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venerdì 25 marzo 2016

Ennui - Falsvs Anno Domini

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Esoteric
Bene, ora posso confermare che ascoltare doom metal è un'arte e non una moda, il funeral doom è una filosofia e album come questo lo rendono credibile e condivisibile con un gran numero di palati fini e persone che considerano la musica un grande mezzo di divulgazione di idee e libertà. Gli Ennui sono georgiani e suonano funeral doom, intriso nel lisergico suono della psichedelia, cosparso di sentori black metal dai tratti avanguardistici. Le chitarre sono taglienti, l'incedere del disco è sinistro e oscuro, tutti i brani sono enormi e colmi di pathos ancestrale e luciferino, una sorta di Avalon buio e deprimente, rifugio per anime perdute ma coscienti, che esiste in un mondo di dignità, onestà e umanità aldilà di quello che tv, giornali, politici e potenti di turno, ci vogliono far credere. Da sottolineare immediatamente la prova esagerata dei due chitarristi, Serge Shengelia e David Unsaved, che donano un sound all'intero lavoro di assoluta qualità. Un suono corposo, acido, tagliente e gelido, potente, arricchito di lunghi tappeti di tastiere epiche e di una batteria ossessiva (Daniel Neagoc basso, batteria ed anche dietro al banco mixer), ultra tecnica, dal taglio molto black metal che divaga spesso in tempi atipici per il genere, creando un effetto contrasto con la musica, astratto e variegato, un tantino troppo black forse ma di sicuro interesse artistico. Bello l'artwork e tutta la lista di collaborazioni importanti che vanta membri di Esoteric, Evoken, Colosseum, Comatose Vigil. Uscito per la Solitude Productions nel 2015, 'Falsvs Anno Domini' è un lavoro carico d'infinito, fatto da persone molto preparate e puntigliose, musicisti innamorati del genere, compositori d'alto rango. Ottanta minuti circa di musica urticante, riflessiva e penetrante, un cd saturo di suoni metal estremizzati e devoti al doom più oltranzista. Per finire, le composizioni personalissime e intelligenti, non annoiano l'ascoltatore e lo accompagnano intense in un lungo viaggio emotivo ed estremo per cui come esempio segnalo il terzo brano in scaletta, "The Stones of the Timeless", che mette in risalto una band con tante cose da dire e ancora molte idee in cantiere per il futuro. Una bella prova di carattere e come viene descritto nella pagina bandcamp della band... "È come uno sputo in faccia a tutti i disgregatori miserabili e falsi pretendenti che guidano il nostro mondo verso il collasso". Adorabili, taglienti, pericolosi. (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 90

