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giovedì 5 settembre 2013

Forgotten Sunrise - Cretinism

#PER CHI AMA: Suoni sperimentali
Ogni volta avvicinarsi ad un album degli estoni Forgotten Sunrise e descriverne i suoi contenuti in modo corretto, si rivela un'impresa irta di pericoli. Lo aveva fatto in passato il mio compagno di ventura Rob, in occasione dello splendido “Ru:mipu:dus”, ci provo oggi io, con l'uscita del nuovo “Cretinism”. Un album di 15 pezzi per una durata totale che supera abbondantemente i 50 minuti. La proposta dei nostri, che aveva preso già largamente le distanze dal death metal prima e dal metal poi, ha definitivamente abbracciato la sfera della sperimentazione più avanguardistica, mantenendo inalterata però la forte componente elettronica che si palesa già dopo l'evocativa intro. L'inizio e il tema portante di “The Moments When God Was Wrong” infatti, se non fosse per le vocals di Anders Melts, potrebbero avvicinarsi alle prime produzioni dei Depeche Mode. Nei momenti in cui Anders canta, il sound è più vicino alla dark wave. Comunque sia, nulla è scontato nella musica dei nostri: le melodie e le ritmiche decisamente '80s, la tribalità affidata all'inizio di “Samewonder” cosi come pure la sua fluida dinamicità che sembra fuoriuscita da un videogame dell'Atari; poi ecco far capolino la voce femminile di Gerty Villo e delle harsh vocals che mi lasciano francamente stranito. Un po' nintendo style, con un pizzico di EBM, una spruzzata di industrial e quel mood neo folk e il gioco è fatto. Risultato: il delirio più puro. Un breve intermezzo mi riporta alla realtà, ma so che è solo un preludio alla follia che i nostri si preparano a spararmi nelle orecchie. Non mi sbagliavo di certo perché con “All Ctrl” (un tributo al tasto Control del Pc?) i nostri mi scaldano con eterei suoni infernali, vuoi per la soave voce di Gerty che si contrappone ai malvagi grugniti di Anders sopra un tappeto di percussioni che ho adorato e che mi ha evocato nella mente addirittura i Prodigy. Eletta mia song preferita. Ancora suoni inquietanti, direi marziali e “Sisters, Brothers & Other Hellborn Creatures” si fa notare per lo più per la sua forte aurea sulfurea. Un altro interludio prima di “Tankover Trinity”, oscura song dal ritmo disco dance, a cui fa seguito “...dots” che abbina electro music con gorgheggi death (affidati a Nuclear Holocausto Vengeance dei blackster finlandesi Beherit) e flebili cleaning vocals: song spettrale dal forte impatto emotivo. Terza pausa ed è il momento di “Numb-er Ate”, pezzo quasi trip-hop che introduce a “Our Oun”, altra song che abbina elementi psichedelici, electro e darkwave sotto l'egida della carismatica voce di Anders. “Niit” funge da ponte con la conclusiva tenebrosa e delirante “Bo:gie”. “Cretinism”, la cui etimologia deriva dal francese antico “Chretien”, rimanda alla storia dei cristiani eretici che si rifugiavano nelle valli dei Pirenei con scarsa presenza di iodio, e che avevano prole affetta da ipotiroidismo. Un tema contorto per un disco contorto, che rappresenta quanto stessi realmente aspettando dal comeback discografico dei Forgotten Sunrise. (Francesco Scarci)

