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venerdì 5 giugno 2015

Lehnen - Reaching Over Ice And Waves

#PER CHI AMA: Post Rock/Ambient
Che ci fanno due americani a Vienna? Scopriamolo con 'Reaching Over Ice and Waves', nuovo album dei post rockers Lehnen. Iniziamo la nostra carrellata da “Immer Fremd” ove un sussurro di parole scomposte turba i sensi. Vorrei ascoltare, ma l’impronta della mano di questa strumentalità, fa ambientare le mie velleità. L’ascolto è ipnotico. Vorrei raccontare, ma spezzo la ragione in frammenti cristallizzati che si propagano come pezzi di vetro su pareti insonorizzate. Metallo e diamanti soffiano da questo esordio soffuso, in cui l’ambient si mescola alla personalità degli autori. Il pezzo suona come un graffio che lascia sospesi i timpani in attesa d’altro. Altro che troviamo in “ How’s the Tieres?”. Ottoni metallicamente affannati da un’ipossia lisergica che preda. È un reiterare lisergico di chitarre che scavano un circolo di riff virtuosi. Denti serrati. Attesa. Alcova forgiata per chi è vergine di sonorità acustiche violentate. Scosse fulminee e dilatate tra questo fuoco che incendia e raffredda. Dopo tre colpi elettrici che chiudono, debbo cedere alla malia di “Horsetooth”. Non mi bussate. Non mi parlate. Non mi chiedete. Il diniego apparente, sarà quell’avere sfiorante, leggero, audace, volubile, intriso di sangue e di sound. Ascoltate dopo aver acceso candele al buio che fanno vibrare la vostra aria nottambula. Le distorsioni di “Nightdrive, Mile High”, tracciano una via sconnessa a mezz’aria tra il vissuto ed il vivere. Sospensioni sonore che ricamano il sentire come tatuaggi che si sceglie di fare o di immaginare. Ora preparatevi ad una guerra. Sono mitragliate sensuali, incessanti. Sono ripetizioni armate, sparate a salve. Ad una guerra, in fondo non si è mai pronti. “Isolation”. Ecco che non c’è guerra a fuoco, ma c’è battaglia tra voi e quello che volete sentire. Se non siete centrati, perderete l’equilibrio. Non solo voi, ma anche io abbisogno d’un respiro, profondo. Il mio respiro però sa di abissi mentre mando on air “Away”. Non penso. Lascio la traccia al suo scorrere. Osservo una Londra nostalgica cosi come nostalgica è la suadente voce di Joel Boyd. Ed il Tamigi fa da padrone nel convogliare pretese, suoni e immagini occultate in musica. “Estes”. “TCK”. “Grey Like Travel”. Epilogo variegato di corde accordate indipendenti dai legni. Sorti benevole ed ispirate in questa triade che voglio accorpare, poiché mescolata odora di atmosfera disegnata in una notte d’estate. Luci accese e poi spente d’improvviso. È materica ed eterea la musica che propaga dal primo all’ultimo pezzo dell’album. Qualsiasi sia il vostro contesto, abbassate le luci. Garantisco ossimori che sanno di ghiaccio bollente. (Silvia Comencini)

(Self - 2015)
Voto: 75

mercoledì 3 giugno 2015

Unsolved Problems of Noise – L’Ombra delle Formiche

#PER CHI AMA: Jazz-core/Noise/Postrock
“Un formicaio. Accumulo e trasformazione. Così tante vite che si portano dietro la propria ombra. La loro dipendenza biologica è tanto più complessa quanto più numerosi sono gli esseri presenti”. Sono molto felice di poter parlare di questo magnifico disco, un piccolo culto personale e una delle cose migliori che la nostra penisola abbia espresso in termini di Jazzcore e postrock strumentale dalle forti tinte noise. David Avanzini (basso e sax), Matteo Orlandi (chitarra e basso) e Mattia Prando (batteria) arrivano da Genova e squassano il panorama musicale con un disco che è un vero e proprio capolavoro di potenza, tecnica e inventiva senza compromessi. Il disco si presenta benissimo, nella sua elegante confezione cartonata, impreziosita dalle splendide illustrazioni di Valentina Fenoglio, ed è, in definitiva, un concept ispirato al formicaio come sistema vivente. La musica degli Unsolved Problems of Noise (UPON) è difficilmente catalogabile in un genere ben preciso, di certo la perizia strumentale dei tre gli permette di scivolare tra i generi senza soffermarsi su nessuno in particolare, e oscilla tra il math rigoroso e il free jazz più audace con uguale intensità ed efficacia. Il lavoro si apre con il reading di un brano angosciante di “Un Oscuro Scrutare”, di P.K.Dick, angoscia resa alla perfezione dalle rasoiate chitarristiche del primo brano “Formicazione (Parte I)”, caratterizzato dalla ritmica quadrata in puro stile Shellac. Con “Formicazione (Parte II)” il clima cambia radicalmente e si fa folle e destrutturato. Dick ritorna nel titolo della terza traccia, “Le Pecore Elettriche Sognano gli Androidi?”, dove semplici e ripetitive frasi di sax si stagliano su di una ritmica incalzante e sempre più free. Con “Dromofobia”, anch’essa divisa in due spezzoni, siamo invece dalle parti di un postrock strumentale e fortemente chitarristico, tra arpeggi acustici e bordate metalcore, sempre però sorrette da una ritmica pulsante e mai banale. A rendere il tutto ancora più eccitante e incatalogabile ci pensa il terzetto di brani posti in chiusura, “L’Ultimo Grido in Fatto di Silenzio”, “Il Diavolo A4” e “All Jazz Hera” (menzione d’obbligo per i titoli), che sparigliano ulteriormente le carte in tavola, muovendosi senza soluzione di continuità tra assalti schizofrenici, sax infuocati, rutilanti passaggi free-jazz e cambi di ritmo improvvisi. Un piccolo grande capolavoro da ascoltare e riascoltare senza stancarsi mai. Attendiamo con trepidazione un seguito e nel frattempo, ascoltiamo con piacere Avanzini e Orlandi impegnati nel loro nuovo progetto Minimal Whale, recensito tempo a suo tempo su queste pagine. Magnifici. (Mauro Catena)

