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lunedì 4 dicembre 2017

Billy Boy in Poison - Invoker

#FOR FANS OF: Death Metal
“Well, well, well, well. If it isn't fat, stinking billygoat Billy-Boy in poison.”

A Danish band clearly enamored with 'A Clockwork Orange' (a book written in just three weeks and forever immortalized on film by Stanley Kubrick), this group of droogs so seamlessly blends into the black-clad gauge-eared breakdown-beaten buffoonery of metal's most corporeal and corporate dystopia that it could be easily mistaken for insincerity. However, the talent that kicks off this quintet's sophomore album shows an artsy attempt at furthering a solid grip on making metalcore just before it drops the ball in this release's mundane midsection.

“Absolution” and “Iron Grip” have gigantic sounds to them. Building and toppling fortresses as they rise to atmospheric pinnacles through the hollow echoes of muddy guitars and crumbling from blasting volleys in mere seconds, a crashing cascade that brings “Iron Grip” to satisfying release. Billy Boy in Poison leads with strength summoning its best efforts but blows its load too early. Prominent and melodic leads endure a laborious pace to heighten the impact of the rhythms and grooves, like in the funerary march of “Morcar” where diminishing notes hang by a thread before being swallowed by the next measure. There is a noticeable proficiency in the songwriting through the first half of this album.

“Come to get one in the yarbles, if you have any yarbles, you eunuch jelly thou.”
“A Walk on Broken Bones” is where this album loses its grip on the ball it had so delicately handled. Noisy and energetic, this song is set to be the sort of aggressive Lamb of God foray into modest metalcore mimicry but the guitars paint a swath of muddy meandering measures over such a by-the-numbers template that it becomes a mess of aggression without any compelling sounds to make it memorable. “A Walk on Broken Bones” is just the first leg of an uninspired journey with few landmarks worthy of a momentary glance but only due to the dullness of the landscape before finally reaching the riches of “Black Gold”.

The mediocrity of these b-sides shows how boundless break beats bonded to the baseless belief that they're building br00tality bores this death metal regular, no matter how much it may make the average pit ninja dangle from a plastic coated orifice flapping off the side of a core clone's cranium. “Exodus” starts smoothly enough with pinches of harmony and humming bass before becoming an average and jerky stomper. Merely a single moment betrays a glimmer of hope as the guitars gloriously glide through their grain to meet a tearing blast beat before being yanked into yet another spastic time change. Eventually “Exodus” bleeds into “Glaciers” and “Glaciers” abruptly crashes into “Mara”. Though “Glaciers” brings a preferable aggression, muddy and repetitive rhythms boast few engaging moments despite slight artistic slivers accentuating the atmosphere of the album. Through a very vocal oriented mix with an abundance of break beating that attempts to sound gigantic and imposing, the grooving deathcore throughout 'Invoker' loses its way in this dangerous territory as the droogs receive a self-inflicted punishment for this tepid traipse into br00tality's badlands.

In typical deathcore fashion, “Black Gold” is Billy Boy in Poison's big finish with an anthemic melody that falls into aggressive verses before returning to its beginning in each chorus. The final return is especially complimented by a robust snare and kick combination. As can be heard in the end of All Shall Perish's “The Last Relapse” or Abigail Williams' “The Departure”, “Black Gold” formulaically fades with a simple sappy melody to further legitimize the artistry and power experienced throughout the endless breakdown centered meat of this album. It's difficult not to be a bit jaded when it comes to listening to a paint-by-numbers deathcore release like 'Invoker'. Like a plethora of bands of Billy Boy in Poison's ilk, this album had a couple of good ideas in it but in no way has enough material to justify a forty-five minute full-length. Unfortunately with Billy Boy in Poison, the band's sophomore album contains merely an EP's worth of ingredients that were stretched too far. (Five_Nails)

