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giovedì 17 settembre 2015

AM:PM - Aberrant Minds Provoke Murder

#FOR FANS OF: Metalcore/Melodic Brutal Death Metal Suicide Silence, Trivium
This debut EP from the Swiss metallers AM:PM is a rather nice amalgamation of modern Extreme Metal in a very succinct, brief package that does what it does quite nicely, but unfortunately what it’s doing isn’t exactly all that inventive or unique. Alternating between two tempos for the most part, fast and slow, the faster sections are pretty enjoyable thrash-infused Metalcore inspired riffs with a fine sense of melody and aggression with a fair bit of technicality offered while the slower sections are chug-heavy breakdowns ripped from the latest Brutal Death Metal section of the spectrum, and almost without exception the band tends to play in either section which tends to make this album feel a lot longer than it really is as there’s a lot of familiarity bred into these songs. They’re all nearly the same length and feature the same kind of tempo changes which makes them bleed into each other quite easily, which certainly isn’t helped by the gruff vocal growls that effectively match the intensity displayed but also keeps this one from being quite similar to everything. Even with this, it’s still a good enough example of the style that there’s some good to be had from the songs here. Instrumental intro ‘Prelude’ starts this off nicely with a melancholy riff that blasts into the driving Metalcore blasts and rhythms quite well as it segues into proper first track ‘Lady Hurricane’ as the spindly riffing and thrashing drumming with a series of sharp breakdowns chugging through the tight series of riffs make for quite a vicious, tight offering that gets this one charging along quite well. The heavy ‘Make a Choice’ blasts through with a thunderous roar blasting through tight, pounding rhythms and thick, heavy chugging riff-work breaking down into several vicious breakdowns that tends to wrap around throughout the finale for its most impressive track quite easily. ‘Humans are Their Own Rivals’ whips back into the Metalcore phase with some impressive swirling riff-work alongside the pounding rhythms as the chugging breakdowns return to carry the violent charge through the scalding finale that’s fun but again feels rather familiar. Finale ‘Salvation’ gets a little more exciting with an extended series of twisting rhythms thrashing through a mid-range series of riffs with the out-of-place clean vocals leading into the crushing breakdowns and trinkly keyboards sprinkled into the melodies for a fine ending impression here. It’s certainly a decent start here, but it’s just way too familiar at this stage to warrant more than a passing interest. (Don Anelli)

(Self - 2014)
Score: 70

martedì 15 settembre 2015

Monarca - S/t

#PER CHI AMA: Post Rock/Alternative
I Monarca sono una formazione nata recentemente nell'est veronese, un quartetto dedito al rock strumentale, che è partito in quarta vincendo alcuni premi e sfornando questo EP omonimo. Come dichiarato dalla band stessa, i veronesi si inspirano ai granitici Tool e ai A Perfect Circle, ma l'assenza della voce e quindi lo studio di linee melodiche aggiuntive, li porta ad essere più vicini anche a band come Russian Circles e in ai primi Pelican. I suoni dei Monarca sono però meno saturi e lasciano maggiore respiro all'ascoltatore che non viene costantemente investito da muri di distorsioni, che vengono invece utilizzate ad hoc per caricare al meglio le tracce e dare loro maggior dinamicità. I brani contenuti sono cinque e dopo un'eterea traccia introduttiva a ritmo di hang drum, si viene accolti da "Cricktes", sette minuti di prog rock che convince, affascina e non stanca. Le chitarre la fanno da padrone e la loro corposità appaga l'orecchio del rocker smaliziato, mentre le linee melodiche che i Monarca tessono, non fanno certo rimpiangere la mancanza di un vocalist. Alcuni passaggi risultano minimalisti, creano un'atmosfera introspettiva ed oscura per cui probabilmente si poteva osare qualcosina di più. Gli strumenti ci sono e varrebbe la pena sfruttarli fino all'ultima nota. La sezione ritmica viaggia appaiata e lavora all'unisono per regalare una struttura compatta e coinvolgente che muta con una certa costanza. "Kookai" è la traccia che spicca nel lotto grazie ad il suo riff di chitarra che penetra velocemente nel nostro orecchio e si avvinghia ai neuroni in modo indissolubile. Ottimi gli arrangiamenti e la crescita verso l'alto del brano; si denota la qualità compositiva della band che sicuramente investe tempo e sudore per non (s)cadere nella banalità. Il finale è un'esplosione di quelle ben fatte: grande accelerazione e potenza che spingono anche il più timido ascoltatore ad abbozzare un qualsiasi movimento a tempo di musica. "Sunrise" chiude questo self-titled iniziando con un arpeggio ipnotico accompagnato da un synth spaziale, un perfetto biglietto di sola andata per una lontana galassia sconosciuta. L'evoluzione del brano poi non è da meno e ci ritroviamo in un vortice di luci e suoni che annientano il concetto di spazio/tempo, permettendo alla traccia di diventare la perfetta colonna sonora di un cortometraggio futuristico. Come in precedenza, sul più bello che si pensa di essere arrivati al capolinea, la canzone muta di nuova, introducendo una diversa ritmica. A volte si sente il bisogno di qualche bpm in più, questo permetterebbe alle canzoni di aver un piglio più incisivo e probabilmente aumenterebbe il potenziale bacino di proseliti della band. In sostanza l'EP è ben registrato ed eseguito, a volte pecca in alcuni passaggi di immaturità, ma lascia un discreto margine di miglioramento alla band che ci fa comunque ben sperare per il prossimo futuro. (Michele Montanari)