(Snowdonia/Tesladischi - 2012)
Voto: 85

martedì 2 giugno 2015

Try Redemption - Hollow Be Thy Name

#FOR FANS OF: Death Metal, Morbid Angel, Bloodbath
Man, this one was almost there. The fourth release from the Arizona-based Death Metal crew was really working up to a potential top-spot on the Year-End Best-Of lists based on what was on display in the first six tracks here which featured some utterly spectacular Death Metal that seemed to mix the technicality and ferociousness present in prime-era Morbid Angel with the blasting intensity and brutality featured in early Bloodbath, which resulting in a stand-out release. Then the last half drops that in favor of a series of Metalcore-influenced riffs, choppy rhythms and clean vocals that come off more like emo-core screaming which completely clashes against the more traditional elements. That there’s more than enough of those traditional, full-on Death Metal material throughout this section when those vocals are not present proves that there’s more than enough material here to stay as a full-on act throughout the course of its running time but that influx of sub-standard material in the second half really lowers this one considerably. Still, the first half here is absolutely stellar Death Metal and if the screaming clean vocals are removed on the second half this one is immensely enjoyable. ‘Flesh Pound’ gets this started with fine riffing, complex leads and a dynamic balance between furious driving rhythms and fine melodic mid-tempo arrangements for a stand-out and intense opener, while ‘Parasite and the Vaccine’ is similar if just swapping the technicality for more intensity. ‘Beaten’ certainly lives up to the name with a healthy beat-down of solid riffs and pounding rhythms with a little more concentration on melody here for another solid track. The utterly blistering ‘Deception Scheme’ offers vicious, charging riff-work and blaring rhythms alongside brutal drumming blasts full of intense chugging patterns with plenty of stellar leads and savage energy throughout for a fantastic highlight, much like ‘Asphyxiation’ which just overwhelms with intense riffs and more battering drum-work. Still, the album’s best track, ‘Left for Death’ features rattling drumming and frenetic riff-work blazing with scorching melodic leads charging alongside a series of intense rhythms full of energy and intensity, leaving this one quite impressive. ‘We Are Legion’ would’ve been up there with it had it dropped the curious decision for a melancholic break-down section with lilting guitars and clean vocals, but the rest of the track is all about their technicality on display with complex leads, furious rhythms and no shortage of technically-precise arrangements all given that speed and intensity apparent on the rest of the album’s tracks. The first dud on the album, ‘Perish At Mass’ only feels that way due to a higher degree of inclusion of the lame emo-core vocals against the track which conflict mightily with the pounding drumming, complex leads and furious tempos crashing around it and makes it stick out even worse than it originally did the previous track causing this one to feel wholly out-of-place. ‘Penumbra’ takes that even further with the blazing drum-beats, chugging riff-work and preponderance of Metalcore riffing leads throughout with simple melodies, memorable rhythms and accessible grooves clash wildly against the chugging riff-work and unrelenting drumming leading into the final half for another troublesome effort. ‘Umbra’ is a little troubling as light, acoustic guitar strumming and gentle melodies with melancholic rhythms and retrospective moods swarming through ambient passages that would’ve worked well as an outro before the moody vocals and light atmosphere continue through the final half for a somewhat decent if misplaced track in the running order. Proper outro ‘Antumbra’ attempts to rectify this with a more solid assortment of crushing Death Metal rhythms and technical arrangements but again comes through with the Metalcore rhythms as the dynamic drumming and scorching leads for a let-down to end this on. Overall, this one would’ve been an absolutely phenomenal effort had it stuck with being a straight Death Metal release without infusing the ridiculous Metalcore and emo-core on the record. (Don Anelli)

