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domenica 8 marzo 2015

Kayleth - Space Muffin

#PER CHI AMA: Stoner/Space Rock, Hawkwind, Monster Magnet, Motorhead
Mettiamo subito in chiaro una cosa: a me i vecchi Kayleth, quelli recensiti su queste stesse pagine con l'album 'Survivor' e l'EP 'Rusty Gold', non mi andavano a genio, per quelle sonorità già sentite e per la mia non proprio spiccata propensione allo stoner fine a se stesso. Fatta questa semplice premessa, accolgo direttamente dalle mani della band veneta, il nuovo futuristico 'Space Muffin'. Detto che non sono neppure sensibile ai facili entusiasmi, il quintetto veronese verosimilmente avrà di che preoccuparsi nel leggere queste mie parole. Parto la mia analisi dall'artwork extraterrestre del cd che oltre a raffigurare una presunta donna aliena in riva al mare con le piramidi di Cheope Chefren e Micerino sullo sfondo, vede orbitare un paio di lune e un agglomerato di stelle (vi è forse un qualche mal celato significato simbolico?) messe alla rinfusa in un cielo un po' troppo verdognolo. Il disco consta di otto tracce e vede avviare i propri propulsori interstellari con "Mountains". La song apre in modo grandioso con una roboante commistione di suoni granitici di chitarra e batteria, coadiuvati dai cibernetici synth del neo entrato in line-up, Michele Montanari, che sembra aver portato nuova linfa vitale nella decennale carriera dei nostri e che sembra anche allontanare quegli spettri che richiamano da sempre i vari Kyuss e Orange Goblin. Stiamo sempre parlando di stoner sia chiaro, ma questa volta offerto in una salsa ben più raffinata che arriva a citare anche formazioni come Electric Wizard e Hawkwind, senza far finta di dimenticare anche un che dei Mastodon. Forse mi crederete un pazzo visionario ma la proposta dei Kayleth suona più pomposa e matura rispetto al passato e questo costituisce di certo il punto di forza ma anche per una nuova ripartenza, per il combo italico. "Secret Place" è il luogo segreto ove il five-piece ci vuole condurre, un brano che attacca con un riffing che richiama un che dei primi Led Zeppelin ma ne irrobustisce all'ennesima potenza la sezione ritmica, che va via via ingrossandosi ancor di più, nel corso del brano. La voce di Enrico Gastaldo si conferma ai livelli del passato, richiamando con la sua timbrica Ozzy Osbourne, piuttosto che un giovanissimo Chris Cornell o Lemmy Kilmister, ma comunque ben adattandosi al sound della band. "Spacewalk" apre con un messaggio alieno, mentre il pizzicare della chitarra prepara a chissà quale fragorosa esplosione. L'approccio della song ha un che di post rock nel suo prologo, si lancia poi nello spazio infinito con un riffing selvaggio, trascinante, mentre lo screaming di Enrico impera nell'altisonante finale da brividi. Signori i Kayleth sono cambiati, maturati, hanno assunto la piena consapevolezza nei propri mezzi e anche la sempre attenta Argonauta Records se n'è accorta. A testimoniare l'ecletticità dei nostri ci pensa la psichedelica "Bare Knuckle", song che rappresenta l'ideale connubio tra progressive (splendide le chitarre a tal proposito dell'axeman Massimo Dalla Valle), space rock, stoner e doom (chi ha citato i Cathedral di 'The Ethereal Mirrors'?), in quella che probabilmente è la mia traccia preferita. L'impronta blues/hard rock dei Kayleth si palesa nella quinta "Born to Suffer", ma l'apporto dei synth rende il sound decisamente più moderno, anche se questo brano potrebbe stare tranquillamente in un qualche album rock anni '70. Non so se si tratti dei microfoni della hall di un aeroporto quelli che si sentono inizialmente in "Lies to Mind", ma la traccia prosegue sul suo pattern rock/stoner fondendo in un ibrido surreale, i Motorhead con i Kyuss e gli Hawkwind. "Try to Save the Appearances" è un altro bel pezzo, grondante di groove da ogni suo poro che richiama sonorità tooliane (Mick ci sono anche i Lingua qui dentro?) che fino ad ora erano tenute camuffate nel sound dei nostri, ma che comunque vengono reinterpretate alla grande dai cinque ottimi musicisti veronesi, per cui vado a menzionare anche il martellante e preciso drumming a cura di Daniele Pedrollo e il palpitante basso di Alessandro Zanetti. Chiude il disco "NGC 2244", acronimo che individua l'ammasso aperto di Rosetta (che sia forse quello che si vede nel cielo della cover?), eccellente traccia strumentale che sancisce la scalata dei Kayleth nell'Olimpo dello stoner nazionale e, auspichiamo ben presto, mondiale. Bravissimi! (Francesco Scarci)