Evenline - Dear Morpheus

#PER CHI AMA: Alternative/Nu Metal, System of a Down, Alter Bridge
L’invocazione all’onirico è chiara nel nome del disco ma in realtà, oltre ai sogni, gli Evenline hanno una forte componente emozionale che è descritta in modo lucido, teatrale ed espressivo. La formazione parigina è composta da quattro elementi, voce chitarra basso e batteria, in attività dal 2009 e con alle spalle l’autoprodotto EP del 2010, 'The Coming of Life'. 'Dear Morpheus' esce nel 2014 ma quello che ascoltiamo oggi è la versione Deluxe che presenta, oltre ad un cd aggiuntivo, una copertina nera con un simbolo simmetrico dal sapore vagamente esoterico, che alla vista risulta elegante ed essenziale. La stessa cosa non si può dire a proposito della cover originale nella quale vi era un richiamo alla stanza, del film Matrix, ove Morpheus offre a Neo la scelta tra rimanere addormentato e venir catapultato in una realtà che molto probabilmente non sarà di suo gusto. Ora se il riferimento è effettivamente al film, è un buono spunto per chiedersi che pillola sceglieremo noi se ci venisse offerta la cover originale che somiglia piuttosto allo studio di un telegiornale. Ma ora è il momento di affidarsi totalmente al tasto play e lasciar andare i sensi. La musica inizia con il suono di un carosello antico, riesco quasi a vedere la ballerina giocattolo senza un occhio e con la gonna mezza staccata che gira mestamente. D'un tratto un assalto crossover mi risveglia dal sogno e mi trasporta all’esasperato e toccante ritornello di “Misunderstood”. A sentire le chitarre mi vengono in mente i Korn e i System of a Down, suoni propri del nu metal che contrastano in modo piacevole con le linee vocali di Arnaud, anche se spesso le melodie si avvicinano più alle linee degli Alter Bridge e Staind. Da sentire almeno una volta è la title track dove Arnaud dà prova della malinconica e decadente espressività della sue linee vocali. L’apice del brano tuttavia è raggiunto nella disperata invocazione di un qualcosa che sia in grado di liberare l’anima dal dolore, concretizzato nel verso “Purge my soul from this growing pain”. Questa breve parentesi tocca alte vette di piacere, una mitragliata di fango, liberatoria come nessun'altra nel disco. Il brano fa riferimenti alla natura e in particolare all'acqua ma anche ai ricordi, si percepisce un’aria di melanconia cupa e romantica, forse il sentimento che ha dato origine e che più è descritto in 'Dear Morpheus'. I testi sono una parte importante dell'opera che denota una forte predisposizione al cantautorato, con la voce chiara e molto presente per l'intera lunghezza del disco. Le immagini che le parole ci regalano sono eterogenee e non sempre collegate tra loro. A volte si sente che la lingua utilizzata nel cd non corrisponde a quella con cui sono stati pensati i testi: lo si può intuire dalla sintassi e dalla pronuncia che, seppur molto buona, lascia trasparire la bandiera dei quattro musicisti transalpini. Veniamo ora al secondo cd di questa Deluxe Edition che reca il titolo 'In the Arms of Morpheus'. Si tratta di una raccolta di canzoni presenti nella versione studio ma qui suonate dal vivo in un set acustico. Il primo impatto è che i pezzi in questa dimensione trovino una forma che meglio si addice rispetto all’elettrica. I testi hanno modo di stendersi e rendere le immagini in essi contenute più libere di prendere forma nella mente dell’ascoltatore. In particolare la versione acustica di “Hard to Breathe” è quasi più riuscita della versione elettrica: si tratta di un blues diabolico con un ritornello cristallino e lucente, trademark a cui gli Evenline ci hanno abituato. Nel set acustico, anche il basso suonato in slap e la batteria leggermente più tappata rispetto all’elettrico, riescono a sostenere i pezzi in modo da conservare quella spinta rock che li ha generati, ma allo stesso tempo non vanno a invadere i testi e le melodie; qui l’equilibrio viene sicuramente raggiunto. La chiusura del disco è affidata a “Already Gone”, voce e piano, un commiato da accendino acceso, lacrime e cuore infranto. Pare che qualcuno sia stato lasciato e che non riesca ad accettare la vita senza la sua metà. Triste si, ma non mi faccio troppo coinvolgere dalla malinconia, sono sicuro che grazie a questo pezzo Arnaud non avrà nessun problema a trovare un'altra ragazza! (Matteo Baldi)

(Dooweet - 2015)
Voto: 75

The Pit Tips

Emanuele "Norum" Marchesoni

Rhapsody Of Fire - Into The Legend
Rhapsody Of Fire - The Cold Embrace Of Fear -
Sunpocrisy - Eyegasm Hallelujah

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Francesco Scarci

Oranssi Pazuzu - Valonielu
Earth's Yellow Sun - The Infernal Machine
Novembre - Wish I Could Dream it Again...

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Matteo Baldi

The Eagles - Greatest Hits
Brian Eno - Before and After Science
Porcupine Tree - Fear of a Blank Planet

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Bob Stoner

Ottone Pesante - S/t
Follow the White Rabbit - Endorphinia
Anekdoten - Until All the Ghosts are Gone

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Stefano Torregrossa

Truckfighters – Hidden Treasures of Fuzz
Earth’s Yellow Sun – The Infernal Machine
Les Claypool’s Duo De Twang – Four Foot Shack