(Self - 2015)
Score: 80

Veristi - Musta Sielu

#PER CHI AMA: Death Gothic, Tristania, Dismal Euphony, Nightwish, Trail of Tears
Sebbene attivi sin dal 2003 in quel di Vaasa, piccola cittadina finlandese dell'Ostrobotnia, i Veristi giungono soltanto nel 2015 al loro debut ufficiale, un EP di cinque pezzi, che va ad aggiungersi, nella loro discografia, accanto a due demo. 'Musta Sielu' farà sicuramente la gioia di coloro che apprezzano il death metal goticheggiante che tanto andava di moda qualche anno fa con Tristania, Theatre of Tragedy e Trail of Tears, giusto per darvi qualche riferimento. Aspettatevi quindi accanto ad ariose melodie e ritmiche selvagge, growling oscuri e le immancabili vocals femminili, che peraltro dovrebbero entrambe essere opera della medesima persona, la dolce donzella Satu Huhtala. L'apertura di "Kapea Polku" riflette esattamente gli stilemi del genere, con corpose chitarre su cui si instillano le keys di Ossi Peltoniemi. Poi ecco il classico duettare a livello vocale, l'infinita lotta del male contro il bene, con le eteree vocals di Satu che conferiscono un approccio quasi sinfonico alla proposta dei Veristi. "Piru Rivien Välissä" ha un piglio quasi black; ci pensano comunque le tastiere e le melodie delle 6-corde a stemperarne la furia; ovviamente l'ingresso nella veste più soave di Satu, rende il tutto molto più accessibile anche a livello ritmico, con le keys che ora si fanno più malinconiche. "Sarastus" mi ha ricordato il sound di una band olandese, di cui ho perso le tracce da un bel po', i Gandillion, ma per chi non li conoscesse, il nome Nightwish potrebbe tornarvi utile a farvi una idea ben più chiara: sound assai melodico, ritmato, su cui si stagliano le female vocals (attenzione che rischiano di stancare alla lunga), e quando la bella cantante finlandese urla come una forsennata (stile Angela Gossow), anche le ritmiche pestano maggiormente sull'acceleratore. Un nostalgico pianoforte e la voce di Satu aprono "Sanoja Rakkaudesta", la traccia più ruffiana tra le cinque, che per quanto metta in luce un buon impianto ritmico e solistico, si conferma forse la song meno originale del lotto. Un bel basso stile Iron Maiden, apre "Syvien Vesien Äärellä", la traccia più rock di 'Musta Sielu': una ritmica tirata, vocals graffianti, una bella dose di groove, notevoli arrangiamenti e un ottimo finale roboante (stile primi Dismal Euphony) completano un disco piacevole, senza grandi pretese, se non quella di farsi conoscere ad un pubblico più vasto. Ora è il caso di rimboccarsi le maniche e andare in cerca di una propria identità ben più definita. (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 70

lunedì 1 giugno 2015

Nerv - Vergentis In Senium

#PER CHI AMA: Mathcore, Postcore, The Dillinger Escape Plan, Converge
Immaginate un album lineare, con ritornelli definiti, tempo in quattro e accordi catchy. Ecco: ora buttate tutto nel cesso, perché il primo full-lenght del quartetto francese Nerv è l’esatto opposto. Solo sette brani, ma talmente densi da lasciare il fiato corto al termine dei 40 minuti di durata. La forma canzone dei singoli pezzi è masticata e rimasticata più volte, fino a lasciare una struttura flessibile, dinamica, che raramente si spreca in reprise di ritornelli o strofe. Il tempo stesso diventa un gioco per i Nerv che tagliano, spezzano, aggiungono, dilatano, modificano ogni battuta fino alla completa destabilizzazione del pezzo (la splendida opening “Cathars”, “Martyr”). Velocità e rabbia, distorsione e inquietudine, follia e assenza di equilibrio. Le coordinate del quartetto sono quelle del math-core e del post-core, ma c’è di più dei già noti The Dillinger Escape Plan. È una musica più matura, se vogliamo, oscura e violenta, ai limiti della schizofrenia, che se disdegna la melodia in maniera metodica – sono le dissonanze e le progressioni di accordi inusuali a farla da padrone in 'Vergentis In Senium' –, non rifiuta invece influenze più tipicamente math-metal (“Tortures”) e lucidissimi momenti sperimentali di follia (sentite il sassofono tagliente del capolavoro “Savonarole” o l’inquietante chiusura acustica di “Suffer”). La voce, rabbiosa, ruvida e disturbata, può forse essere l’unica nota noiosa sulla lunga distanza, ma è questione di un attimo, persi come si è a seguire l’intera band in questo incubo sonoro solo apparentemente senza capo e coda. Un disco difficile, una grande prova tecnica e di composizione, perfettamente prodotto e confezionato: un gioiello per chi ha voglia di ascoltare qualcosa di nuovo. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2015)
Voto: 75