Der Toten Lebend Schein - ...Von Leichen Bewohnt

#PER CHI AMA: Black Atmosferico
Der Toten Lebend Schein (che tradotto dovrebbe significare Il Morto Vivente Schan) è una misteriosa band teutonica che, dopo uno split album rilasciato nel lontano 2010 in compagnia dei Tåkeheim, si è un po' persa di vista fino al 2017. Complice il supporto della cinese Pest Productions, ecco che i nostri tedesconi rilasciano '.​.​.Von Leichen Bewohnt' (il cui significato dovrebbe essere "...abitato dai cadaveri"), un EP di quasi venti minuti votato ad un black metal atmosferico, cantato in lingua madre ed influenzato da un'inedita vena folklorica. Non lasciatevi però ingannare dal pianoforte posto in apertura a "Versagen": dopo un minuto infatti, i suoi leggeri tocchi lasceranno il posto alle fiamme infernali ordite dalle nere trame dei nostri che si riversano invasate, a tracciare i solchi di un lavoro oscuro e furioso. Un sinistro violino apre invece "Masken Der Vernunft", song che palesa l'animosità perversa della band germanica, in un brano che, nonostante i melodici riff di chitarra in tremolo picking, ha modo di chiamare in causa, almeno a livello vocale, i Mahyem mai dimenticati del buon Attila Csihar. Il riffing è a tratti serrato ed è più vicino al post black che alla fiamma nera tradizionale. Il cantato in lingua rende poi il tutto stranamente più evocativo. Un altro arpeggio e siamo già giunti alla lunga conclusione del dischetto, affidata agli oltre nove minuti di "Arkadien", la traccia più completa, incisiva e convincente delle tre qui incluse. La vena atmosferica si unisce qui con un piglio punk folk in una cascata musicale disarmonica, non convenzionale, che per certi versi, mi ha ricordato gli esordi degli In the Woods, in un brano che comunque ha da regalare spunti interessanti, sicuramente da sviscerare e sviluppare in un futuro non troppo lontano, per dar modo a questa band di tirar fuori le intriganti idee che hanno nel profondo. Bella scoperta. (Francesco Scarci)

sabato 2 dicembre 2017

Mallory - Sonora R.F. Part II

#PER CHI AMA: Rock, The Doors
Si prosegue con l'analisi della discografia dei Mallory: dopo aver recensito '2' e 'Sonora R.F. Part I', non potevo farmi mancare anche l'ultima fatica della band francese, 'Sonora R.F. Part II'. Come già detto, il quartetto parigino ha un'innata capacità di fondere blues, grunge e atmosfere eteree che rapiscono l'ascoltatore e lo fanno accomodare su una vecchia poltrona di pelle, ormai distrutta dal tempo, ma che conosci in ogni sua imperfezione. L'album contiene dieci brani in un digipack con la stessa grafica del 'Part I', ma a colori invertiti. All'interno sono riportati i testi, sia in inglese che in francese, come i Mallory ci hanno già abituato in passato. "Riot" è il brano che ha la responsabilità di aprire il nuovo album e lo fa con tanta energia, con il tutto che ricorda i vecchi Pearl Jam, con riff aggressivi che si abbattono con energia come una tempesta su un paesaggio quieto ed inerme. La ritmica è sostenuta, batteria e basso si spellano mani e dita per scaricare più rabbia possibile, mentre il cantato ruggisce con la sua timbrica graffiante ed esperta. Un concentrato di headbanging che dà poco respiro, a parte qualche break, ma poi i nostri riprendono le loro progressioni ed esplodono esausti nel finale. Un brano che sembra essere nato in un qualche scantinato di Seattle e non a Parigi. "So Wet" torna alle radici blues della band, il ritmo rallenta e i suoni si fanno di soffice velluto scarlatto che accompagnano perfettamente questa ballata malinconica e sensuale. Immaginatevi un locale buio, deserto se non per un'oscura figura seduta di fronte al palco che vede una ballerina esibirsi in una danza provocatoria, tra fumo di sigaretta e bicchieri di gin scolati per anestetizzare l'anima. Il vocalist accompagna perfettamente la melodia che si districa tra fraseggi classici, ma ben arrangiati e dai suoni perfetti. In alcuni punti si ha l'impressione di sentire i The Doors più passionali e meno lisergici, anche se i quattro musicisti transalpini hanno quella marcia in più che gli permette di giocare sugli arrangiamenti e fare la differenza. "Vertige" reintroduce il cantato in francese che si sposa perfettamente con la parte strumentale e colora un brano bipolare, con un inizio lento e struggente che inganna, facendoci pensare all'ennesima ballata. In realtà appena si percepisce il crescendo, i Mallory pestano sul pedale distorsore e apriti cielo, ritorna quell'energia e quella rabbia che si riflettono in una valanga di decibel. Ancora una volta la sezione ritmica ha un ruolo determinante, il basso viaggia veloce senza perdere un filo di groove, mentre il batterista può destreggiarsi in pattern goduriosi che portano l'ascoltatore a trasformare ogni superficie disponibile in una batteria e immedesimarsi con il maestro delle bacchette che sta dietro le pelli dei Mallory. La breve entrata del synth fa l'occhiolino agli arpeggiatori tanto amati dai The Who, la conferma che le cose semplici vanno fatte in maniera impeccabile per essere convincenti. 'Sonora R.F. Part 2' è un altro capolavoro targato Mallory, una band che non segue le mode e scrive la musica che gli batte nel petto, sempre vera e convincente. Arte unita ad una dose di pazzia che porta sul palco una rappresentazione equilibrata di musica e teatralità, non è da tutti sapersi muovere tra generi così diversi e con cotanta eleganza. Chapeau mon ami. (Michele Montanari)

