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lunedì 13 giugno 2022

The Decemberists - The King is Dead

#PER CHI AMA: Folk Rock
L'impervio percorso artistico del più ingombrante genio del prog-nu-folk non facente sesso con le groupies, scivola per sottrazione con la stessa velocità di una discesa lungo la coclea di Fibonacci. Ma se è facile sottrarre da 'Crane Wife' (il quarto album della band statunitense) le progressioni progressive e mainstrimate mainstream, se è altrettanto facile sottrarre da 'Hounds of Love' certi arzigogolanti arzigogoli da 'Quesito con la Susi' o da ultimi Porcupine Tree, meno facile è sottrarre alle vivaci composizioni dei primi album dei The Decemberists quella rurale spontaneità che odora di cuoio e merda di vacca. 'The King is Dead' è la (meravigliosamente eseguita e impeccabilmente prodotta) teca di cristallo che espone il songwriting di Colin Meloy al massimo del suo talento creativo. Ascoltate questo album ogni volta che pensate di aver fatto una cosa di cui avete paura di pentirvi. Vale a dire, spesso. (Alberto Calorosi)

(Capitol Records/Rough Trade Records - 2011)
Voto: 75

http://www.decemberists.com/

lunedì 6 giugno 2022

Soft Ffog – Soft Ffog

#PER CHI AMA: Prog Rock/Jazz Strumentale
Questo album è una scatola magica, piena di rimandi e allusioni sonore pescate in giro per il mondo del progressive, del rock, del jazz e della gfusion. Uno scrigno che renderà felici gli estimatori di questo genere musicale, sempre ricercato, mai banale e cosa ancor più importante, carico di un virtuosismo che in nessun caso risulta fine a se stesso o mai eccessivo. Registrato allo studio Paradiso con alla consolle il noto produttore Christian Engfelt, l'opera prima omonima di questa band norvegese s'inserisce a forza in quella lunga lista di splendide band che popolano questa magnifica terra del nord e, come troviamo scritto nelle note biografiche della loro pagina bandcamp, fin dal primo ascolto ci rendiamo conto che unire certe idee di King Crimson con Terje Rypdal, e Deep Purple con Pat Metheny, è sicuramente stata una trovata pazzesca. Valutando poi la bravura dei musicisti nel rendere il tutto musicalmente attuale, senza dover ricorrere per forza a teorie sonore vintage, anzi rendendo il tutto così moderno, fruibile e a volte persino altamente hard, nelle sue aperture al mondo più rock, ci si arrende al fatto di essere di fronte ad un vero gioiello sonoro. La band nata per suonare esclusivamente live, dal 2016 è diventato un side project di ottimi musicisti provenienti da altre formazioni, Tom Hasslan e Axel Skalstad dai Krokofant, Vegard Lien Bjerkan dai WIZRD e Trond Frones dai Red Kite e Grand General, che rispondono nel migliore dei modi, suonando alla perfezione le composizioni visionarie e variegate del geniale Tom Hasslan, che nel 2020 ha deciso di voler mettere per inciso queste lunghe suite strumentali cariche di magia progressiva. Non vi è infatti una traccia meno importante dell'altra, tutte sono attraenti ed interessanti, l'intero disco va ascoltato più volte, per assaporare quante sfaccettature esso contenga, che siano avantgarde o di ambient celestiale. E quante delizie tecniche esecutive e compositive si nascondono dietro ogni singola nota, compreso il suo spiazzante carattere impulsivo che a tratti fa esplodere letteralmente la musica in un'orgia sonora di gran gusto. Inoltre, l'ottima produzione lo rende piacevolissimo all'ascolto, mettendo in risalto anche una certa vena psichedelica che gli dà quel tocco in più, con un ottimo basso ed una ritmica veramente ben calibrati in profondità di frequenze, calore del suono e percussione, che sostengono a dovere una pioggia di suoni ed effetti tutti da scoprire. Se amate il prog jazz rock quindi, questo è il disco che fa per voi, un album che fa della qualità stilistica il suo cavallo di battaglia, in bilico tra suoni d'un tempo e modernità, per continuare a sognare nel nome di Nucleus, Soft Machine, Mushroom, Return to Forever. L'ascolto è quanto meno un obbligo non solo un mero consiglio! (Bob Stoner)