Lorø - S/t

#PER CHI AMA: Drone/Noise/Math, Helmet, Zu
Devo ammettere che pensavo di aver già visto ogni sorta di artwork per un cd, dalle bare ai cofanetti in legno, dai libri agli origami, ma quello dei patavini Lorø si mostra come uno dei più eleganti. Difficile spiegarne l'essenza: una lastra di plastica trasparente avvitata su un supporto dalla grafica serigrafata, il tutto decorato con la scritta LORØ in oro. Visto che anche l'occhio vuole la sua parte, concedo già mezzo punto in più solo per questa diavoleria, peccato poi che per estrarre il cd dalla custodia, si debba bestemmiare in sette lingue, ma son dettagli. Il self-title album della band veneta, prodotto addirittura da cinque etichette indipendenti (credo sia un record), rappresenta il debutto per il trio di quest'oggi. Nove i brani a disposizione, che irrompono con il disturbante sonoro di "Pollock", traccia dal piglio math/noise assai vicina anche al nintendocore, che dichiara che il percorso avantgarde-sperimentale dell'ensemble, sarà tutto fuorché accessibile. Difficile affibbiare un'etichetta ben precisa alla musica dei Lorø, vi basti sapere che il disco è strumentale e lungo i suoi 48 minuti, sarà alquanto facile passare dal sound di "tooliana" memoria di "Thalia", in cui psichedelici synth ci accompagnano a sprazzi lungo il suo liquido defluire, a fraseggi jazz, noise o math rock. Torniamo a "Thalia", il cui rifferama è abbastanza complesso, risentendo di influssi orientaleggianti e richiami alla System of a Down, solcando nel finale anche il mare del rumore. "A Trick Named God" è una lunga song elucubrante, che si muove tra riffoni al limite del doom, idiosincrasici passaggi noise, energiche cavalcate cinematiche ed un dilatato spazio drone, il tutto guidato dalla maestria effettistica di Mattia Bonafini. Con "High Five", sembra di aver a che fare con un'altra band, uno di quei complessi che riempiono jazz club o lounge bar: il clima è rilassato, almeno fino a quando il riffing distorto di Riccardo Zulato aumenta in profondità, mentre il lavoro delirante ai synth, accresce la follia distorsiva dei nostri. Ancora noise/drone con "Ø", un'accozzaglia di rumori e ambientazioni angoscianti create dal suono di un didjeridoo, che tuttavia non trova il mio pieno consenso. Skippo alla successiva "At Mortem", una traccia in apparenza normale, quasi rock, in cui la sezione ritmica acquista in abrasività col crescere del brano, e i suoni sembrano quelli di un trapano che vuole penetrare la calotta cranica. Fortunatamente un break ambient ne interrompe il supplizio, concedendo un attimo di tregua prima della claustrofobica chiusura affidata all'elettronica e a deliziose melodie di sottofondo. Forse è il suono di un allarme quello che brevemente si palesa in "Clown’s Love Ritual”, il pezzo più lineare del cd, ma anche quello più tribale, grazie all'eccelsa performance dietro alle pelli di Alessandro Bonini. L'improvvisazione si cela comunque dietro ogni angolo, pertanto mai abbassare la guardia con questo power trio di Padova. "Faster, Louder & Better" accentua il riffing vetriolico dell'act italico, già sottolineato in precedenza, agendo anche sulla velocità, con una cavalcata che gronda in termini di groove. Come dicevo però, ecco che i Lorø deviano ancora una volta dalla strada maestra arrivando ad imbastire un finale schizofrenico. Centrifugato dai suoni catatonici di questa inusuale band, che trova alcuni punti di contatto con gli Zu e gli Helmet, arrivo alla conclusiva "To Whom it May Concern", frase che utilizzo molto spesso nei documenti di lavoro e che qui invece segna la fine di un impervio viaggio musicale che non sarà cosi semplice intraprendere. Di idee ce ne sono un'infinità, starà ai Lorø provare a renderle più abbordabili se vorranno far breccia tra un pubblico più vasto. Assai coraggiosi. (Francesco Scarci) 

(Red Sounds Records/In the Bottle Records/Cave Canem DIY/
DIO)))Drone/Icore Produzioni - 2015)
Voto: 75

sabato 30 maggio 2015

Ad Nauseam - Nihil Quam Vacuitas Ordinatum Est

#PER CHI AMA: Black/Death, Deathspell Omega, Gorguts, Ulcerate
Avviso ai naviganti: 'Nihil Quam Vacuitas Ordinatum Est' non è l'album più semplice da digerire. Sicuramente agli amanti di sonorità alla Deathspell Omega, Ulcerate o, guardando in casa nostra, Ephel Duath, verrà l'acquolina in bocca nel sapere che i vicentini Ad Nauseam si rifanno alle band qui sopra citate, però ribadisco, nulla di cosi lineare da essere apprezzato al primo ascolto. Servono infatti parecchie sedute per entrare in contatto col mood cerebrale del debut album della band di Schio, che irrompe velenosa con "My Buried Dream", song che palesa fin da subito le malefiche intenzioni dell'act italico. Musicalmente vicini alle schizofrenie musicali degli artisti già citati, gli Ad Nauseam, ci investono con scorbutici riff di chitarra che si muovono zigzagando tra saliscendi impetuosi, rarefatte atmosfere, break acustici e chi ne ha più ne metta, in un isterico collage musicale, che non lascia scampo. Non finisce nemmeno il primo brano che è già incollato al suo culo "Key to Timeless Laws", traccia ancor più aspra e dissonante nella sua schizoide andatura, che delinea nelle sue note, una maggiore propensione verso il death metal più plumbeo (Immolation) e in cui la voce iniqua di Andrea P. diventa ancor più spaventosa. Per chi volesse trovare altri punti di contatto con la band nostrana, ecco che la furia tempestosa dei Portal o la delirante sublimazione degli Aevangelist, potrebbero essere utili a focalizzare ulteriormente la proposta degli Ad Nauseam. Band che prosegue col deliziarci con strazianti e taglienti riff di chitarra anche ne "La Maison Diev", song nervosa, altalenante, in cui l'arcobaleno di colori che ha da offrire, varia dal nero al grigio chiaro in un ventaglio bicolore, che trova, per lo meno in un paio di occasioni, alcuni inquietanti attimi di quiete e un paio di inebrianti assoli conclusivi, in cui la ritmica sembra addirittura evocare i Morbid Angel. Spaventosi, non c'è che dire. La matrice sonora su cui poggia il sound degli Ad Nauseam, delinea una abilità tecnica davvero notevole e anche una notevole creatività artistica, anche se non appare ancora un vero e proprio marchio di fabbrica; troppo concentrati i nostri a rivedere e rinverdire la musica delle band preferite. "Into the Void Eye" è una infernale cavalcata dal finale a sorpresa che la collega a "Terror Haze" che tra divergenti proprietà soniche e mefitiche ambientazioni, non si distanzia poi di molto dalle precedenti tracce, se non per tentare la strada del mid-tempo, grazie ad un incedere dall'aura malsana e un break centrale che strizza l'occhiolino anche a melmose sonorità sludge/post metal. Si va verso il finale e "Lost in the Antiverse" e "The Black Veil of Original Flaw" hanno il compito di intrattenerci prima del gran finale. Mentre la prima è una convulsa traccia che viaggia su ritmi sincopati, la seconda sembra essere la song più melodica del lotto, se cosi si può definire, o forse quella più accessibile, aprendosi ad altre stravaganti e stralunate soluzioni che a livello ritmico, chiamano in causa i Deathspell Omega. Dicevamo del gran finale, "Superimposing Mere Will and Sheer Need" è infatti un muro inerpicabile di 11 minuti che sintetizzano l'iper articolata proposta musicale degli Ad Nauseam, tra vorticose calate agli inferi, growling vocals, doom funereo, stridenti chitarre e soffocanti loop ipnotici, che ci consegnano una band già parecchio matura, che deve solo trovare il modo di trovare una strada propria da percorrere fino in fondo... (Francesco Scarci)

