico di personalità e soprattutto di comprensibile impatto, di facile assimilazione, caratteristica quest'ultima non da trascurare in questo genere. Supera alla grande la prova dei ripetuti ascolti e offre mille sfaccettature tutte da scoprire ed apprezzare. L'artwork di copertina è ben curato ma poco attraente e ricercato. Album da ascoltare attentamente, ottimo lavoro underground ben riuscito. (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 75

mercoledì 5 marzo 2014

Sidhe - She is a Witch

#PER CHI AMA: Gothic Doom, Paradise Lost, Moonspell, primi The Gathering
Lo scambio dei cd tra band è diventato ormai un appuntamento fisso per noi cultori della musica fuori dal mainstream e che cerca di darsi una mano come può. E così mi ritrovo tra le mani questo 'She is a Witch', album che contiene otto brani frutto di un lungo lavoro (il primo EP vede la luce nel 2006) voluto fortemente dal quartetto di Varese. Sidhe in gaelico significa popolo delle colline o popolo fatato e questo rispecchia il concept di una band che abbraccia il pagan rock, il gothic, il doom e la wicca (celebrazione della natura come forma di culto/religione). Ed è proprio questo modo di essere e suonare che mi è piaciuto assai, dopo tanto satanismo scontato di alcune band finte-black metal e affini, metterci coerenza in quello che fa ripaga sempre. Sin da subito ci si accorge che lo standard qualitativo della band è molto alto: i suoni di chitarre e basso sono buoni, forse qualcosa in più si poteva fare per la batteria, ma sono dettagli. Comunque è quello che ti aspetti da una band matura, che sa quello che vuole e quando entra in studio non si fa prendere dal morbo che colpisce nel momento in cui ti trovi davanti tanta (troppa) tecnologia a tua disposizione. E poi la voce di Tytanja è ammaliante, piena di carattere e pronta a catturare chiunque ascolti almeno una strofa da lei intonata. Ma oltre ai suoni c'è molto altro. Infatti "The Wheel of the Year" apre questo album ed è una traccia ben costruita e sviluppata allo stesso modo. Potente e poetica, dove i riff si accostano perfettamente al cantato e sono lontani dal classico doom tenebroso e opprimente. La giusta dose di ritmica e break che ti appaga mentre le note scorrono potenti e sincere. "L'Incantesimo" è la terza traccia e nonostante la ritmica lenta, ha quella giusta dose di epico che piace, poi incalza verso la fine quando la ritmica raddoppia. La mia preferita è sicuramente la title track: grande riff di chitarra e arrangiamenti ottimamente studiati. Come pure le seconde voci e i break messi al punto giusto per dare tono ad una canzone che può insegnare molto a tante band, anche blasonate. Ho apprezzato anche il fatto che non ci sono voli pindarici fatti di assoli infiniti che alla fine dei conti non lasciano granché a livello emozionale. I Sidhe si distinguono anche perché passano tranquillamente dal cantato in inglese (ottima la pronuncia della vocalist) all'italiano, a volte anche all'interno della stessa traccia e ci sono anche passaggi in una lingua a me sconosciuta (che ipotizzo essere il gaelico). L'album è scaricabile gratuitamente qui : http://gothicworld.bandcamp.com/album/she-is-a-witch e se vi capita di ascoltarli dal vivo, accaparratevi il cd. Bravi ragazzi, ora non fateci aspettare troppo per un nuovo lavoro. (Michele Montanari)