mercoledì 4 settembre 2013

Mal Etre - Medication

#PER CHI AMA: Black Ambient Shoegaze Dark
Avevo incontrato gli svizzeri Mal Etre in occasione del loro primo album, “Torment” e li ritrovo in occasione del loro secondo lavoro, “Medication”, facente parte della “99 Screams Series” della russa Kunsthauch Productions, lavori stampati elegantemente in digipack, limitati a sole 99 copie. Fiero di far parte di questa ristretta elite di fortunati possessori di questa release, metto nel mio lettore il cd e mi lascio ancora una volta guidare nel malato mondo di Nocturnalpriest in un altro dei suoi psicotici viaggi. La proposta della one man band del cantone di Vaud, si presenta assai personale, anche se quella lacerante violenza che saltuariamente trapelava dalle note del primo lavoro, è stata riposta in soffitta, lasciando posto ad un sound già maturo, oscuro e che, come citato nel flyer informativo, suona molto in stile punk. Il tutto si evince dall'ascolto delle prime due song, che poggiano la loro struttura su una tetra musicalità, richiamando pur sempre nel loro avanzare, lo shoegaze degli Alcest. Il basso è l'elemento predominante del disco e l'inizio di “Manicomium” lo conferma: il suono pulsante dello strumento rappresenta infatti l'elemento su cui poggia l'intera ritmica dell'act elvetico, con delle vocals (pulite e scream) che sono al limite del delirio, per non parlare poi dell'atmosfera malsana che aleggia in questa song in particolare, ma in generale in tutto il lavoro. “Brainfood” sembra quasi un omaggio alle sonorità dark dei The Cure, cosi come “Conspiracy Against Life” rappresenta un altro bell'esempio di quanto abbia avuto un grande significato l'influenza di Robert Smith e compagni nella crescita musicale dei Mal Etre. Cori litanici e sprazzi di metallo vero, completano quella che forse è la mia song preferita. Con l'enigmatica “Nightmare” si continua a vagare nell'incubo di Nocturnalpriest: desolazione, freddo e paura sono le sensazioni che emergono forti dall'ascolto di questo pezzo. “Dernier Voyage” è forse l'ultima montagna da scalare con i suoi 11 minuti di musica in cui si palesa per la prima volta la componente black. Le chitarre, elettriche e acustiche, avanzano in una straordinaria amalgama di suoni maledettamente malinconici, su cui irrompe lo screaming del vocalist svizzero e dove emerge più forte l'influenza dei gods francesi Alcest. Ancora un temporale, ancora gocce di pioggia che cadono, cosi come in occasione della prima release, incupendo un'atmosfera già di per sé assai pesante. Con la title track si riprendono i suoni psichedelici delle prime tracce; per di più fa capolino anche la voce di una fanciulla che si affianca a quella del mastermind. “Schizoid” è la degna conclusione di questo album: malata ai massimi livelli, combina lo screaming con evocativi cori, su un tappeto sonoro psichedelico noise ritualistico, che conferma la qualità non indifferente della seconda opera targata Mal Etre. Definitivamente intriganti. (Francesco Scarci)

martedì 3 settembre 2013

Prehistoric Pigs – Wormhole Generator

#PER CHI AMA: Stoner strumentale, Kyuss, Sleep
L’esordio di questo trio udinese “a conduzione familiare” (composto infatti dai fratelli Jacopo e Juri Tirelli, mentre Mattia Piani è loro cugino) ha raccolto ovunque recensioni a dir poco entusiastiche, con la “benedizione” giunta niente meno che dal Gran Mogol degli appassionati di rock “rumoroso” della penisola, Claudio Sorge; e di rumore deve averne fatto abbastanza anche fuori dai confini italiani, se i tre sono stati chiamati a suonare in Irlanda e Germania. Con tale biglietto da visita, ci si accosta all’ascolto con grande curiosità, e una certa trepidazione. L’immagine di copertina di questo elegante digipack lascia pochi dubbi su quale sia il contenuto del dischetto: colori e iconografia molto “desertiche”, traslate in un contesto spaziale come mi è capitato spesso di vedere ultimamente, compresa l’immancabile la citazione dell’astronauta degli Sleep, fanno presagire massicce dosi di stoner, psych e space rock. Fare stoner oggi non è cosa semplice, o meglio, non è semplice avere qualcosa da dire che si discosti almeno un poco dal mare di produzioni, tutte mediamente buone, facilmente rintracciabili oggi giorno in giro per la rete. Il compito appare poi anche più arduo se di decide di rinunciare alla voce e affidarsi ad una proposta interamente strumentale, come quella dei “Maiali preistorici”. Una proposta basata essenzialmente su riff granitici, iperdistorti, ossessivi al limite dell’ipnotismo, lenti e pachidermici nell’avviarsi in un incedere che, una volta giunto a regime, diventa davvero difficile da arginare (vedasi la strepitosa "Interstellar Gunrunner"), su una percussività tribale e potente e su costruzioni architettate con precisione, fantasia e gran gusto come le ottime "Primordial Magma" o "Ente Lodonts". La lunga e conclusiva "Electric Dunes" si fa desertica e riflessiva, e potrebbe essere l’ideale colonna sonora di un viaggio sul pianeta rosso, spazzato da incandescenti venti interstellari. Un ascolto estremamente appagante, soprattutto considerando l’apparentemente limitato spazio di manovra offerto dalla loro scelta stilistica. Bravi davvero. (Mauro Catena)

