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giovedì 5 dicembre 2013

Sorgsenhet - Drachennebel

#PER CHI AMA: Black Epic, Windir, Abigor
Portati da un vento gelido boschivo ecco i Sorgsenhet, band germanica dedita ad un sorprendente black metal intarsiato di decori sinfonici e folkloristici. 'Drachennebel' è una demo siderale e melodica, il genere di musica adatta agli amanti dei Windir e degli Abigor e perché no, del black metal nella sua forma più fantasy. Logo e vesti grafiche sono molto belle soprattutto per quanto riguarda il dipinto della cover, copertina che però ad oggi deve ancora essere ufficializzata dalla band a causa delle alte spese per i diritti d’autore. Mi auguro che questi tre giovani bardi trovino presto un contratto con una casa discografica che ne agevoli il percorso in questo sempre più affollato marasma di band troppo spesso mediocri. I Sorgsenhet con questa breve demo di circa 22 minuti, riescono a riscaldare l’animo: dopo la breve e ventosa intro “Aufsturm”, si parte con “Spektralgang” canzone che mette subito in chiaro molte cose. Si sente che l’ispirazione di questa band è molteplice: i riff suonano malinconici, la voce è austera, la batteria elettronica è programmata egregiamente e non disturba l’ascolto, come spesso succede, anzi direi che la sua resa è veramente eccellente. Si passa alla terza “Sorgesång”, vero e proprio cuore del dischetto, più di 8 minuti di gloria, minuti che nascono con dolci accordi di piano e procedono monolitici fino ad un intermezzo di organo, preludio ad uno dei più malinconici riff mai sentiti. "Ustren", quarta e ultima song dimostra che i Sorgsenhet possono spingersi anche oltre, regalando all’ascoltatore una canzone meravigliosa con un riffing fatto di melodie impareggiabili, forse la traccia più evocativa di tutto il lotto. Una demo breve che oltre ad essere ben concepita, ha il pregio di vantare un suono convincente, old school, un suono unico perché non frutto di grossi studi di registrazione, il suono che piace a chi non ha mai smesso di credere al vero black metal, quello che vive ancora nelle profondità sepolcrali dell’underground. Il black metal che esce da questa release non è comune metallo, questo è pregiato metallo nanico che cola dalle fucine ancestrali dell’essere, per forgiare la spada magica dell’eroe, quello che presto o tardi brandirà la sua lama nella guerra contro i venduti. Benvenuti al bastione della resistenza! Hail Sorgsenhet! (Alessio Skogen Algiz)

Toxic Holocaust - Chemistry of Consciousness

#FOR FANS OF: Death/Thrash
Over the last decade we have seen a resurgence of old school thrash. With numerous bands trying to capture the sound of 80's metal. The likes of Municipal Waste, Havok, and Skeletonwitch have cemented themselves firmly in the retro thrash movement. However, of the many bands within the trash revival scene, none have gained more recognition than Portland, Oregon's Toxic Holocaust. 'Chemistry of Consciousness' the fifth full length from these thrashers is no more inspired, creative or enjoyable than the previous four. It is, however, just as boring as all its predecessors. I am amazed at the popularity and enthusiasm that Toxic Holocaust has managed to gain. There is nothing here that remotely interests me. As I listen through the twenty-nine minutes of speed induced thrash with a blacked vocal style, by minute ten I am just waiting for it to be over. I must push on though, to see if there is even one stand out track on this album that I can talk about. Alas, it's not there and I am left feeling unimpressed and unfulfilled. To mention one track on the album, the best song on 'Chemistry of Consciousness' is the opening track "Awaken the Serpent", because at 1:39 it's the shortest. I have not found much interest at all in this retro thrash movement, and aside from sci-fi progressive thrashers Vektor, I can't name one band worth my time. Even with that being said the most popular of these acts is also my least favorite. After five full length albums (five to many, I might add) I believe it's time for Toxic Holocaust to throw in the towel. The only positive that I can present to you here, is that I respect the energy and enthusiasm that Joel Grind has put into this project and the production is pretty good too. But all the energy and production in the world can't make up for poorly crafted songs. Unless you are a true revivalist, I recommend keeping your wallet in your pocket and moving on. (Brian Grebenz)