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Jeremiah Johnson

Under the Church - Rabid Armegeddon
Thunderheart - Night of the Warriors
Nervosa - Victim of Yourself

giovedì 24 marzo 2016

Seventh Genocide - Breeze of Memories

#FOR FANS OF: Post-Black Metal, Deafhaven, Sunbather
This second release from the Italian post-black metal collection, offers a rather strong if somewhat lackluster approach to the genre that’s mainly undone by it’s severe brevity. Based on long-winded patterns of folkish acoustic work with black metal-styled tremolo riffing at it’s center, there’s a rather strong sense of light melodies and blazing, furious black metal featured here that’s overwhelmingly addictive as it goes along with the long-winded sections weaving plenty of swirling tremolo rhythms. There’s just the fact that this one is based on only four proper tracks with the instrumental outro and it really doesn’t leave much of a chance for any kind of impressions here when it easily could’ve supported another extra few tracks tacked on with nothing really upsetting the flow of the album doing that as it’s somewhat short-sighted by the few tracks here. The opening title track takes a long-winded acoustic guitar intro with a turn into raging, pounding drumming and swirling tremolo riff-work relentlessly marching through the straightforward and intense rhythms with a light folk final half for a nice opening impression. ‘Be’ features light acoustic patterns into furious pounding rhythms lead by utterly ferocious drumming with plenty of rattling tremolo riffing swirling around the lighter folk melodies in the final half for an engaging if somewhat lighter black metal offering. ‘Behind This Life’ uses a brief folk intro before blasting into the furious pounding drumming and swirling tremolo riff-work running through a fine series of alternating patterns that shifts nicely from black metal to folk with the extended acoustic finale for a decided highlight effort. ‘Summer Dusk’ opens with fine mid-tempo riffing and plodding drumming working a decidedly weaker tempo as the swirling tremolo riffing bubbling under the main rhythms leading throughout the main sections as the rambling, extended folk-led finale for a disappointing effort going for more black metal than a straight-mixture. Lastly, instrumental album-closer ‘Il Lampo’ works a light acoustic intro with pounding drum-work swirling through a series of melodic buzzing tremolo patterns with plenty of rumbling drumming that settles on fine mid-tempo pounding alongside the folk elements through the final half for a decent enough finishing note. Overall, though this release still feels a track or two short of what it could’ve really been. (Don Anelli)

(Naked Lunch Records - 2015)
Score: 75

martedì 22 marzo 2016

Lutece - From Glory Towards Void

#PER CHI AMA: Swedish Black, Marduk, Dissection
Parigi, Francia. 2016. Le tenebre calano sulla capitale e il loro volto è impersonificato dai Lutece, act transalpino attivo già da un paio di lustri e con tre album pubblicati, di cui 'From Glory Towards Void' rappresenta la loro ultima produzione. Il nuovo album continua in linea con i precedenti lavori, offrendo un black dalle ritmiche serrate ("Let the Carnyx Sound Again"), ma anche dagli ampi respiri atmosferici ("Melted Flesh"), in cui continua a mantenersi forte una certa componente epicheggiante che rende il lavoro più accessibile del previsto, pur proponendo un genere estremo. Merito sicuramente delle chitarre, che mostrano un approccio che definirei heavy, anche se la ritmica si presenta comunque tirata e pesante, complice un roboante basso e un drumming che viaggia a velocità supersoniche con blast beat schizoidi, su cui si staglia lo screaming assai arcigno di Hesgaroth. Ma il riffing si conferma sempre e comunque melodico ("The Venom Within" e "Architects of Doom"), nella sua alternanza tra sfuriate black in stile scandinavo (Sarcasm e Dissection sono ben udibili anche nella title track) e ritmiche mid-tempo. Fatto salvo per qualche passaggio a vuoto ("Labyrinth of Souls"), in cui i nostri provano a ripescare i primordiali suoni dei Samael, 'From Glory Towards Void' alla fine è un album che si lascia ascoltare dall'inizio alla fine, pur non proponendo nulla di cosi innovativo. Quel che è rimane chiaro per l'intera durata del disco è che il quintetto transalpino non si lascia certo pregare quando c'è da inferire con riff che assomigliano più a colpi di rasoio ben assestati a livello della giugulare che semplice plettrate sulla sei corde; ne sono un esempio la ficcante "The Last Standing Flag" o la debordante "Living My Funeral". Tuttavia, dovendo esprimere la mia personale opinione, posso dire che preferisco la versione mid-tempo dei nostri, ossia quei momenti più ragionati in cui l'ensemble sembra aver più chiaro cosa fare e cosa dire (splendida a tal proposito "The Dance of Rolling Heads"), anche se le cavalcate black, in stile Marduk, non sono certo disprezzabili, anzi. Insomma per concludere, ho come l'impressione che questo terzo disco dei Lutece possa rappresentare un lavoro di transizione che conduca i nostri verso l'Olimpo del black metal di matrice svedese. Avanti cosi. (Francesco Scarci)

