#PER CHI AMA: Drone/Noise/Math, Helmet, Zu |
Devo ammettere che pensavo di aver già visto ogni sorta di artwork per un cd, dalle bare ai cofanetti in legno, dai libri agli origami, ma quello dei patavini Lorø si mostra come uno dei più eleganti. Difficile spiegarne l'essenza: una lastra di plastica trasparente avvitata su un supporto dalla grafica serigrafata, il tutto decorato con la scritta LORØ in oro. Visto che anche l'occhio vuole la sua parte, concedo già mezzo punto in più solo per questa diavoleria, peccato poi che per estrarre il cd dalla custodia, si debba bestemmiare in sette lingue, ma son dettagli. Il self-title album della band veneta, prodotto addirittura da cinque etichette indipendenti (credo sia un record), rappresenta il debutto per il trio di quest'oggi. Nove i brani a disposizione, che irrompono con il disturbante sonoro di "Pollock", traccia dal piglio math/noise assai vicina anche al nintendocore, che dichiara che il percorso avantgarde-sperimentale dell'ensemble, sarà tutto fuorché accessibile. Difficile affibbiare un'etichetta ben precisa alla musica dei Lorø, vi basti sapere che il disco è strumentale e lungo i suoi 48 minuti, sarà alquanto facile passare dal sound di "tooliana" memoria di "Thalia", in cui psichedelici synth ci accompagnano a sprazzi lungo il suo liquido defluire, a fraseggi jazz, noise o math rock. Torniamo a "Thalia", il cui rifferama è abbastanza complesso, risentendo di influssi orientaleggianti e richiami alla System of a Down, solcando nel finale anche il mare del rumore. "A Trick Named God" è una lunga song elucubrante, che si muove tra riffoni al limite del doom, idiosincrasici passaggi noise, energiche cavalcate cinematiche ed un dilatato spazio drone, il tutto guidato dalla maestria effettistica di Mattia Bonafini. Con "High Five", sembra di aver a che fare con un'altra band, uno di quei complessi che riempiono jazz club o lounge bar: il clima è rilassato, almeno fino a quando il riffing distorto di Riccardo Zulato aumenta in profondità, mentre il lavoro delirante ai synth, accresce la follia distorsiva dei nostri. Ancora noise/drone con "Ø", un'accozzaglia di rumori e ambientazioni angoscianti create dal suono di un didjeridoo, che tuttavia non trova il mio pieno consenso. Skippo alla successiva "At Mortem", una traccia in apparenza normale, quasi rock, in cui la sezione ritmica acquista in abrasività col crescere del brano, e i suoni sembrano quelli di un trapano che vuole penetrare la calotta cranica. Fortunatamente un break ambient ne interrompe il supplizio, concedendo un attimo di tregua prima della claustrofobica chiusura affidata all'elettronica e a deliziose melodie di sottofondo. Forse è il suono di un allarme quello che brevemente si palesa in "Clown’s Love Ritual”, il pezzo più lineare del cd, ma anche quello più tribale, grazie all'eccelsa performance dietro alle pelli di Alessandro Bonini. L'improvvisazione si cela comunque dietro ogni angolo, pertanto mai abbassare la guardia con questo power trio di Padova. "Faster, Louder & Better" accentua il riffing vetriolico dell'act italico, già sottolineato in precedenza, agendo anche sulla velocità, con una cavalcata che gronda in termini di groove. Come dicevo però, ecco che i Lorø deviano ancora una volta dalla strada maestra arrivando ad imbastire un finale schizofrenico. Centrifugato dai suoni catatonici di questa inusuale band, che trova alcuni punti di contatto con gli Zu e gli Helmet, arrivo alla conclusiva "To Whom it May Concern", frase che utilizzo molto spesso nei documenti di lavoro e che qui invece segna la fine di un impervio viaggio musicale che non sarà cosi semplice intraprendere. Di idee ce ne sono un'infinità, starà ai Lorø provare a renderle più abbordabili se vorranno far breccia tra un pubblico più vasto. Assai coraggiosi. (Francesco Scarci)
(Red Sounds Records/In the Bottle Records/Cave Canem DIY/
DIO)))Drone/Icore Produzioni - 2015)
Voto: 75