(Relapse Records - 2013)
Score: 40

http://toxicholocaust.bandcamp.com/

mercoledì 4 dicembre 2013

Putrefact - Of Those Who Were Deceased

#FOR FANS OF: Death metal old-school, Grave, Dismember, Unleashed, Morbid Angel
This two-track EP from Mexico’s Putrefact is a shining example of old-school death metal that has a lot of elements at work in the different underground sections of the genre. There’s elements of cavernous-sounding primitive Death, Swedish styled influences and even sections replete with doom influences though those are on the backburner, and normally, these are simple, primitive tracks all slung through those Swedish sounding riffs at various tempos, from straight-forward chugging to thrashing death metal or slow-paced doom offerings that keep the Swedish guitars rattling along nicely as it burns through its paces. You really can’t tell much about a band with such a small window of critique, though it definitely seems apparent the band is hungry, energetic and definitely willing to play around with the clichés, as the opener "We Were Deceased", tends to roll through far more up-beat tempos and thrashes more often than not, meshing really nicely with the simply massive, cavernous vocals that really give an aura of dirty, mucky howls corresponding to the guttural tone of the guitars. Second song, "II" is slightly more doom-oriented as it’s a little slower, contains far more spacious patterns and kicks up the energy rarely, which isn’t a shocker since more than half of it is taken up with an ambient noise outro. It’s hard to see where they’re going, but this definitely seems like a fine band to watch in the scene if they can give us a little more to handle on future releases. (Don Anelli)

(Pulverised Records - 2013)
Score: 65

http://www.facebook.com/putrefact

Euglena – Близость

#PER CHI AMA: Black Grind Post Hardcore
Se il vostro desiderio è di ascoltare una band epica come gli Enslaved ma potente e selvaggia come i The Chariot, urticante come i Converge e astratta come i Solstafir, ecco, qui troverete di che dissetarvi, anzi ubriacarvi con una tale pozione magica, ultra violenta, ultra oscura e ultra noise. I Brutal Truth in veste riflessiva che suonano imitando i Deathspell Omega e chi ne ha più ne metta di accostamenti impossibili per cercare di spiegare come questa band russa riesca a superare facilmente e senza traumi le barriere di generi estremi così, all'apparenza, diversi tra loro. Gli Euglena al loro terzo EP uscito per la Basement Apes Industries in questo 2013, riescono in appena cinque brani a fondere hardcore, black metal e grindcore con la stessa facilità e fluidità con cui ci apprestiamo a bere un bicchiere d'acqua. La forza espressiva di questo lavoro è davvero notevole, non si ha mai la certezza di cosa si stia ascoltando ma soprattutto, di qualsiasi cosa si tratti, il che è una cosa che incuriosisce e lascia ben appagati. Un sound dilaniato, estroverso, dissonante, ruvido e tenebroso, guidato da chitarre eccezionali e una bella voce al vetriolo, con rimandi ad ogni cambio, ai vari generi estremi. Possiamo definirlo un puzzle riuscitissimo di epico black noise post-core metal se così riassunto vi può aiutare nella comprensione di tale ordigno. La forza dell' hardcore generata dal ventre di una vergine di ferro nerissima, illuminata dalla luna del post-tutto. I demoni oscuri della vostra coscienza prenderanno vita da queste tracce e parleranno il linguaggio del suono più estremo, figlio del trapasso di tanti generi, non temete alla fine ne sarete entusiasti se riuscirete a sopravvivere. (Bob Stoner)