(Self - 2012)
Voto: 75

lunedì 3 marzo 2014

Deadly Carnage - Manthe

#PER CHI AMA: Black Depressive Rock, Shining, Primordial
Ritrovo dopo poco più di due anni i romagnoli Deadly Carnage, che avevo recensito in occasione del secondo album 'Sentiero II - Ceneri', descrivendo il loro sound come un concentrato di black metal malato, selvaggio e feroce. Quando "Drowned Hope" fa il suo esordio nel mio stereo, mi aspetto che dietro al suo mansueto avvio si nasconda la classica quiete prima della tempesta. Una delicata chitarra introduce infatti il brano, accompagnata dal tocco leggero del drumming e infine da una voce filtrata in sottofondo. Ma è li dietro l'angolo, lo sento, la minacciosa furia che si andrà ad abbattere sul mio capo. Ma la song singhiozza, sembra essere sempre sul punto di esplodere, ma nulla fino a poco dopo la sua metà, in cui finalmente il male oscura il cielo e mi inghiotte nella gelida notte con un assolo finale da applausi. Forse un po' influenzati dai Primordial, con qualche reminiscenza, almeno nella sofferenza vocale, agli Shining (quelli svedesi), ma l'attacco non è affatto male; poi è il turno della malinconica "Dome of the Warders" (da cui anche un video girato sulle Alpi Venete e sulle Dolomiti) che mi mostra una faccia diversa, decisamente più matura del quintetto di Rimini, che sembra rifuggire da un black metal tempestoso, ma abbraccia sonorità più miti e vicine a primi Katatonia o ai nostrani Forgotten Tomb, il tutto avvolto da un'aura che sa di mistici suoni cascadiani, con tanto di break acustico che mi fa decisamente sobbalzare dalla sedia. SPLENDIDO. Niente da dire, i Deadly Carnage con questo pezzo hanno toccato la mia anima più scura. Un'incorporea danza nella mia meditabonda mente che si lascia trasportare dal flusso di coscienza che permea questo album, percepibile attraverso i suoi suoni e attraverso un eccezionale assolo di flauto traverso. Se il disco finisse qui sarebbe un 10. Ma altre cinque sono le tracce che mi attendono: "Carved in Dust" è una bella e classica cavalcata di metallo nero sporcato da influenze post black d'oltre oceano. "Beneath Forsaken Skies" palesa l'amore del combo italico per un dualismo black doom: incedere lento, costrittore e strisciante prima di un'apertura più melodica, con la sofferente voce di Marcello in primo piano. Registrato, mixato e masterizzato da Mirco Bronzetti al De Opera Studio di Viserba, 'Manthe' si dimostra sicuramente un album intrigante. Il basso di Adres apre "Il Ciclo della Forgia" accompagnato dalle belle chitarre acustiche del duo formato da Dave e Alexios. Il feeling riporta nuovamente al sound pagano di Alan Nemtheanga e soci, il drumming ossessivo di Marco e l'utilizzo della lingua italiana in questo modo, rievocano la mitica "Roma Divina Urbs" degli Aborym. Pollice alto. "Electric Flood" mi sa molto da riempipista, song black punk che in questo contesto ho trovato un po' fuori luogo, sebbene nella sua seconda metà si riprenda non poco. Giungo alla monumentale (14 minuti) e conclusiva title track, in cui i Deadly Carnage ci rigettano nella catartica disperazione, figlia del suicidal depressive black metal del Nord Europa. Ma dopo un paio di minuti, il break di basso che non ti aspetti (che si ritroverà anche sul finire), che rende sicuramente più interessante il brano, che da li a poco, riprenderà a percorrere i binari del black doom, ma con una luce sicuramente più evocativa, espressiva ed epica, complici le chitarre che si inseguono in ipnotici giri fatti di luci e ombre. Ma la song è magmatica, dinamica, un'eruzione di umori e sensazioni che nel loro energico flusso, riusciranno al termine dell'ascolto, a placare il mio animo inquieto, confermando l'eccelsa qualità raggiunta dai nostri, in termini sia compositivi che esecutivi. Deadly Carnage, la sorpresa che non ti aspetti! (Francesco Scarci)

(De Tenebrarum Principio - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/DeadlyCarnage?ref=ts

sabato 15 febbraio 2014

Fortid – Voluspà part III Fall of the Ages

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Black Viking, Borknagar, Tyr, Enslaved
Fortid è una band islandese accasatasi in Svezia e dedita ad un sound decisamente vichingo figlio della musica di Bathory, Tyr e Borknagar con una spiccata attitudine al black metal dei primi Enslaved. Guidati dal vocalist Einar “Eldur” Thorberg, ex Thule e Potentiam, i nostri ci porgono questo lavoro del 2009 uscito per la Schwarzdorn Production e terza parte di un triplo concept sulla saga del 'Völuspá' (La profezia della veggente) che è il primo e più famoso poema dell'Edda poetica. La saga vichinga sulla storia della creazione del mondo e la sua futura fine narrata da una veggente che parla ad Odino del declino e della rinascita del mondo degli dei, il Ragnarok. La musica dei Fortid mette radici in tutte le direzioni prese dal genere oscuro, dal black d'avanguardia a quello sinfonico, dal più atmosferico e melodico della stupenda "New Dawn", che supera ogni aspettativa e suona come un capolavoro (la mia preferita) dove la voce pulita di Eldur spopola per maestosità e intensità fino alle velocissime cavalcate epiche ed i mid tempo di "Heltekinn", la malinconia di "The Future" dove la capacità espressiva della band trova un altro apice che ricorda l'infinita tristezza degli In the Woods e dei 3rd and the Mortals in una forma esasperata e devastante, senza dimenticare la buia psichedelia di Wolves in the Throne Room e la sperimentazione dei Sòlstafir. Maestosi e astratti come nell'iniziale "Ancient Halls", moderni nella concezione e nella sonorità come in "Ragnarok Army from the East", intelligenti e potenti, sognanti ed epici come in "Equilibrium Reclaimed", guerrieri e bardi... Un album di tutto rispetto per una band veramente completa. Un piccolo gioiello! (Bob Stoner)