(Argonauta Records - 2015)
Voto: 85

LOOKING FOR NEW REVIEWERS 
(BLACK/DEATH/ALTERNATIVE/THRASH/PROG ROCK/HEAVY) 



Siamo in cerca di nuovi recensori per sonorità Black/Death/Alternative/Thrash/Prog Rock/Heavy

Barrowlands - Thane

#PER CHI AMA: Post Black, Agalloch
Vediamo se avete imparato la lezione. Se una band arriva da Portland - Oregon, che genere di musica dovremo aspettarci? Se anche voi avete risposto di getto Cascadian black metal o post black, meriterete un bel 10 in pagella. Si perché i Barrowlands in questo 'Thane', edito dalla cinese Pest Productions, ci propina un 5-track di sonorità nere come la pece, a partire addirittura da un artwork minimalista in bianco e nero. Poi i nostri musicisti, alcuni peraltro coinvolti nel progetto dei Mary Shelley, si abbandonano al black dalle tinte fosche di "Alabaster", la opening track. Il pezzo offre una ritmica semplicistica su cui si staglia lo screaming aspro di David, mentre in sottofondo si può udire il suono di un violoncello, unica vera peculiarità della band della West Coast. Poi qualcosa per cui valga la pena una segnalazione in effetti non c'è, se non una non troppo accentuata vena doomish nella seconda metà del brano. L'approccio apocalittico si mantiene anche nella successiva "Peering Inward", lenta e magmatica nel suo preambolo che vede echeggiare nell'aria un che dei My Dying Bride più primordiali, prima che si diletti nella ricerca di scoppiettanti linee melodiche che regalino frizzanti frangenti atmosferici. La song si muove in seguito sul classico mid-tempo che da copione cita i primi Agalloch, con le chitarre suonate nel tipico tremolo picking. "Mother of Storms" apre con un arpeggio e lascia quanto prima il passo a una cavalcata epica che evoca il sound dei gods più famosi di Portland mixato a quello dei norvegesi Windir. Direi che il momento topico ce lo regala l'intrecciarsi tra le chitarre "tremolanti" e il suono del violoncello, ahimè troppo spesso relegato in secondo piano. "1107" è una lunga traccia malinconica che parte tranquilla e va via via aumentando di intensità, senza però mai convincere appieno e palesando i veri limiti della band. "On Bent Boughs" ci regala gli ultimi lunghi spettrali minuti di 'Thane', grazie alla timbrica greve del violoncello che quando va dileguandosi dal sound dei nostri, lascia una band acerba, come mille altre ve ne sono in giro. La raccomandazione d'obbligo finale sta pertanto nel concedere molto più spazio allo strumento ad arco, incrementando le parti d'atmosfera e mitigando l'asprezza di fondo racchiusa nelle feroci linee di chitarra e nell'acido cantato. C'è ancora molto da lavorare, ma le basi sembrano già buone. (Francesco Scarci) 