Sheidim - Infamata

#FOR FANS OF: Black/Death
To those of you who haven't heard of Sheidim yet, they are a black/death metal quartet hailing from Barcelona, Spain. The band had been around since 2013, and they released their first vinyl format EP last 2015 which holds two unrefined and fierce tracks. Just last 2016, the band had put out their debut studio album under the banner of Dark Descent Records. The debut was named 'Shrines of the Void', and that album showed to the extreme metal community the excellent songwriting talent of these Iberian horde. This time around, just last September 2017, the band once again strike with a new offering called 'Infamata'.

It is quite remarkable to come across such an even-handed and well-rounded fusion of two sub-genres of extreme metal in a release. 'Infamata' is one that belongs to these extraordinary few. This EP from Sheidim was molded by the band to create a bloody profound and pristine experience for its listeners. And they sure had found success in that matter, because 'Infamata' showcases a solid synthesis that recalls the best indications of both speed-oriented black metal and death metal.

Every track on this EP was built in an admirable manner. Each of them offers a really entertaining and catchy ethos. Songs like "A Dying Sun" and "Underneath" hit the audiences incredibly hard with its fast and utterly aggressive death metal nature, topped with a very cold and evil atmosphere. Following those two mentioned tracks are "Wings of the Reaper" and "Sisters of Sleep", which have a really dark aura. The ambiance of those said tunes brings forth a very wicked black metal feel in the background.

All the songs here included also have that evident early Bathory riffing on the guitar section. Outside the Bathory-like guitars, we can also hear different guitar riffage delivered by C.S. which varies from classic rock 'n roll to vintage thrash riffing. I am awed by how quite amazing C.S. was able to apply all those guitar segments without dragging down that strong black metal mood of the songs. The tremolo riffs present here are also impressive. They show an absurd intensity even with their more melodic character. The tremolos sound incredibly aggressive, and even more foul than what you could expect that a black/death metal band would come up.

Alejandro Tedín's bass is perceptible but it maintains composure with the rest of the instruments and does well to complement the music in the album. That audible presence of the bass also adds an extra layer beneath the songs. Considering this is still in theory under the black metal flag, I would give my compliments to the band for having a surprisingly audible bass guitar line. Jordi Farré's drum work pounds away with furious blast beats, creating a menacing flavor to the offering. Jordi's drumming may not be that exceedingly decorative, but the guy sure knows exactly what he should be playing during each section to maintain the intended maniacal atmosphere in the record.

A.K., the band's frontman, sputters harsh screams and growls that sound like they came from Satan himself. His style, which is somewhere between a roar and a snarl, builds an intensely raw and powerful reinforcement to the tracks in the album. I really dig A.K.'s vocal approach because it is not muffled with effects. The EP's production is also quite solid for an underground extreme metal release. It's really refreshing to me, as I usually enjoy listening to those dreadfully produced basement-type demos and EPs when it comes to extreme music.

Well, there you have it fellas. 'Infamata' is a release that definitely has some special offerings for Sheidim's listeners. The violence on this record is pure and intact, and the entire iniquitous concept of black metal and death metal is in full form on this one. I suggest fans of both black and death metal to get a copy of this record. It's really worth the money, and it deserves a place in your metal collection. (Felix Sale)

