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giovedì 23 maggio 2019

Stoner Kebab - Everything Fades to White

#PER CHI AMA: Psych/Prog/Stoner
Abbiamo dovuto attendere sei lunghi anni, ma finalmente è giunto il momento di far godere i nostri lombi con il nuovo frutto offerto dal quartetto pratese, tutto con la benedizione della Santa Valvola Records. Nulla sembra essere cambiato, o per lo meno, la simbologia tanto amata dagli Stoner Kebab si ripercuote sin dall'artwork che vede in copertina un monolite simil '2001:Odissea nello Spazio', simpaticamente battezzato da dello sperma. Nel cielo invece si erge un pianeta che simboleggia un ovulo che sta per essere attaccato da un'orda di spermatozoi affamati, a coronare il titolo del nuovo album che riconduce il tutto al richiamo della natura. Otto brani per riprendere là dove la band ci aveva lasciato, ovvero l'album 'Simon' e la sua ironica vena satanica (ricordate il pentagramma a tutta copertina?) con l'inconfondibile sound traboccante di fuzz e riff granitici. "Virgo", l'opening track, parte di slancio con chitarre giganti impreziosite dall'effetto psichedelico per antonomasia, ovvero il phaser che avvolge le distorsioni come un volo a spirale in caduta libera verso lo spazio in cerca di forme di vita fertili. Il cantato è aggressivo ed offuscato da un pesante riverbero lo-fi in stile Electric Wizard, mentre la comparsa del sintetizzatore nel break strumentale ci fa intendere che il quartetto toscano ha voluto espandere le proprie sonorità. Il brano va verso la chiusura con un crescendo psichedelico, cambi di ritmo ed infine il ritorno alla strofa e ritornello che ci hanno schiantato nei primi secondi di ascolto. La goliardia degli Stoner Kebab è solo pari alla loro bravura, per questo mi ricordano i Red Fang che come loro hanno scelto la strada dell'autoironia che in un ambiente underground come lo stoner, manca quasi totalmente. "Everything Fades to White" ci porta in una dimensione metafisica grazie alla chitarra acustica e le percussioni che creano una trama dalle sfumature mediorientali, mentre nel retro cranio si percepisce un flebile synth che amalgama il tutto. Un brano strumentale primordiale, intimo e che arriva diretto al nostro cervello sempre più sovraccarico di stimoli, un toccasana per una lunga sessione di yoga sessuale come pratica(va) il buon Sting. Ma i vecchi casinisti non cambiano ed ecco che "For Demonstration Purposes Only" ci riporta alle origini con una traccia arrogantemente grezza, sporca e assolutamente sconsigliata agli hipster con i risvoltini. Il cantato è sempre stato un elemento di riconoscimento degli Stoner Kebab, infatti le voci s'intrecciano e si sovrappongono con maestria sopra ad una composizione musicale sempre ben fatta. Le influenze date dal corollario Black Sabbath e affini, è talmente ovvia che non va neppure menzionata, stop. Un brano lungo, complesso che abbraccia il genere e lo arricchisce con i suoni e lo stile che ha sempre caratterizzato gli Stoner Kebab in questa lunga carriera che da circa vent'anni li porta ancora a calcare i palchi di tutta Italia. Chiudiamo con "To See Coming Inside From the Inside", la canzone forse più oscura di questo quinto lavoro, dove le accelerazione prog sono state messe da parte per farci immergere in una pozza oleosa in cui è difficile addirittura arrancare e si ha solo voglia di farsi trascinare giù nel profondo. Le atmosfere doom vengono spezzate a metà dal break con protagonista il tampura (uno strumento a corde indiano) che alleggerisce l'esecuzione strumentale donandoci un momento di rilassamento emozionale. Una vera sessione psichedelica in stile '70s che ci fa desiderare un integratore a base di sativa. Ovviamente il cerchio dei dannati riprende il suo lento incedere, mentre il cantato si ripete come un mantra e ci porta alla fine del brano che chiude in fade out. Un album bello, carico, complesso ed affascinante, a dimostrazione che gli Stoner Kebab sono vivi e minchia, spaccano i culi come se avessero vent'anni. Inchiniamoci davanti ad una delle band più longeve e brave della scena heavy italiana. Accaparratevi una copia fisica al più presto, leggende narrano che al suo interno ci sia un piccante e saporito regalo. (Michele Montanari)