(Basement Apes Industries - 2013)
Voto: 70

https://www.facebook.com/euglena

martedì 3 dicembre 2013

Dawn of Tears - Act III: The Dying Eve

#PER CHI AMA: Swedish Death, Dark Tranquillity, Children of Bodom
La formazione spagnola non è certo l'ultima arrivata in ambito estremo, anche se certamente non è la più prolifica delle band. Attivi infatti fin dal 1999, con questo loro 'Act III: The Dying Eve' giun-gono finalmente al traguardo del secondo album (all'attivo anche un EP). Si tratta di un lavoro cer-tamente debitore delle sonorità dei mostri sacri del nord Europa, in testa Children of Bodom e primi Sentenced. Il lavoro consta di nove tracce che aprono con "A Cursed Heritage", song che a livello di melodie strizza decisamente l'occhio ai 'Bambini di Bodom' mentre a livello di rifferama, non posso non citare i Dark Tranquillity, per un risultato finale davvero apprezzabile. Certo, come spesso mi è capitato di scrivere, nulla di nuovo sotto il sole. "Present of Guilt" è una song più pacata che tra malinconiche melodie nordiche e leggeri influssi elettronici, mi conquista per la sua semplicità e fluidità. Di sicuro a livello tecnico-compositivo, il quintetto di Madrid non è certamente sprovveduto: ottime qualità infatti risiedono nei suoi strumentisti. "Lament of Madeleine" è una song che per certi versi ha in sè qualcosa dei primi Cradle of Filth, per una velata vena gothic black, niente male. "The Darkest Secret" apre con una bella tastierina dal taglio vampiresco, poi attacca il riffing serrato ma sempre marcatamente melodico (e di chiara derivazione heavy classica) della sezione di asce, mentre il robusto drumming picchia che é un piacere. Un plauso va al buon J. Alonso che dietro al microfono offre una prova molto convincente con un growling mai sopra le righe per ferocia, ma anzi molto comprensibile, a cui peraltro spesso si affianca una eterea voce femminile. Ribadisco che forse la pigrizia dei nostri nel rilasciare i propri album alla fine rischierà di essere un'arma a doppio taglio, in quanto la proposta del combo iberico finisce per "puzzare" ov-viamente di già sentito, un peccato. Arrivo a "Silent as Shades are" e la eleggo immediatamente mia traccia preferita, forse perchè avrebbe potuto essere inclusa in 'Projector' dei già citati DT e perchè in modo un po' ruffiano, le sue melodie si stampano immediatamente nella mia testa. Il disco scivola piacevolmente fino alla sua conclusione, "Prize Denied", con rimandi qua e là della discografia swedish e melo death di matrice finlandese che alla fine farà la gioia di coloro che apprezzano ques-to genere, pur non proponendo assolutamente nulla di innovativo. Album onesto, dalle cui critiche mi aspetto però una risposta in futuro decisamente più personale. (Francesco Scarci)

(Inverse Records - 2013)
Voto: 70

http://dawnoftears.org/

Sutekh Hexen - Monument of Decay

#PER CHI AMA: Noise, Black, Abruptum, Arckanum
Tipo la morte. Non so come altro descrivere questa catartica sinfonia degli Sutekh Hexen, gruppo californiano votato ad un noise lo-fi estremamente cupo e maledetto. 'Monument of Decay' è un EP di venti minuti formato da quattro tracce di egual durata che si apre con "Lastness", un tetro sentiero che conduce verso la perdita di ogni senso e speranza, delle note ripetute maniacalmente sotto un synth che sembra sussurare l'arrivo al punto di non ritorno. Questo punto si percepisce con l'entrata della drum machine in "...Of Emanation", che mi scuote radicalmente con il suo sound alla 'Nattens Madrigal', in cui tutta l'atmosfera di smarrimento si è già sedimentata dalla traccia precedente. La successiva "Dhumavati’s Hunger" torna a ricalcare le orme del noise in un constesto ancora più gelido e distaccato, come se rappresentasse la desolazione dopo la furia della tempesta, mentre l'ultima "Dakhma" è un'ascesa di diaboliche voci che si inseriscono in un tappeto di synth e una monotona chitarra baritona, e in cui il tutto viene reso ancor più inquietante dall'entrata di archi nel finale, il che ricorda qualche vecchia colonna sonora di Bernard Herrmann (Alfred Hitchcock, Orson Welles, Martin Scorsese tra gli altri). I Sutekh Hexen mi sorprendono drammaticamente con questa loro opera che però io vedo mutilata: dato l'enorme pathos evocato dalle composizioni, avrei preferito veder sviluppate le tracce in qualcosa di più sostanzioso, o semplicemente di più prolisso, in modo da poter godere pienamente del loro disagio. Credo alla fine che sia proprio il forte senso di inadattamento che percepisco nelle note di questo oscuro lavoro (che esce in una edizione limitata in una doppia cassetta), che abbia suscitato in me cosi sconvolgenti emozioni, quindi direi ben fatto, ma dal prossimo lavoro, mi aspetto un minutaggio decisamente più cospicuo. (Kent)