(Schwarzdorn Production - 2010)
Voto: 80

http://www.facebook.com/fortid

domenica 26 maggio 2013

Vredehammer - Pans Skygge

#PER CHI AMA: Black/Epic, Falkenbach, Borknagar, Amon Amarth, Behemoth
I norvegesi Vredehammer sono già una band di culto pur avendo all'attivo solamente tre EP, di cui uno appena uscito e datato 2013. “Pans Skygge” è l'album che lo precede del 2012 ed è composto di cinque brani potenti e carichi di feroce black/death metal macinato a dovere, targato Obscure Abhorrence Productions. La fama di cult band è comprensibile per i Vredehammer, che si fanno notare fin dalla grafica fumettistica/noir che ricorda le avventura di Jack lo Squartatore, anche se qui è ritratto con un martello insanguinato, praticamente un richiamo al loro nome che più o meno tradotto dal norvegese fa: Ira del martello (!?!). Dai titoli i nostri cantano in madre lingua e lo fanno con gusto come del resto la qualità della produzione è più che buona, molto coinvolgente con marcate venature di classic metal, viking metal e prog metal ma con virate ad un sound moderno, dinamico e coinvolgente. L'intro cinematografico dal titolo “Oktober” ci proietta in una città nebbiosa e umida dove sicuramente succederà qualcosa di molto grave e sanguinoso. La successiva velocissima e sinistra “Misantrop” apre le danze con un sound efficace studiato ad arte per far scuotere la testa, con quei cori puliti ed epici in stile Borknagar o Falkenbach e quella doppia cassa da pole position. Tutti i brani scorrono senza intoppi e si lasciano ascoltare di getto anche le parti più progressive sono di sicuro interesse come gli assoli che non mancano di stupire e farsi notare. L'intero lavoro ruota sulla conciliazione e l'equilibrio perfetto di suoni moderni e metal di classica fattura, con innesti d'atmosfera e ipnotici pilotati da cori cupi e profondi. Il cantato possente e ruvido rende tutto molto curato e credibile, le tastiere e lo sporadico e moderato uso di soluzioni ed effetti elettronici accrescono la credibilità di questo bel disco, un mix tanto originale e potente di epic/black/death metal norvegese che soddisferà tanti palati fini. Attendiamo con ansia di recensire il nuovo EP dal titolo “Mintaka” e magari al più presto il primo full lenght di questa fantastica band perché questo “Pans Skygge” dura circa ventuno minuti e noi di musica così ne vogliamo di più! Molta di più! (Bob Stoner)

(Obscura Abhorrence Productions)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Vredehammer