giovedì 28 settembre 2017

Cruel Experience - Lives of Ugly Demons

#PER CHI AMA: Psych/Stoner/Punk, Sonic Youth
I Cruel Experience sono Efisio (voce/chitarra), Nicola (chitarra), Andrea (Batteria) e Thomas (basso e voce), nascono a Lucca nel 2013. Hanno all’attivo un doppio Ep, 'Save the Nature, Kill Yourself' e un singolo raccolto nello split '70s, 80s, 90s Suck Split'. Questo 'Lives of Ugly Demons' (L.O.U.D.) è il loro vero album d'esordio; dopo una bella gavetta nella scena locale i quattro musicisti decidono infatti di appoggiarsi alla cordata di label formata da Santa Valvola Records/Annibale Records/Brigante Records & Productions/Dadstache Records, per fare il tanto desiderato salto di qualità. Il cd si presenta in un digipack rosso con una grafica in chiave horror anni '70 misto a fumetti con un look che richiamano il secolo scorso (mamma mia, sembra una vita fa). I testi delle sette tracce sono stampati su un flyer/poster a parte che fa gongolare chi come me, adora leggere per cogliere a meglio il lavoro delle band. "Highway Of Lies" è il brano in apertura che ci scaraventa nel mondo punk/psichedelico/grunge dei nostri amici lucchesi, ove l'inizio è dominato da un basso che rotola minaccioso come nei migliori brani stoner, poi con l'arrivo di chitarre e batteria, il brano si trasforma. Il cantato richiama le atmosfere punk inglesi mescolato a riff più grossi che si spezzano dopo poco per un lungo break psichedelico pieno di riverbero e grandi spazi metafisici. Verso la fine il pezzo riprende il tema iniziale accelerando vorticosamente e arricchendosi di un assolo leggermente dissonante che lascia senza fiato l'ascoltatore dopo oltre sei minuti di canzone. Riprendiamo con "Loud" e cambia l'approccio mantenendo questa volta il punk come genere di riferimento per il ritornello, ma che si veste anche di atmosfere new wave nella strofa. Il tutto si svolge in meno di tre minuti mascherati da una patina di ironia che denuncia il malessere urbano ed esistenziale, il tutto riflesso nei suoi arrangiamenti rabbiosi. I Cruel Experience si autodefinisco fuori dagli schemi e non possiamo che dar loro ragione: quando attacca "Bite the Light" infatti veniamo rapiti dal riff introduttivo sospeso tra psichedelia e grunge. Un brano poliedrico, fatto di stacchi lenti e accelerazioni che verso i tre quarti s'incupisce per poi esplodere in una cacofonia isterica e furibonda. "Help me Wizard" è degna di una band avvezza al doom più lisergico che ricorda lunghe notti passate sotto le stelle a ballare furiosamente intorno ad un falò gigantesco, con scintille che salgono al cielo come anime che trasmigrano ad un livello superiore. Tanta energia, basso e batteria sgomitano impazziti mentre le chitarre si destreggiano tra riff e arrangiamenti che strizzano l'occhio a band di vecchia data. Un gran bell'album che attinge a piene mani dalla scena internazionale punk/rock/noise, rivisitando quello che Sonic Youth ci hanno insegnato e creando un proprio mix che ammalia il nostro io interiore. Lunga vita ai Cruel Experience, che possiate regalarci altre piccole e fantastiche perle come questo 'L.O.U.D.'. (Michele Montanari)

(Santa Valvola Records/Annibale Records/Brigante Records & Productions/Dadstache Records - 2017)
Voto: 80

https://cruelexperience.bandcamp.com/album/lives-of-ugly-demons

venerdì 5 maggio 2017

Gli Altri – Prati, Ombre, Monoliti

#PER CHI AMA: Post-Hardcore/Screamo
A volte, oggi più che mai, diventa difficile riuscire a tenere dietro a tutte le uscite interessanti che costellano l’underground italiano e non. Capita quindi di perdersi qualche pezzo per strada, pure quando il pezzo in questione è una cosa che avevi visto e ti eri segnato per tempo. Arrivo quindi un po’ in ritardo a parlare di 'Prati, Ombre, Monoliti', secondo album dei liguri Gli Altri, di cui avevo particolarmente amato l’esordio 'Fondamenta, Strutture, Argini', che nel 2013 aveva scosso la mia personale percezione del panorama post-hardcore italiano con un punto di vista che univa l’esperienza di band fondamentali come Fluxus, Massimo Volume e Marnero, alternandole ad esplosioni di rumore incontrollato. Tre anni dopo qualcosa è cambiato nel suono de Gli Altri e questo nuovo lavoro, co-prodotto da un qualcosa come 38 (se non ho contato male) etichette indipendenti internazionali, fotografa una band straordinariamente affiatata e focalizzata verso un genere meglio codificato, quello screamo che potrebbe avere i Raein come punto di riferimento, ma che forse perde un briciolo di originalità. Ora la formazione si è allargata con l’ingresso di un violino che aggiunge nuove sfumature, e i testi si fanno dichiaratamente più politici e universali, declinando in “noi” e “voi” quello che nell’esordio era più intimo e personale. Dieci brani in meno di mezz’ora che sono un concentrato densissimo di suoni e parole, una musica che si fa furiosa e serrata senza per questo rinunciare a strutture complesse e articolate, tanto da richiamare più volte un paragone illustre con gli At The Drive In di 'Relationship of Command'. Non c’è tempo per riflettere qui dentro, nemmeno quando le parole lo richiederebbero ("Idomeni", "Oltre la Collina", "Nuovo e Diverso da Te"); si viene investiti da un’onda che toglie il fiato e ti prende a schiaffi, costringendoti a guardare in faccia un mondo da cui distogliamo troppo spesso gli occhi. Doloroso e necessario. (Mauro Catena)

