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giovedì 28 settembre 2017

Since the Flood - No Compromise

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Hardcore, Terror, Hatebreed
Alla Metal Blade credo che gli siano serviti parecchi anni prima di rendersi conto che avevano rotto i coglioni con tutto il metalcore che hanno proposto. Ho ascoltato centinaia di band dedite a tale genere proveniente dall'etichetta tedesca; quelle che avevano effettivamente qualcosa da dire, di non scontato intendo, si contavano sulle dita di una mano. I Since the Flood stanno nel calderone di gruppi un po’ piattini, di quelli in cui le parole personalità, originalità e buon gusto, non sanno dove siano di casa. Mi spiace stroncare sin in apertura un lavoro di questo tipo ma, 12 brani, per mezz’ora di musica, non giustificano assolutamente l’acquisto di tale cd. Mi veniva da ridere leggendo commenti del tipo che i Since the Flood potessero essere i nuovi emuli degli Slayer; una cosa è certa, erano (si sono infatti sciolti l'anno dopo questa porcata) sicuramente anni luce lontani dalla band di Tom Araya e soci, sia per il sound proposto che per la velocità d’esecuzione. Questi ragazzi suonano, infatti, un metalcore figlio delle ultime tendenze, un mix tra sonorità alla Hatebreed e Buried Alive. Pezzi brevi, semplici, diretti, tipicamente hardcore si stampano sulle nostre facce, garantendoci 30 minuti di selvaggio headbanging e niente di più. I brani poi si assomigliano inevitabilmente un po’ tutti; alcuni sono identificabili per qualche raro rallentamento, in grado di assicurarci un attimo di tempo per riprendere fiato. Gli ossessionati dell’hardcore diano pure un’ascoltatina, gli altri si astengano. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2007)
Voto: 50

https://www.youtube.com/watch?v=Cxf3wX0Yu-U

Nile - Legacy of the Catacombs

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Techno Brutal Death
Per chi conoscesse poco dei primi quattro album dei Nile, la Relapse Records rilasciò nel 2007 'Legacy of the Catacombs', raccolta “best of” per la band statunitense che includeva brani provenienti da 'Amongst The Catacombs of Nephren-Ka', 'Black Seeds of Vengeance', 'In Their Darkened Shrines' e 'Annihilation of the Wicked', oltre ad un bonus DVD con tre video ufficiali, “Execration Text”, “Sarcophagus” e “Sacrifice Unto Sebek”. Cosa però dire di una band, che solo pochi oramai non conoscono e che in vent'anni è diventata la numero uno nel panorama metal estremo? La raccolta pesca qua e là nella discografia dei nostri, mostrando la loro evoluzione sonora, ossia il cammino che dalle rive del Nilo li ha portati fino alle porte dell'inferno. Gli esordi dei nostri, e intendo quindi brani come “Barra Edinazzu”, “Howling of the Jinn”, “Masturbating the War God” e “Black Seeds of Vengeance”, sono caratterizzati dal famoso stile egizio, fatto sì di brutalità, ma con quegli intermezzi atmosferici legati alla tradizione egizia, che li ha resi famosi nel music biz. Man mano che progrediamo con le produzioni più recenti della band, il sound si indurisce ulteriormente (come se ce ne fosse stata la necessità), abbandonando quasi del tutto quei tipici fraseggi orientali che caratterizzavano il sound del trio americano, lasciando il posto ad un ultra tecnico brutal death, che nel mondo non credo abbia rivali. I tre video invece? Beh, sono tutti da scoprire... Se siete dei fan della band, immagino che i loro dischi li abbiate tutti; se invece siete dei novelli deathsters, beh qui potreste aver modo di capire di che pasta sono fatta i Nile. Al mondo non esistono rivali. (Francesco Scarci)