Voto: 75

Il moniker richiamante gli Ulcerate ("Ad Nauseam" è una delle tracce più famose della band neozelandese, contenuta in 'Of Fracture and Failure') presagisce quasi nella totalità ciò che dovremmo aspettarci. Il combo vicentino colpisce in modo più che positivo con questo debut album dopo il cambio di nome e relativo correttivo nel genere proposto. Colpisce subito l'occulto artwork di Manuel Tinemans (Necros Christos, Saturnalia Temple, Pentacle) stampato su un cartoncino ruvido su sfondo antracite, ma a far da padrone in questo 'Nihil Quam Vacuitas Ordinatum Est' è un altissimo livello tecnico che si impregna di sonorità cupe a tratti dissonanti, supportate da serrati blast beats, senza adombrare chirurgiche armonizzazioni di basso (“La Maison Diev”). La produzione, volutamente dinamica, rende le tracce opache e con una minore potenza sonora, ma a mio parere, questa scelta completamente homemade, rende il tutto più vivo e salva dalla goffa pesantezza e linearità di una produzione lucida e brillante. Questo lavoro degli Ad Nauseam, nonostante necessiti di ulteriore personalità, non è il techno death metal classico che cerca di emulare i grandi nomi del passato ma una evoluzione che segue la scia dei già sopracitati Ulcerate, aggiungendo una vena maligna riconducibile a gruppi come Deathspell Omega o Aosoth (“My Buried Dream”). Le tracce spiccano per il loro elevato livello compositivo, regalando una certa sorpresa per il risultato ottenuto per cui il gruppo riesce a regalare una nuova speranza nel nostro malvagio Paese in cui si arranca per sopravvivere musicalmente (e non). (Kent)

Voto: 80
(Lavadome Records - 2015)

https://www.facebook.com/adnauseamofficial

venerdì 29 maggio 2015

When Reasons Collapse - Dark Passengers

#PER CHI AMA: Deathcore, The Black Dahlia Murder
Uno dei trend del momento, o meglio, degli ultimi anni, sembra essere quello di “imbastardire” il death metal (più classico a volte, altre volte più techno death) con il metalcore di chiara matrice statunitense. Ne è un classico esempio questo lavoro intitolato 'Dark Passengers' del quintetto francese dei When Reasons Collapse. Mi trovo qui ad analizzare il debut album della band, che conta tra le fila anche la tostissima vocalist Cristina; sfido chiunque, ad un primo ascolto e senza sbirciare il booklet, a capire che il growl che ci viene sparato in faccia, è prodotto da una voce femminile. La formazione si completa con le classiche due chitarre, basso e batteria; faccio subito i miei complimenti a tutti i musicisti che sfoderano una prestazione pregna di tecnica ma allo stesso tempo capaci di creare passaggi dalla pesantezza immane. Il CD è composto da 11 tracce compresa un'intro strumentale in apertura, che mettono subito le cose in chiaro per quanto riguarda la proposta musicale offerta dal quintetto: musica veloce, senza troppi slanci melodici, che rispetta i canoni del metalcore classico, con intermezzi rallentati e davvero heavy, che invitano al più scatenato degli headbanging. Doppia cassa in abbondanza, chitarre accordate bassissime e linee di basso killer, il tutto condito da un pregevole gusto musicale, che evita di far cadere il prodotto nella tamarraggine assoluta; altri prodotti, fidatevi, non hanno questo meritevole pregio. Da sottolineare positivamente il lavoro di produzione del CD, che sparato a volumi “seri”, mostra il meglio di sé, senza distorsioni, con gli strumenti belli cristallini che evitano il tanto odiato effetto “pastone”. Di tutto rispetto anche il lavoro dell'artwork, con un bel libretto e i testi leggibili. Tirando le somme, un buon prodotto, che potrebbe tranquillamente essere pubblicato da una major, anche se personalmente ritengo il genere proposto un po' troppo saturo al momento, con conseguente difficoltà per i gruppi indipendenti di trovare il giusto spazio che meriterebbero (ma è anche per questo che esiste “Il Pozzo”). L'unico difetto che ho trovato lungo i ripetuti ascolti è quello dell'effetto “monolite”, ma nel senso peggiore del termine; 40 minuti non sono molti, ma rischiano di diventare eterni se le canzoni sono poco varie e il metronomo si sposta di alcuni bpm da una traccia all'altra. Una maggiore varietà nelle composizioni, sopratutto negli incipit delle canzoni, gioverebbe all'ascolto. Nonostante tutto, da segnalare assolutamente come tracce di rilievo: “No Time for Regrets”, “When Reasons Collapse”, “Come to Me” e “Bitterness and Grief”, che rendono bene l'idea della qualità proposta dal quintetto. Presenti su Facebook con una pagina ben curata, provate a scoprire questi ragazzi francesi: voi non ve ne pentirete di sicuro, qualche problemino potrebbero piuttosto averlo i vostri timpani. Potenti. (Claudio Catena)