(Belaten - 2013)
Voto: 75

http://www.sutekhhexen.org/

lunedì 2 dicembre 2013

Autumnblaze - Every Sun is Fragile

#FOR FANS OF: Gothic atmospheric rock/metal, Katatonia, Alcest, AnathemA
Autumnblaze formed in Saarland, Germany back in 1996, after releasing a demo in 1997 and an EP in 1998 they release their first long player 'DammerElbenTragodie' in 1999. Somehow this band has flown under my radar for fifteen plus years. When asked if I would like to review the album, I accepted the challenge with open arms and an open mind. However, because of my ignorance to their previous works, I will not be able to talk about how they have or have not progressed as band. But, this is a review of their current release, so that's exactly what I will do. 'Every Sun is Fragile' is the sixth full length release from Autumnblaze. The style of music played here is "gothic, atmospheric rock/metal". The bands that come to mind when trying to describe their sound would be Katatonia, Anathema, and Alcest. Autumnblaze walk the line between rock and metal, jumping back and forth with varying amounts of success. There are some clunkers on this album, but they do succeed at creating some memorable songs as well. After a nice little instrumental intro, the first proper song on the album, "New Ghosts in Town", has a 'Viva Emptiness' era Katatonia vibe to it. It maintains this vibe throughout most of the songs seven plus minutes, however the last minute of the song builds into a Alcest-esc finish. This is a good song and it peaked my interest and excitement of the band it took me all this time to hear. "Im Spiegel" draws the listener in with it's punchy riff that has very jumpy feel to it. Probably being the most metal song, with hits heavy distorted guitars and harsh vocals, shows how these guys jump from rock to metal with relative ease. This track is followed by the balladish "Mein Engel, Der Aus Augen FileBt". This song shows the band doing what it does best. I believe they feel at home and most comfortable playing the softer rock style tunes. This is very apparent on "How I Learned to Burn My Teardrops". This is my favorite song on the album. An absolutely beautiful song that leaves the listener somewhere between tears of sorrow and joy. Another definite winner on the album is "A Place for Paper Diamonds". This song has all the feel and beauty of the previous song mentioned with a little of their heavier moments sprinkled in. This works perfectly here, where it seems to fail elsewhere on the album. 'Every Sun is Fragile' is a good album with hints of greatness. I feel that at fifty-four minutes it's a little too long. There is some filler here. I would like to see Autumnblaze craft more songs like "How I Learned to Burn My Teardrops" moving forward. Even though there are some clunkers here, there are enough good moments that make this a worthwhile purchase. (Brian Grebenz)

(Pulverised Records - 2013)
Score: 70

http://autumnblaze-kingdom.com/

domenica 1 dicembre 2013

Station Dysthymia – Overhead, Without Any Fuss, the Stars Where Going Out

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Skepticism, Paradise Lost, primi Cathedral
Titolo chilometrico per questa band siberiana dal tocco decadente e prepotentemente doom. Il secondo full lenght della band russa esce per Solitude Production nel 2013 e presenta fin dall'inizi i suoi intenti depressivi e tombali con una prima traccia da psicofarmaci lunga più di trentaquattro minuti. Cadenze lentissime, suoni rarefatti, ricercati e curati, voce gutturale dal profondo degli inferi e sospensione temporale infinita. Rallentate i Paradise Lost di 'Shades of God' ed i Crime and the City Solutions e avrete un'idea della potenza di fuoco che questa band si ritrova tra le mani. La musica risente dei padri fondatori del funeral doom metal in particolar modo gli Skepticism, per quella forma di metal rallentata e sinfonica, con suoni carichi di presagi rock così oscuri che pur mantenendo l'animo gotico e decadente riescono a farti sognare un paesaggio notturno sconosciuto. Una strada che passa in mezzo ad una foresta scura da attraversare con una moto in solitaria contemplazione, un easy rider nei meandri della propria coscienza. Suoni per la notte. Una notte eterna che non finirà mai, pieni d'infinito, un culto da assaporare a fondo, lentamente, come la cadenza dei brani suonati in fronte alla sola luce lunare. Un suono astratto e psichedelico che ci riporta ad immagini desertiche e lunari, piene di solitudine e sofferenza, silenziose mai lasciate al caso. Una band da prendere in considerazione seriamente, che mostra un approccio sentimentale nei confronti della propria musica molto sentito, vissuto e sofferto. Mostrano affinità con lo stoner/ doom dei Cathedral più ribassati nella sonorità ma la musica del destino è ancora troppo veloce e poco profonda così la lama affonda e rallenta fino a quasi fermare il tempo per mostrare il volto di queste anime in pena. Da riconoscere che non è musica per tutti gli stomaci ma per una volta lasciatevi tentare da questa corsa a rallentatore, potreste attraversare il vostro tunnel più nero rischiando di uscirne più vivi che mai. Gran bel lavoro! (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 2013)
Voto: 75