(Is it Jazz? Records - 2022)
Voto: 80

https://softffog.bandcamp.com/album/soft-ffog

domenica 22 maggio 2022

Richard James Simpson – Sugar the Pill

#PER CHI AMA: Indie Punk Rock
Il terzo album di Richard James Simpson, cantante e chitarrista americano, un tempo parte fondamentale dei Teardrain, apre le porte verso il grande pubblico ad un artista visionario, innamorato della psichedelia e delle rasoiate di chitarra, quanto di quel sostrato industriale e sintetico, molto familiare negli anni '90. Il noise è il contorno, il loop che si ripete e rinnova, le voci distorte, l'indie rock alternativo, sporcato di punk rock e lisergiche sonorità, rendono questo 'Sugar the Pill' una gemma ruvida ma assai luminosa. Così ci appaiono davanti suoni di un tempo, come i Dark Star, quelli di 'Twenty Twenty Sound', prodotti da Steve Lillywhite nel 1999, nei brani "Starry Hope" e "We're in the Wolf's Mouth", mentre "Sleep" riporta un odore industriale molto forte, del resto come "Consensual Telepathy", che ritrova alcune atipiche sonorità sperimentate dai Godflesh in 'Us and Them', oppure ancora l'influenza della scuola sonora aperta dal venerabile 'Mezzanine' dei Massive Attack o dai NIN più moderati in maniera personale e ricercata. "Playing God" sembra una out-take sfuggita ai recenti Duran Duran per il suo mood dance alternativo, seguita da un brano lampo come "Whitney Said", che recita una litania in maniera criptica, prima dell'oscura e sperimentale base ambient di "Time, the River" che, con il suo carillon nel finale, ostenta fantasmi vicini ai Death in June più astratti. Da qui in poi l'opera prende una vena meno rumorosa e più ambient, la ballata triste di "Take it Back" e "John Can't Hero" ne sono gli alfieri con movimenti lenti ed ipnotici spostamenti, suoni rarefatti, sospesi che si materializzano e si espandono nell'aria sciogliendosi definitivamente e sfociando nella drammatica follia dei 101 secondi di "The Pink is Painless", un buco nero che perfora l'anima. Conclude la ballata "Love Become a Stranger", che sembra un brano di Richard Ashcroft arrangiato da un Julian Cope in una stralunata forma romantica. Il disco è pieno di collaborazioni importanti, e cito come da sito della band Gill Emery (Mazzy Star, Hole), Don Bolles (The Germs), Dustin Boyer (John Cale), Paul Roessler (The Screamers, Twisted Roots, Nina Hagen), Geza X (Geza X and the Mommymen, The Deadbeats), Grebo Gray, Wilton e Kaitlin Wolfberg. Sicuramente un album tanto interessante quanto disomogeneo nella sue composizioni che s'ispirano a molte sonorità diverse tra loro. Di certo possiamo dire che 'Sugar the Pill' ha un ottimo sound che rispolvera vere chicche di commistione tra chitarre lisergiche e ritmi ipnotico-ossessivi che furono un tempo la Bibbia musicale di una generazione. Composizioni diversificate e fantasiose, fondamentalmente cupe, a volte claustrofobiche, per un lavoro tutto da scoprire ed apprezzare in tutte le sue molteplici sfaccettature. (Bob Stoner)

(Rehlein Music - 2021)
Voto: 74

https://soundcloud.com/rjamessimpson

domenica 8 maggio 2022

Transnadežnost' - Monomyth

#PER CHI AMA: Kraut Psych Rock
Visioni cosmico stroboscopiche per i Transnadežnost', band originaria di San Pietroburgo e dotata del nome verosimilmente più impronunciabile al mondo. Fatte le dovute premesse, perchè non domandatemi domani come si chiama questa band, non saprò rispondervi, andiamo a dare un ascolto a 'Monomyth', album di debutto uscito nel 2018 e dedito a sonorità space prog rock strumentali. Questo almeno quanto certificato dall'opener "Pacha Mama". La successiva "Ladoga" sembra infatti portarci in altri mondi, dilatati e lisergici, oscuri e magnetici, suonati peraltro con un certo spessore tecnico compositivo. Chiaro, poi manca una voce a guidarci nei meandri di questa release e per me spesso questo costituisce un problema, ma mi lascio comunque ammaliare dalle sonorità a tratti anche arrembanti che i nostri hanno da offrire nel loro sperimentalismo sonoro. Intanto si prosegue nella conoscenza della band russa e in "Kailash" si sconfina in suoni orientaleggianti che sembrano condurci a meditazioni mantriche di natura buddista, comunque inserite in un robusto contesto rock sofisticato dotato di una bella cavalcata finale. Quando accennavo agli sperimentalismi, ecco che "Star Child" mi viene in aiuto con un assolo di sax (che ritornerà anche nel finale) inserito in un atmosferico e seducente contesto musicale jazz/blues. "Huldra" sembra invece proseguire quel percorso psichedelico-meditativo-desertico messo in scena in "Kailash", con la sola deroga che qui troviamo finalmente una voce a prendersi la meritata scena. Certo, non proprio una performance memorabile, ma comunque accresce il tenore della proposta dei nostri. "Chewbacca" è un breve ma suggestivo pezzo prog rock (che mi ha peraltro evocato i Porcupine Tree) pronto ad introdurci a "Day/Night", il brano più lungo ma anche strutturato di 'Monomyth', quello in grado di combinare tutte le sfaccettature del quartetto russo, addizionate di una componente doom che ben s'incastra nelle allucinate derive stoner, kraut, tribal, prog, space, jazzy rock dei Transnadežnost' che vi ingloberanno in quest'ultimo ipnotico e delirante viaggio. (Francesco Scarci)

lunedì 25 aprile 2022

Arabs in Aspic - Victim of Your Father's Agony

#PER CHI AMA: Prog Rock
Profusione di lingue di allodola in salamoia e orde di elettroni in transito sulla cinghia di Van der Graaf ("God Requires Insanity" vs. "Killers"; l'incipit di "You Can Prove Them Wrong" e parecchio altro), come del resto era opportuno aspettarsi, il tutto rimpolpato da immancabili uriah-tastieroni (una straordinaria "One" con tanto di divagazioni psych + coretti senz'altro mutuati dagli ingombranti concittadini Motorpsycho). Altrove riferimenti più obliqui: embrioni dei Ruphus annidati in "Tv 3" e sensazioni prossime a certo space teutonico (gli Eloy borboglianti nella title track "Victim of Your Father's Agony" e quelli funkettoni di "The Turk and the Italian Restaurant"). Nel complesso, il quarto album degli Arabs in Aspic (in realtà il terzo degli Arabs in Aspic II), differisce dal precedente 'Pictures in a Dream' non nelle sonorità e nei riferimenti, entrambi ben consolidati dal giorno in cui fu deciso il nome della band, ma piuttosto per via di un songwriting forse più misurato e consapevole. Una caratteristica non sempre positiva all'interno dell'ipercromatico universo del progressive rock. (Alberto Calorosi)