(Self - 2015)
Voto: 70

Anabasi Road - S/t

#PER CHI AMA: Progressive/Rock Blues/70s Hard Rock
Il giorno in cui il cd degli Anabasi Road viene recapitato sulla mia scrivania, ho iniziato da poco la rilettura de 'I Guerrieri della Notte' di Sol Yurick, libro dichiaratamente ispirato all’Anabasi di Senofonte. Lo prendo per un segno del destino e inserisco immediatamente il dischetto nel lettore. Non mi è semplice esprimere quelli che sono i miei sentimenti verso quest'album e la formazione reggiana che si è scelto un nome così impegnativo. Perché se da un lato amo il progressive e il blues rock degli anni 70, dall'altro non riesco proprio a digerire le propaggini virtuosistiche da essi originatisi nel corso degli anni e sfociate in pletore di guitar hero dediti ad un prog hard rock onanista (leggasi Dream Theater e compagnia cantante) che ho sempre ritenuto sterile e per me poco interessante. E quest'album sembra essere composto in egual misura da entrambe queste componenti, in un delicato gioco di equilibri, a mio avviso non sempre riuscitissimo, con il risultato di essere a volte un po’ troppo pesante; non una sintesi quanto una somma delle parti. C’è tanta, tanta carne al fuoco qui, a partire dal fatto che gli Anabasi Road sono tutti eccellenti musicisti, nessuno escluso, ma il problema sta proprio nel fatto che sembra vogliano rimarcarlo incessantemente per tutta la durata del disco, senza un solo secondo di pausa. Così facendo, purtroppo, i brani a volte scappano un po’ di mano e sembrano diventare solo delle vetrine per le proprie qualità strumentali. Se l’iniziale “Pleasure in Me” promette molto bene con il suo hard screziato black grazie a un hammond caldissimo, già dalla successiva "Clashing Stars" le cose iniziano pian piano a sfilacciarsi fino a diventare pretenziose, con le inutili prolissità di “Say Man”, improbabile nel suo accostare blues canonico e prog neoclassico, o “I Walk Alone”, che nel finale vuole forse omaggiare i duetti voce-chitarra di Page e Plant con un risultato però parodistico. Troppo spesso chitarre e tastiere si suonano sopra, quasi senza ascoltarsi, lasciando un po’ l’amaro in bocca per quello che sarebbe potuto essere con solo un po’ piú di moderazione un ottimo lavoro, forte anche della presenza di un vocalist ispirato e potente, dal timbro profondo e personale (anche se nell'unico brano cantato in italiano, il peraltro ben riuscito “Guerra Mondiale”, ricorda il cantante dei Nomadi, quelli di oggi). Se posso riassumere la recensione in una frase, direi “Bravi, ma fermate un secondo quelle chitarre!”. Mark Hollis, geniale leader dei Talk Talk dice che non c’è bisogno di suonare due note, se puoi suonarne una sola. Ecco, senza arrivare a questi estremi, un produttore che avesse dato un freno alle debordanti sei corde degli Anabasi Road avrebbe fatto un gran servizio al disco. C’è del talento, qui dentro, e anche tanto. Bisogna solo lasciare che emerga, magari qualche volta togliendo piuttosto che aggiungendo sempre. (Mauro Catena)