https://www.facebook.com/StationDysthymia

Engines of Vengeance - Lions & Rockets

#PER CHI AMA: Stoner Rock
Che trovo tra il paccone di cd fornitomi dal Franz? Un bel EP direttamente dalla fantastica Scozia, stupenda terra e patria di un orgoglioso popolo che non si stanca mai di mettersi in gioco, anche musicalmente. Passando dai miei amati Mogwai ai piu recenti Travis e Biffy Clyro, gli Engines of Vengeance (EoV) ci propongono un power rock/metal ispirato ai grandi del genere che gli stessi componenti della band hanno amato e continuano a farlo. La bella voce matura di Mercy si sposa perfettamente con la parte strumentale gestita da Roland al basso e i più giovano Callum (chitarra) e Felix (batteria). Probabilmente la fusione di due generazioni ha permesso di sfornare questo potentissimo 'Lions & Rockets' che vomita riff graffianti, ritmica curata e cantato dal forte impatto, unendo sonorità '90s e contemporanee con la classe del gruppo affermato. Le influenze dichiarate dagli stessi EoV sono confermate, quindi sentire lo zampino degli Iron Maiden, Black Sabbath però contraddistinti da una voce femminile che farebbe sudare Bruce Dickinson e Dave Mustaine, fa un certo effetto. Forse proprio le doti di Mercy aiutano la band a contraddistinguersi, ma gli altri tre ragazzotti non sono da meno, anzi! Quattro brani sono abbastanza per apprezzare gli EoV, ma arriverete presto alla fine e ne vorrete di più, magari in concerto dove la band sarà sicuramente a proprio agio. Magari sul palco di un bel festival tra puzza di benzina e scarichi, con motori due cilindri a V che strappano i timpani, se non lo hanno già fatto gli EoV. Potenza, velocità e belle melodie, come in "Bitch on Wheels", guidata da una chitarra grossa come un camion e break di basso per un duetto . "The Dead Stay Dead" è la mia preferita, meno forsennata e con distorsioni leggermente più moderne uniti ad un pizzico di psichedelia iniziale La qualità audio dell' EP (quattro tracce in tutto) è buona e si farebbe apprezzare ancora di più su un bel vinile da far girare quando si sta smanettando in officina con la propria amata due ruote. Bel prodotto, ascoltateli e poi fate come vi pare. Io li terrò in rotazione in auto almeno per qualche giorno ancora.(Michele Montanari)

Consecration - Univerzum Zna

#PER CHI AMA: Post Rock, Stoner, Psichedelia, Anathema, Isis, Black Sabbath
Questo è un cd dal doppio volto, dalla doppia anima. Avevo apprezzato esageratamente il precedente album ‘Cimet’, identificando i nostri come una sorta di Anathema dei Balcani, e quest’oggi mi ritrovo fra le mani questo ‘Univerzum Zna’ a scombinare tutti i miei piani mentali. Quando infilo il disco nel lettore e attacca “Vertikala”, il roboante riff che si accende è quello tipico delle stoner band più in acido con il vocalist che rasenta addirittura le performance di Ozzy dei vecchi tempi. Frastornato, forse ancor di più, totalmente disorientato, metto da parte la mia diffidenza iniziale e inizio a gustarmi il caldo e psichedelico evolversi di una traccia che ha il grosso merito di risvegliarmi da un gelido intorpidimento. Le atmosfere si fanno lentamente soffuse, cala prepotentemente la penombra mentre un lungo flusso strumentale di sonorità psych-post-rock delizia in modo esagerato le mie pretenziose orecchie. Non fosse stato per l’anomalo inizio, starei parlando di perfezione musicale. Ancora riverberi e chitarre di un certo rock desertico aprono e proseguono in “Luka Čeh”: ed eccolo palesarsi il dualismo nell’anima dei nostri. Cavolo, mi avevano appena conquistato con la opening track e mi ritrovo ad ascoltare un pezzo che si muove tra stoner, alternative e rock’n roll, non certo i miei generi preferiti. “Stepenice, Zvezde” è un bell’intermezzo acustico. Con la title track si esplorano nuovamente i territori della psichedelici, fatta di quei bei trip lisergici in cui uno si immagina a meditare in templi buddisti alla ricerca della purificazione della mente e dell’anima. Poi quando un tizio inizia a parlare una lingua incomprensibile (presumibilmente serbo), vengo risvegliato dalla mia fase di contemplazione ascetica. Peccato, anche qui stavo esplorando sentieri musicali meravigliosi, ma sono stato interrotto da questa fastidiosa narrazione. Mentre curioso nel bel digipack, il mio occhio cade sul missaggio ad opera di Aaron Harris degli Isis, complimenti ai nostri che sono riusciti a coinvolgere il mitico vocalist della band bostoniana. Vado avanti con “Prolaz” e l’eco degli Anathema questa volta emerge fortissimamente in una song acustico-strumentale, flemmatica e seducente, che sembra venir fuori direttamente da ‘We’re Here Because We’re Here’. Con “Gilmore” mi appresto ad affrontare gli ultimi 15 minuti di questo ‘Univerzum Zna’. Song dall’evidente sapore ‘pinkfloydiano’: musiche, atmosfere e finalmente (le pochissime) vocals all’altezza, a delineare i solchi di un amore mai sopito per i mostri sacri del rock psichedelico, per una effervescente chiusura in bellezza. Mi spiace aver constatato un paio di passaggi a vuoto di questo disco, che a mio avviso avrebbe potuto scalare la mia personale classifica del 2013 e collocarsi definitivamente al primo posto. Sorprendenti! (Francesco Scarci)