(Black Widow - 2015)
Voto: 70

https://www.arabsinaspic.org/

sabato 23 aprile 2022

Spettri - 2973 La Nemica dei Ricordi

#PER CHI AMA: Horror Prog Rock
Nell'ambito della reviviscenza coraggiosamente perpetuata negli ultimi anni dall'etichetta di Genova, il recupero della band dalla storia più incredibilie (il nucleo storico della band germina dalla florescenza beat mid-60, transita attraverso l'esperienza horror-prog denominata Spettri, poi il piano bar e la retroguardia culturale nazional-chic marchio Renzo Arbore) tra le incredibilmente numerose band RPI dalla storia incredibile, permette la realizzazione di un album capace di ripercorrere con ossequio e leggerezza stilemi consolidati early-70: sludge-riff sabbatiani ("Il Lamento dei Gabbiani"), scorribande hammond viola carico, rutilianti arrembaggi easy-heep ("La Profezia") unitamente a elementi più marcatamente british-prog, vedi certi momenti di "Onda di Fuoco" e dalle parti di "Apocalypse in 9/8" e le numerose convoluzioni van-der-grafiche ("La Nemica dei Ricordi" vs. "Killer" o ancora "La Nave", aperta da una godibile intro goblin-vecchietta-cattiva-con-la-mela-velenosa, dominata da un riff strutturale da funerale elettrico sabbatiano e magnificamente chiusa da un finale spleen-prog). L'album, un concept straordinariamente vitale e consapevolmente suonato sull'apocalisse interiore in un ipotetico e distopicissimo 2973 intenderebbe essere una sorta di sequel dell'omonimo 'Spettri', ambientato nel 1972. Eppure, nonostante siano trascorsi la bellezza di 1001 anni, i mali del mondo sono davvero molto, troppo simili tra loro. (Alberto Calorosi)

(Black Widow - 2015)
Voto: 69

https://www.facebook.com/spettri.official/

lunedì 18 aprile 2022

Fooks Nihil - Tranquillity

#PER CHI AMA: Vintage Rock/Psichedelia
Recensiti dal buon Bob Stoner un paio di anni fa col disco di debutto omonimo, tornano in sella i teutonici Fooks Nihil e il loro sound iper vintage che ci porta a cavallo tra gli anni '60 e '70 con un sound che potrebbe fare da colonna sonora a "Sulle Strade della California" o "Le Strade di San Francisco", due telefilm di metà anni '70. Perchè questo pensiero? Ho immaginato una visione dronica della West Coast, delle sue strade e delle sue spiagge, e in sottofondo questi psichedelici brani che a partire dalla bluesy "Lovely Girl", cosi ammiccante i Buffalo Springfield, si muovono lungo gli undici brani di 'Tranquillity', evocando qua e là anche Crosby Stills & Nash e soprattutto i The Byrds, letteralmente proiettandoci indietro nel tempo di cinquant'anni. Quello dei Fooks Nihil non sembra assolutamente un album concepito oggi, ma sembra tuttavia una raccolta di inediti di alcune delle band sopraccitate. Se vi piacciono questo genere di sonorità, che chiamano in causa anche i Beatles ("Mangalitza") e gli Eagles ("C.A. Walking"), non potrete farvi mancare l'ascolto di questo lavoro decisamente old style. Il mio brano preferito? Non ho alcun dubbio, "Elain", con quel suo mood alla Bob Dylan e quell'assolo conclusivo da urlo. Menzione conclusiva per "Pictures of You", un brano dal rilassatissimo e forte "sabor latino" che incanta per quel suo scherzoso fare che mi ha evocato "Piranha" di Afric Simon. Si insomma, non propriamente un album da Pozzo dei Dannati, ma per una serata in allegria, 'Tranquillity' può andare alla grande. (Francesco Scarci)