(Relapse Records - 2007)
Voto: 75

https://www.facebook.com/nilecatacombs

Owun - 2.5

#PER CHI AMA: Kraut Rock/Cold Wave/Noise
Percepirete ovunque sconquassamenti noise, marcatamente industriali, ammiccanti a certa avant-garde krautofila anninovanta-e-persino-oltre ("Araignée", ma pure le white-noise roboanze di "Frost", la noiosa luccicanza extraterrestre della conclusive "Raison") sovente collimati da una impellente ricerca del climax (il motorik di "I.A.", in apertura, lieviterà fino ad auto-dissolversi in un prevedibile deliquio noise, fate attenzione agli occhi) di chiara ispirazione post-rock-anni-inizio-duemila-e-persino-prima, alla Mogwai, giusto per intenderci (sentite l'intrigante, sebbene un filino dilungante, "Tom Tombe"). Le reminescenze '80s si conglomerano imprescindibilmente e inevitabilmente attorno ai primi Sonic youth ("All of Us"), ai King Crimson più Discipline-ati (il corpus di "Foul"), o ancora la wave ("Orange") barra no-wave ("Post", di nuovo "Foul", ma solo nell'industrioso finale, ossessivo e circolare). Un album egualitario e magnetostatico, intrigante, cerebrale eppure analogamente viscerale. Ascoltatelo attentamente, sorseggiando un gustoso cocktail balneare a base di di psilocibina e idrolitina. (Alberto Calorosi)

mercoledì 27 settembre 2017

Persona - Metamorphosis

#PER CHI AMA: Symph Metal, Epica
Ci eravamo lasciati lo scorso anno con il loro album d’esordio, 'Elusive Reflections', che aveva rivelato le potenzialità della band, improntandosi su un solido power-symph, gradevole seppur non esageratamente innovativo. Quest’anno i tunisini Persona si ripresentano con il loro nuovo lavoro in studio, il full-length 'Metamorphosis'. E avvertiamo subito un aggiustamento di tiro rispetto al precedente lavoro: seppur più caratteristico nelle scelte stilistiche, il primo album presentava al suo interno qualche avvertibile fragilità. Con 'Metamorphosis' invece approdiamo indubbiamente ad un operato di più ampio respiro, frutto di scelte studiate e composizioni ben curate. A partire dal clavicembalo di “Prologue”, assistiamo al crescendo complessivo del disco, seguendo le fasi di questa metamorfosi fino al suo culmine, la liberazione, l'epilogo affidato a “The Final Deliverance”. All’interno di questi 12 brani si può notare tutta l’evoluzione compositiva e tecnica effettuata dalla band. Le continue oscillazioni e i repentini passaggi di Jelena Dobric dalle tonalità più soavi alle potenti linee di growl, si fanno leit-motiv dell’intero disco. Si avverte come la cantante afferri decisamente le redini dell’ensemble, ricamando le liriche sull’alone gothic di oscure atmosfere che avvolgono l’album fin dalle prime note. Pad e soprattutto organi sono determinanti in questo caso, frutto di un pregevole lavoro alle tastiere. Notevoli sono i numerosi passaggi squisitamente tecnici, caratterizzati dalle continue alternanze di tempo, che condiscono l’opera, altro esempio della migliorata qualità compositiva del gruppo. Frequenti sono anche le decise e spregiudicate accelerate, guidate da un drumming imperioso, sviluppando una fragorosa potenza che spezza i più pacati equilibri melodici. Ritroviamo in 'Metamorphosis' anche diversi richiami al primo album, con sonorità e passaggi “esotici”, sfruttando particolari scale musicali che conferiscono quel tratto “orientaleggiante” ai brani (per esempio in “Hellgrind”). Sul finale da segnalare un pezzo in puro stile Epica, profondamente melodico e atmosfericamente curato, “The Seeress of Triumph”, prima della traccia in chiusura già citata, “The Final Deliverance”. Quest'ultima alleggerisce nettamente i toni rispetto al resto, in quanto si trova dover simboleggiare la salvezza finale dell’essere dopo questa serie di trasformazioni. Che dire, quest'ultimo disco dei Persona è indice dell’impegno e della dedizione che questi ragazzi hanno impiegato per migliorarsi sotto molteplici aspetti. Un risultato che premia gli sforzi, poiché la qualità dell’album di debutto viene ampiamente superata e deve fungere da incoraggiamento per la band, intrepida ed insolita portavoce del metallo nell’Africa Nord-occidentale, a fare ancora meglio per gli anni a venire. (Emanuele Norum Marchesoni)