(I, Voidhanger - 2017)
Score: 75

https://sheidim.bandcamp.com/album/infamata

venerdì 1 dicembre 2017

Vespertina - Glossolalia

#PER CHI AMA: Acoustic Experimental Folk, Chelsea Wolfe
Il mese di maggio, per la religione cristiana, è il mese dedicato alla Madonna. Quando ero ragazzino infatti frequentavo il rosario serale con i miei nonni, ogni sera di maggio. Si teneva la testa bassa e le mani congiunte e si recitavano innumerevoli avemarie, come sfondo campi di vigne ed il pigro tramonto primaverile. Sono proprio questi mesi di maggio della mia infanzia che riaffiorano vedendo Lucrezia decantare salmodie e arpeggiare dolcemente la chitarra sul palco dell’Arci Dallò, un’esperienza che non può essere relegata al solo aspetto musicale. Vespertina è in grado di creare una dimensione alternativa che pare raggiungibile solo attraverso anni di raccoglimento e di ascetismo, in cui la luce si fa da parte cosicché le tenebre possano sfoggiare il loro divino splendore. 'Glossolalia' è il nome del disco, una fusione tra “glosso” (lingua, dal greco) e “litania”, perfettamente calzante visto la similitudine delle tracce a preghiere dimenticate e l’utilizzo non convenzionale dell’italiano che va a quasi a delineare un nuovo idioma. Lucrezia spezza spesso le parole oppure le deforma incastonandole in vocalizzi mistici ed eterei, tanto da lasciare il significato dietro di sé per creare con i soli suoni un ambiente fuori dal tempo e dal pensiero. Il disco è stato preceduto dallo splendido singolo “Nuova York” un’uggiosa ballata che porta con sé un’oscurità ineffabile e delicata, a tratti sembra di sentire Chelsea Wolfe cantare su un brano di John Fahey. La malinconia e l’emozione impregnano il pezzo, tanto da ricordarmi un’alba invernale sulla sterminata campagna in pieno medioevo. Un contadino si appresta ad uscire dalla sua baracca, ancora intorpidito dal freddo, le mani crepate dall’umidità e dal lavoro. Assorto nelle faticose e ripetitive pratiche quotidiane, avanza lentamente tra gli alberi spogli. Lo sguardo però è rivolto alla bianca luce dell’alba che filtra attraverso la nebbia e per un attimo il velo della realtà si apre, la ripetizione si rompe e la maestosità della natura porta ristoro e conforto alle sue stanche membra. Dico di ricordare perché mi pare di aver vissuto in prima persona quello che ho sentito, anche se non può essere vero. In 'Glossolalia' è l’intimità a creare quest'effetto estemporaneo, intimità che è assieme un pregio ed un limite, sarei infatti molto curioso di sentire come le geremiadi di Vespertina possano essere rese attraverso l’utilizzo di altri suoni e di arrangiamenti magari più orchestrali. Ma questa è solo una mia curiosità, i componimenti acustici sono intimi per natura e Lucrezia è in grado di sfruttare questa caratteristica al meglio, come dimostrato nel pezzo di chiusura “Slumber”, che sa di mattina e di nostalgia e che suona come una preghiera pronunciata non per dovere o per fede, ma unicamente per il profondo bisogno dell’anima. Il brano è impreziosito dall’iniziale botta e risposta tra la voce e l’arpeggio di chitarra alla “Wine and Roses” di J. Fahey; una voce a metà tra un lamento ed una supplica poi si fa strada tra gli accordi, come a voler evocare qualcosa che non esiste più, come un fedele che nella sua preghiera dapprima ringrazia ma poi si lascia andare e disperato invoca su di sé la grazia divina. (Matteo Baldi)

(Dischi Bervisti, Dio)))Drone, Toten Schwan Records - 2017)
Voto: 80

https://diodrone.bandcamp.com/album/glossolalia

Tornado Kid – Hateful 10

#PER CHI AMA: Southern Rock
Le dieci cose che più odi, messe in musica dall'ensemble di San Pietroburgo o come affermato dalla band stessa, le tue dieci canzoni che ti vanno in disgrazia dopo una gestazione in studio di due anni. Questo è l'album dei Tornado Kid, inizialmente chiamato 'Cowboys from the North', presumo per la loro ostentata voglia di essere un po' yankee tra le gelide terre del nord, poi sfumato in chiave più violenta. Al contrario di quanto sembri, questo disco è un mix perfetto di southern rock, hard rock, metal pesante e un'attitudine hardcore, come se gli Alabama Thunder Pussy giocassero a fare i Sick of it All o i Misfits in un'atmosfera tutta pistole, whisky, donne, scazzottate e saloon distrutti. La qualità è ineccepibile, cominciando dal tipo di sonorità, ultramoderne e compattissime, passando per tutti i dieci brani, velocissimi e rapidi, suonati, registrati e prodotti a dovere e sempre votati alla massima carica esplosiva. Tanta adrenalina in appena 32 minuti di durata totale. Dicevamo che la qualità è enorme, anche esagerata a volte, poiché il disco risulta tanto perfetto che sembra quasi irreale, patinato nel suo essere esplosivo, dinamico e perfetto. Al primo ascolto ci si rende subito conto di quanto tempo e passione ci abbiano messo a farlo, quanto sudore e quanta dedizione ai particolari, cominciando dalla copertina fumettistica veramente azzeccata. Brani come l'iniziale "Whiskey Beer Anthem", "Killer Song", "Hunger" e "Old World Blues" ti prendono veramente per i connotati e ti trascinano verso un mondo di selvaggia, ruvida e polverosa libertà. Un'ottima colonna sonora per un raduno di bikers, con fiumi di birra e caos, attraverso un disco di moderno rock /metal pesante, fatto per scatenarsi e lasciarsi alle spalle tutti i problemi. Dopo tre EP, finalmente uno splendido esordio sulla lunga distanza, 'Hateful 10', un vero e proprio tornado di adrenalina pura! Seguiteli ne vale la pena! (Bob Stoner)