Lazenby - S/t

#PER CHI AMA: Pop Rock
Ascoltare il disco dei Lazenby (il cui nome richiama l'attore George Lazenby, che vestì i panni di James Bond nel 1969) ti riporta alla dimensione paesana della musica: una festa di fine estate con una band di amici che si esibisce sul palco. Claudio, Roberto, Mauro e Massimiliano sono un quartetto che si divide tra Varese e Lugano, che propone un mix musicale fatto di sonorità pop (guidate dalle tastiere di Roberto) e cantautorato italiano (trainato dalla voce e dagli ottimi testi di Mauro). La band raccoglie in questo EP omonimo, sei pezzi estratti da un notevole serbatoio di brani già scritti (sembrerebbero addirittura una settantina). I Lazenby si presentano come degli ottimi esecutori ma, purtroppo, ad un'analisi più approfondita, non aggiungono nulla a quello che tanti, prima di loro, hanno già cantato e suonato. Più volte durante l’ascolto dei brani infatti, ho avuto l’impressione di aver già sentito quella canzone, che rimandasse a qualcosa di già ascoltato. La voce di Mauro in alcuni brani viene a mancare e non si fonde a pieno con la musica come, a mio parere, dovrebbe fare. Non sto dicendo che questo sia un brutto disco, ma che forse non lasci molto nella testa di chi ascolta. I brani si succedono in sequenza, senza prevalere l’uno su l’altro: una nota di merito va sicuramente alla bluesaggiante "Dove Finisce la Ferrovia" e all’arpeggio di "Ottobre", ultima traccia dell’album, ove per un attimo si spera in un guizzo finale, che ahimè tarda ad arrivare. Un peccato perché a mio avviso, le potenzialità ci sono tutte e dal vivo probabilmente, i nostri potrebbero davvero sorprendere. (Daria Burla & Francesco Scarci)

Parqks - S/t

#PER CHI AMA: Shoegaze/Post Rock
I francesi Parqks sono un trio nato nel 2010, originario di Limoges. Dopo il demo del 2012 (peraltro suonato interamente live), i nostri hanno prodotto la loro opera prima nel 2015, questo 'Slow Ascent Melancholia'. Si tratta di un album strumentale contenente sette tracce che mescolano eteree melodie shoegaze ("Siberia") ad aperture post rock più robuste ("Nubla 93") che sfociano spesso e volentieri, in tappeti sonori distorti ("Shade Is A Light That Faded"). Con "Say Goodbye & Goodnight" invece, a farla da padrone sono flebili attimi di pura malinconica atmosfera, che ha il merito di allentare l'atroce scandire del tempo. Non sempre è scontato trovare in canzoni strumentali una struttura che preveda strofa e ritornello, tuttavia il terzetto transalpino ci riesce degnamente nella opener "The Evening Was Cold But We Felt Warm Inside", ove la mancanza del cantato scompare di fronte a una composizione di questo tipo. In questo caso, le vocals sarebbero addirittura di troppo, grazie all'utilizzo di due chitarre e una batteria, e al fatto che la band non disdegni neppure l'uso di synth, come l'MS20 della Korg, per farsi accompagnare con pad e vari soundscapes. Direi proprio una scelta azzeccata vista la qualità timbrica dei suoni prodotti. Personalmente auspico che i Parqks continuino nella loro evoluzione sonora per poter imboccare nuove strade di sperimentazione sonica. Ho l'impressione infatti che si divertirebbero molto e i loro fans con loro. (Alessio Perro)