(Self - 2015)
Voto: 75

giovedì 28 maggio 2015

This Empty Flow - Nowafter

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Dark Sperimentale, Radiohead
Nati nel 1994, dalle ceneri degli storici doomster finlandesi Thergothon, i This Empty Flow hanno avuto vita breve se pensiamo che già nel 1997 venne posta fine al progetto. Un vero peccato, dato che in soli tre anni di attività i This Empty Flow hanno saputo comunque scrivere delle pagine di importanza non marginale all'interno del vasto panorama musicale underground e con una classe così unica che oggi il loro nome ha lasciato il segno. La formazione, composta inizialmente dagli ex-Thergothon Jori Sjöroos (voce/chitarra) e Niko Sirkiä (tastiere), fu presto affiancata dal bassista Aku-Tuomas e nel marzo del 1996 debuttò per la nostrana Avantgarde Music con 'Magenta Skycode', un album stupendo che a causa di una scarsa promozione passò purtroppo "in sordina" e non ottenne così l'attenzione che avrebbe meritato. Il successivo 'Three Empty Boys' non ebbe sorti migliori e fu pubblicato dalla Plastic Passion solo nel 1999, quando il gruppo era ormai sciolto. Questa raccolta, uscita per l'italiana Eibon Records nel 2001, racchiude sei brani fino ad allora inediti, cinque già contenuti nel secondo album 'Three Empty Boys' e tre tratti da 'Useless and Empty Songs', un cd-r realizzato nel 2000 sempre dalla Plastic Passion nella limitatissima quantità di 111 copie. Il cd si apre con le sei registrazioni inedite (ultime composizioni del gruppo risalenti all'estate del 1997), che oscillano tra sonorità alla Radiohead e sfumature trip-hop; ne sono un esempio il bellissimo brano d'apertura "Je(n!)i Force", in cui violino e chitarra accompagnano l'incedere lento e ritmato del pezzo e "Marmite", inframmezzata da insolite parti rappate. Dopo gli accenni psichedelici di "Stilton" è la volta delle melodie dilatate di "Shoreditch", tra le quali affiora lo spettro dei Pink Floyd e dove timidi arpeggi di chitarra sostengono la vocals sommesse di Jori. In "And also the Drops", rifacimento del brano "Drops", emerge un gusto pop accostabile ai primi Suede, mentre in "Ashby-de-la-Zouch" i toni gravi e drammatici degli strumenti a fiato si diffondono tra una voce sospesa e i riverberi di liquidi synth. Con "One Song of Solitude" l'influenza The Cure si fa abbastanza evidente e ci trascina in uno stato di abbandonica e piacevole malinconia, sensazione che ci avvolge anche in "Angel's Playground" e in "Dubby", dove le melodie struggenti della chitarra colorano i nostri pensieri delle sfumature più cupe. Fragili, malinconici e toccanti, i settanta minuti di musica contenuti all'interno di 'Nowafter', sono il testamento di una band che ha avuto poca fortuna nella sua breve carriera, rendiamo allora un giusto tributo ai This Empty Flow, facendo nostra questa bellissima raccolta e non dimenticandoci di loro. (Roberto Alba)

(Eibon Records - 2001)
Voto: 85

Tezza F. - The Guardian Rises, Part 1

#FOR FANS OF: Power/Prog Metal
Rummaging through underground power metal acts is like treading on thin ice. You may discover a hidden gem such as I have with the likes of Fogalord and Dragon Guardian - or you may end up subjecting yourself to 45 minutes of dull and badly-produced drek like Skylark. Fortunately, Italy's one-man band, Tezza F, is one of the latter. Though having never heard his first full-length album, the quality of metal on show for this EP is nothing if not promising. Yes, you heard! A one-man power metal band! This minimal form definitely benefits the outcome of this release. It's clear that Fil Tezza, its sole member, is playing things by his own rules, whilst totally relishing and savouring every note. This is a man who loves what he does - and what he does best is worship the Falconers and Vision Divines that went before him; using these influences to create his own brand of melodic power metal. The production is admittedly superb. It's hard to fathom how major mainstream acts like Metallica are still struggling to secure a decent sound quality when humble artists such as Tezza can achieve such a crystal clear timbre on their meagre budget. The drums are crisp, the guitars are full and rounded, the leads are clear and the vocals sit comfortably at the forefront. Tezza understands how an EP should be structured. There is no wasted space here, just a well thought-out tracklist consisting of original material. Even the 2-minute introductory title-track feels necessary and substantial - its declamatory tones paving the way for the bombast to follow. "The Sign of the Holy Cross" may not have been the best choice of opener considering its march-like tempo. The soaring hymn "Jolly Roger", or the galloping "Wildfire" would fare better. But the brevity of this EP allows all tracks to be highlighted in their own right. With the addition of some quirky compositional devices (the growled vocals in particular were a lovely additional element) Tezza F has proved that he has major potential in the Italian power metal scene. 'The Guardian Rises, Part 1' is the correct way to push your band's name forward whilst remaining stylistically loyal. Well done, sir! (Larry Best)

