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giovedì 12 giugno 2014

Aeons Confer – Symphonies of Saturnus

#PER CHI AMA: Progressive Death Dark, Augury, Anaal Nathrakh, Wintersun
Il sestetto di Amburgo ci coglie di sorpresa e ci lascia esterrefatti con un primo album pazzesco dove la forma epico oscura degli Anaal Nathrakh, la lucida e classica rigidità teatrale dei Wintersun, la potenza tecnica degli Augury e la variante sinfonica monumentale degli Empyrion riescono a sfociare tutte assieme in un unico album dai mille volti. La tecnica sopraffina e le più che incoraggianti e ricercatissime strutture di metal sinfonico si incontrano nel cammino di un death metal violento e glaciale, dalla doppia cassa devastante e dal suono al limite dell'industriale. Rumori, cori, elettronica minimale, tastiere mastodontiche, chitarre killer, tanto moderno metal (ascoltate "ESP" o "Aeonized") e un vocalist degno di tale nome sia nel growl che nel pulito. Numerose ed inaspettate aperture melodiche con forte ispirazione ad un freddo, oscuro e potente metal proiettato nel futuro, conferiscono un'impronta progressiva e concettuale all'intero lavoro. Questo è un disco spaventosamente pieno di idee, ragionate a lungo (9 anni di gestazione dal precedente EP!), suonato a dovere e carico di nitroglicerina pronta ad esplodere; un continuo intersecarsi di riff e umori contrastanti inghiottiti da un cantato magistrale. Tutto calza a pennello e niente scalfisce l'intero ascolto dei quattordici brani disseminati nei circa settantotto minuti dell'album. Tutto è legato come in un lungo concept da una colata di lava incandescente: velocità, melodia, drammaticità, teatralità e potenza al di fuori della norma. Ci fa rabbrividire di gioia pensare a quale sforzo creativo questa band teutonica si sia sottomessa e a quale apice sia approdata. Immaginate 'Timmo Tolkki's Avalon' in una forma oscura e oppressiva; visualizzate nella vostra mente una specie di musical in chiave death metal e avrete un'idea di ciò che vi aspetta. Aggiungete poi tanta tecnica, una bella dose di violenza, un suono professionale, un modus operandi e una scrittura musicale da dieci e lode privo di cadute, che non annoia, e che riesce a rivitalizzarsi ad ogni ascolto. Considerando che il tutto non è di facile approccio, rimarchiamo a gran voce che questo è un signor album! Fast and modern symphonic dark metal ritroviamo scritto sulla presentazione del cd... e nulla potrebbe descrivere meglio questo loro stupendo primo full lenght! Una band da non perdere di vista pronta per il grande passo! Gioiellino da avere! (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 90