lunedì 28 gennaio 2013

Al Namrood - Kitab Al Awthan

#PER CHI AMA: Black/Pagan/Folk, Dornenreich, Orphaned Land, Melechesh,
La cosa che più affascina del black metal è la sua forza rigenerativa e la sua continua espansione in territori sempre più inaspettati. Da un genere musicale nato con regole rigide, all'apparenza insormontabili e collocazione geografica scontata, si è giunti nel 2012 all'uscita di un album che almeno per il paese di provenienza, espande i confini di questi suoni in una inusuale e atipica locazione, l'Arabia Saudita. Immaginate cosa significhi essere una band metal, il cui nome tradotto significa “i non credenti” in un paese dalle soffocanti restrizioni sociali e religiose, dove le donne nemmeno possono guidare e dove non esiste legge scritta ma solo una sorta di teocrazia tramandata a voce, dove non si può suonare il metal e si deve tener nascosta la propria identità per pubblicare album all'estero rischiando pene severissime. Il black pagan folk metal ha sconfinato fino al deserto e ha dato vita ad una stupenda creatura di nome Al Namrood che parla degli antichi abitanti d'Arabia, i Babilonesi, che probabilmente come nei testi dei loro brani affermano, erano più liberi di agire e pensare di adesso. I nostri propongono un sound potente vicino al suono dei Grave con tante ritmiche tribali e mid tempo, con un ottimo screaming sulfureo, perfido e narrante, ricordano per concetto d'avanguardia i primissimi Die Apokalyptischen Reiter e possiamo guardare in termini folk al variopinto mondo oscuro di Dornenreich integrando ritmi e suoni folklorici della loro terra, come usano fare gli Orphaned Land. Si presentano ben calibrati e sobri, ben assemblati, ricercati, ipnotici, pieni di pathos e strutture musicali ben architettate. Proprio sulle strutture ritmiche è doveroso soffermarci e spiegare che questa band non si limita ad unire i due generi (folk e metal) ma li fonde a tal punto che si possono sentire chitarre violentissime e distortissime tessere melodie e sinfonie che sembrano uscire dalla colonna sonora del leggendario film “Lawrence d'Arabia” e percussioni tipiche del deserto ripiegare su forme tribal/industrial/sinfoniche, come potrebbero fare solo gli Skinny Puppy in vacanza tra le dune. Un sound moderno , equilibratissimo e d'impatto, un retrogusto world music e una devastante rabbia nera. Anche se comprensibilmente non tutti ameranno questo infuso di suoni medio orientali e metallo nero, bisogna ammettere che dalla sabbia di questo deserto geografico e sociale è nato un capolavoro, una sorta di rosa del deserto di grande splendore. Da amare o da odiare, sicuramente da ascoltare e scoprire. (Bob Stoner)

(Shaytan Productions)
Voto: 80

https://www.facebook.com/alnamroodofficial

lunedì 7 gennaio 2013

Moss Of Moonlight - Seed

#PER CHI AMA: Pagan, Folk
Sono stato un intero pomeriggio a pensare a quale dei migliaia inutili gruppi folk, con qualche atmosfera epica, potesse assomigliare ai Moss Of Moonlight. Purtroppo non m'è venuto in mente, altrimenti avrei detto che certe parti potessero essere identiche ad essi. "Seed", primo full lenght del gruppo statunitense, ci trascina per un'ora con i suoi canti sciamanici, i respiri dei boschi e tutto quello che potreste aspettarvi da un gruppo folk metal nordamericano. La formula è quella dei gruppi pagan metal moderni, ovvero mettere una voce in growl per sembrare cattivi, alternata ad una voce femminile per rendere accessibileil tutto, dei ritmi marziali per inondare di serietà la proposta dei nostri, per fortuna senza tutta quella pomposità dei gruppi europei che ci propinano pateticamente la loro musica. Il problema è che, abusata com'è, in questa combinazione è difficile trovare qualcosa di decente nelle composizioni, il che rende "Seed" un disco semplice, diretto e a tratti mediocre. I suoni a mio parere sono molto buoni, o meglio, reali. Essi riescono a dare un tocco di naturalezza all'album, cosa alquanto difficile di questi tempi. L'ascolto viene a mio parere agevolato da queste sonorità scampate alla compressione, oltre che alle innumerevoli melodie dettate dalle chitarre e dai vari strumenti folkloristici, che ahimè mi ricordano troppo qualche gruppo che ascoltavo anni fa. In sostanza "Seed" non è una totale delusione ma se i Moss Of Moonlight vogliono proseguire su questa strada, spero vivamente che comincino a produrre dischi meno prolissi ma più studiati. (Kent)