lunedì 27 novembre 2017

Stolen Memories - Paradox

#PER CHI AMA: Heavy Progressive
'Paradox' è il terzo album in studio per i francesi Stolen Memories, che avevano esordito nel 2010 col disco 'The Strange Order'. Con una formazione di insolito power-trio, privo di bassista, la band di Villeurbanne si ripropone con questo nuovo lavoro in chiave prog metal. A farla da padrone fin dalle prime note di quest’album è la notevolissima abilità tecnica del chitarrista/polistrumentista Baptiste Brun, colonna portante della band insieme al fratello batterista Antoine, nonché autore della quasi totalità delle composizioni. La mancanza delle basse frequenze in pianta stabile è ampiamente sopperita dai movimenti chitarristici che vanno a creare un solido muro sonoro adagiato sulle variabili ritmiche della cassa. In diversi pezzi infatti, cito ad esempio “Exile”, non fa nemmeno ricorso alla quattro corde, seppur in “Obedience” sia presente un bell’intro iniziale basato su una pregevole linea di basso che caratterizza il brano. Solitamente appunto è sufficiente il carattere totalitario assunto dagli assoli e dai fraseggi chitarristici che sostengono ogni brano, come ad esempio in “The Badge” o “Constant Liar”. All’andamento progressivo predominante dell’album si affianca poi una buona dose di sfumature epico-melodiche, grazie anche alla presenza di diverse parti di synth ed effettistica varia, che stabiliscono valide armonie sotto gli assoli del buon Baptiste (davvero notevole quello della già citata "Constant Liar"). A mio avviso però la pecca più evidente dell’album va ricercata nelle liriche poco particolari e le associate linee vocali, forse un po’ troppo “deboli” per lo spirito complessivo del disco. Tuttavia, è notevole l’impatto dei musicisti: tecnica da vendere e belle composizioni, con una certa complessità ritmica. Da tenere sotto controllo. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

domenica 26 novembre 2017

The Pit Tips

Francesco Scarci

Enslaved - E
Damnation Defaced - Invader From Beyond
Machines of Man - Dreamstates

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Michele Montanari

Puta Volcano - Harmony of Spheres
Rudhen - Di(o)scuro
Atomic Mold - Atomic Mold Split

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Five_Nails

Drudkh/ Paysage d'Hiver - Somewhere Sadness Wanders/ Schnee IV
Amon Amarth - Jomsviking
Inverted Serenity - As Spectres Wither

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Felix Günther

Armoured Angel - Mysterium
Terrifier - Weapons of Thrash Destruction
Krossfyre - Burning Torches

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Alejandro "Morgoth" Valenzuela

Xanthochroid - Of Erthe and Axen Act II
Thy Primordial - The Heresy of an Age of Reason
Blaenavon - That's Your Lot

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Felix Sale

Mass Hypnosia - Toxiferous Cyanide
Exitus - Black Rot n' Roll
Terrifier - Weapons of Thrash Destruction
 

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Alain González Artola

JoDöden – Sittandes I Sjön Med Vatten Över Huvudet
Dusius - Memory of a Man
Crafteon - Cosmic Reaqakening