martedì 26 settembre 2017

Non Human Level - S/t

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Thrash, Darkane
Attenzione, questo album è una bomba, maneggiare con cura!!!! Dovrebbe sicuramente riportare queste indicazioni la custodia esterna di questo cd, che per chi non lo sapesse rappresenta il side project di Christofer Malmström, chitarrista dei Darkane. Il cui presente cd racchiude infatti, le idee mai espresse da Christofer fin dal debutto del ’99 della sua band madre. Così, accompagnato dall’ex bassista dei Meshuggah, Gustaf Hielm, dal suo fido compagno nei Darkane, Peter Wildöer (alla voce) e dal batterista della band di Devin Townsend, Ryan Van Poederooyen, Christofer ha dato vita al progetto Non Human Level, dal titolo di una canzone della sua band precedente, gli Agregator. I quattro baldi ragazzoni suonano un’esplosiva miscela di death/thrash con chiare influenze di matrice scandinava unita al dinamitardo thrash stile Bay Area e ad un certo techno death “made in Florida” (Death e Atheist vi dicono nulla?). Questo album si abbatte sulle nostre teste come una scure affilata, maciullandoci le ossa e spingendoci all’headbanging più frenetico, ma allo stesso tempo, è anche in grado di stupirci con trovate sorprendenti come l’utilizzo di un organo da chiesa in “Istincts”o il riarrangiamento di una tipica ballata folk svedese in versione metal o ancora, con intermezzi di chitarra acustica. Ma ciò che vi balzerà immediatamente alle orecchie, così come è accaduto al sottoscritto, è l’eccellente livello tecnico-stilistico dei musicisti, udibile soprattutto nelle debordanti ritmiche e nei talentuosi guitar solos, a cura dello stesso Christofer, responsabile, tra le altre cose, anche dell’eccellente produzione presso i Not Quite Studios di Helsingborg. Bravi e decisamente intensi, i Non Human Level sicuramente potranno piacere ad una vasta schiera di metallari, da quelli più intransigenti, legati al puro death agli amanti delle contaminazioni, fino ad arrivare ai fans più legati ad Iron Maiden ma anche Dream Theater. Ragazzi non esitate un solo secondo nell’ascoltare quello che è stato l'unico lavoro di musicisti che sanno sicuramente il fatto loro. Sorprendenti, brutali, melodici, veloci, ultra tecnici ed emozionanti, questi sono i Non Human Level. (Francesco Scarci)

Erupdead - Abyss of the Unseen

#PER CHI AMA: Brutal Techno Death
Sono rimasto un po' stupito di fronte a questa uscita della Czar f Bullets, death metal nudo e crudo per una band alquanto datata nella scena svizzera. Si tratta dei basilesi Erupdead, in giro dal 2007 e con all'attivo un EP, uno split con i Total Annihilation, e che con questo 'Abyss of the Unseen', raggiungono i due full length nella loro discografia. Del genere abbiamo già detto, un ferale death metal che si evolve lungo le nove tracce contenute, che partono peraltro all'insegna della melodia accattivante di "Fucked Up", una traccia che poi ci spara in faccia tutta la propria furia tra sgroppate infauste, frustate ritmiche e qualche buona apertura carica di groove in stile Dark Tranquillity. Il tiro si fa ancor più incendiario con la seconda "Guns and Roses" (buffa la scelta di questo titolo per una song cosi incazzata) e forse ancor di più con la frenetica "Temple of Baal", dove le voci si palesano sia in growl che con un arcigno screaming. Il problema di fondo dell'album però è che non trovo abbia granché da dire in un genere che in trent'anni credo che abbia esplorato in lungo e in largo tutto lo scibile musicale e che 'Abyss of the Unseen' alla fine arrivi fondamentalmente fuori tempo massimo. Non posso negare che non ci siano cose discrete: il solismo di "Bolon Yokte 'K' uh" non mi dispiace affatto, cosi come l'approccio doomeggiante di "Me First: The Gentleman" che ritornerà anche nella conclusiva title-track. La ricerca di una maggiore forma di originalità ha prodotto "Private Rearmament", una song in cui accanto al grugnito di Sebbi, compaiono anche delle spoken words su un tappeto ritmico come sempre devastante ma che spiccano anche per una certa ricerca in fatto di melodia. Si continua a pestare con "Unhumanizer", una song che mette in luce il lavoro alla sei corde da parte delle due asce, cosi come il mostruoso e dispendioso armeggiare dietro alle pelli di Atz, che sicuramente premiano a livello tecnico le capacità della band. Il resto? Normale amministrazione all'insegna di un death pirotecnico e brutale che tuttavia necessita di una spinta addizionale per poter emergere dalla massa. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/erupdead/