(Pest Productions - 2014)
Voto: 65

Auron - S/t

#PER CHI AMA: Heavy/Progressive
Fresco fresco di stampa (il cd è uscito il 29 Gennaio 2015 per Metal Scrap Records), giunge dalla Russia il debut album omonimo di questi quattro musicisti. Dediti ad un prog/power metal con influenze che richiamano alla mente le piu' blasonate band hard rock degli 80's , gli Auron propongono 12 tracce, di cui le ultime 2 bonus, in lingua madre. Anche se l'artwork e il booklet parlano chiaro, la palese ispirazione prog si avverte fin dalle prime note dove tuttavia il timbro vocale del vocalist finisce per rispecchiare un po' gli stilemi canonici di un certo tipo di hard rock (avete in mente i Gotthard?): si tratta infatti di uno “strano” mix, quello proposto dagli Auron, ove le atmosfere prog presenti (Dream Theater e Symphony X su tutti) sono scevre dall'ossessiva ricerca di tecnicismi a tutti i costi, finendo per privilegiare in qualche modo melodie più care all'hard rock classico. I quattro ragazzi mostrano infatti un'ottima padronanza strumentale ove sembra che tutto sia al servizio della canzone; tecnicamente i mezzi sono notevoli e lodevole risulta il lavoro in studio da parte di fonici e produttore (riportare anche questi dettagli sul libretto non sarebbe stato male). Ho ascoltato il lavoro dei nostri più volte e anche molto volentieri, poiché era da un po di tempo che non mi capitava di imbattermi in una band dedita a tale genere e posso affermare tranquillamente che questo è un buonissimo lavoro. Le dodici canzoni proposte sono piuttosto varie, anche se l'act russo non spinge mai sull'acceleratore preferendo rimanere su più confortevoli mid-tempo; è forse questa eterogeneità di fondo che finisce per mettere davvero troppa carne al fuoco, rendendo gli Auron un buon gruppo a metà strada tra il prog e l'hard rock da capello cotonato e spandex. In episodi come l'ottima opener “Obsession” potrete apprezzare quanto appena affermato, anche se è indubbia la bellezza della song, tra l'altro una delle mie preferite. Si continua con questo mix di prog e hard rock ancora con “Word and Deed”, “Spring” e “Stranger” per poi sfociare in un classico pezzo prog (fin dal titolo) “Prelude in H-moll”. È proprio in questi episodi che i nostri risultano un po' troppo frenati e con il pedale del freno tirato. Discorso a parte merita la bellissima “Mirrors”, sicuramente la migliore del lotto e mia preferita in assoluto, un mezzo capolavoro. I restanti brani sono piacevolissimi a partire da “Heroes of Last Generation”, per finire con la title-track “Auron”. In conclusione un gran bel debutto, in un genere non cosi inflazionato al momento, che permette alla band di Saratov di mettersi in mostra e anche piuttosto bene. Adesso non mi resta che aspettare il prossimo appuntamento con gli Auron confidando in una maggiore chiarezza di idee riguardo alla strada da intraprendere. A parte tutto, comunque, davvero molto bravi. (Claudio Catena)

(Metal Scrap Records - 2015)
Voto: 75

Battle Beast - Unholy Savior

#FOR FANS OF: Heavy/Power, Iron Maiden
Battle Beast have made a mark over the last 4 years, that cannot be denied. But I can't shake the feeling they were living under the shadow of more widely-known bands that they happened to tour with, (Delain, Sabaton, etc.). But now, prepare for the Finnish sextet to totally break free with the release of their third full-length. I'll be the first to admit I wasn't expecting anything special - a few gang-shout choruses here, a few keyboard solos there - but Noora and crew have just completely let loose with one hell of a thrill-ride that simply oozes metal in its purest form. Okay, "purest form" may be bending the truth. 'Unholy Savior' is brimming with an OTT attitude, filling every empty space with bells and whistles. But therein lies the magic of this release; it simply does not let go. From the heralding crash of "Lionheart", right through to their hammering cover of Paul Engemann's Push it to The Limit", this is an all-out, balls-to-the-wall, bombast-athon. That's not to say there isn't plenty of variation. Battle Beast are quite adept at ensuring their audiences never throw the 'one-trick-pony' insult at them. Here you will find up-tempo power metal hymns, mid-tempo stomping rockers, beautiful ballads, and even an 80s-inspired disco-esque tune with "Touch in the Night". Each verse, each chorus, each blazing guitar solo...they're all distinguishable from the last, providing much-desired variety and giving this album 100% replay value. The production is absolutely perfect - so full of power and majesty. Bright keyboards shimmer above a full, rounded guitar tone and a real spiky, piercing drum sound. There are excellent performances all round from this group of talented Finns - especially notable in the duel guitar/keyboard solos which simply glow with both technicality and control. But the star of the show is the magnificent mouth of Noora Louhimo. Often confused as the 'gimmick' of this band, her set of pipes stretches to stratospheric levels on 'Unholy Savior'. She is perfectly capable of sweet, lyrical melody - as exemplified on the gorgeous "Sea of Dreams". But she is best observed employing her rough, edgy, but insanely precise high-pitched screams. Hail, Noora! You are the new queen of metal! Picking out highlights from such a consistently phenomenal album is certainly not easy. But the first three tracks pack so much of a wallop, it digs right into the skin of the listener's face, absolutely forcing him/her to bang their heads like it's 1985! Aside from them, the previously mentioned "Sea of Dreams" lulls the listener into a euphoric haze, before being completely annihilated by the explosive "Speed And Danger" (Hmm, that riff sounds familiar...'Metal Militia' anyone?). I challenge you to find a band who sound more enthusiastic, more energetic, more vibrant, more METAL than Battle Beast right now. Here's hoping that this is a sign of things to come - because if Noora and co. carry on this way, they will be utterly unstoppable. Already on the list of 'best of 2015'? Thought so. "Put your pedal to the metal, It's time to rock and ride! Keep the engine roaring, louder than hell!" (Larry Best)