(Santavalvola Records/Taxi Driver Rec/DreaminGorilla Records & molti altri - 2016)
Voto: 75

https://glialtri.bandcamp.com/album/prati-ombre-monoliti

martedì 10 giugno 2014

Mosca nella Palude - Ultrafuck

#PER CHI AMA: Crossover, Korn, Faith No More, System of a Down
Nonostante il roboante lancio della loro cartella stampa (”i Faith no More che vanno a fare una passeggiata nella giungla con Beastie Boys e John Zorn e tornano sconvolti...”) lasci presagire qualcosa di diverso – e forse un tantino piú originale – i binari su cui si muove il trio toscano in questo esordio, sembrerebbe essere piuttosto il buon vecchio crossover anni '90 a stelle e strisce: brani brevi e perlopiú schizofrenici, schegge impazzite che riprendono il discorso portato avanti anni fa da Korn e System of a Down, senza inventare nulla di nuovo ma non senza una buona personalità, tanta energia e in definitiva una notevole credibilità. I Mosca nella Palude sembra si prendano poco sul serio, per via di un’ironia di fondo che ben si esemplifica nei titoli dei brani ("Madafuga", "Fac Alabama", "Beastie Toys", tra gli altri) e in un’attitudine giocosa che, ad un ascolto distratto, potrebbe portare a bollarli come niente piú che dei simpatici cazzoni. Cosa che sarebbe molto sbagliata, dato che i tre ci sanno indubbiamente fare. L’opener "Madafuga" è la piú pattoniana della scaletta, con quel chorus che sembra venire direttamente da 'King for a Day'. "Rex Idiotorum" introduce percussioni tribali che caratterizzeranno un po’ tutto l’album e contrappone ad una prima parte tutta convulsioni, una seconda potente e melodica. Se qualche episodio forse non è ancora perfettamente a fuoco, prediligendo l’effetto sorpresa a tutti i costi a discapito della costruzione del brano ("Revolution"), altrove i tre dimostrano di avere molte cose da dire, come nel tribalismo schizoide di "Aaayeee" o nelle sorprendenti chitarre sguaiate di "Afghan", oppure ancora nella splendida, conclusiva, "Smith Wesson", riminescente di certe atmosfere a la System of a Down. A spezzare la tensione epilettica dell’album ci pensano un paio di brani acustici molto interessanti, come il paludoso blues "Fac Alabama" o l’inafferrabile "Marzo" che disegna paesaggi e melodie cari ai Porno for Pyros di Perry Farrell. Rimane da dire della voce versatile e camaleontica di Giovanni Belcari, mente del progetto, il cui timbro ricorda in piú di un passaggio quello di Billy Corgan. Lavoro in definitiva interessante, estremamente energico e ricco di entusiasmo. Attesi alla prova dal vivo e a nuovi sviluppi futuri. (Mauro Catena)