lunedì 25 settembre 2017

Susperia - Devil May Care

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash, Testament
Dei Susperia si è un po' perso le tracce da parecchi anni: andiamo allora a scavare nel passato, tornando al 2005 quando, dopo aver pubblicato lo 'Unlimited', la band norvegese capitanata da Tjodalv (ex batterista dei Dimmu Borgir) pensò di dare alle stampe ad un EP, che includeva “Devil May Care”, già contenuta nel precedente lavoro, una nuova song e alcune cover di WASP, Death e A-Ha, nonché due video, screensavers, wallpapers e altro materiale succulento. Abbandonate definitivamente le influenze death black degli esordi e come sentito nel precedente full length, abbracciato il sound thrash di Chuck Billy e soci, i Susperia ci sparano già in apertura la track “Venting the Anger”, brano che potrebbe stare tranquillamente su un qualche lavoro dei Testament. A seguire “Wild Child”, song originariamente scritta da Blackie Lawless e Chris Holmes, suonata discretamente dai ragazzi norvegesi. E ancora, la traccia che dà il nome al mini CD, che come già detto ripercorre le orme dei Testament, grazie anche alle vocals di Athera molto vicine a quelle di Chuck e alla coppia di asce che hanno preso in prestito qualche riff dalla discografia della band di San Francisco. La quarta traccia ci riserva un doveroso tributo ad uno dei mostri sacri della scena death, Chuck Schuldiner: dall’album 'Human', i Susperia estrapolano la magnifica e devastante “Lack of Comprehension” e la risuonano in modo molto simile all’originale senza alcuna sbavatura. Devo ammettere che un brivido mi ha percorso il corpo riascoltando questa song e ripensando al grande Chuck. La sorpresa più grande di questo MCD sta nell’aver scelto di coverizzare una classica song anni ’80 degli A-Ha, “The Sun Always Shine on TV”, completamente rivisitata in classico Susperia style cioè con granitici chitarroni e voci aggressive. Ottima e bombastica la produzione a cura di Marius Strand presso gli omonimi studios di Oslo. Per quanto riguarda i due video poi, posso aggiungere che si tratta dell’inquietante clip di “Chemistry” e del live di “Devil May Care”, registrata all’Inferno Metal Festival nel 2004. Per i collezionisti della band. (Francesco Scarci)