(Geenger Records – 2013)
Voto: 80

https://www.facebook.com/Consecrationband

The Pit Tips

Francesco “Franz” Scarci

Odetosun - Gods Forgotten Orbit
Consecration - Univerzum Zna
The Ruins of Beverast - Blood Vaults - The Blazing Gospel of Heinrich Kramer
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Don Anelli

Rhapsody - Legendary Tales
Dying Fetus - Stop at Nothing
Darkened Nocturn Slaughtercult - Necrovision
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Michele “Mik” Montanari

HR - Never
Red Stoner Sun - Echo Return
Kisiljevo - Various
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Mauro Catena

Jonathan Wilson - Fanfare
AA.VV. - Tutto da Rifare, omaggio ai Fluxus
Elvis Costello & The Roots - Wise Up Ghost
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Kent

Echoes Of Yul - Echoes Of Yul
Mouth Of The Architect - Dawning
Lento - Anxiety Despair Languish
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Brian Grebenz

Code - Augur Nox
Fates Warning - Darkness in a Different Light
Circa Survive - Violent Waves
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Conor Fynes

Inquisition - Obscure Verses for the Multiverse
Cult of Fire - मृत्यु का तापसी अनुध्यान
Ulver - Messe I.X-VI.X
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Bob Stoner

Norma Jean - Wrongdoers
Decrepit Birth - Polarity
This Heat - Deceit

venerdì 29 novembre 2013

Theologian - Some Things Have to be Endured

#FOR FANS OF: Black Ambient Drone, Sunn o)))
Upon hearing the opening strains of the first track, "Black Cavern Myopia", the initial impression I formed of Theologian was to describe it as industrial drone metal. However, after repeated listenings to 'Some Things Have to Be Endured' in its entirety, I later came to the conclusion that a more accurate description of the genre for this music might actually be ambient-atmospheric drone rock. The first two plays were on my car stereo driving to and from work (a roughly 40-minute drive) during which I realized that the subdued mix on this recording was probably better appreciated at higher volumes on a high-end system or through headphones. At that point, I raised it from background music volume to a more immersive level, at which point I became aware of the subtleties of the mix. I pulled out and re-listened to some old Sunn o))) and Earth tunes as comparison points, and have concluded that although this release shares the extremely slow tempos and drop bass pedal tones with those two groups on some tracks, it seems to include more progressive and classical elements in its soundscapes. I would suggest that the eight tracks on this release are better regarded as movements in an overall symphony than as individual songs. The imagery of the included e-booklet would suggest black metal, but when this reviewer thinks of black-metal drone, Anaal Nathrakh’s 'Hell is Empty and All the Devils Are Here' is what immediately comes to mind. The lyrics are evocative (as printed in the included e-booklet) but the operatic female vocals are buried in the mix, and in some cases, are also awash in reverb and delay. The closing track, "Welcome to the Golden Age of Beggars", includes the lyric: “The Junkie / That Brings Guilt/ In a Terrifying Darkness / Worship the Sensation / That No Longer Exists / Obsessed With his Obsession / Swallow the Filth / Wanting the Touch / Despising Him / For the Agony is Deep and Heavy”, which carries great emotional weight (but unfortunately, isn’t readily perceptible in the mix). This lyric may possibly explain the cover image (identified as “Mother Love”) of a nude woman covered bodily by a translucent veil; with both breasts bared and her right breast partially penetrated by quills. 'Some Things Have to be Endured' is not a soundtrack for cruising or head banging to, but may be better suited for listening to during reflection or meditation. It is unfortunate that some very profound lyrics are lost in a very dense mix. The best, deepest appreciation of this work may likely result from dedicated and focused repeated listenings: as this is clearly not a work for the casual listener. (Bob Szekely)