martedì 10 giugno 2014

Cauldron Black Ram - Stalagmire

#FOR FANS OF: Black/Death Metal, Doom/Sludge, StarGazer, Crowbar
Never one to follow a strict releasing schedule, this third release from the Australian Black/Death Metal act comes four years after their last release, itself six years after the preceeding offering so there’s clearly no need to put out music constantly from the band with an output like that. Certainly, though, that relaxed pace has certainly caused a more relaxed vibe to enter their music for this band’s output is decidedly plain and quite sluggish, as the album rarely manages to make a lasting impact with its chosen style of primal Death Metal, Doom and Black Metal while laced with dashes of Sludge for what is a wildly inventive mix but one which doesn’t always make for entertaining listening. The slow, droning Doom tempos are mixed with brazen, heavy Sludge-like riffing patterns recorded with a level of slime and fuzz that incorporates the occasional fast-paced Death Metal section against a hoarse, demonic rasp that brings the Black-ness into focus, but overall this conglomerate of influences manages to come up with a hodge-podge of discordant sounds and off-kilter passages that make for a scattershot and disorganized-sounding album that doesn’t know to keep itself in line for the track as it has to go off into its own little world almost as if distracted by something else in the room. That the production is so weak and bland certainly does this no favors, rendering the guitars into a pile of mush that further offers their Sludge listing while making riffs bleed into each other with so much distortion going on as to make it nearly impossible to determine the actual melody being played. As well, the drums are just merely pounding percussion notes playing the background and really don’t do much of anything to distinguish themselves while the blaring, muddy bass-lines throughout make for a rather sloppy mess that it can’t really recover from. There’s no bite at all to the music and when mixed with generally boring and disorganized music as this it really makes the whole effort hard to get into. This isn’t all the fault of the songs, as intro "Fork Through Pitch" signals their intentions immediately with plodding riff-work, stagnant paces and churning, slow-broiled rhythms at odds with each other as the thrashier sections clash wildly with the sluggish tempos, awful production and decidedly obvious lack-of-life within the arrangements, clearly gives a noticeable warning. "Maw" is slightly better with a tight riffing set and some spirited sections, but again the lousy production, plodding rhythms and generally heavy-handed forcing of the different elements into a whole makes for a rather troublesome outing. "Discarded Death" is a bit better as it focuses more on low-slung Death Metal riffing and a generally faster vibe that comes off as one of the faster tracks on the album and stands out because of that. The album’s worst track, "A Litany of Sailor’s Sins," is just too slow and plodding to offer anything substantial here with a lame central riff, no speed or even heaviness until the later half, which is generally too little too late to matter with this one. This plodding, generally uneven pace is repeated throughout "From Whence the Old Skull Came," the rumbling bass failing to make the bland, plodding riffs stand up against the uninteresting drums and makes this one undoubtedly disposable. "Bats" tends to focus itself a little better with some fine mid-tempo riffing and a generally enjoyable pace, while the fine instrumental "Cabin Fever" certainly offers up some interesting up-tempo riffs and sections that actually comes across as one of the better tracks without the vocals to hold it back and lets the band rip away with abandon. "The Devil’s Trotter" does get things back on track with the bouncy rhythms and actually fun tempo throughout, but tends to wander around too much with the eerie vocal chants and go-nowhere final half that really makes it hard to finish off strongly, which certainly aligns itself with the plodding closer "Speliogenesis," as the extended vocal chanting, plodding riff-work and generally numbing riffing throughout manages to end on a feeling of euphoria at not enduring anymore as the final up-tempo notes sign off once and for all at the general lack of interest it has in sustaining that pace. The credit for mixing the genres is certainly commended, but the fact that it’s so weak and disorganized as this is certainly troubling. (Don Anelli)