(Tabu Recording - 2005)
Voto: 70

http://www.susperia.net/category/news/

Dethrone the Sovereign - Harbingers of Pestilence

#PER CHI AMA: Deathcore/Djent, Fallujah, The Contortionist, The Faceless
Non sono un fan del deathcore, ma ho sempre pensato che se una band sia in grado di suonare bene il genere (i Fallujah ad esempio), me ne potrei innamorare. Ecco quindi ritrovarmi tra le mani il lavoro dei Dethrone the Sovereign, sestetto proveniente da Salt Lake City che proprio verso i già menzionati Fallujah, volge il proprio sguardo, puntando ad un sound progressivo, sicuramente aggressivo, in grado di chiamare in causa parallelismi anche con realtà più votate al djent. E il risultato è questo sorprendente 'Harbringers of Pestilence', album che si sviluppa lungo nove tracce che, partendo dal deathcore ispirato di "Era of Deception Pt I", si snocciola poi attraverso il sound più articolato e strumentale di "Era of Deception Pt II" che strizza l'occhiolino a Cynic e The Contortionist, per quella forte componente jazz progressive insita nella loro musica (che qui ritornerà anche negli incipit di "Torch of Prometheus" e "The Eternal Void"). E questo diventa anche il punto di forza dei nostri sei musicisti che spezzano la ferocia tipica del genere con passaggi mozzafiato affidati a splendide melodie e giochi di chitarra che ci fanno affrontare con maggiore fiducia le successive e più schizzate tracce, dove inevitabilmente ad attenderci ci sono le classiche chitarrone deathcore con ritmi sincopati, scale ritmiche da brivido, vocioni mostruosi, ma anche tutti quei giochini celestiali tanto cari ai Fallujah, affidati a brillanti parti atmosferiche ("Weavers of Illusion" ne è un bell'esempio). E ancora spettacolari sono le orchestrazioni della title track, ubriacante quanto basta nella sua rincorsa ritmica e nei suoi brillantissimi break che interrompono il frenetico chitarrismo della band. Poi si corre, veloci e schizoidi con una batteria al limite della contraerea, voci che si alternano tra lo screaming acido e il growling profondo, e una sezione ritmica davvero impressionante, che chiama in causa Periphery e altri mostri sacri del genere; spettacolare a tal proposito il finale di "The Vitruvian Augmentation". A chiudere il disco ci pensano le atmosfere eteree di "Perennial Eclipse", un altro pezzo davvero ben calibrato che si muove tra il death e partiture djent, forse le più palesi nell'intero disco. 'Harbringers of Pestilence' è un signor album che saprà ingolosire tutti i fan del genere. (Francesco Scarci)

(Famined Records - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/dethronethesovereign/

Mourning Dawn - Waste

#PER CHI AMA: Black Doom
Strana la definizione di EP data dai francesi Mourning Dawn: solitamente un Extended Play dura grossomodo meno di 30 minuti. Il trittico di pezzi proposto invece dal morboso terzetto di Montpellier supera di gran lunga i 70. Pertanto facendo due banali calcoli matematici, avrete capito che ci troviamo al cospetto di tre maratone di ben 24 minuti ognuna!! Il genere proposto dalla band è un criptico black doom ossessivo e malato, claustrofobico quanto basta per scatenare un senso di angoscia schiacciante già dopo la prima "The One I Never Was". La sensazione è quella di essere finiti in un condotto d'aria e da li non riuscire più a venirne fuori e sentire il suono metallico dettato dal percorrere quel tubo angusto in cui rimbombano suoni pesanti, malinconici, quasi disperanti, ma corredati da una buona dose di melodia che ci riesce ad accompagnare con tranquillità fino al termine della prima traccia. Il fatto che i componenti non siano degli sprovveduti, ma gente con una certa esperienza (la band include ex membri di Ad Vitam Aeternam, Funeralium e Inborn Suffering) agevola di certo l'ascolto di un album, in cui a mettersi in luce è un sound maturo, un songwriting davvero buono, una certa varietà di fondo nella proposta musicale e molto altro. La voce del vocalist è un lugubre growling che si prende la scena quando canta su ritmiche essenziali e minimaliste, contraddistinte comunque sempre da un senso di desolazione infinita, complici anche chitarre che ricamano di sovente ottime melodie. La seconda traccia è la decadente "The One I'll Never Be" che riparte da quegli oscuri anfratti in cui ci siamo ficcati con la prima peraltro ammantata da una certa vena esoterica, che si palesa con un sound mistico, misterioso, darkeggiante (interessante qualche reminiscenza di scuola Sadness) in un litanico incedere che sembra non subire momenti di stallo o caduta, anzi si conferma assai convincente lungo gli oltre 24 minuti della song, che mostra parti più atmosferiche ed ispirate, rispetto ad altre più roboanti o tirate, o ancora parecchio cariche in fatto di tensione emotiva, tipo quando compaiono delle grida di una donna, una bella parte acustica o i rintocchi di una campana. Convincenti, onore al merito, anche con la terza track, quella "Waste" che dà il titolo al disco e che indirizza le sonorità delle prime due canzoni in un'altra lenta ed inesorabile galoppata verso il cuore dell'inferno, verso le tenebre, verso quell'oscurità avvolgente che emana un senso di torpore ai sensi e che lentamente fa perdere i sensi. 'Waste' alla fine è un EP davvero intrigante, forse giusto un pochino prolisso ma comunque di grandissimo valore. Pertanto, non può che essere consigliatissimo. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2017)
Voto: 80