giovedì 14 aprile 2022

The Flying Norwegians – New Day

#PER CHI AMA: Country Prog Rock
Qualche mese fa abbiamo parlato della ristampa del fortunato secondo album, intitolato 'Wounded Bird', del 1976, di questa band scandinava, che come si può immaginare dal loro moniker, è norvegese di nome e di fatto, ma che musicalmente amava definirsi semplicemente come americani di Norvegia. Oggi parliamo invece del loro disco di debutto del 1974, ristampato e rimasterizzato sempre nel 2021, e che farà la felicità degli estimatori della musica folk e country americana, molto popolare nel periodo che oscilla tra i tardi anni '60 e i primi '70. Come detto nella precedente recensione, il gruppo guidato dal chitarrista Rune Walle e dal batterista Gunnar Bergstrøm si affaccia al mercato di fine anni '70, con un ottimo debutto discografico, anche se per il sottoscritto 'Wounded Bird', rimane il mio preferito di sempre. In questo album si fondono come al solito i vari sentori e suoni di riferimento che hanno influenzato il combo norvegese. Il country degli immancabili the Flying Burrito Brothers, gli Eagles, Crosby, Still & Nash, che si alternano con brani, come l'apripista "Young Man", che mostra una sezione ritmica molto spiccata in salsa molto funk, e nella conclusiva "It Ain't Just Another Blow", dove la band di Bergen, si muove agevolmente con melodie allegre da polveroso saloon del vecchio West. In mezzo, un'infinità di chitarre, banjo, pedal steel, wah wah ed evoluzioni sofisticate, proprio come le creazioni dei coloratissimi The Flying Burrito Brothers, lontani anni luce da chi intende il country un genere poco ricercato e piatto. Composizioni ricche e dinamiche, che non disdegnano la presenza di qualche intromissione anche nel soul, nel blues e nel progressive rock, magari nelle sue forme espressive più soft, ma comunque intelligentemente strutturato. Il sound padrone, rimane quello delle grandi praterie americane, ballate solari e libertà, con escursioni anche nella psichedelia, come nell'intermezzo di "Those Were the Days", dove da classica country song si trasforma in una specie di evoluzione ritmica dai tratti caraibici e funge quasi da precursore alle strade percorse più tardi dal geniale David Byrne. La riedizione del disco gode di un'ottima sonorità, fedele all'originale, con suoni caldi e pieni, ma che, allo stesso tempo, suona nuova come se l'album fosse stato registrato ai giorni nostri. L'intera atmosfera del disco è molto rilassante, ed il gusto di starsene sdraiati in poltrona ad ascoltare le molteplici peripezie chitarristiche sparse qua e la, un po' in tutti i brani, sarà la gioia di molti amanti del suono equilibrato e ad alta fedeltà. Come ho detto in precedenza, li preferirirò nel disco successivo, ma non posso dire che anche questo intenso, lungo primo lavoro, non sia un grande disco e che, fin dal primo ascolto, per un vero intenditore di musica, sia un'opera che veramente vale la pena di ascoltarla tutta d'un fiato e ad alto volume! (Bob Stoner)

sabato 26 marzo 2022

Serj Tankian - Orca Symphony No. 1

#PER CHI AMA: Orchestral Symphonic Rock
Tankian sosteneva che l'orca, in quanto metà balena e metà delfino, rappresentasse meglio di qualunque altro animale la dicotomia insita nell'essere umano. In copertina vedrete due orche incastrate nel simbolo yin-yang cinese e tutt'intorno una cornice di note sul pentagramma: a questo punto vi rallegrerete che 'Orca' sia un lavoro interamente strumentale. E che lo spacciatore di Tankian non sia un minotauro. Sprovvista delle sofisticate architetture matematiche della sinfonia classica, la composizione evolve come una sorta di flusso di coscienza collettivo, scarsamente o affatto narrativo, ma comunque dotato di quella solenne forza descrittiva tipica di certe indovinate colonne sonore. C'è ancora (un po' dappertutto, ma specialmente in "Act I" e "Act III") quel piano irriverente e gigione che ricordate in 'Elect the Dead Symphony'. Mancano stavolta i tipici lallalla laralallà tankianeschi riempispazio, ma a occhio non mi sembrate così dispiaciuti. Peraltro, non vorrei dire, ma il tema di "Act III - Delphinus Capensis" è uguale sputato a Fra Martino Campanaro. (Alberto Calorosi)

(Serjical Strike Records - 2013)
Voto: 65

https://serjtankian.com/

lunedì 21 marzo 2022

Bjørn Riis - Everything to Everyone

#PER CHI AMA: Prog Rock, Porcupine Tree
Partiamo da un paio di assunti: sono un grande fan degli Anathema versione prog rock ed ho amato il precedente 'A Storm is Coming' del musicista norvegese (co-fondatore degli Airbag), quindi ammetto di aver aspettato con certa trepidazione l'uscita della nuova release del buon Bjørn Riis. Fatte queste dovute premesse, ecco apprestarmi ad infilare nel lettore questo 'Everything to Everyone', quinta release ufficiale per il polistrumentista scandinavo e sei nuovi pezzi a disposizione per saggiarne lo stato di forma. "Run" attacca in modo roboante, per poi assopirsi, dopo un paio di minuti di inattese sgroppate di rock duro, in atmosfere soffuse, delicate e malinconiche che pescano qua e là dai chitarrismi gilmouriani dei Pink Floyd. Non c'è voce nella traccia d'apertura, solo tanta atmosfera che avrà modo di evolvere in un sonico turbinio finale. La voce calda e magnetica di Bjørn arriva con la seconda "Lay Me Down", e quasi dodici minuti di carezze e melodie, in cui il frontman duetta con Mimmi Tamba, cantautrice norvegese, mentre le sonorità si muovono sempre nei pressi di un soffuso prog rock cinematico, fatto salvo in taluni frangenti (quelli che fatico un po' più a digerire) in cui Bjørn e i suoi ospiti (membri di Airbag, Wobbler, Caligonaut, Oak e molti altri), si lanciano in riffoni decisamente più robusti. Ma è l'aspetto più psichedelico del talentuoso chitarrista degli Airbag che prediligo, quello che chiude la seconda traccia attraverso una lunga deriva di pink floydiana memoria con un assolo davvero notevole. Ancora la voce di Bjørn in apertura di "The Siren", song dai forti tratti malinconici che mi ha evocato ahimè pesantemente "You and Me", tratto dal precedente lavoro. "Every Second Every Hour", un'altra maratona di oltre 13 minuti, ha un che degli Anathema nel suo incipit arpeggiato e nella voce quasi affranta del vocalist. La song scorre come un film in bianco e nero, tra passaggi di grande malinconia e variazioni nel cantato che conferiscono un po' più di incertezza al brano, anche nell'oscuro break centrale che sembra tagliare il pezzo in due differenti segmenti, di cui il secondo è quella più strumentale, con ampio spazio ceduto al virtuosismo chitarristico. Un beat elettronico, in compagnia di una chitarra arpeggiata, apre "Descending", una discesa spirituale negli abissi dell'anima dell'artista norvegese, deprivata però di ogni componente vocale. La voce di Bjørn in compagnia della bravissima Mimmi, torna nella title track che va a chiudere il disco (attenzione che nella versione digisleeve ci sono anche due bonus track), in quella sorta di duetto uomo-donna che contraddistingue ogni benedetto album degli Anathema. A differenza della band inglese poi qui, metteteci una grande perizia tecnica, ottimi assoli e tanta, tantissima passione che sottolinea ancora una volta la performance di Bjørn Riis e compagni. (Francesco Scarci)