(Cascadian Alliance)
Voto: 60

http://www.mossofmoonlight.com/

sabato 1 dicembre 2012

Bestia - Ronkade Parved

#PER CHI AMA: Black Pagano, Darkthrone, Solefald, Primordial, Atanatos, Bal Sagoth
La band estone ci ha inviato questo lavoro dal titolo “Ronkade Parved” (purtroppo una promotional copy dove alcuni pezzi sono sfumati ed incompleti) che tradotto significa “Stormi di Corvi” ed è stato concepito nel 2009. Diciamo subito che dopo il suddetto album i Bestia hanno dato alle stampe un dvd e due split cd e che questa band, attiva sin dal 2000, ha pubblicato tra full lenght, demo, split e dvd, una decina di lavori (complimenti per la creatività costante!), più o meno uno per ogni anno della loro esistenza fino al 2010. Il cantato è in estone e almeno per noi non di facile comprensione e ci affidiamo ai titoli tradotti in inglese sulla copia promozionale che ci è pervenuta. L'estone non è una lingua molto dolce e si sente soprattutto nelle parti narrate e parlate dell'album. I Bestia suonano un black dallo stile classico ma supportato da una più che ottima produzione, da cui affiorano all'ascolto, numerose sfumature con evoluzioni stilistiche inusuali che potrebbero ricordare il modo di intendere e sperimentare nel genere di gruppi quali Ihsahn o Solefald. Sparsi tra riff veloci, growls, screaming e voci narranti/epico/teatrali si nota la presenza di un sax baritono (peraltro un azzardo riuscitissimo che sfiora l'idea geniale! peccato non sia presente in pianta stabile nella loro musica!), un violino, un flauto, dei synth e cori guerrieri, che a volte, inaspettatamente, emergono, conferendo alla musica un piacevole ascolto a sorpresa, nonché una marcia in più per affondare la lama in fatto d'atmosfera, donando al lavoro una leggera freschezza, una visione d'avanguardia pregevole ed una ricerca rivolta all'originalità. Questo lavoro è caratterizzato da un forte impatto di “virilità” musicale, un costante martellamento ritmico e un equilibrio di suoni pregevole. Una voce protagonista e ben dosata, in giusta causa padrona della scena, che ricorda non per stile o somiglianza ma per attitudine e personalità, le epiche interpretazioni del cantante dei Bal Sagoth. La band si definisce pagan metal e dalla copertina (che mostra un cavaliere templare in battaglia) e dai titoli tradotti, intuiamo temi antichi e guerrafondai, ben interpretati da un cantato molto suggestivo e drammatico, proiettati a ragione, verso le gesta belliche di guerrieri ed eroi oscuri. Il suono pesante e pregno di sensazioni lugubri ed impantanate, si esprime al meglio nelle parti più lente non rifiutando la velocità; i nostri poi hanno una propensione alla teatralità ben calibrata, che risulta grazie a chitarre tutt'altro che zanzaresche, bensì assai energiche. Un po' Darkthrone, una spruzzatina di Primordial, qualcosa di epico stile Atanatos, e velatamente primi Celtic Frost, i Bestia si muovono molto bene e con originalità, affilando i colpi con tutte le armi in loro possesso. Aspettiamoci allora una nuova battaglia! Il nostro brano preferito è “Malestus Hustutab Leegi” con quel magnifico sax e tutti quei cambi di tempo... un album notevole! (Bob Stoner)