(Nuclear Blast - 2015)
Score: 90

Ambiguïté - Light & Shade

#PER CHI AMA: Sonorità Post
Per il nome della band, per i colori eleganti del loro sito web e per l'arpeggio iniziale che apre "Nightfliesdance", pensavo che i nostri fossero francesi. Ho sbagliato e di grosso: gli Ambiguïté sono difatti un duo russo guidato da Alexey ed Egor che fa musica sotto questo moniker dal 2011, anche se in realtà suonano insieme dal 2009. La band ha concepito 'Light & Shade' tra il 2013 e il 2014, pubblicandolo su bandcamp la scorsa estate e attirando l'interesse della sempre più potente Pest Production. L'etichetta cinese, in collaborazione con gli amici della Weary Bird Records (entrambe molto attive sul versante post-), hanno deciso di metterli sotto contratto e ora il loro digipack sta tra le mie mani con un 5-track che appunto apre con "Nightfliesdance", una song che si muove tra lo screamo e il post-hardcore, almeno nella sua prima metà, cercando di catturare, senza troppa fortuna, il mio interesse. Fortunatamente, i nostri non sono degli sprovveduti e hanno capito che i generi sopra menzionati non tirano più come una volta se non miscelati con un che di più accattivante e originale. Cosi nella seconda metà del pezzo, i due russi si rintanano in sonorità più introspettive, più marcatamente sognanti e post-rock, e meno male aggiungo io. In "Warm Night" le furiose accelerazioni iniziali mi fanno propendere addirittura per una vena post black degli Ambiguïté, ma le rarefazioni musicali, le melodie delle chitarre stile Alcest, i break acustici, i chorus super ruffiani, i vocalizzi che passano dall'urlato al pulito, mi spingono a rivedere la mia posizione iniziale. Quando "Towards the Fall" attacca con quel suo mood strappalacrime (e mutande) tipico delle ballad (che ahimè mette in mostra anche una certa stonatura del vocalist) inizio a essere un po' confuso. Ancora suoni malinconici (e questa volta strumentali) con la title track, il cui riff portante risuona nell'aria come le melodie shoegaze degli Alcest. Sono alla quarta canzone e mi sembra di avere a che fare con una band totalmente diversa da quella di inizio disco. L'Ep si chiude con "Hear Your Body (Remix 2013)" che rilegge il primo singolo scritto dai nostri nel 2011: un altro brano strumentale che sottolinea le qualità degli Ambiguïté in assenza del cantato; questo a suggerire un approccio definitvamente senza voce da parte dei nostri o la scelta di un vocalist più adatto alla causa. Mentre l'act russo rifletterà sul da farsi in futuro, voi una chance a 'Light & Shade' potete anche darla. (Francesco Scarci)