giovedì 17 marzo 2022

Delirium - L'Era della Menzogna

#PER CHI AMA: Prog Rock
Sensibili oggi come allora a certe suggestioni contemporanee, i Delirium pubblicano un concept sui mali del mondo moderno tematicamente affine a 'Lo Scemo e il Villaggio', forse persino più sdegnoso, ma dal respiro decisamente più ampio e trasversale per stili musicali e riferimenti temporali. Chitarrismi rocciosi Thrak-crimsoniani flirtanti con certo prog-metal alla Tangent e Transatlantic ("L'Inganno del Potere"), trascinanti inni incazz-folk a metà tra la PFM in tour con De André e l'Eugenio Finardi più muscoloso ("Fuorilegge"), ma anche sciagurati scivoloni trip-pop in aroma di BMS anni ottanta ("L'Angelo del Fango"), poi ancora i Toto non-troppo-Lukateriani di "Basta", i Genesis dopo-che-sono-rimasti-in-tre de "La Voce dell'Anima", o la rabbiosa "L'Era della Menzogna" che dà il titolo al lavoro e che suona proprio come suonerebbe una "You Can Leave Your Hat On" eseguita dai King Crimson di 'Red'. Se avete fretta, potete cominciare con la conclusiva "Il Castello del Mago Merlino", che riassume mirabilmente tutto questo, con in più un pizzico di Porcupine Tree e l'immancabile chitarrismo "gilmouriano" a sfumare il maestoso finale. Oppure potete lasciare perdere: il prog italiano non fa per voi, se siete gente che ha fretta. (Alberto Calorosi)

(Black Widow Records - 2015)
Voto: 63

https://www.facebook.com/DELIRIUM-IPG-654167274667891/

giovedì 3 marzo 2022

Warpaint - Heads Up

#PER CHI AMA: Psych/Art Rock
Un'avveduta riproposizione degli acclamati languori sonici già sobillati nel lavoro precedente ma opportunamente (forse troppo/rtunamente) arricchiti di trame e substrati elettronici, vedi per esempio la kraut-bossa medialista di "Don't Wanna" o le distanze fatton-danzerecce di "So Good" o "Don't Let Go" e ancora la Bristol/izzazione diffusa un po' ovunque, ma soprattutto in apertura ("By Your Side" e "Whiteout"). Oppostamente, due elementi di continuità conducono l'ascoltatore nei paraggi del precedente, omonimo 'Warpaint': la progressiva riverberanza (leggi: sonnolenza) dei suoni e la (stra)ordinaria voce di Theresa Wayman, sempre (in)consapevolmente carica di sensualità ipnotica post-fattanza (in "Whiteout" soprattutto). Spregiudicatamente dream-poppy e save-a-prayeristico invece il singolo "New Song", soltanto apparentemente avulso dal contesto sonoro di quest'album dedito ad un psych art rock tutto al femminile. Un album che fareste bene ad ascoltare in cuffia mentre aspettate l'alba strafatti di mescalina, gambe penzoloni, seduti su un molo di legno proteso nell'Oceano Pacifico. (Alberto Calorosi)

(Rough Trade - 2016)
Voto: 68

https://www.facebook.com/warpaintwarpaint

lunedì 28 febbraio 2022

Cherry Five - Il Pozzo dei Giganti

#PER CHI AMA: Psych/Prog Rock
La suite che apre e domina il secondo album dei "nuovi" Cherry Five (del nucleo originario sopravvivono infatti soltanto i non-Goblin Tartarini e Bordini) recupera il pathos pianistico ma soprattutto la durata autocelebrativa di certe suite tardo E-L-P, in combinazione con passaggi aromaticamente psych e un inopinato chitarrismo rock-metal alla, uh, diciamo Brian May? Sul lato B, una seconda suite alifaticamente prog-pop che mescola la Premiata folkeria Marconi, i New Trolls melodici di "Signore, Io Sono Irish", Notre Dame de Paris, i Rush e un poltergeist dispettoso travestito da Rocky che saltella sulla tastiera di un pianoforte. La galoppante "Dentro la Cerchia Antica" rivela invece una spiccata devozione, specialmente da parte del cantante, nei confronti di 'Nuda' dei Garybaldi, ma con una chiusura crimson-perentoria. L'immobilismo protervo della politica, la guerra, la morte: un concept sui mali moderni come allegoria della Commedia dantesca, che a dire il vero sarebbe già abbastanza allegorica per i fatti suoi. Niente di assolutamente originale, beninteso, ma un po' meglio del qualunquismo sdegnoso del coevo 'L'Era della Menzogna' firmato Delirium. (Alberto Calorosi)