(Hexenreich Records)
Voto: 75

http://bestia.pimeduse.org/

martedì 24 gennaio 2012

Sig:Ar:Tyr - Godsaga

#PER CHI AMA: Death Epic, Bathory, Primordial
Credo che le foreste canadesi possano essere, alla stregua di quelle norvegesi, grande fonte di ispirazione per le band provenienti dall’immenso paese del nord America. Di sicuro deve essere stato cosi anche per Daemonskald, factotum di questi impronunciabili SIG:AR:TYR, che con questo lavoro (il terzo della discografia), ci narra un po’ di vicende inerenti la mitologia nordica, attraverso un sound che, rifacendosi a quello dei Bathory più epici, ci consente di chiudere gli occhi ed immergerci con la fantasia, in mondi lontani, dove epiche battaglie, a suon di spade brandite nell’aria, si consumavano selvaggiamente. Non vorrei essere fuorviante però, non vorrei che immaginaste la musica dei nostri come una sorta di black epico, che faccia della furia il proprio credo, in quanto quello che scorre nei 57 minuti di questa release, ci offre invece un sound estremamente cadenzato, che non cede mai alla tentazione di cavalcate brutali, ma che invece propone tenui melodie impregnate di uno spirito tipicamente pagano. Ecco, provo a richiudere gli occhi e ciò che mi si para davanti è questa volta lo sfondo dei megaliti di Stonehenge e dei druidi che vi praticavano antichi rituali occulti: non saprei spiegarvi il motivo, ma la strumentale “Black Sun’s Bane” rievoca in me queste ataviche immagini. Con la successiva “Eternal Return”, sono gli echi dei Primordial più melodici e cupi ad emergere e se non fosse per quella voce rauca, priva della epicità dei Bathory o del growling possente di act più estremi, che rischia di essere la sola nota dolente di questo lavoro a causa della sua scarsa incisività, il voto sarebbe stato sicuramente più elevato. Poco importa tuttavia, anche perché ampio respiro viene lasciato alla musica, che alternandosi fra mid tempo di stampo vichingo, eleganti parti acustiche (di reminiscenza Agalloch) e fenomenali assoli di chiaro stampo classico (fantastica “Sleep of the Sword” a tal riguardo), relega decisamente in secondo piano la perfomance vocale del mastermind Daemonskald, che peraltro in questa terza opera ha dismesso del tutto l’uso delle clean vocals. La proposta del combo dell’Ontario tuttavia mi soddisfa e non poco; certo non propone nulla di particolarmente originale o che potrà rimanere negli annali della storia della musica metal, ma si lascia piacevolmente ascoltare, per quel suo feeling che assume talvolta connotati magici ma sempre permeati di una uggiosa inquietudine (ascoltate “Sonatorrek” per intenderci, altro pezzo strumentale di questo appassionato cd). Concludendo, i SIG:AR:TYR proseguono il discorso iniziato con i due precedenti lavori, migliorandosi di certo a livello di songwriting, ma lasciando ancora qualche lacuna a livello di composizione e melodie; si insomma, i Primordial sono ancora su un altro pianeta, però pian piano, il nostro baldo druido, potrebbe anche avvicinarsi ai maestri irlandesi. Da ascoltare, valutare e forse acquistare. Interessanti e rilassanti! (Francesco Scarci)

(Morbid Winter Records)
Voto: 75
 

giovedì 8 dicembre 2011

Древо - Величие

#PER CHI AMA: Pagan Black, Summoning
Non potete immaginare quanta fatica abbia fatto per decifrare il nome del gruppo, il titolo dell’album e riuscire, invano, a cercare informazioni a proposito di questa band russa. Il nome dell’ensemble, costituito dal solo Jaromir, significa “Albero”, ma il fatto di essere scritto in cirillico non aiuta di certo, cosi come pure il suo sito internet, completamente scevro di qualsiasi tipo di notizia biografica. Quindi mi appresto a recensire questa release, come se fossi bendato e affidandomi al mio solo senso uditivo. L’apertura, affidata alla title track, ci dice immediatamente che ci troviamo all’interno del panorama ambient-medieval, con suoni di un’epoca passata che echeggiano nelle casse del mio stereo e ci riconducono indietro nel tempo di un migliaio di anni. L’act di Nizhny Novgorod ci prende per mano e conduce a corte di castelli di principi o re del passato, con menestrelli e giullari ad allietare i nostri momenti. E cosi, ecco arrivare “Созидание”, che con il suo suono ipnotico ma allegro incedere, mi rilassa e rende l’ascolto di questo strano cd estremamente piacevole. Mai abbassare la guardia però, perché “Ледяная Явь” ci catapulta invece in uno scenario più black metal oriented, anche se completamente strumentale, con il grosso difetto di affidare la ritmica all’utilizzo di una fredda e sterile drum machine. Il risultato non è certo dei migliori anche se la melodia di fondo sarebbe assai gradevole, con un finale in completo stile Burzum (periodo ambient). Uno screaming disumano apre “Воля-Вольница”, risvegliando nella mia intorpidita memoria, gruppi che non sentivo da una vita, come gli austriaci Summoning o gli spagnoli Elffor. Il sound risulta alquanto caotico, con un black metal come elemento portante, accompagnato da una serie di orpelli folk che dovrebbero mitigarne l’estro selvaggio. Una registrazione ovattata e un po’ grezza, non certo ideale per questo genere di sonorità, ne rovina ahimè l’esito finale. Poco male perché invece la successiva “Рассвет” presenta una registrazione del tutto differente, il che mi lascia pensare che forse questo lavora possa rappresentare una sorta di compilation. Di qualunque cosa si tratti, e questo non mi è dato di saperlo, la musica dei Drevo (la trasposizione inglese del nome della band) è un coacervo di black pagano, ambient e folk che potrà solleticare i palati di chi ama questo genere di sonorità; per gli altri credo si tratti di una proposta abbastanza ostica, soprattutto perché cantata in russo con una registrazione altalenante e con delle composizioni altrettanto altalenanti che potrebbero si interessare gli amanti del black e far sorvolare chi ama l’ambient e viceversa. Decisamente una release non facile, anche se per il sottoscritto, dotato di una certa (ampia direi) apertura mentale, questo “Величие” non è affatto malaccio. La cosa su cui sicuramente lavorerei è la sezione ritmica, sostituendo la componente glaciale della drum machine con un batterista in carne ed ossa; in secondo luogo darei una maggiore omogeneità nella produzione e cosi pure perfezionerei la cura nei particolari e la pulizia dei suoni. Per finire, adopererei qualche miglioria a livello vocale; letto cosi sembrerebbe che l’album sia da buttare, invece devo essere sincero e dirvi che dopo tutto mi piace, soprattutto se impegnato in letture a sfondo fantasy. Ultima nota: a chiudere il cd c’è una cover dei Carpathian Forest della magnifica “The Northern Hemisphere” che sancisce la bontà e la genuinità di un lavoro, senza ombra di dubbio, destinato a rimanere nel mondo dell’underground più recondito. Misteriosi! (Francesco Scarci)