sabato 25 novembre 2017

Smokehead - From the Abyss

#PER CHI AMA: Alternative/Hard Rock/Stoner, Nickelback
Cannes, Costa Azzurra, un bel posto dove rilassarsi, magari su uno yacht, con un bicchiere di champagne in mano, cosi come ci mostrano i nostri nel video promozionale sul loro sito. Sparato a tutto voluto poi, l'album di questa compagine originaria proprio di quelle zone. Gli Smokehead rilasciano questo ruffianissimo album, 'From the Abyss', che strizza entrambi gli occhi a band ben più famose, e sto pensando a Nickelback e Foo Fighters, e con queste 14 tracce ci lanciano all'ascolto di un lavoro di corposo rock in grado di farci compagnia per oltre 50 minuti di sonorità che trovano modo di evocare anche un che dei A Perfect Circle (la prima parte di "Crave") e comunque farci muovere con brani grondanti melodia, carichi a manetta di groove e cori super catchy. E dire che l'intro oscura del cd mi aveva fatto pensare a ben altro e invece quando "The Dakota Fire Hole" s'infila nel mio stereo, ecco che chiudo gli occhi e sbatto la testa al ritmo infuocato della musica dei nostri, che peraltro a fine brano, troverà modo di incupire la propria proposta. Si prosegue col rifferama ritmato della già citata "Crave" e con la più morbida (pure troppo) "Fire", che trova fortunatamente modo di raddrizzare il tiro nel corso dei suoi oltre quattro minuti, per proiettarsi poi nella più arrembante e convincente "Black & White". "Would You Wait for Me" è un pezzo che mi intriga più che altro per le sue sonorità cupe, mentre ecco che "Riviera" è una song solare, stracolma di groove e da mood decisamente godereccio, il cui refrain melodico si stamperà obbligatoriamente nelle vostre teste. "Home" è un po' più ordinaria e piatta, ma per farci tornare a saltare, ecco servita "Contamined", una sorta di cocktail di gamberetti in salsa acida, con tanto di chorus robusti che inaspriscono la proposta del quartetto di Cannes. Si va avanti velocissimi, complici le durate sui 3-4 minuti dei brani, con "Let Me Down", un pezzo che combina rabbia, dolcezza, suoni potenti ed una buona dose di melodie accattivanti che introducono alla semi-ballad del disco, "Desire", brani immancabili in album di questo genere. Andiamo oltre o rischio un pericoloso eccesso di zuccheri. È il turno di "Crawling in the Night", pezzo oscuro anche da un punto di vista vocale che convince per il carattere tempestoso ed inquieto delle sue ritmiche. "Bleeding on the Dancefloor" mostra nuovamente influenze che chiamano in causa i Nickelback ma che comunque riesce a convincere per quel suo riff portante. A chiudere 'From the Abyss', ci pensa l'ultima "To the Abyss", un malinconico arpeggio acustico su cui si staglia la voce assai convincente del frontman che chiude con onore, questa prima prova dei francesi Smokehead. (Francesco Scarci)

(Self - 2017)
Voto: 70

Spectrale - ▲

#PER CHI AMA: Ambient Acustico
Da sempre il triangolo è simbolo della divinità, dell'armonia e delle proporzioni, ma esso rappresenta dal punto di vista esoterico, anche mente, corpo e spirito che devono essere equilibrati in tutte le loro parti per ricongiungersi in un nuovo essere o Super Io. E ora quel triangolo diviene anche il titolo del side project di Jeff Grimal, chitarra e voce dei The Great Old Ones, che con i suoi Spectrale, in compagnia di Jean-Baptiste Poujol, Léo Isnard e Raphael Verguin, dà libero sfogo alle proprie celestiali elucubrazioni, che già lo scorso anno avevamo avuto modo di apprezzare nello split in compagnia di Heir e In Cauda Venenum. Nove le tracce a disposizione dei nostri che da "Andromede" a "Retour Sur Terre", ci accompagneranno attraverso un'esperienza eterea che col metal non ha davvero nulla a che fare. La musica dei Spectrale è infatti acustica, esoterica, quasi interamente strumentale e si muove attraverso sinuose melodie che avvolgono l'ascoltatore con il delicato tepore di una chitarra o il caldo e magico suono di un violoncello imbizzarrito che somiglia al battito d'ali di un calabrone pronto a pungere. Difficile identificare un brano piuttosto che un altro, '▲' va gustato tutto d'un fiato per poter godere della meditativa proposta del combo transalpino. Introspettivi, misteriosi, esoterici, gli Spectrale ci regalano la loro forma d'arte da assimilare a livello organico, un viaggio in terre lontane, mediterranee, forse mediorientali, più probabilmente indiane o addirittura dell'estremo oriente. Un viaggio sulla via della seta che sublima i sensi, inganna la mente e riempie l'anima. (Francesco Scarci)

(Les Acteurs De l'Ombre Productions - 2017)
Voto: 80

Interview with ghUSa


An interesting chat with one of the oldest death metal bands in Europe, ghUSa. You can find the details below:

JoDöden – Sittandes I Sjön Med Vatten Över Huvudet

#FOR FANS OF: Black/Folk, early Ulver, Burzum
It’s pretty usual that metal musicians, who take part in several bands, tend to release solo albums just to make some music based on their different influences or musical roots. This is the case with JoDöden’s debut 'Sittandes I Sjön Med Vatten Över Huvudet', which I must mention, it’s a quite funny album title (a rough translation would be “seated in the lake with water over the head”). JoDöden, the mastermind behind this homonymous project, is already known in the black metal scene due to his main projects. Whirling is a band which combines black metal with avant-garde influences, while Sorgeldom was founded by the Swedish mastermind as an acoustic project. Later the project evolved to black metal, becoming a full band with the addition of several members. 

Taking into account the aforementioned musical background and after having listened to the album, I come to the logic conclusion that he has somehow returned to his roots with this solo album. 'Sittandes…' is a nature themed album and specifically a Nordic nature based work. Those beautiful coastal northern towns and extensive forests have served as a spiritual inspiration för JoDöden, whose music tries to evoke the vast and cold essence of northern Sweden. The album has an organic sound, far from those ultra-polished modern works, which in my opinion suits perfectly well the music. As far as I know, these songs have been recorded in different places, moments and even different moods. This explains the heterogeneous sound of these tracks, which initially can be confusing. A good example is the difference in the production between the opener track, “Aprilvädret”, and the more blackish track “Bottenlös”, which comes immediately after the first song. This song has a quite filthy production in comparison. Both tracks are also a good example of what we can find in this work. Stylistically, the album is mainly instrumental, with a great role for the acoustic guitars (like in the first track), while the second one is an example of how JoDöden tries to introduce some of his black metal and avant-garde influences. Anyway, as I have already mentioned, the acoustic sections are quite common and they are usually mainly instrumental. In that aspect, this album reminds me at times Wongraven or even the most acoustic tracks by Ulver. The very few “blackish” sections sound a little bit out of place, although I find them interesting. This is mainly because they add an extra point of variety, which is something this album really needs. The long and sometimes tedious acoustic tracks are, from time to time, broken by slightly avant-garde influenced compositions, which make this album a weird beast. 

In conclusion, JoDöden’s debut solo album is a strange folk album. It combines a nature themed folk with some avant-garde influences and minor black metal sections. It’s mainly instrumental and repetitious style makes it a difficult listen if you don´t usually listen to this sort of stuff. Unsurprisingly, he covers a Burzum track, a band which is well-known for not having very varied tracks. As it happens with Varg’s stuff, JoDöden is a project you really need “feel” in order to really appreciate his music. (Alain González Artola)

(Nordvis Produktions - 2017)
Score: 50

Void Generator - Prodromi

#PER CHI AMA: Psych/Stoner/Krautrock
I prodromi sono delle avvisaglie, dei fenomeni che costituiscono un segno premonitore; mi piace come parola e la trovo azzeccatissima per essere il titolo della quarta fatica dei Void Generator, band nostrana che conferma il buon stato di forma della scena psych-stoner italica e che verosimilmente preannuncia la crescita esponenziale di un movimento musicale sempre più in fermento nel nostro paese. Il disco include quattro song monumentali, di cui solo la prima non sfiora il quarto d'ora, ma si assesta su un più umano sette minuti di durata, il cui sound anticipa il carattere quasi da jam session di questo 'Prodromi'. La song in apertura, "40 Kiloparsecs", mostra immediatamente il carattere cosmico psichedelico del disco, con suoni che sembrano provenire dallo spazio profondo e una musica che potrebbe essere l'ideale colonna sonora per un viaggio intergalattico, con i suoi riverberi, i rumori e le voci rarefatte in sottofondo, ove pulsano anche un basso propulsivo e un drumming serrato, pronti a fiondarci nell'iperspazio. Cosi si entra in quello spazio avente un numero di dimensioni geometriche superiore a tre, perdendo i sensi in "Sleeping Waves", un brano che ci culla nella spedizione interstellare attraverso un wormhole che ci porta in quadranti diversi della nostra Galassia a saggiare suoni e colori di mondi alieni e sconosciuti, che fatichiamo probabilmente a comprendere, ma che evocano vibrazioni, sentori, pulsazioni, elucubrazioni, sperimentazioni che in passato sulla Terra, hanno appartenuto a band come Pink Floyd o alle improvvisazioni cosmico-minimaliste dei Tangerine Dream. Difficile spiegarvi come il disco dei Void Generator riesca ad evolvere nelle successive song, se non sono ben chiare nella vostra mente le origini di un genere, etichettato semplicisticamente come space-krautrock. Dovete aprire le vostre menti, prepararvi ad un incontro con suoni non convenzionali, perché raggiunto l'altro capo della Galassia, sarà impossibile far ritorno sulla Terra, a meno che non si entri in un tesseract, ove modificare il tempo e lo spazio per tornare a ritroso attraverso il tunnel spaziale, sperimentando la ridondanza di suoni che martellano il cervello e ci spingono fino all'ultimo baluardo da superare prima del collasso definitivo all'interno del buco nero generato dal suono dei Void Generator. Tutto più chiaro ora? Se non lo fosse, cosi come credo, sappiate che le elucubrazioni di questa recensione, sono il frutto dell'ascolto ad elevato volume di questo lisergico disco; provare per credere. (Francesco Scarci)