martedì 15 febbraio 2022

Árstíðir - Hvel

#PER CHI AMA: Folk Rock
L'introduttiva "Himinhvel" è una specie di requiem celtico come lo suonerebbero dei Solstafir che affondano al largo delle Fær Øer maledicendo Odino (ma a differenza del conterraneo Aðalbjörn Tryggvason, questo Daníel Auðunsson è capace di cantare), mentre "Things You Said" è un rassicurante folk cameristico turbato da repentine pennellate emozionali, qualcosa, se possibile, a metà tra i Mostly Autumn più primaverili e i Fleet Foxes meno anticoncezionali. Nella sfolgorante tensione emotiva generata dalla giustapposizione delle due tracce introduttive dell'album è individuabile l'intero weltanschauung musicale di questo album e più in generale degli Árstíðir medesimi. Armatevi di fazzoletti. Da una parte i C-S-N-Y intirizziti di "Someone Who Cares" e i Kings of Convenience dal radiologo di "Moonlight", forse anche gli Inti tecnoillimani (ommadonna) di "Vetur Að Vori". Dall'altra le tonalità bistrate e intimamente atmosferiche dello strumentale "Ró", ma anche "Shine", "Unfold" e di quella straordinaria bossa nordica intitolata "Friðþægingin", qualcosa che St(ronz)ing donerebbe uno dei suoi una-volta-tantricissimi testicoli pur di saper (nuovamente) scrivere. (Alberto Calorosi)

(Beste! Unterhaltung - 2015)
Voto: 80

https://arstidirsom.bandcamp.com/album/hvel

domenica 30 gennaio 2022

Soundscapism Inc. - Afterglow of Ashes

#PER CHI AMA: Progressive/Post Rock
Tornano sulle pagine del Pozzo i Soundscapism Inc., band di Bruno A. che seguiamo ormai dai suoi esordi. Nuovo album edito sempre dalla Ethereal Sound Works intitolato 'Afterglow of Ashes' e solito tuffo nell'immaginario post rock dell'artista portoghese trapiantatosi a Berlino. Sempre un fottio i pezzi a disposizione, dodici per l'occasione, includendo anche una bonus track, la versione unplugged di "Kopfkino", registrata live nel 2018 e che vede il featuring di Usama Siddiq a voce e chitarra ritmica. Il disco apre con le accattivanti melodie di "Nosedive" e come sempre è la commistione tra post rock cinematico e dreamgaze a farla da padrone, con le vocals relegate a pure e semplici spoken words. Melodia e prog rock a braccetto cosi come piace a Bruno e a tutti i fan della band che vedono anche in questo disco la comparsa di un paio di guest star, Tobias Umbach al piano e organo in una manciata di pezzi e Manuel Costa come bassista dalla seconda alla decima traccia. Nel frattempo il disco prosegue in modo scorrevole la sua corsa, tra intime ed eleganti melodie strumentali ("Revolutions per Minute"), seducenti parti acustiche (ascoltatevi l'intro di "Bone Without a Dog") che con un quantitativo importante di synth, dipingono splendidi paesaggi campestri. E qui forse risiede il problema di questa release, non nello spennellare armonici panorami, ma nell'essere troppo ordinario, non ci sono slanci di originalità, non c'è punto in cui le mie previsioni siano smentite da qualcosa fuori dagli schemi. Mettiamo in chiaro che Bruno è un ottimo musicista, ha buon gusto per le melodie dal piglio malinconico ("Reflect Deflect Collect"), per le suggestioni rock progressive imbevute di elettronica ("Neon Smile", con quel suo incipit alla Muse di "Algorithm") o semplicemente richiamanti i bei tempi andati ("Eartshine", dove finalmente fa la sua comparsa la voce di Bruno), ma manca decisamente ancora qualcosa che sconquassi l'ascolto, catalizzi l'attenzione e renda un album discreto davvero una bomba. Alla fine quelli contenuti in 'Afterglow of Ashes' sono quasi tutti buoni pezzi (non ho realmente apprezzato le conclusive "Vicodin Wonderland" e "All Sad & Done", troppo fiacche per i miei gusti), con un vocalist al 100% però lasciatemi dire che avrebbero reso molto ma molto di più. (Francesco Scarci)

The Mummies - Death by Unga Bunga!!

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Punk/Garage Rock
Un'acufenica e praticamente inascoltabile discarica di singoli e ritagli assortiti buttata giù a passeggiata di cane da parte della più ortodossa, fracassona e strafottente band della intera ultraortodossa, iperfracassona e strastrafottente scena garage/surf/revival californiana fineottanta/inizio'novanta. Produzioni eterogenee, barattolose, meteoritiche, sguaiate. Tantissimo garage (tipo "I'm Gonna Kill My Baby Tonight"), tantissimo surf (tipo "A Girl Like You" e "Die!") e una conclamata, rivendicata, ostentata inettitudine nei confronti di qualunque forma di armonia, intesa nell'accezione più ampia del termine. I musicisti sono ignare mummie, i costumi di scena sono bende di tela, gli strumenti solo scomodi sarcofagi musicali. Tutti i vinili pubblicati a suo tempo, vale a dire nei primi novanta, dai Mummies riportavano la scritta "fuck cd", ciò che apparirebbe hipsterosamente snob oggigiorno, eppure nel booklet di questa compilation postuma avrete il piacere di individuare una iconoclastica "fuck vinyl ha haa". Non è sufficiente per affezionarsi al progetto, ma è un inizio migliore di altri. (Alberto Calorosi)