(20 Buck Spin - 2014)
Score: 40

Mosca nella Palude - Ultrafuck

#PER CHI AMA: Crossover, Korn, Faith No More, System of a Down
Nonostante il roboante lancio della loro cartella stampa (”i Faith no More che vanno a fare una passeggiata nella giungla con Beastie Boys e John Zorn e tornano sconvolti...”) lasci presagire qualcosa di diverso – e forse un tantino piú originale – i binari su cui si muove il trio toscano in questo esordio, sembrerebbe essere piuttosto il buon vecchio crossover anni '90 a stelle e strisce: brani brevi e perlopiú schizofrenici, schegge impazzite che riprendono il discorso portato avanti anni fa da Korn e System of a Down, senza inventare nulla di nuovo ma non senza una buona personalità, tanta energia e in definitiva una notevole credibilità. I Mosca nella Palude sembra si prendano poco sul serio, per via di un’ironia di fondo che ben si esemplifica nei titoli dei brani ("Madafuga", "Fac Alabama", "Beastie Toys", tra gli altri) e in un’attitudine giocosa che, ad un ascolto distratto, potrebbe portare a bollarli come niente piú che dei simpatici cazzoni. Cosa che sarebbe molto sbagliata, dato che i tre ci sanno indubbiamente fare. L’opener "Madafuga" è la piú pattoniana della scaletta, con quel chorus che sembra venire direttamente da 'King for a Day'. "Rex Idiotorum" introduce percussioni tribali che caratterizzeranno un po’ tutto l’album e contrappone ad una prima parte tutta convulsioni, una seconda potente e melodica. Se qualche episodio forse non è ancora perfettamente a fuoco, prediligendo l’effetto sorpresa a tutti i costi a discapito della costruzione del brano ("Revolution"), altrove i tre dimostrano di avere molte cose da dire, come nel tribalismo schizoide di "Aaayeee" o nelle sorprendenti chitarre sguaiate di "Afghan", oppure ancora nella splendida, conclusiva, "Smith Wesson", riminescente di certe atmosfere a la System of a Down. A spezzare la tensione epilettica dell’album ci pensano un paio di brani acustici molto interessanti, come il paludoso blues "Fac Alabama" o l’inafferrabile "Marzo" che disegna paesaggi e melodie cari ai Porno for Pyros di Perry Farrell. Rimane da dire della voce versatile e camaleontica di Giovanni Belcari, mente del progetto, il cui timbro ricorda in piú di un passaggio quello di Billy Corgan. Lavoro in definitiva interessante, estremamente energico e ricco di entusiasmo. Attesi alla prova dal vivo e a nuovi sviluppi futuri. (Mauro Catena)

(Santa Valvola Records - 2013)
Voto: 70

Dormant Ordeal – It Rains, It Pours

#PER CHI AMA: Death Metal, Meshuggah, Exhumed
I Dormant Ordeal sono una band polacca di notevole caratura tecnica che sapientemente coniuga il suono sanguigno e reale, stile ultimi Sepultura, con influenze estreme a la Meshuggah, Exhumed e Mostrosity. L'album si distingue per la freschezza di esecuzione e un'abile fluidità nella scrittura dei brani, che lo rende veramente appetibile. L'ascolto è naturale, i suoni ben calibrati e ricercati per mediare tra i fans troppo esigenti dei Meshuggah e quelli più esplosivi di band come gli Exhumed, contemplando anche quel tocco di sano classicismo che tutt'ora Sepultura o Napalm Death, con tanto orgoglio a distanza di anni, si portano a presso (ovviamente il riferimento sta nell'alta qualità della proposta musicale intrinseca di 'It Rains, It Pours'). Artwork di copertina di elevata e raffinata bellezza, lontano dagli stereotipi del genere che potrebbe richiamare il malinconico mondo dei Katatonia; dodici brani in quarantadue minuti di musica d'alto livello. Death metal il loro, compresso ed efficace, con tutte le carte in regola per entrare nelle grazie degli amanti del genere; la band costruisce brani memorabili, violenti ed estremamente fruibili, carichi d'energia con estratti cyber-futuristi degni della suddetta mitica band svedese ma senza calcare troppo la mano sul tecnicismo fine a se stesso, anzi relegando la tecnica al servizio della buona riuscita del brano. Tutti i pezzi interagiscono tra loro creando insieme una trama che dona all'intero lavoro una solida omogeneità. Il sound si rivela caldo, avvolgente, saturo e claustrofobico quanto basta, sorprendentemente additivato con uno stile “diretto”, tanto “orecchiabile” quanto ricercato e potente, di ottima fattura con richiami deathcore cari agli Agoraphobic Nosebleed, con una batteria magistrale e ritmiche veloci mozzafiato, un cantato in perfetta sintonia e un'equalizzazione dei suoni che mette tutti e tutto al posto giusto (il doppio gancio, "The Sinless", "Your Mother – Slave", ne sono un buon esempio). Alla fine soddisfatti e triturati, siamo in grado di emettere un verdetto finale...se cercate una seria risposta underground al mainstream omologato, questo è il disco che fa per voi! (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 80