(Self - 2015)
Voto: 70

https://parqks.bandcamp.com/

domenica 20 marzo 2016

Hyling - Decimate The Human Race

#PER CHI AMA: Black Scandinavo, Mayhem, Dark Funeral
Il verso della civetta, i suoni e i rumori del bosco nella notte, aprono l'oscuro viaggio degli Hyling (e altri ci accompagneranno tra un pezzo e l'altro) in quello che è il terzo lavoro in 15 anni per l'act veronese. 'Decimate the Human Race' è un disco che se fosse stato partorito in Svezia, sarebbe balzato agli onori della cronaca metal come una bomba in ambito black. Essendo stato concepito invece in quel della città di "Giulietta e Romeo", mi sembra sia passato un po' più in sordina, sebbene sia stato decantato da diversi web magazine. Non posso far altro che accodarmi a quanto scritto dai colleghi e dire che gli otto pezzi qui contenuti, possono rappresentare un buon viatico per i nostri verso una maggiore visibilità internazionale. Nel frattempo ascoltando il disco, vorrei soffermarmi su alcune caratteristiche vincenti di questo 'Decimate the Human Race', i cui contenuti lirici ci conducono all'oscuro decadentismo in cui è sprofondata la razza umana: innanzitutto, partirei dall'ottima prova vocale di Patrik Carlsson, vocalist degli svedesi Anachronaeon. Per lui una timbrica a metà strada tra Attila Csihar e Emperor Magus Caligula (ex frontman dei Dark Funeral), che ben si amalgama con la proposta estrema degli Hyling. Secondo punto di interesse è la presenza dietro le pelli di Enrico "Il Rosso", preso in prestito dai Riul Doamnei, uno che quando c'è da picchiare in modo violento ed ultra tecnico, non si tira certo indietro. Tra i punti di forza aggiungerei poi quel riffing acuminato di matrice scandinava che sicuramente riuscirà a metter d'accordo i fan di Mayhem, Unanimated, Immortal, Darkthrone, Marduk, Dark Funeral, Sarcasm, Gorgoroth, Dissection e Setherial, tanto per confinare a qualche nome della scena, l'ambito in cui i nostri si muovono. Per concludere, non sottovalutate neppure i contenuti lirici del disco, evitando di soffermarvi in modo superficiale al titolo provocatorio del platter. Detto questo, lasciatevi incantare dalla dinamica ferocia del combo veneto, per cui vi consiglierei l'ascolto della sinistra title track, e di "Moon", la song posta in apertura, che palesemente rievoca quel masterpiece che è 'De Mysteriis Dom Sathanas'. Suoni raggelanti, cambi di tempo che imperversano lungo l'intero lavoro, melodie sghembe e una dose di violenza con pochi eguali (che avvicina peraltro 'Decimate the Human Race' anche al death metal), completano il quadro di un disco ambizioso, che ha ancora modo di mostrare alcune interessanti soluzioni nell'acustica strumentale di "Quiet Waters" e nella conclusiva ed epica "Dust", che in questo caso sembra addirittura evocare 'Blood, Fire, Death' degli immensi Bathory. Per favore, ora non fermatevi! (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 75