(Estrus Records - 2003)
Voto: 58

http://www.themummies.com/

domenica 9 gennaio 2022

Kosmodome - Kosmodome

#PER CHI AMA: Psych/Prog Rock
Il giovane duo dei fratelli Sandvik si mette in mostra con questo interessante primo album dal titolo omonimo e dai toni caldi e curati. Un'attitudine space rock nella grafica di copertina, nel moniker e nell'atmosfera generale del disco, che abbonda di effetti cosmici, aiutati dai vari rhodes, organo, piano e mellotron, suonati dal bravo Jonas Saersten, unico ospite nel progetto. Il sound dei Kosmodome è sofisticato e riconduce, come affermato nelle note della pagina bandcamp, alle sonorità prog rock degli anni '60, a cui aggiugerei anche primi anni '70, rinnovati alla maniera degli Anekdoten, anche se meno cupi e più solari. Ottimo l'impatto strumentale, dove Sturle Sandvik suona chitarra, basso e canta, mentre il fratello Severin siede dietro ai tamburi. Entrambi si comportano assai bene sfoderando ottime prestazioni, sia in fase esecutiva che compositiva, arricchendo e colorando tutti i brani in maniera intelligente. Questi nipotini degli osannati Camel di inizio carriera, hanno imparato perfettamente come esprimersi in ambito rock, acquisendo una formula sonora navigata, vintage e classica, ridisegnata degnamente con verve attuale e accorgimenti moderni di scuola post rock e space rock, sia nel canto che nella scelta delle sonorità. "Deadbeat" né è un manifesto con una coda in stile folk etnico che fa un certo effetto scenico. Tra i brani si manifestano esplosioni in stile stoner come in "Waver I" e "Waver II", ma il parallelo con i Mastodon rivendicato dalla band, mi sembra eccessivo. In effetti, il suono caldo ed elaborato è di buona fattura ma non raggiunge mai la potenza del combo americano. Comunque, la vena prog nello stile dei Kosmodome prevale sempre, anche quando schiacciano sul pedale dell'acceleratore, ecco perchè li avvicinerei più ai mitici Anekdoten e agli allucinati Oh Sees come attitudine, mentre se parliamo di stoner li avvicinerei piuttosto agli Apollo 80 o ai precursori olandesi Beaver. I paragoni lasciano il tempo che trovano e devo ammettere che il disco è assai bello, piacevole, ricercato e si consuma tutto d'un fiato, cosa che permette all'ascoltatore di entrare in un'atmosfera astratta e cosmica intrigante, capitanata peraltro da una voce pulita e sicura che a volte inspiegabilmente mi ricorda certa new wave psichedelica degli anni '80. Ascoltate il brano "The 1%" e godetevi l'estasi, oppure "Retrograde" per farvi sovrastare da un' ottima psichedelia progressiva. Gran bella prova per questo giovane duo norvegese di Bergen, che fa parter del rooster di una splendida etichetta discografica, la Karisma & Dark Essence Records. Album da non perdere! (Bob Stoner)

(Karisma & Dark Essence Records - 2021)
Voto: 78

https://kosmodome.bandcamp.com/album/kosmodome

mercoledì 5 gennaio 2022

Closure in Moscow – First Temple

#PER CHI AMA: Indie/Prog Rock
Poco tempo fa avevamo presentato la ristampa, ad opera della Bird's Robe Records, dello splendido primo disco di questa band australiana, amatissima in patria e capace con questo secondo album intitolato 'First Temple', di arrivare al primo posto in classifica, come miglior album nella categoria hard rock/punk indipendente, agli AIR awards del 2009. La band alla fine del 2008, si sposta in blocco negli Stati Uniti per continuare la fruttuosa collaborazione con il produttore Kris Crummett, che già nel precedente, 'The Penance and the Patience', aveva dato alla luce un ottimo debutto per la giovane band di Melbourne, che in questo modo rinvigorisce il proprio sound, aumentando il cast degli strumenti usati e la qualità di produzione, per un lavoro che risulterà più elaborato, levigato al meglio, meno spigoloso e più accessibile, coloratissimo come la sua splendida copertina, variegato e di moderna visione, un mix perfetto per non passare inosservati e creare una sorta di marchio di fabbrica definitivo per i Closure in Moscow. Un modo di vedere il prog rock contaminato da visioni psych, hard rock, indie punk, con suoni caldi e profondi, voci che incantano e una timbrica sempre pulsante. L'intensità della musica, che in tutte le sue diversità di stile, viene proposta e sviluppata ovunque nel modo migliore, mostra una capacità di esecuzione e di composizione al di sopra della media (ascoltatevi "Afterbirth" e ditemi cosa ne pensate!). Una proposta musicale che non mostra lacune, che si fa ascoltare a tutto tondo senza perdere mai lo smalto, brano dopo brano, ed anche se il suo aspetto risulta essere evidentemente volto al mainstream, niente lo rende banale o derivativo, anche oggi che ha superato il decennio di vita dalla sua prima uscita, via Equal Vision Records e Taperjean Records nel 2009. I richiami sono al solito rivolti ai The Mars Volta, ai Coheed and Cambria e ai Pain of Salvation, avvolti da un'aurea di indie intelligente e fresco alla Byffy Clyro (stile 'Infinity Land'), ma tutto filtrato dall'amore per il prog rock dei seventies ed il virtuosismo acrobatico spalmato all'interno delle coloratissime composizioni, in perfetta sintonia con la classe della band di Claudio Sanchez e soci. Fa scuola il brano "Arecibo Message", una canzone dalle potenzialità enormi. Un disco che all'ascolto risulta accessibile ma assai complicato, divertente e sofisticato allo stesso modo, un album pretenzioso, anche a livello stilistico (non tutti si possono permettere un brano in acustico come "Couldn't Let You Love Me"), ma studiato con un sound fresco ed evoluto, per essere ascoltato con facilità e valutato come un piccolo gioiello, anche dopo numerosi ascolti, un album che supera a pieni voti le aspettative degli amanti del genere. Album da non perdere assolutamente. (Bob Stoner)