giovedì 28 novembre 2013

Ghost at Sea – Hymns of our Demise

#PER CHI AMA: Post Black, Ulver, Wolves in the Throne Room, Darkthrone
In tutta onestà, ho avuto qualche momento di difficoltà nel digerire a priori l’idea che il disco in questione (peraltro difficilmente identificabile come opera prima), prodotto da questo due esordiente proveniente dal Nord America (sodalizio Kentuky più Indiana), si serva esclusivamente di una drum machine: non tanto per il fatto in sè di utilizzare una macchina invece della pedalante potenza umana (basti vedere ciò che i Darkspace hanno partorito servendosi esclusivamente di questo espediente), quanto piuttosto perché i ragazzi propongono un genere che si nutre di umanità e che, a parere di chi scrive, meriterebbe quel tocco che solo un martellante batterista bipede riesce a dare ad un lavoro come questo. In sostanza, la perfezione della macchina rappresenta una minuta macchia, una piccola nota di demerito, laddove si avrebbe preferito sentire quella minima sbavatura o quell’indugiare voluto sul pedale o sul rullante di pertinenza esclusivamente umana e così appagante... ciò nononstante, prendete tutta questa manfrina iniziale per quello che è, vale a dire una pippa mentale da appassionato, e non un elemento limitante la fruizione di questo disco. Si tratta di un lavoro che tanto deve alle influenze indicate alcune righe sopra, dove grandi mostri del black metal si incrociano con quella nuova corrente di musica nera atmosferica che, in realtà, tanto di nero non ha se non nelle sonorità. Quale che sia la vostra idea in merito, sicuramente non si può rimanere insensibili di fronte alle note sparate a mille di questo disco che si apre nel migliore dei modi, con una chitarra ipnotica ad invitarci a guardare nel pozzo in cui saremo risucchiati di li a poche battute, per precipitare in questo viaggio in discesa di luci ed ombre. “A Fitting End To Human Suffering” ne rappresenta solo l’inizio, pezzo ben congeniato dove i blastbeat si alternano ad arpeggi di carta vetrata ma senza mai dimenticare la matrice melodica che caratterizza ogni traccia. Si passa quindi a “Wanderer”, in origine inizialmente pezzo distribuito come “singolo” e qui rivisto e riadattato ad un contesto di full-lenght, decisamente più lineare nel suo incedere marziale rispetto all’opener. Meritevoli di nota sono poi “Decay” e la sua naturale proscuzione in “The Weight of 1,000 Suns”: un ribassato ruggito di chitarra la prima, quasi a fare da intro alla seconda, caratterizzata da un incedere fantastico come piglio e ritmo nel suo intreccio di voce, chitarra e batteria, dove è praticamente impossibile non battere il tempo con i piedi, per buona pace dei vicini di casa! A chiudere il tutto è “Through the Shadow that Binds Us”, forse il pezzo più black-oriented e grezzo in senso classico (nessun orpello, nulla oltre i singoli strumenti e voce a guerreggiare tra loro), al punto da risultare quasi discostato dal resto del disco: il minutaggio importante (oltre i 14 minuti) probabilmente lo penalizza in ultima analisi e forse sarebbe stata più efficace qualche prolissità in meno, ma non mi sento di criticare la band per questo. Ripeto, stiamo parlando di un’opera prima ed un plauso va sicuramente ai due ragazzi per la maturità della composizione, pertanto quelle che possono essere delle limature da fare qua e la sono più che tollerate. Insomma, la drum machine ha fatto anche stavolta il suo sporco dovere, però il sottoscritto confiderà sempre nell’arrivo di un batterista “organico”. Ad ogni modo, avanti così! (Filippo Zanotti)