sabato 19 marzo 2016

Womb - Deception Through Your Lies

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi My Dying Bride, Saturnus
Se mi sembrava strano che il funeral doom imperversasse in Brasile con gli HellLight, altrettanto strano mi suona che gli andalusi Womb si facciano portavoce di un death doom atmosferico. Diavolo, in quelle terre dove il sole splende alto nel cielo, che bisogno c'è di deprimersi con atmosfere di siffatta decadenza. Supportati dalla onnipresente Solitude Productions (sempre più in simbiosi con la Hypnotic Dirge Records), questo quartetto, tra le cui fila militano membri o ex di Winterstorm e Shattered Sigh, si abbandona ad un acerbo concentrato di sonorità doom che poco hanno da aggiungere a quanto già affolla la scena oggigiorno. Non posso negare che le melodie di "Echoes of Our Scars" non siano gradevoli, però trovo che la produzione scarna e scarsa, ne penalizzi non poco il risultato finale. Ovviamente, gli ingredienti del genere ci sono tutti: riff lenti e ossessivi, atmosfere cupe e apocalittiche, qualche accelerazione di matrice death e infine le immancabili funeste voci growl, che rappresentano il secondo punto di debolezza (forse ancor più grave della produzione) di questo 'Deception Through Your Lies' per cui lo relegano ad album per soli amanti del circuito funeral doom underground. Insomma, qui c'è spazio per crescere, non basta prendere i soliti punti di riferimento, Saturnus o i primi My Dying Bride, tanto per citarne un paio che ho percepito nella malinconica "March", per confezionare un album che possa puntare a chissà quali traguardi. 'Deception Through Your Lies' è sicuramente un lavoro onesto che però poco di innovativo ha da dire. Una maggiore cura nei dettagli a livello dei suoni con un vocalist un po' meno "cavernicolo" e qualcosa di meglio sarebbe sicuramente emerso dalle note di queste cinque tracce. Per ora rimandati, ma non perdete la fiducia mi raccomando. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions/Hypnotic Dirge Records - 2015)
Voto: 55

https://hypnoticdirgerecords.bandcamp.com/album/deception-through-your-lies

Atom Made Earth - Morning Glory

#PER CHI AMA: Prog/Post Rock/Stoner, Mono, Mogwai, Pink Floyd
Difficile catalogare il quartetto marchigiano degli Atom Made Earth, una delle realtà più eclettiche e originali che abbia sentito ultimamente. Nel loro lavoro (il primo studio album, dopo un live del 2014) c’è davvero di tutto: c’è la psichedelia spaziale dei Pink Floyd mescolata alle cavalcate stoner degli Sleep ("Thin"), c’è il prog-rock contemporaneo di "Reed", dove si respirano echi di Porcupine Tree e Rush, c’è lo stoner-rock anni 2000 stile June of 44 e Brant Bjork & The Operators ("Baby Blue Honey"). Su lunghe parti strumentali uscite dritte dritte da qualche b-side dei Black Sabbath si aprono all’improvviso parentesi dispari di ispirazione King Crimson e lunghe suite settantiane di hammond ("StaC", vero capolavoro del disco); e poi, qua e là, si trovano anche gemme di kraut-rock, sperimentazioni ambient, azzardi sonori e spolverate di jazz. Gli Atom Made Earth suonano tutto, e molto bene: le chitarre passano da suoni acustici crepuscolari a distorsioni pungenti, da wah-wah funkeggianti a misurati delay; le tastiere sfruttano a pieno elettronica, organi, pianoforti e sintetizzatori. Basso e batteria non sbagliano mai, prediligendo sonorità più naturali, grande dinamica e partiture mai banali. La produzione è forse un po’ troppo asciutta e concentrata e – nonostante il gran lavoro di James Plotkin e Gianni Manariti – avrebbe forse goduto di un po’ più apertura, anche a discapito della pulizia generale che, bisogna ammetterlo, mantiene chiara e godibile ogni singola nota suonata. Il vero difetto degli Atom Made Earth è però la sottile sensazione di manierismo che pervade il lavoro: se alcuni accostamenti di generi funzionano alla grande, altri sono studiati un po’ troppo a tavolino e risultano freddi e forzati. Le pur sopraffine tecnica e creatività compositiva dei musicisti, in alcuni casi, sono controproducenti e 'Morning Glory', qua e là, perde di spontaneità e risulta solo un artificiale esercizio di stile imitativo. (Stefano Torregrossa)