(Heart of Steel Records - 2015)
Voto: 85

Andy Rive - Acclimation

#PER CHI AMA: Metalcore/Progressive
Pensavo che Andy Rive fosse un musicista solista, o che almeno un membro della band si chiamasse Andy; niente da fare, chi risponde a questo moniker è infatti un quintetto di Freiburg, Germania, fautore di un interessante e sperimentale metalcore. Sapete quale sia lo scarso appeal che esercita questo genere sul sottoscritto, che ritiene tale proposta ormai usurata dal tempo e che ha smesso di dire qualcosa di innovativo forse 5 anni fa. Eppure, quando per la prima volta ho dato un ascolto al sound dei nostri sul web, sono rimasto folgorato per la scorrevolezza, la dinamicità e la freschezza di idee di questi ragazzoni teutonici. E allora, ecco trovarmi finalmente in mano l'EP 'Acclimation', che consta di 5 tracce (riproposte anche in versione strumentale), che dopo la rituale intro, si presentano brillantemente con le melodie di "Prisoner", una cascata di chitarre sincopate, costruite sull'asse Philipp/Martin, le due asce dell'act germanico e sulle corrosive vocals di Domi. Cambi di tempo azzeccatissimi, qualche chorus lontano, una ritmica profonda, rendono il tutto godibilisissimo. "Blizzard" è la seconda traccia del disco che mette in mostra certe velleità progressive del 5-piece della regione del Baden-Württemberg. Dicevamo delle chitarre, sempre in primo piano a dipingere splendidi e ammiccanti giri melodici, mentre in background il drumming spettacolare di Benny è coadiuvato dalle slappate di basso di Lukas. Per chi cerca un disco veloce, sappiate che 'Acclimation' non lo è minimamente (fatto salvo per la furia sporadica di "Weightless"); potrete trovare ritmiche chirurgiche di scuola Meshuggah, arzigogolati giri di chitarra, spaccati atmosferici, growling vocals, giochi di luce, che potrebbero valere anche un accostamento ai Cynic, ma soprattutto tanta tanta energia. "Salvation" è l'ultimo pezzo, il più vicino alle radici metalcore della band, almeno nei suoi primi 30 secondi. Subentreranno infatti sprazzi ambient, tonate di basso, isterici giri alla 6-corde, roboanti intrecci strumentali, fiumi di parole (addirittura in pulito), il tutto contrappuntato sempre da splendide melodie, che me la fanno eleggere il pezzo preferito dell'EP, sicuramente anche il più vario; peccato solo per quella chiusura di pezzo sfumata brutalmente. Per ovvi motivi non commenterò le song in versione strumentale: vi basti sapere che senza, il forse eccessivo, cantato di Domi, si riesce ad apprezzare ulteriormente la perizia strumentale del combo tedesco, nonché le eccelse melodie che gli Andy Rive producono. Un mezzo punto in meno per la scarsa durata dei 5 pezzi, però davvero bravi. (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 75