domenica 2 gennaio 2022

Prehistoric Pigs - The Fourth Moon

#PER CHI AMA: Stoner Rock Strumentale
Go Down Records sempre attivissima, quest'oggi con i friulani Prehistoric Pigs e il loro concentrato di psych stoner doom. Di fronte a queste premesse, di certo non mi sarei aspettato una proposta interamente strumentale, insomma il pericolo di annoiarsi potrebbe celarsi dietro l'angolo, ma il trio deve aver evidentemente ponderato il rischio. Purtroppo per loro non avevano valutato il fatto che 'The Fourth Moon', quarta uscita per la band, cadesse tra le grinfie del recensore sbagliato, quello che non ama particolarmente i dischi senza una voce a guidarne l'ascolto. E allora vediamo se i nostri sapranno soppiantare questa carenza con altre armi efficaci. Che dire, il disco si apre con il roboante rifferama di "C35", puro stoner distorto quanto basta, che ad un certo punto cederà il passo ad atmosfere doomish su cui vanno ad incastonarsi schegge impazzite di chitarra, utilissime quanto l'ossigeno per un individuo la cui ipossiemia inizia a farsi sentire. L'heavy stoner del terzetto prosegue con il suo classico canovaccio nella successiva "Old Rats", e la mancanza di una voce in grado di modificare la monoliticità del suono diviene più evidente. Fortunatamente, i tre musicisti ci piazzano un orrorifico break atmosferico in cui, accanto a chitarre dal sapore noise, in sottofondo si percepisce anche un ipnotico giro di basso, prima di una sporca ridondanza ritmica che chiude il brano. Gradirei un urlaccio, devo ammetterlo, messo qua e là, giusto per farmi sentire un pizzico di umanità in più nel susseguirsi delle tracce. E invece la traccia si chiude con un poderoso riffing e si riapre con una porzione ritmica che sembrerebbe la medesima della precedente, proprio perchè manca un vocalist a fornire una differenziazione musicale con la sua timbrica vocale. E cosi sono alla terza "Crototon", ma potrei benissimo essere già alla conclusiva (decisamente più esplosiva) "Meteor 700", che manco me ne sono accorto. Mi spiace, perchè i nostri non sono degli sprovveduti a livello strumentale anzi, i deliziosi giochetti di chitarra a servizio della gagliarda ritmica, dimostrano una certa perizia tecnica eppure, arrivato alla title track decido di prendermi una pausa, un po' tediato dalla fin troppo lineare proposta musicale dei Prehistoric Pigs. Come mi aspettavo, i nostri non sono riusciti a toccarmi l'anima, nonostante i continui tentativi di cambi di tempo, la veemente proposta musicale, che non trovo tuttavia adeguatamente supportata a 360°. Per chi ama lo stoner strumentale, qui troverà pane per i suoi denti, per gli altri, non mi sento in tutta onestà di suggerire un album forse troppo settoriale. (Francesco Scarci)

lunedì 27 dicembre 2021

Yes - Heaven & Earth

#PER CHI AMA: Prog Rock
A nulla servirà l'idro-pop di derivazione anninovantesca-alla-Talk ("The Game") o anniottantesca-alla-90125-ma-che-dico-magari-90125-qui-al-massimo-siamo-dalle-parti-di-big-generator ("It Was All We Knew"), o le risibili orchestrazioni finto-soundtrack in apertura di "Subway Walks", non servirà individuare (se non con certosina motivazione) qualche levigato etno-barocchismo alla Anderson Bruford Wakeman Howe ("Light of Ages", ma per non più di un paio di minuti) né certe fotocopiose architetture mid '70s (le scalette finali di "Believe Again" – dove oltretutto potete apprezzare una sfacciata clonazione del Top Gun anthem di Moroder, proprio nelle note iniziali; il botta-funky-risposta basso/tastiera di "Subway Walls"), né infine, la conclamata consapevolezza che gli episodi migliori di questo 'Heaven & Earth' sembrino, alla meglio, outtakes dei peggiori Yes ("Tormato"? "Big Generator"? "Open Your Eyes"? Ce ne sarebbero a volontà). Il fatto è che se la musica della band composta dai membri umanamente più disgustosi della sovente umanamente disgustosa storia del rock non ha ancora inspiegabilmente cominciato a farvi schifo allora lasciate stare, perché questo album è talmente scialbo e sciatto e insignificante che non riuscirà a farvi cambiare idea nemmeno su questo. (Alberto Calorosi)

(Frontiers Records - 2014)
Voto: 50

http://www.yesworld.com/