https://mourningdawn.bandcamp.com

Arkhon Infaustus - Orthodixyn

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Death, Morbid Angel, Mayhem
Che i cancelli dell’inferno si aprano e tutte le anime tormentate possano uscire... Questo potrebbe essere il motto dei francesi Arkhon Infaustus che nel 2007 diedero le stampe al loro quarto diabolico lavoro. Otto terrificanti tracce sono comprese in 'Orthodoxyn', album che tra l’altro, è stato rilasciato anche in digipack con ben 45 pagine di booklet e in 500 copie su vinile. Il sound della band transalpina è veramente oscuro, plumbeo, carico di un’aura misteriosa e quanto mai malvagia. Si parte con un trittico di brani davvero violenti, che viaggiano al limite tra black e death metal, ricordando vagamente i primi Mayhem e i Morbid Angel, per poi inserire claustrofobici momenti doom e inquietanti atmosfere sataniche. Gli Arkhon Infaustus non risultano sicuramente prevedibili, perché capaci di variare la loro musica con sapienti divagazioni in territori lontani dagli estremismi sonori a cui ci hanno abituato in passato. E così ne esce questo interessante lavoro, fatto di chitarre al vetriolo, ritmiche assassine con raffiche ultra veloci di blast beat, voci cavernose, urla terrificanti, ma pure intriganti rallentamenti in grado di farci impallidire, spaventarci a morte e portarci infine, sull’orlo della follia più pura. L’intero album viaggia su queste coordinate, con la seconda parte più orientata verso sonorità statunitensi, che strizzano l’occhiolino ai Morbid Angel. 'Orthodoxyn' si confermò come buona produzione per la Osmose Production, che dopo anni bui, tornò a riconfermarsi casa discografica in grado di produrre ottimi lavori. Album perverso ma affascinante! (Francesco Scarci)

(Osmose Productions - 2007)
Voto: 75

https://www.facebook.com/ArkhonInfaustus666/

domenica 24 settembre 2017

Novae Militiae - Gash’khalah

#PER CHI AMA: Black, Arkhon Infaustus, primi Aborym
È un black insano quello proposto dai Novae Militiae; provate ora ad immaginare la provenienza della band: Norvegia? Acqua. Belgio? Fuochino. Francia? Ovviamente si. Non c'è ormai nessun altro paese al mondo in grado di contrastare il dominio transalpino nella musica estrema. Arriva poi dalla capitale francese questo misterioso act, sospinto da pulsioni di odio e malvagità che sono state convogliate all'interno di questo loro secondo capitolo infernale, intitolato 'Gash’khalah'. Il ritualistico inizio di "The Chasm of the Cross" non lascia presagire nulla di buono. La tensione è già altissima sin dalle prime note, affidata alle sataniche vocals del frontman e alle atmosfere lugubri e spaventose in cui si muovono i nostri. Anfratti paurosi, con una luce fioca dove solo le agghiaccianti screaming vocals si odono in combinazione con un riffing degenerato che ci conduce a "Daemon Est Deus Inversus", song di una violenza folgorante, complice una ritmica corposa peraltro esaltata da una produzione piena e convincente che non trova un attimo di respiro se non nei pochi secondi che ci introducono alla debordante "Orders of the Most-High". Anche qui il canovaccio non cambia: l'assalto dirompente dell'act francese annichilisce non poco l'ascoltatore con colate laviche affidate al rutilante incedere di chitarre/basso e batteria e le demoniache vocals del vocalist a sovrastare la bestialità musicale generata. Terrificanti, non riesco a trovare altre parole per descrivere la pericolosità di tale ensemble. "Koakh Harsani" irrompe con linee sghembe di chitarra, le urla disumane, comparabili a quelle di un uomo le cui carni vengono divorate lentamente da un orso, mentre in background lavorano tenui linee di tastiera a creare un alone di mistero e sacralità. La riluttante e diabolica perversione dei Novae Militiae sa manifestarsi anche sotto altre forme, cosi come nella strisciante "Annunciation", la song meno ferale del lotto ma sicuramente la più carica di angoscia nel suo lento avanzare che sul finire del brano saprà comunque incendiare l'aria con un'altra tempesta infuocata. Un attacco black thrash divampa in "Black Temple Consecration", con le vocals che in un qualche modo ricordano quelle di Attila Csihar ai tempi di 'De Mysteriis dom Sathanas' ed un sound che nel suo evolversi, mantiene intatto quel suo alone straordinariamente e dannatamente malefico. Sono ancora sensazioni affidate al terrore quelle che si respirano nell'ammorbante "Fall of the Idols", song che arriva quasi ai limiti del funeral doom, in un black mid-tempo sinistro e maledetto. Siamo cosi arrivati all'epico finale di "Seven Cups of Divine Outrage", una song (la mia preferita peraltro) che somma tutte le influenze dei nostri che annoverano sicuramente i primi Aborym, i Mayhem, i Deathspell Omega, gli Arkhon Infaustus e tutto quello stuolo di band che fanno della malvagità, del satanismo e dell'odio, la propria missione. Bestiali. (Francesco Scarci)