(Kunsthauch)
Voto: 70

venerdì 7 ottobre 2011

Winterdome - Weltendämmerung

#PER CHI AMA: Viking, Folk, Epic Pagan
Il vento che soffia sul mare, un rumore di barca che cerca di solcare le onde, una voce che inizia a raccontare: così si apre Weltendämmerung, il secondo lavoro della band di Hannover. Prima di parlare dell’album, è meglio fare una piccola introduzione dell’ensemble. I Winterdome si sono formati nel 1996 in Sassonia e al momento ha prodotto solo due album: “Moravian – or a Gods’ dawn”, un EP formato da 4 tracce rilasciato nel 1997 e quest’ultimo, uscito nel 2006. La peculiarità di questa release è che si tratta di un’opera d’arte: alterna brani narrati, con tanto di sottofondo per rendere più realistico il racconto di una terra lontana, a brani ricchi di sonorità sintetizzate e molto malinconici. Come presentato sul loro sito ufficiale, le sonorità gothic metal incontrano il “medieval rock” (ricordiamo anche che hanno aperto i concerti degli In Extremo). Il brano che apre il disco è totalmente narrato: sebbene la lingua usata sia il tedesco, ciò non toglie musicalità, anzi, accentua la storia epica e le gesta di un popolo che addirittura crea una propria religione e una propria lingua. Ascoltando la traccia che dà il titolo al concept-album, si può sentire come il cantante faccia largo uso del growl, che associato a suoni più campionati e chitarre distorte, trasmette un profondo senso di malinconia. L’impostazione della tracklist vede un brano (raccontato da Bernd Seestaedt) che si alterna ad uno cantato/suonato, in cui prima viene spiegata la storia e poi cantate le gesta di Ashaj, il protagonista principale. Degna di nota è "Land der Nacht", che si avvale anche di violini: l’atmosfera medievale è preponderante, mitica. Violini che ritroveremo anche in "Die Elasaj", accompagnati dalla voce dolce e melodiosa della violinista Lisa Hinnersmann, in totale contrapposizione a quella grave e ruvida di Henrik Warschau. Il senso di malinconia nominato precedentemente, irrompe nel leit-motiv di "Ein Letztes Mal": sebbene la parte cantata assomigli più ad una litania, l’apporto vocale di Lisa, aiuta a sopportare di più questa parentesi melodica. Anche i violini, nel ritornello, contribuiscono a mantenere l’aria malinconica assieme al ritmo cadenzato e lento. In "Flammentanz" le atmosfere medievali ritornano, grazie soprattutto agli archi e all’arpa: oltre a chitarre e batteria appena accennate, tutto il brano sembra proiettare l’ascoltatore in una fiera contadina, come sempre accompagnato dal racconto fantastico sulle vicissitudini del protagonista (a metà tra cantato e raccontato). Degno di nota è un assolo di chitarra elettrica, molto convincente. Il ritmo cambia in "Leid und Qual": velocità, cattiveria e chitarre incalzanti fanno da leitmotiv del brano. Le tastiere sono suonate in modo da accentuare una sensazione di ansia ed inquietudine, rendendo il tutto una delle canzoni migliori dell’album. Nel caso tutta questa velocità non piacesse, ma si volesse un ritmo più rallentato, "… Wenn das Ende Naht" è la traccia adatta. Grazie anche ai violini, il suono risulta quasi pesante e più indicata per qualche cerimonia funebre. Questo album svela, ad ogni traccia, nuove sonorità: in "Der Hoffnung-Tod" (oltre ai sopraccitati violini e chitarre elettriche) i cori femminili si aggiungono alla voce roca di Warschau, dando così una piccola impronta lirica, che non guasta affatto. Si arriva alla fine di quest’opera “quasi magna” con "Ein Stiller Schrei", che sembra più composta per una sezione di archi piuttosto che di chitarre: persino la parte cantata si adatta alla melodia dei violini, quasi a volere chiudere con una forte nota malinconica. Di buono c’è la scelta di alternare racconto epico/fantastico ad un metal con più sfaccettature; di meno buono la scelta di usare il tedesco nelle liriche: non tutti sono in grado di svelarne i contenuti, sentendosi così meno coinvolti in questa storia che, nonostante sia inventata, risulterà anche per voi, sicuramente raccontata con passione. (Samantha Pigozzo)