mercoledì 27 maggio 2015

Fabiano Andreacchio - Bass R-evolution

#PER CHI AMA: Heavy Metal strumentale, Fretless bass
Recensire dischi solisti non è mai facile, quando poi, anziché esserci una chitarra ci si trova un basso, tutto diventa ancor più complicato. Fortunatamente il talentuoso Fabiano Andreacchio, ex bassista dei Mothercare, ci dà una mano, confezionando un lavoro non cosi difficile da avvicinare. 'Bass R-evolution' consta di 11 tracce in cui il buon Fabiano, in compagnia di diversi amici, si diverte non poco, combinandone un po' di tutti i colori e facendomi perdere più volte il ricordo che questo è un disco strumentale, in cui il bassista assurge ad assoluto protagonista. Il lavoro, uscito per la Italian Way Music, si apre con "Sexonnia", traccia da cui è stato anche estrapolato un videoclip e il cui titolo rimanda a un disturbo del sonno che porta a compiere atti sessuali nel bel mezzo della notte. Ovviamente manco a dirlo, è il basso di Fabiano a irrompere con la sua pulsante ma dinamica frenesia ritmica, coadiuvato comunque da una drum machine che ne detta i tempi. L'ipnotico modo di far cantare il proprio strumento trova spunti più melodici in "Strange Kind", in cui le chitarre si affiancano, in un insidioso avanzare tra riffoni granitici, cambi di tempo ubriacanti, strappi melodici, scale vertiginose e attimi di follia. La sorprendente vena compositiva di Fabiano è anche la sua ancora di salvezza; raramente infatti il musicista mantovano abbandona il proprio sound sotto una coltre di noia. "Dream of a Far Landscape" è un interessante esperimento dark, in cui echi dei The Cure, che amavano particolarmente l'utilizzo del basso acustico, sembrano emergere. "Rebel Yell" è la prima cover del disco, un pezzo addirittura del 1983 di Billy Idol, in cui si percepisce forte la vena più hard rock oriented del bass-hero italico, in una traccia comunque bella tirata. "Texas Skull Revolver" potrebbe essere più un pezzo blues rock, questo a dimostrare l'ampio raggio di azione in cui si muove Mr. Andreacchio, e in cui Fabiano dà maggiormente sfoggio della sua classe. È invece il theme di 'Terminator' quello che si cela nelle delicate e cibernetiche note di "The Machine Behind", traccia che mostra una certa voglia di sperimentazione ma che in realtà poco ha da dire. Con "Epic Dusk", i toni si fanno decisamente più incazzati, forse un retaggio thrash metal che emerge, un tributo ai Pantera riletti in chiave moderna, o semplicemente il desiderio di sprigionare un bel po' di energia distruttiva, fatto salvo per un suadente break centrale. Nelle ultime song ecco far capolino le guest star. Doofybass Ares presta il suo basso, in "Into the Black", in un attacco bilaterale dai rimandi black sinfonici, una goduria per le mie orecchie, per cui eletta ovviamente mia song preferita. Ale "Darkoniglio" è la seconda guest in "The Last Kiss", brano dai contorni malinconici, in cui i due artisti duettano abilmente con le loro "bocche da fuoco" in spalla. Che musica vi aspettereste invece per il vostro funerale? Fabiano l'ha immaginato e ha scritto "My Funeral", un pezzo che mette in risalto nuovamente una forte componente nostalgica, guidata dalle soffuse e calde note del suo basso. Arriviamo alla fine di questo trip musicale con "Fly Over", l'unica canzone cantata del disco dallo stesso Fabiano e aiutato da Nicola Cisamolo ai synth: un pezzo rock, un po' ruffiano, che mette comunque in mostra le ottime capacità vocali dell'artista lombardo, in un pezzo che si snoda tra cyber, metalcore, industrial e sperimentalismi vari, un esperimento che invito caldamente di ripercorrere in futuro. 'Bass R-evolution' è il primo tassello della discografia solista di Fabiano Andreacchio, un nuovo disco sembra già in cantiere, chissà che attendersi ora. (Francesco Scarci)

(Italian Way Music - 2015)
Voto: 75

martedì 26 maggio 2015

One Last Shot - First Gear

#PER CHI AMA: Heavy/Thrash/Punk
Dopo le più eterogenee classificazioni dei generi musicali, ora posso aggiungere anche quella dei One Last Shot: dust metal. Il quintetto francese, Parigi per l'esattezza, ha origini recenti e nonostante ciò, si sta dando da fare per bruciare le tappe e arrivare dritto al sodo. La band infatti si fa promuovere dalla Dooweet, grossa agenzia francese di comunicazione e marketing, quindi grosso investimento con grandi aspettative. Parlando di musica invece, il "dust" metal dei One Last Shot non è nient'altro che un mix di Southern rock e Nu metal, i Motorhead, Guns 'n' Roses e Lynyrd Skynyrd in salsa moderna per capirci. Le cinque tracce sono ben registrate e lo stesso vale per la scelta dei suoni, adatti al genere, quindi un pacchetto pronto per il mainstream del settore. L'EP apre con "Brawler", brano velocissimo, caratterizzato da riff potenti, grancassa martellante con trigger ovunque e cori al momento giusto. I musicisti se la cavano, ma non aspettatevi chissà quali soluzioni creative, il brano va esattamente dove ve lo immaginate. Riuscirete ad anticipare il mega assolo di chitarra, i cambi e quant'altro, tutto perfetto e fatto ad hoc per un motoraduno pieno di bikers che sono abituati ad ascoltare tribute band di vario genere. "G.A.S" ha addirittura qualche passaggio death metal, ma dura talmente poco che verrete riportati alla dimensione Motorhead quasi istantaneamente. Il vocalist ha il timbro tipico del genere, adatto anche al thrash, ma la monotonia è una brutta bestia da combattere quando vi spinge a premere il tasto skip del lettore cd. Probabilmente è il brano più azzeccato, ben arrangiato e strutturato per entrare nel subconscio dell'ascoltatore. Anche qui gli assoli si quantificano un tanto al chilo, mentre la doppia grancassa scatena l'inferno. Il basso segue le linee melodiche senza protestare, in una sezione ritmica di tale portata, che molto spesso risulta difficile distinguerlo. Riesce però ad avere il suo momento nell'intro di "Prophesick", ma con l'arrivo delle chitarre e lo scatenarsi della batteria, la situazione precedente si ripresenta. La song si presenta veloce e potente, fortunatamente la band ha preferito dare il meglio in fatto di aggressività e potenza con questo EP, soprattutto se l'eventuale ballad sarebbe stata la classica litania da focolare in spiaggia. Che dire, la band è tecnicamente preparata e i musicisti sono quelli giusti per un progetto che probabilmente mira a voler sfondare nel music business al più presto. Probabilmente il quintetto parigino sta facendo la mossa giusta, riproporre il metal di qualche hanno fa in chiave moderna potrebbe spingere una parte dei nostalgici ad ascoltarli ed apprezzarli. In bocca al lupo, vi auguro che il vostro primo full length innesti finalmente la seconda marcia. (Michele Montanari)

(Self - 2014)
Voto: 65