domenica 8 giugno 2014

Ennui - The Last Way

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Mi sembra quasi di capire che il funeral doom al giorno d'oggi sia una questione lasciata principalmente alla Russia e a tutte le nazioni che costituiscono il CSI, con in testa Ucraina e Biellorussia; da oggi annoveriamo anche la Georgia, da dove arrivano questi Ennui, propinatori di catartiche sonorità funeree. 'The Last Way' è la loro seconda fatica del 2013, uscita per MFL Records (del 2014 invece uno split con gli Aphonic Threnody) che come al solito farà la gioia di coloro che si cibano di atmosfere oscure, soffocanti, lente e mortifere. Chiaro il concetto no, in questo lavoro non avrete modo di vedere alcun bagliore di luce, fin dall'iniziale "Cold Somnolence", lentissima song che musicalmente potremo affiancare al solito nome di riferimento della scena, gli Skepticism. Le ritmiche sono pachidermiche, cosi come il genere impone; le song hanno lunghezze infinite, con l'effetto di stremare i fan con maratone di note decadenti, deprimenti e definitivamente dilanianti. Cosa aspettarsi dalle vocals poi? Catacombali. Ciò che mi esalta invece della band di Tbilisi e che me ne fanno ampiamente apprezzare la proposta, sono le emozionali fughe solistiche dove i nostri scattano splendide fotografia bicolori che amplificano un senso di desolazione, già di per sè assai forte nei solchi di quest'album. Nonostante gli infiniti 15 minuti di "Ennui" non potrete non apprezzare le chitarre che guidano la melodia del brano e insieme alle tastiere di Serj Shengelia, costruiscono una non poco apprezzabile struttura armonica, tale da differenziare la proposta degli Ennui da quella delle altre band funeral. Si prosegue con "A Moment in the Void", ma in cuor mio dopo i 28 minuti delle prime due tracce, un'idea me la sono già fatta. Un'idea che trova confortanti conferme con la terza traccia e le sue splendide lugubre ambientazioni e con gli altri 28 minuti composti da "Loss", song tetra e dal mood straziante e "The Descendant Of Lifeless Rebirth" in cui splendido è il lavoro chitarre/tastiere, che consacrano gli Ennui a mia band funeral preferita. Certo i 77 minuti di questo 'The Last Way' non sono una passeggiata di salute che tutti potranno affrontare, ma mi sento di consigliare quest'album non solo agli adepti adoratori delle tenebre più profonde, ma anche chi questo genere non lo bazzica tutti i giorni. (Francesco Scarci)