(Self - 2014)
Voto: 65

sabato 12 settembre 2015

The Morganatics - We Come From The Stars

#PER CHI AMA: Alternative Progressive Rock, Lacuna Coil
Le torride giornate di quest'estate che volge al termine, hanno visto arrivare tra le mie grinfie diversi CD abbastanza interessanti e quello di questa band francese, si dimostra essere forse tra i più convincenti. La band arriva da Parigi e dà alle stampe questo secondo lavoro, dopo un debutto che aveva dimostrato le potenzialità del combo. Cinque componenti, ognuno con delle influenze diverse confluiscono in un solo progetto per produrre musica davvero “scintillante”. Definisco così la loro proposta perchè, sebbene io non sia un grande estimatore dei miscugli di genere, le loro composizioni (oltre ad essere molto interessanti) brillano di luce propria, nonostante emergano qua e là i riferimenti alle band preferite dai vari componenti. Nella biografia della band leggo che le band maggiormente apprezzate sono Linkin Park e Porcupine Tree, due proposte nettamente agli antipodi, ma di cui chiari sono i rimandi in alcune tracce. Aggiungerei poi che in alcuni passaggi i nostri mi hanno ricordato anche i nostrani Lacuna Coil, pertanto mi sentirei di definire la proposta dei transalpini come un solido prog rock moderno. Non vorrei dare per forza un'etichetta ai The Morganatics, ma cerco di farlo per far comprendere meglio a chi legge, se possibile, la particolarità e l'originalità di 'We Come From The Stars'. La musica scorre via piacevolmente lungo i 64 minuti dell'album che consta di 11 tracce. Le canzoni sono facilmente apprezzabili sotto un punto di vista melodico e di esecuzione, risaltate da una produzione al limite della perfezione. Sintetizzatori, archi e parti electro si amalgamano a chitarre più classicamente metal, con un drumming preciso e coinvolgente a creare la solida struttura sulla quale si intersecano precise linee di basso e le vocals, sia femminili che maschili, sempre in clean. Alla fine dell'ascolto rimane la consapevolezza di essere a cospetto di un lavoro assolutamente ben concepito, che a mio parere potrebbe dare il meglio di sé in sede live. Le mie song preferite, pur apprezzando tutte le composizioni, rimangono l'opener “I'm a Mess (but I am Free)” e “Even Terminators Can Cry”. Se avete voglia di ascoltare un disco ben fatto, allontanatevi (come ho fatto io) dai preconcetti legati al genere e date una chance a questi ragazzi transalpini, non ve ne pentirete di certo. Ottimo lavoro. (Claudio Catena)

Ketha - #!%16.7

#PER CHI AMA: Musica totale, Primus, Tool, Meshuggah
Sapete che quando trovo un album eccezionale lo devo gridare a tutti, è più forte di me; cosi spulciando per la rete ecco capitarmi fra le mani i polacchi Ketha, sconosciuti autori già di due album e di questo incredibile EP dal titolo emblematico '#!%16.7'. La durata ahimé limitata rendono ancor più ossessiva la mia caccia ai precedenti introvabili lavori. Nel frattempo devo accontentarmi di queste 12 minuscole tracce che in realtà ne costituiscono una sola dato il flusso sonico continuo che si sviluppa dalla opening track, "Shhh" alla conclusiva "Redshift", in un viaggio musicale senza precedenti. Ragazzi, qui non si scherza. L'ensemble polacco ha prodotto un qualcosa di estremamente delirante che abbina il riffing nevrotico dei Meshuggah con la follia dei Primus, in un percorso ipnotico che vi lascerà di sasso e avrà modo di percorrere saliscendi progressivi, partiture blues-jazz, rimandi di tooliana memoria, trionfi di sax e trombe, aperture cinematiche, growling vocals, twist and shout, superbe montagne di groove, splendidi assoli, death metal, space rock e chi più ne ha più ne metta. Non fatevelo scappare, per loro garantisco io. (Francesco Scarci)