(Goathorned Productions - 2017)
Voto: 80

giovedì 21 settembre 2017

Deliverance - Chrst

#PER CHI AMA: Black/Sludge
Gira e rigira il mondo, ma sempre in Francia dobbiamo ritornare, nemmeno fosse il polo magnetico del metallo estremo. Ecco quindi i Deliverance e il loro 'Chrst', un concentrato maligno di black metal e le atmosfere melmose tipiche dello sludge. La opener "Hung Be the Heavens With Black" conferma immediatamente quanto stia qui dicendo e la pasta indigesta di cui è fatto questo quartetto parigino: i vocalizzi arcigni del frontman si stagliano su ritmiche rallentate di scuola Neurosis, in un lento incedere che trova il suo sfogo rabbioso nella seconda metà del brano che sul finire tira però il freno, rallentando paurosamente la sua fuga. "Out of the Saddening Blank" è un pezzo di oltre 10 minuti che si perde in chiacchiere nei primi due minuti tra riffoni in salsa dronica e qualche rumorino di fondo. Poi quando finalmente i nostri innescano la marcia, la macchina feroce dei Deliverance sembra quasi ingolfata, mantenendo un sound assolutamente controllato che sembra tuttavia tramare nell'ombra una pericolosa accelerazione che tarda però ad arrivare, anzi ad un certo punto il suono si fa decisamente più fioco e tenebroso, con reminiscenze che ci portano anche ai Cult of Luna (non a caso dietro la consolle si siede Magnus Lindberg, ascia proprio dei gods svedesi). La proposta dei Deliverance però suona po' troppo statica per i miei gusti, sembra non voler osare nemmeno nella terza "The Discrucified", altro mid-tempo che si lancia in un attacco ferale solo per una manciata di secondi. La furia black esplode finalmente in "A Bone Shall Not Be Broken", scrollandosi di dosso tutta quella patina controllata post sludge della prima parte del disco. Dopo un paio di minuti, i nostri sfoggiano un rifferama che poteva tranquillamente stare su 'South of Heaven' degli Slayer, arricchito da uno secondo strato di chitarre che enfatizzano la carica atmosferica della song, che va incupendo e rallentando il proprio sound. E a proposito di atmosfere oscure, ecco arrivare "I Say: Chrst!", traccia nera come la pece, lenta e malata che mette in mostra la bravura dei nostri nel saper combinare con una certa facilità, due generi come il black e lo sludge, senza risultare mai scontata. 'Chrst' non è comunque un album cosi immediato o facile da ascoltare anche se l'ultima "Across Gehenna" è forse la song più lineare del lotto sebbene s'increspi ancora una volta nel finale. Insomma, un album quasi incompiuto che mostra luci e ombre di una band ancora in rodaggio. (Francesco Scarci)

Voto: 65
(Deadlight Entertainment - 2017)

https://deadlight.bandcamp.com/album/chrst