(MFL Records - 2013)
Voto: 80

https://www.facebook.com/bandEnnui?ref=hl

sabato 7 giugno 2014

Dol Kruug - Eat Me

#PER CHI AMA: EBM, Industrial, Cyber Electro Grind
Dol Ammad, Dol Theeta e gli ultimi arrivati Dol Kruug (senza scordare anche i Synesthesia) non sono altro che le incarnazioni sonore degli umori di Thanasis Lightbridge, musicista greco di Salonicco, che attraverso la sua label Electronicartmetal Records, dà libero sfogo a tutte le sue caleidoscopiche idee. Veniamo agli ultimi nati, i Dol Kruug e al loro formidabile esempio di come si possa combinare l'elettronica col cyber grind/EBM e rumorismi vari, senza cadere nello scontato o nel già sentito. La cavalcata sonora di 'Eat Me' parte dalla funesta "Game Over Human" che incarna lo spirito malsano di questa release e decreta la fine della nostra razza sulla Terra. Spettrale, malvagia e idiosincratica, la traccia mostra una nuova immagine di Thanasis, fino ad oggi edulcorata dalle sperimentazioni sinfoniche delle altre sue creature. Con questo album invece l'idea è quella di far male con le ritmiche eletro-industrial delle sue tracce, che una dopo l'altra scorrono in questo magmatico effluvio ipersonico. "Mecha Orgy" richiama qualcosa dei Fear Factory, ma molto più ampio è lo spazio ivi riservato per la sperimentazione cibernetica con le vocals del mastermind greco, mai cosi profonde. L'album spacca di brutto e poco spazio (per non dire nullo) viene concesso a momenti più rarefatti. L'EBM regna sovrano in "Obey the Toad" con le sue perturbazioni soniche che destrutturano pericolosamente la mia massa cerebellare. Se poi ascoltate il tutto in cuffia, il risultato di annientare i sempre meno neuroni rimasti, avrà il suo massimo effetto, statene sicuri. Degli ansimi spaventosi aprono "Brain Lab" e poi l'effetto dei suoni che si canalizzano all'interno delle mie orecchie è quello di un esercito di piccoli soldati che, dotati di una mazza ferrata, fanno pulizia prendendo a martellate le cellule del mio meato acustico. L'atmosfera mortifera che si respira ha un che di spaventoso, gli effetti giocano a ping pong passando da un orecchio all'altro, destabilizzando sempre più la mia mente. Urla di donne, suoni provenienti da un rave party in una fabbrica dismessa, vocals suine sono gli ingredienti di questa song e delle successive. Nella title track l'electro sound assume connotati quasi noise, sfondandoci il cranio a suon di EBM e disco space rock. Siamo a metà ascolto e mi sembra di essermi fatto un'endovena delle più potenti droghe psicotrope: l'esercito di piccoli soldati non è più nelle mie orecchie, ma me lo vedo danzare davanti agli occhi, ormai stordito dal vodooo sonoro che si è inventato il buon Thanasis. Che diavolo ti sei fumato per concepire questo lavoro? Vado avanti, abbandonando la follia degenerativa di "Vo Du Delagua" per farmi accogliere a braccia aperte dalla furia deflagrante di "Psycho Stops For Tea", l'esempio più palese di come si possa suonare grind cibernetico e si rischi di diventare quasi più devastante del mitico 'Scum' dei Napalm Death. 'Eat Me' è un'arma pericolosa, da maneggiare con cura, un album concepito da alieni tant'è che "Alien Butcher Doctors" ne rappresenta probabilmente l'inconfutabile prova, un messaggio che lo strumentista di Tessalonica volge verso lo spazio per richiamare forze extraterrestri che invadano il nostro pianeta. Sonorità stile film di Dario Argento per la catacombale "Ex Inferis" e la conclusiva "Sonic Diarrhea" che ci danno il definitivo colpo di grazia targato Dol Kruug. Preparatevi, l'invasione è iniziata e i Dol Kruug (e la gallina finale) ne sono gli infami promotori. (Francesco Scarci)

(Electronicartmetal Records - 2014)
Voto: 80

Alrealon Musique presents – New Sonic Strategies

#PER CHI AMA: Sperimentale, No Wave, Throbbing Gristle, Mark Stewart, AMM, Coil
Immaginate di fondere acid jazz stile Guru Jazzmatazz, la tossica no wave di Andy White and the Contortions, l'avanguardia sperimentale dei primi Throbbing Gristle e John Zorn, le pulsioni industrial hip hop degli Sweet Lizard Illtet, il cosmo sonoro di Alva Noto e AMM, Clock DVA, Mark Stewart in libera uscita dal Pop Group e This Heat. La rumoristica di scuola Einsturzende Neubauten, la world music dei Banco de Gaia, l'elettronica di Fennesz, un pizzico di crossover di Pigface, l'ambient cinematografico dei Borhen and the Club of Gore, Klaus Shulze e Brian Eno, Coil e Psychic Tv, tutti in uno speciale cofanetto pieno di delizie sonore confezionato dalla Alrealon Musique etichetta inglese tra le più attive e interessanti nel panorama sperimentale mondiale. Un forziere di tanti artisti tutti collegati tra loro da visioni sperimentali a 360 gradi senza remore di sorta, una giostra di suoni, umori e stravaganze godibilissima, sedici artisti di grande qualità con un gusto sonoro inimitabile fatto di allucinazioni, deliri, punk, no wave, jazz e sperimentazioni elettroniche d'avanguardia, che differenzia la Alreon Musique da tutto il resto e rende così credibile il suo operato nonostante l'alta vocazione alla psichedelia aliena che contraddistingue queste tracce e questi artisti sperimentatori. Non resta che invitarvi a sedere ed abusare di questo banchetto sonoro, aprire la mente e tracciare nuovi confini e orizzonti. Forse qualcuno potrà dire che alcune cose di questi pezzi sono derivati da sperimentatori (qui sopra citati) più famosi ma l' efficacia di questi brani non sta tanto nella novità o nell'originalità, piuttosto la sua forza sta nella prosecuzione di un verbo oramai dismesso, il creare, nella vera possibilità musicale di accedere ad un mosaico sonoro unico ed incontrollato, libero e sovversivo! Per alimentare la vostra cultura in campo sonico, assaggiate questo capolavoro! Buon appetito! (Bob Stoner)