(Red Sound Records - 2016)
Voto: 65

https://atomadearth.bandcamp.com/album/morning-glory

Witte Wieven - Silhouettes Of An Imprisoned Mind

#PER CHI AMA: Black Atmosferico
Provenienti da Tilburg in Olanda, i Witte Wieven (che sta per "donne sagge") sono un duo formato da Sarban (batteria) e Carmen (voce, chitarra e basso), dediti a un black metal d'atmosfera, tinto comunque di influenze cascadiane e post black. Lo si evince immediatamente dall'opener track, "Ruin", un'autentica galoppata di suoni post black, in cui le uniche voci sono lasciate ai sussuri soavi della brava Carmen che per certi versi richiama le produzioni più delicate di Myrkur. "Silhouettes of an Imprisoned Mind", la traccia che dà anche il titolo a questo mini cd (racchiuso in un digipack elegante dalla cover assai suggestiva che riprende 'Dancing Fairies' del pittore svedese August Malmström), continua nella sua opera di ritmiche serrate in pieno stile US, fino a quando la quiete non prende il sopravvento e come una ammaliante sirena, Carmen torna a proporre dei brevi sussurri in sottofondo. Non per molto a dire il vero, perchè la furia dilagante del duo orange, avrà modo di esplodere ancora in vibranti accelerazioni, lasciando la parola alla sola musica. Si arriva velocemente alla terza e ultima song di questo EP, che funge da apripista all'imminente album di debutto. "Faces of Unreality" si muove tra sinistre atmosfere, rallentamenti al limite del doom e sfuriate black, che lasciano soltanto intravedere le potenzialità che questo duo olandese possiede. Quindici minuti sono un po' pochi per capire cosa ci riserva il futuro, soprattutto se le tracce che verranno saranno completamente strumentali o se Carmen sarà in grado di offrire vocalizzi alla stregua della collega danese, leader dei Myrkur. A breve per nuovi aggiornamenti. (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 65

https://wittewieven.bandcamp.com/

mercoledì 16 marzo 2016

Colonnelli - Verrà la Morte e Avrà i Tuoi Occhi

#PER CHI AMA: Thrash/Heavy, IN.SI.DIA
Ho sempre sostenuto che in Italia ci siano tante realtà assai valide, che solo canali “alternativi” come questo del Pozzo, possono far venire a galla. In questo specifico caso, a dir poco strabiliante, abbiamo a che fare con un potentissimo trio toscano, di Grosseto per la precisione. I Colonnelli marchiano a fuoco la fine del 2015 e l'inizio del 2016 con questo album che si candida, senza troppi giri di parole, ad essere una delle più limpide dichiarazioni di manifesta superiorità in ambito metal degli ultimi anni. Ma andiamo con ordine: immaginate un tonante groove metal suonato da Dio, aggiungete un inedito (per il genere) cantato in italiano, unite una tonnellata di doppio pedale solidissimo e amalgamate il tutto con un riffing serrato e molto preciso. Fatto? Bene, miscelate tutto benissimo e assaporate il risultato: un disco gigantesco. Lungo i ripetuti ascolti non ho potuto trovare un punto debole che sia uno, anzi, ad ogni ascolto apprezzavo sempre di più il lavoro di Leo, Bernardo e Andrea (coadiuvati poi in registrazione da altri musicisti). 'Verrà la Morte e Avrà i Tuoi Occhi' è un entusiasmante mix heavy che richiama i Motorhead, finisce in braccio ai Misfits, per poi sfiorare da vicino il thrash metal più grooveggiante dei Kreator. Era dai tempi ormai lontani dei dischi dei monumentali IN.SI.DIA che non mi era più capitato di imbattermi in un lavoro così valido, peraltro cantato in italiano. Un piacere unico avere a che fare con questo lavoro, che può avvalersi anche di un ottimo suono, ideale per il tipo di sound proposto ma che personalmente avrei preferito un po' più “pulito”, senza dover per forza scadere nel troppo freddo e asettico. Il trittico iniziale è da pelle d'oca, una qualcosa di notevolissimo spessore: ”Il Boccone Amaro”, “Masticacuore” e la potentissima “Circo Massacro” spazzano via tutto quello che incontrano sul proprio cammino, come panzer in avanzamento perpetuo. Bastano solo questi tre pezzi per indurvi all'ascolto di questo massacro sonoro. Non c'è da aggiungere molto altro, perché altrimenti sarei troppo propenso a “distribuire” lodi sperticate che potrebbero risultare stucchevoli, non mi rimane pertanto altro che consigliarvi di procurarvi il disco quanto prima. Non ve ne pentirete assolutamente. Anzi, ve ne innamorerete all'istante. Giganti! (Claudio Catena)


((R)esisto Distribuzione - 2015)
Voto: 90