(Santa Valvola Records - 2013)
Voto: 70

giovedì 3 aprile 2014

Nausea Or Questra - Peccatori

#PER CHI AMA: Alice In Chains, primi Q.O.T.S.A. Melvins, Black Sabbath 
L'instancabile Santa Valvola Records (già madrina degli Stoner Kebab, recensiti qualche giorno fa) lancia il secondo album dei Nausea Or Questra (NOQ), quartetto stoner/alternative proveniente dalla zona di Prato. La cosa che mi ha intrigato sin da subito è la lineup: tre ragazzotti brutti e cattivi che si dedicano alla pressione sonora (voce/chitarra, basso e batteria) e una soave fanciulla che contribuisce con voce, violoncello e Farfisa (famosa azienda italiana produttrice di organi e tastiere che hanno contribuito alla storia del rock/punk e new wave). I presupposti per uno stoner diverso ci sono e quindi spariamoci nelle orecchie questa fatica italica. Il brano "Oscenità" viene introdotto da un giro di violoncello e basso distorto che insieme creano un riff elegante e facilmente assimilabile. Una sinergia che può sembrare spacciata sin dall'inizio, come un legame tra anime troppo diverse, ma che invece convincono proprio per queste caratteristiche. La voce maschile e femminile seguono la stessa idea e l'entrata della chitarra distorta segna un cambio di direzione che porta ad una overdose di energia, trascinando la sezione ritmica e travolgendo tutto quello che si para davanti. Un filone che caratterizza gruppi come i veronesi Le Maschere di Clara e che acquisisce credibilità con il tempo. Bel brano. "Safari" è una traccia da scavezzacolli, veloce e truce, ammorbidita dalle tastiere che non si vergognano dei propri suoni vintage. Anzi, te li sbattono in faccia e il riff diventa il filo conduttore dell'intero brano, mentre chitarra/basso/batteria sgomitano per prevalere, usando suoni grossi e pulsazioni da tachicardia. Due minuti per far capire che i NOQ si destreggiano in qualsiasi situazione sonora senza problemi. "Amsterdamn" invece risulta più stoner e psichedelica delle altre canzoni, sia per i suoni che per gli arrangiamenti. Meno fronzoli e più diretta. In generale, più ascolto le tastiere e più sono convinto che sia stata un'ottima scelta, se poi consideriamo che i NOQ si portano a casa voce femminile/violoncello/farfisa al prezzo di uno, direi che è l'affare dell'anno. Posso dire con certezza che i NOQ mi hanno piacevolmente sorpreso, perchè suonano pesante, ma allo stesso tempo mantengono eleganza e un sacco di sensualità, vuoi per il tocco femminile, vuoi per la scelta di strumenti non tradizionali per generi come lo stoner. E poi mi sembra di intuire un pizzico di ironia che non guasta, ci sono già troppi gruppi che si prendono sul serio. E di questi tempi meglio strappare un mezzo sorriso che lasciare indifferenti. (Michele Montanari)

(Santa Valvola Records - 20134) 
Voto: 70 

domenica 23 marzo 2014

Stoner Kebab - Simon

#PER CHI AMA: Stoner/Psichedelia/Doom
Il quartetto da Prato più stoner/doom del momento esce con un nuovo lavoro, il quarto in ordine temporale e non potevamo farcelo sfuggire. Come fautori di tale genere, gli Stoner Kebab non posso esimersi dalle accordature più basse possibili permesse dagli strumenti a corda e questo li avvicina al sound classico del genere, ma i nostri giocano la loro carta vincente anche in altro modo. Puntano infatti su un cantato meno tenebroso e su arrangiamenti di chitarra che rendono la loro produzione potente e allo stesso tempo diversa da altri gruppi legati al classico doom. Infatti "St. Lucy" è la prima traccia dell'album che con i suoi dodici minuti abbondanti di riff, feedback e cattiveria varia, vomita il meglio del repertorio dei quattro immondi ragazzi. Molto saggio l'assolo di chitarra al quarto minuto che regala, anche se per poco tempo, un'atmosfera post-qualcosa e ci permette di sopravvivere alla potenza inaudita di watt sperperati al vento e prendere fiato per immergersi di nuovo nella tempesta. Un brano duro come il marmo e alienante allo stesso tempo. "Mad Donna" invece è puro stoner alla Sky Valley, veloce, scandito e urlato al cielo come non ci fosse un domani. Pura energia tramutata in pressione sonora che vi scompiglierà la lunga barba e se non ce l'avete già, provvedete al più presto. La quarta traccia è "Sex Sex Sex" che viene introdotta dal sitar che negli ultimi anni sta imperversando nelle produzioni stoner, forse per quella componente tribale che si cerca di ritrovare nelle nostre profonde radici su questo arido pianeta. Poco dopo lo strumento a corde indiano viene schiacciato da uno dei riff più lenti e oscuri della storia del doom, ma non pensate che sia finita qua. Gli Stoner Kebab cambiano ancora direzione e ci regalano un break psichedelico con tanto di tastiera. Verso la fine il riff si ingrossa pur rimanendo fedele alla linea simil anni settanta. "The Monster" chiude la versione digitale di "Simon" (nel cd fisico troverete una traccia in più) e ci circonda con i suoi lunghi tentacoli, come in una novella di Lovercraft, dove l'immenso orrore è pronto ad assalirci e trascinarci nei profondi abissi senza tempo. Un brano molto emozionale, da non ascoltare assolutamente al buio e da soli, la pazzia potrebbe avere la meglio... La band è sicuramente valida e il loro meritato successo è proprio dovuto alla loro sfrenata pazzia che non ha certo paura di sperimentare. La costante crescita rispetto ai precedenti lavori ci fa sogghignare e possiamo solamente immaginare cosa ci aspetta in futuro. Nel frattempo mi cospargo di cenere il capo per averli persi al Circolo Bahnhof di Montagnana, ma cercherò di rimediare al più presto. (Michele Montanari)

(Santa Valvola Records - 2013)
Voto: 80