(Moonlight Records - 2013)
Voto: 75

http://prehistoricpigs.bandcamp.com/music

domenica 1 settembre 2013

Jack B. Kisberi - Another Nobody’s Diary

#PER CHI AMA: Experimental blues, Leonard Cohen, Nick Cave, Hugo Race
Jack B. Kisberi è un cantautore e musicista ungherese straordinariamente prolifico, se è vero che tra il suo album precedente, il notevole "Songs from the Corner of the Room/Songs from the Mirror", ed oggi è trascorso solo un anno, e che nel frattempo ha rilasciato ben cinque titoli diversi, tra album, Ep e raccolte di vecchi brani, e questo "Another Nobody’s Diary" non è nemmeno l’ultimo, essendo stato seguito da un nuovo Ep, "Her". La sua musica si muove tra blues desertici, suggestioni mitteleuropee e sperimentazioni rumoristiche, tenendo sempre ben presente la lezione dei grandi cantautori, come un ipotetico viaggio in treno, in uno scompartimento diviso con compagni quali Leonard Cohen, Nick Cave, Hugo Race e gli Einsturzende Neubaten. Questo album non fa eccezione, anche se è evidente uno smarcamento da certe atmosfere cameristiche ed una maggiore adesione a canoni strumentali più tipicamente rock. "Another Nobody’s Diary" è una raccolta di dieci canzoni, 6 autografe e 4 cover, molto coesa in termini di tematiche e sonorità piuttosto scure, frutto di un’introspezione profonda a seguito di un periodo che si intuisce essere stato piuttosto duro per l’autore. Molto particolare la scelta delle cover, dalla celeberrima “The Thrill is Gone” di Chet Baker trasfigurata in uno spettrale blues di frontiera, alla ballata “Faithless” dei tedeschi Fatal Shore, fino ai ben due pezzi tratti dall’esordio dell’interessantissima cantaurice etiope-norvegese Mirel Wagner: le solenni “Joe” e “No Death”, quest’ultima trasformata in una macabra ballata pianistica che non avrebbe sfigurato su “Murder Ballads” di Nick Cave. Le qualità autorali di Kisberi (che, tra l’altro, fa tutto da sé suonando tutti gli strumenti) non sono certo seconde a quelle interpretative, e a metterlo subito in chiaro sono lo spettacolare blues “Sorry to Say” che apre il lavoro, avvolto in spirali elettriche e coltri di feedback, l’incalzante “Where is My Baby”, che ha il suono del sole che fa capolino dopo una notte di tempesta, o ancora lo scarnificato gospel “Dear Someone” e la sferragliante “I Had, I Was”. Un gioiello nascosto, questo disco, non di quelli luccicanti e appariscenti, quanto piuttosto un pietra dura e scurissima, da portare sempre con sé e custodire gelosamente. "Another Nobody’s Diary" è in downoad gratuito su bandcamp, ma una volta entrati dentro queste dieci canzoni preziose, sarà inevitabile voler acquistare l’oggetto fisico, sia esso cd o vinile. (Mauro Catena)