(Phonosphera Records - 2017)
Voto: 85

mercoledì 22 novembre 2017

Echolot - Volva

#PER CHI AMA: Psych/Stoner
Gli Echolot sono un trio stoner/psychedelic rock nato a Basilea nel 2014 e già al secondo album, 'Volva' appunto, prodotto dalla label Czar Of Revelations. L'artwork mostra una grafica molto accattivante che racchiude un profondo significato, alla base dell'album stesso. Come gli stessi Echolot hanno dichiarato qualche tempo fa durante un'intervista, 'Volva' in latino significa conchiglia o involucro. I testi dell'album e la musica stessa affrontano questo concetto a livello sociale, dove l'uomo ha sviluppano una propria corazza che si adatta per interagire con gli altri, ma allo stesso tempo è alla ricerca di un'indipendenza da essa per evolvere e crescere indipendentemente da questo guscio. Tutto questo è rappresentato dalla copertina dell'album appunto, dove il piede del scarafaggio acquatico Dytiscus è stato fotografato tramite un microscopio a scansione laser per mostrare le ventose che gli permettono di camminare sott'acqua. Un esempio di come il nostro guscio sia uno strumento importante per interagire con il mondo. Dopo questa divagazione scientifica, che comunque ci introduce accuratamente nel mondo degli Echolot, cominciamo a parlare della loro musica. I brani sono quattro e prima ancora di insorgere e gettare nelle fiamme questo 'Volva' classificandolo come EP, vi informo che in media essi durano tredici minuti, quindi prendiamo un profondo respiro ed lasciamoci trasportare dalla musica dei nostri. Le atmosfere dilatate sono forgiate dalla classica formazione rock, ovvero chitarra-basso-batteria con alcuni excursus vocali. I suoni sono prettamente vintage, usciti direttamente dai '70s con chitarre distorte ricche di fuzz e un caldo velo analogico che avvolge il tutto. "II" ci catapulta direttamente in uno spazio-tempo informe, dove riff di chitarra riecheggiano lontani, il basso pulsa come una battito ancestrale e la batteria sostiene la trama e la sua evoluzione strutturale. La voce ricorda antichi canti sepolti dall'incedere del tempo, ma che riemergono potenti quando stimolano il nostro subconscio primitivo e pagano. La band riesce ad alternare sapientemente passaggi doom e psichedelici, come in "III", un vero e proprio percorso sensoriale che appaga l'ascoltatore guidandolo in una progressione che passa dalla calma iniziale all'esplosione della parte centrale. Tutto sembra condotto dalla chitarra e dai suoi riff, in realtà la struttura è più complessa, non mancano sezioni drone/ambient come l'inizio di "V", dove suoni indefiniti accompagnano la sezione ritmica. In seguito trovano spazio anche alcuni inserimenti noise concepiti da chissà quale sintetizzatore o simili. Colour Haze, Mars Red Sky e Samsara Blues Experiment sono le prime somiglianze che mi vengono in mente pensando a gruppi attuali, ma basta guardare un po' più indietro per sentire Hawkwind, Pink Floyd e Black Sabbath. Un trip classico, sicuramente niente di nuovo sul fronte svizzero, ma cavolo, questi ragazzi ci sanno fare veramente. Un album ricco di atmosfera, musicalità e solidi arrangiamenti, che non ci fan rimpiangere di esserci persi i veri anni '70s, tanto ci sono band valide come gli Echolot che ce li fanno rivivere oggi. (Michele Montanari)

(Czar of Revelations - 2017)
Voto: 75

https://darkseacreature.bandcamp.com/album/volva