(Instant Classic - 2015)
Voto: 90

https://www.facebook.com/kethaband

mercoledì 9 settembre 2015

Last Minute to Jaffna - Volume II

#PER CHI AMA: Post Metal/Sludge, Neurosis, Cult of Luna
Non proprio una passeggiata affrontare il nuovo album dei torinesi Last Minute to Jaffna. 'Volume II' è infatti un lungo percorso di 70 minuti che vi darà modo di conoscere l'inesplorata cerebralità del combo piemontese. Otto i capitoli a disposizione dello storico quartetto nostrano, otto lunghe tracce che seguono il sentiero tracciato dagli statunitensi Neurosis, vero punto di riferimento dei nostri, e lo ampliano grazie ad una propria caratteristica fisionomia, che nel tempo è andata via via maturando in seno alla band. Le chitarre ribassate rombano che è un piacere nelle casse del mio stereo, ma devo ammettere che sono quei break pseudo acustici, che prendono il sopravvento all'interno dei brani, ad entusiasmarmi maggiormente. Il flusso canalizzatore che la band instaura è infatti da manuale, con il sound che cresce lentamente e come un serpente striscia minaccioso, facendo breccia nella mia testa. "Chapter DCCXV" è forse la traccia che maggiormente rappresenta il sound della band, con quell'alternanza tra chitarre sporche e cattive e frangenti più intimistici (e più votati ad un post rock claustrofobico), dove la voce di Valerio Damiano abbandona il growling selvaggio per dedicarsi a gorgheggi più delicati. "Chapter XII" è un altro pezzo che parte forte anche se dopo un minuto, i quattro tirano il freno a mano e deliziano i palati più raffinati, con un sound al limite del trip hop, e un cantato quasi liturgico, decisamente da brividi. L'atmosfera che si respira è rappresentata dai colori monocromatici della cover del disco. La song non tarda però ad assumere connotati quasi tribali a livello del drumming che cresce progressivamente e si ingrossa (e mi sovviene un'immagine live di qualche anno fa a Torino, che rimarrà indelebile nella mia mente per tutta la vita: i due vocalist dei Neurosis che suonano le percussioni all'unisono), mentre la voce di Valerio diventa sempre più corrosiva. Anche qui è questione di attimi, perché il sound torna ad incupirsi, rinchiudersi in se stesso provare a disegnare lande gelide, come fatto dai Cult of Luna in 'Somewhere Along the Highway'. Non c'è modo di annoiarsi in questo disco perché i nostri si divertono non poco, addirittura propinandoci sonorità drone nella psicotica "Chapter DCLXVI". "Chapter XIII" (presente peraltro in veste acustica insieme alla notturna "Chapter XXV", su 'Volume III') è quella che per costruzione mi ricorda maggiormente i gods di Oakland: una traccia di ben dieci minuti che avanza lenta come la morte, con la voce del bravo Valerio a emulare quella di Scott Kelly (anche se alla fine risulterà più litanica), mentre il sound caliginoso dell'act italico passa con estrema disinvoltura da frangenti atmosferici a qualche rara sfuriata elettrica, fino a tormentate e opprimenti visioni da fine del mondo, in un tortuoso percorso musicale di ottima fattura. "Chapter XIV" ha un che dei Fields of the Nefilim con quella sua forte aura darkettona, anche se poi quando esplode la veemenza del vocalist e deflagra il sound della sei corde, i nostri prendono le distanze dal dark sound della band inglese capitana da Carl McCoy. Ma l'atmosfera apocalittica torna da li a breve ad avvolgere il sound maledetto dei Last Minute to Jaffna che si riaffaccerà in modo violento nella parte finale del pezzo. La conclusiva "Chapter XXVI" è un esempio di suono crepuscolare affidato a sole malinconiche chitarre che segnano l'epilogo di questa entusiasmante release targata Argonauta Records. Eccellenti! (Francesco Scarci)

(Argonauta Records - 2015)
Voto: 85

INTERVIEW WITH VOLA

Follow this link for an interesting chat with the Danish guys of VOLA, authors of one of the best albums of this summer:




Aidan - Témno

#PER CHI AMA: Instrumental Post-metal/Ambient, Pelican, Mogwai
Aspettavo al varco i padovani Aidan, dopo il bel debutto di 'The Relation Between Brain and Behaviour' di due anni fa. Tornano sulla scena con questo EP di quattro brani, sostanzialmente diviso in due grandi momenti: l’apertura e la chiusura del disco (affidate rispettivamente a “Levnad” e “Ora Puoi Scendere nella Fossa con la tua Musica”) pescano a piene mani nell’ambient: atmosfere inquiete, synth ronzanti, violini carichi di pathos. Due brani che sono quasi colonna sonora – in “Ora Puoi Scendere…”, non a caso, appare il lungo dialogo sulla bellezza e il genio da 'Morte a Venezia' di Luchino Visconti –, onirici ed emozionanti, valorizzati da una produzione praticamente perfetta. Il secondo momento del disco, invece, è rappresentato dai due brani centrali, più legati alla tradizione strumentale del post-rock e post-sludge. “Negazione dell’Appartenenza/Appartenenza alla Negazione” è forse il migliore momento di 'Témno': una lunga suite, che oscilla con naturalezza tra il riffing ipnotico e progressivo dei Pelican e l’armonia delle parti più riverberate e sognanti, che ricordano in certi tratti i Mogwai ma persino i Tame Impala. La successiva “Il Terzo Escluso” è un lavoro più psichedelico e ambizioso, che premia la maturità degli Aidan in particolare nell’armonizzazione delle melodie tra le due chitarre e il basso (ascoltate il magistrale incastro tra strumenti dal primo minuto in avanti). Delay e feedback, ben dosati su suoni ruvidi tipici dello sludge, condiscono il lavoro trasformandolo in un piccolo capolavoro. C’è maturità negli Aidan, e si sente: si va oltre il solito gioco forte/piano del post-rock, e in generale i due brani centrali lasciano trasparire un lavoro su dinamica, tempi, melodie e suoni maggiore del precedente debut album. 'Témno', nonostante le altissime potenzialità, lascia però a bocca asciutta: la brevità dell’EP delude, e delude ancor di più se metà disco è sostanzialmente ambient, giocato su una singola nota che evolve tra arpeggi, delay e synth. Attendo il full-length che, mi auguro, valorizzerà meglio le grandi capacità compositive e tecniche della band, soprattutto quando lavora a pieno regime su brani complessi e completi. (Stefano Torregrossa)

(Red Sound Records - 2015)
Voto: 75

domenica 6 settembre 2015

Assumption – The Three Appearances

#PER CHI AMA: Death Old School/Doom/Psichedelia
Prendete come esempio gli Incantation dell'EP 'Deliverance of Horrific Prophecies', 'In Memorium' dei Cathedral e 'Dawn of Possession' degli Immolation e chiudete gli occhi. Mettete il nuovo album (il secondo) degli Assumption nel lettore e ditemi se il sogno non si avvera, se non sembra di tornare indietro nei primi anni '90 quando il Death metal agli albori mostrava le sue divine mostruosità di incesti malsani tra metal, figure horror e doom degenerato con una credibilità da pelle d'oca. Ecco, 'The Three Appearances' non necessita di ulteriori spiegazioni, è semplicemente un gioiellino dal fascino vintage, intelligente, allucinato e curatissimo ma soprattutto è bellissimo. Il duo palermitano suona come una vera band dell'epoca ed i brani sono così intensi, lugubri e deformi che risultano perfetti. La voce fa la differenza ed il gutturale di G., che suona anche chitarre, synth e basso, è magnifica come la parte grafica; l'artwork è infatti così legato a quell'epoca che quasi commuove. L'immagine space/fantasy dal retrogusto horror della copertina è perfetta per il sound decadente e marcio promosso dalla band nostrana. Prodotto divinamente, con qualità, conoscenza del genere e attitudine moderna, i due bravi musicisti siciliani riescono a rinverdire i fasti di un tempo e mostrarsi perfino originali, cogliendo spunti anche dal doom degli Esoteric. Il tocco d'infinita oscurità che corona le composizioni di un aurea macabra e futurista, si muove sinuoso tra le tracce e pur non mostrando nulla di nuovo, risulta affascinante in maniera disarmante. Una catarsi buia nei meandri di una psiche malata, ventinove minuti di ottimo delirante primordiale death metal diviso in quattro brani di eguale splendore usciti per Terror From Hell Records/Elektroplasma Music nel 2014 (anche se "Moribund State Shifts" rimane la mia hit del disco insieme all'esperimento psich/death/doom di "The Non - Existing"). Death metal old school, doom, psichedelia, chitarre impazzite, voce gutturale, sound proveniente dal cosmo più profondo e sconosciuto...un lavoro di culto imperdibile! (Bob Stoner)

(Terror From Hell Records / Elektroplasma Musik - 2014)
Voto: 90

https://www.facebook.com/assumptiondoom