(Alrealon Musique - 2013)
Voto: 80

Beyond Grace - Monstrous

#PER CHI AMA: Techno Death, Spawn of Possession 
Ricordo da bambino quando mi dovevano fare un'iniezione, i miei genitori mi dicevano "è un piccolo pizzicotto che dura un attimo"; puntualmente sentivo un dolore incredibile che durava si pochi secondi e passava in un lampo. Questo per introdurvi il brevissimo lavoro (13 minuti) degli inglesi Beyond Grace, un attimo di metallico dolore. Si perché 'Monstrous' irrompe nel mio impianto stereo con "The Chronophage", song che selvaggiamente cresce con un tiro assassino, in grado anche di rallentare la sua corsa, sterzare ma ripiantare l'acceleratore a tavoletta e darcene tanto da lasciare un bruciore simile a quello di una siringa piantata là dove non batte il sole. La ritmica tagliente ronza nell'aria come le pale di un elicottero che tagliano l'aria, l'ugola di Andy Walmsley è bella profonda e ben si amalgama con il killer sound dei nostri. Ovviamente quello dei Beyond Grace non è un sound violento tout court; nell'arco dei brani si ritrovano interessanti rallentamenti, fraseggi progressivi che rimandano a mostri sacri come Death o Spawn of Possession, trovando però il tempo di strizzare l'occhiolino anche al death-metalcore. "Inhumanity" è forse la traccia più selvaggia in cui trovano spazio i blast beat, anche se nella sua seconda metà il brano si rivelerà assai più ragionato. Non siamo al cospetto di nulla di innovativo sia chiaro, però l'EP si lascia ascoltare; non saprei quantificarvi però per quanto gli concederò la mia attenzione prima di abbandonarlo nella mia distesa infinita di cd. "Invasive Exotics", chiude in modo dinamitardo questo primo EP dei Beyond Grace, che proprio dei pivelli non sono, visti i trascorsi come Threnody dal 2005 e Bloodguard dal 2011. La traccia parte da una base di matrice brutal death per poi evolvere in un'esplosione caleidoscopica di suoni di scuola Cynic/Atheist che tocca il suo apice in uno splendido ma brevissimo intermezzo acustico, che lascia intravedere le potenzialità del quintetto di Nottingham. Merito di quest'ultima traccia, l'interesse dei nostri è accresciuto parecchio: speriamo ora che mettano un po' da parte la furia brutale fine a se stessa e concentrino maggiormente i propri sforzi alla ricerca di divagazioni più spinte in ambito death fusion. Da seguirne l'evoluzione attentamente. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 65 