(Pest Productions/Weary Bird Records - 2014)
Voto: 65

giovedì 5 marzo 2015

Minimal Whale – S/t

#PER CHI AMA: Alternative/Math/Post-rock, Rush, Morphine
È con grande interesse e curiosità che mi approccio all’Ep d’esordio di questo trio ligure, che vede i due terzi dei fenomenali Unsolved Problems of Noise (David Avanzini al basso e sax e Matteo Orlandi alla chitarra) unire le proprie forze al batterista e cantante Nicola Magri, per un progetto orientato ad un interessante rock che affonda le sue radici nell’alternative (che brutta parola, ma facciamo ad intenderci) degli anni 90, quello peró meno mainstream, suonato con piglio deciso, sferzante e mai banale (qualcuno si ricorda per esempio degli Shudder to Think?). Rispetto alla sarabanda noise degli UPON, il suono viene smussato agli angoli e privato di aculei urticanti, senza però rinunciare ad una forza d’urto che rimane comunque dirompente. I tre sono musicisti di gran classe e tecnica, con influenze vastissime che riescono a coniugare nel modo migliore con l’immediatezza e l’urgenza del rock più viscerale. “Five on Four”, piazzata in apertura, ammalia con i suoi controtempi, le sferzate chitarristiche in stile Polvo, il sax sinuoso e il synth avvolgente. Quindi è la volta di “Cage”, il brano più schiettamente rock, che potrebbe essere un perfetto singolo, con quel basso dritto a la Queen of the Stone Age, e il suo assolo incendiario di chitarra. Qua e là il sax contribuisce a creare un’atmosfera brumosa e notturna che richiama i Morphine, come in "Lay Down", brano percorso da un’inquietudine fremente, una tensione ritmica sempre sul punto di esplodere ma trattenuta con grande maestria (a proposito, gran lavoro quello di Magri, per tutto il disco). Le parole di Virgia Woolf ispirano la matassa ritmica di “Virginia’s Whale”, vicina a certo math-rock pulsante e pensante (mi vengono in mente i miei amati Self-Evident), mentre “Picture” sposa tensioni post-hardcore con la calda fluidità di un piano rhodes in un brano complesso, tra sussurri e improvvise aperture, sempre sostenute da un lavoro pazzesco della ritmica. Con la schizoide “8 Blind Steps” (che arriva addirittura a citare un discorso pubblico Mohandas Karamchand Gandhi), si chiude un disco importante, di statura internazionale per qualità e produzione, in cui gli unici appunti possono essere mossi ad un cantato forse un po’ monocorde. Personalmente auspico che il power-trio genovese continui su questa strada - magari focalizzandosi maggiormente sulle canzoni - quella giusta per trovare una voce che sia solo la loro. Ottimo esordio. (Mauro Catena)

(Marsiglia Records - 2014)
Voto: 75

mercoledì 4 marzo 2015

Enisum - Samoht Nara

#PER CHI AMA: Cascadian Black Metal/Shoegaze, Wolves in the Throne Room, Alcest
Tra le tracce di questo primo album uscito per la Dusktone Records nel 2014, troverete qualcosa di magico, un ponte reale tra la vostra anima e lo spirito della natura, quello più battagliero, romantico e misantropo. La one man band si fa chiamare Enisum e arriva dalla Val di Susa nelle Alpi Piemontesi; tutto il suo concept sonoro è ispirato dalla superba potenza e dalla bellezza dell'ambiente che ci circonda. E l'artwork non lascia ombre di dubbio sul connubio esistente fra musica e la forza di quella natura che ha ispirato questi sette brani di ottimo black folk metal, gelido e potente quanto basta per divenire un piccolo gioiello sotterraneo. La qualità assai alta della produzione rende il suono cristallino e vivace, limpido come una cascata di montagna, le parti folk (o meglio cascadiane) emergono senza prevalere intersecandosi alla perfezione con le incursioni più violente e dinamiche. Anche se leggermente meno corrosivi, gli Enisum ricordano il sound dei Wolves in the Throne Room per l'attitudine oscura, riflessiva e mistica che si protrae per tutti i quarantasei minuti circa di atmosfere spettrali e glaciali, ma dalle forti venature malinconiche e depressive. Le due tracce più lunghe del disco, ovvero "Civrari" e "L'Arvoiri du Cüdlit", racchiudono gli intimi segreti della mente che si cela dietro al monicker Enisum, la cui anima è divisa tra il decadente e l'introspettivo che spesso vira verso un black metal più "morbido" e dalle tinte alternative. Un sound che abbandona spesso e volentieri, ma solo in parte, la strada maestra del defender per esplorare un meltin' pot sonoro molto personale, vedi i cori angelici di "Rüvat Rùciaj", ove un suono astratto ed efficace sorprende anche senza reinventare il genere, lo rielabora con gusto e fantasia, sfoderando una buona padronanza a livello strumentale. Le parti vocali poi si fanno apprezzare nel tipico screaming black, che va alternandosi ad un raro cantato pulito e a cori che potrebbero essere migliorati per raggiungere le vette di Alcest o simili. Nel tirare le somme, possiamo affermare che 'Samoht Nara' è un album decisamente riuscito, accessibile ed intenso, omogeneo, diversamente estremo nelle sue sonorità ancestrali, emotivamente tagliente e penetrante, ricco d'atmosfera e pathos ad effetto. Uno splendido disco per sognatori oscuri. (Bob Stoner)

(Dusktone Records - 2014)
Voto: 80