(Massacre Records)
Voto: 80
 

venerdì 9 settembre 2011

Helheim - Heiðindómr ok Mótgangr

#PER CHI AMA: Black Metal, Pagan, Enslaved, Helrunar
Talvolta sono sufficienti le primissime battute per riconoscere un album di valore. Un sound trascinante e ben prodotto, una voce decisa, stacchi melodici indovinati, repentini cambi di registro che aiutano ad un evolversi mai scontato dei brani. Questi sono gli elementi che affiorano già dopo pochi minuti dall’ascolto di "Heiðindómr ok Mótgangr", che per i norvegesi Helheim rappresenta l’ammirevole approdo al settimo lavoro in studio, dopo un lungo tragitto musicale intrapreso nel 1995 e da sempre solcato seguendo rotte poco più che underground. Gli Helheim rimangono fedeli alla propria linea, perciò non si ravvisano sterzate stilistiche di alcuna sorta, tuttavia l’album possiede una freschezza che la produzione passata non aveva ancora conosciuto, ma che ad onor del vero si riusciva già ad intuire nell’ep anticipatore “Åsgårds Fall”, risalente al 2010. "Heiðindómr ok Mótgangr" parla di un risveglio pagano i cui antichi clangori riecheggiano nella nostra moderna società come un richiamo alla fierezza e all’onore, parla di un rifiuto verso ciò che è imposizione e omologazione ed il messaggio viene convogliato attraverso un suono più che mai battagliero. Se è vero che l’immaginario degli Helheim ha sempre ricondotto agli scenari della mitologia nordica, il termine “vichingo” non è comunque dei più appropriati per ben descrivere il reale contenuto musicale di quest’ultima fatica. I quattro norvegesi navigano invece sulle torbide acque del black metal ed è piuttosto la varietà delle soluzioni strumentali che aggiunge imponenza e solennità all’intero assieme. L’uso ad esempio dei timpani e del corno francese è un tocco di autentica originalità che non trova paragoni in nessun’altra band del calderone “epico”. I differenti registri vocali di V'ganðr e H'grimnir non fanno poi che intensificare il pathos di ogni brano, passando da momenti rabbiosi a delle parti di recitato più magniloquenti, il tutto rigorosamente cantato in lingua madre, come imponeva la tradizione black norvegese nella prima metà degli anni ‘90. A chiudere il cerchio le partiture soliste del nuovo chitarrista Noralf, la cui melodia si ispira ad un heavy-metal di chiara derivazione classica. Tra le perle di questo lavoro va sicuramente citata “Dualitet Og Ulver”, che risulta senza dubbio il brano più accattivante dell’intero lotto e che vede la partecipazione di Ulvhedin Høst dei Taake alle parti vocali, ma è d’obbligo fare menzione anche di “Viten Og Mot (Stolthet)”, monumentale nel suo incedere pesante e cadenzato. “Nauðr” ed “Element” si contraddistinguono infine per una vena compositiva ricca di contrasti, tra brutalità e atmosfere dall’ampio respiro melodico, che assieme disegnano paesaggi musicali affascinanti ed in continuo movimento. (Roberto Alba)

(Dark Essence Records)
Voto: 85