Illuminati - The Core

#PER CHI AMA: Fusion Death Metal, Atheist, Cynic, Pestilence
'Testimony of the Ancients', 'Focus', 'Unquestionable Presence', 'The Key' e il nostrano 'Above the Light' rappresentano quanto di più incredibile il fusion death abbia concepito nei primi anni '90 e forse in tutta la storia del metal. Pestilence, Cynic, Atheist, Nocturnus e Sadist hanno costruito le basi per quelle migliaia di band discepoli che si sono poi susseguite nel corso degli anni a venire, ma che ahimè non hanno raggiunto le vette stellari dei primigeni mostri sacri. Quello degli Illuminati è un altro interessante esempio di mimare quelle insuperabili performance e il terzetto di Bucarest lo fa giocandosi una serie di carte ad effetto davvero impressionanti. Della serie "ti piace vincere facile"? Forse. Si perché i nostri abbracciano alcuni degli artisti delle band sopracitate. Patrick Mameli (Pestilence) si palesa al microfono nella opening track, "Please Lose", con la sua bella voce al vetriolo che si erge su un tappeto ritmico elucubrante, fatto di cambi di tempo, incursioni jazz, ritmiche sghembe, fini atmosfere e linee di basso di scuola Cynic/Atheist. Esagerata. Un breve intermezzo (ce ne saranno sei in tutto, alcuni dei quali contraddistinti da un parlato in lingua rumena) e via con "Storm" dove compare Mr. Mike Browning, ex fondatore dei Morbid Angel ma soprattutto batterista e vocalist dei Nocturnus. La song si palesa nuovamente come un incalzare di riffs ricercatissimi ma anche assai affilati, che non lasciano nulla al caso e giocano tra loro, nel tentativo di disorientare e ubriacare l'ignaro ascoltatore. Arriviamo a "Gulliver's Extraordinary Journey" e diamo il benvenuto a Daniel Mongrain (Martyr, Voïvod), in una song che si ispira molto a 'Focus', suonato in una session con gli Exodus ma che nella sua seconda metà gode di un'aura space rock degna degli ultimi Voivod. Increduli? Io rimango basito, non c'è che dire, sbalordito anche nel piacevole susseguirsi di una serie di solos, intermezzi blues/rock/funky a cui farà seguito uno splendido interludio etnico. Giungiamo a "Sea of Consciousness" e due tra i più talentuosi musicisti del globo, Kelly Shaefer e Tony Choy (che un po' tutti ricordano per la loro militanza in Atheist o Pestilence, tra gli altri) esplodono la loro bravura, il primo con una buona performance alla voce, il secondo con un inesplicabile lavoro al basso, in una traccia che sembra rifarsi anche ad 'Elements' degli stessi Atheist, e per una certa tribalità alle percussioni. Progressive, techno death e ritmiche alternative, riescono poi a forgiare un suono incredibile. Con la breve title track, a deliziarci alle voci troviamo Tymon Kruidenier (Exivious, ex-Cynic) in una cavalcata magnetica, mentre con la conclusiva "Domino Spine" è Luc Lemay dei sottovalutati Gorguts a fare da guest star dietro al microfono in quella che probabilmente si rivelerà la traccia più difficile da ascoltare dell'intero album, una song dotata di poca dinamicità e dal mood decisamente più cupo, tipico del sound della band dalla quale Luc arriva; il finale tuttavia è da applausi (ascoltare per credere). Il sorprendente album degli Illuminati finisce qui, o almeno credevo. Si perché a sancire l'impresa di 'The Core', ecco diffondersi nell'aria la cover di "Unquestionable Presence", riletta in modo esemplare da questi straordinari musicisti rumeni. Ma come diavolo è possibile che una simile release sia passata quasi del tutto inosservata ai media (scarsissime le recensioni sul web)? Per chi come me sentiva la mancanza di questo genere di sonorità, rompa gli indugi e si faccia avanti senza paura. Gli altri affianchino ai 5 album citati all'inizio di questa recensione, una copia di 'The Core'. (Francesco Scarci)

(A & A Records - 2013)
Voto: 85