Anthologies - Alpha

#PER CHI AMA: Gothic Doom, Paradise Lost
Formatisi nel 2008 a Novara per mano di Alessandro Schumperlin e Silvia Gadina, gli Anthologies producono finalmente dopo quattro anni il loro primo album, tendente ae sonorità gothic con una spruzzata di doom metal (anziché restare ancorati alla loro passione per il folk metal). In così poco tempo hanno già raggiunto 600 contatti su facebook e sono stati chiamati, come supporting act, dalle maggiori band di folk metal internazionale come Finntroll, Alestrom ed Eluveite. Si parte con “Baba Yaga” graffiante ed incisiva, con un’aura oscura che permane durante tutto il brano e prosegue in “My Card”, più trasformista a seconda delle diverse influenze che impattano sul gruppo (vedasi Type O Negative, Paradise Lost, Opeth, Moonspell e tanti altri). La vena più “sperimentale”, se così si può definire, la si trova in “No Brain”: qui si passa dal death (ma solo a causa del growling) al doom, attraverso note folk, rendendo il tutto un curioso ed apprezzabile brano. “Betray Me” invece viene investito da un'aria più thrash oriented, dove le chitarre sono lasciate completamente libere di percorrere tutta la scala musicale; situazione opposta invece per “One of these Days”, così soffocante ed opprimente grazie anche ad una batteria rallentata e alle corde suonate in modo da ottenere note basse e gravi. Giusto per rinfrancare un po’ lo spirito, l’eterea e soave “Leaves in the Fog” placa gli animi, grazie anche al tamburello e alla chitarra classica. Si chiude il tutto con la cover degli Rose, Rovine e Amanti, "Paura del Demonio”, anima folk riletta in chiave doom acustico che chiude questa prima fatica dell'ensemble tutto italiano, composto, oltre ai sopraccitati Alessandro Schumperlin e Silvia Gadina, anche da Fabrizio Amampane, Samuele Marchi ed Andrea Ferrari. Devo ammettere che questo quintetto colpisce dritto al cuore, rivelandosi alla fine una sorpresa piacevole, forse un po’ ruvida e grezza, ma dal forte potenziale. Non ci resta che tenerli d’occhio, in attesa che esca un nuovo lavoro. (Samantha Pigozzo)

The Pit Tips

Filippo Zanotti

The Ocean - Pelagial
De Arma - Lost, Alien and Forlorn
Àrsaidh - Roots
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Francesco “Franz” Scarci

Chthonic - Bù Tik
Majalis - Cathodic Black
My Dying Bride - The Manuscript
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Bob Stoner

Chthonic - Takasago Army
To Mera - Exile
Dir En Grey - The Unraveling
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Michele “Mik” Montanari


Davide Vettori - Visione Cosmetica
White Lies - Big TV

Fangs of the Molossus - Mp3 from Internet
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Kent

Tchaikovsky - Symphony No. 4
Lifelover - Pulver
Ulver - Perdition City
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Roberto "Godtech" Alba

Carcass - Surgical Steel
Watain - The Wild Hunt
Witherscape - The Inheritance

sabato 31 agosto 2013

Autism - The Crawling Chaos

#PER CHI AMA: Post-metal, Post-rock strumentale, Cult Of Luna
Non è una novità, per le band ascrivibili al genere post-qualcosa-strumentale, usare spoken words qua e là nel disco. Ma l'idea degli Autism per questo concept è davvero efficace: la voce narrante, dalla prima all'ultima delle sette canzoni che compongono il disco, legge frammenti del racconto "The Crawling Chaos" del compianto Howard Phillips Lovecraft. La musica diventa quindi colonna sonora perfettamente integrata nella lettura del racconto e il lavoro si trasforma in una sorta di audiolibro musicale, dove parole e suoni contribuiscono a creare un'atmosfera oscura e surreale. Le coordinate musicali di "The Crawling Chaos" non sono nulla di originale, anzi, peccano spesso di ripetitività: le chitarre comandano e guidano tutti gli strumenti, costruendo architetture decisamente metal – senza tralasciare inserti più prog ("Maelstrom", "Concealment"), parecchi spazi melodici più vicini al post-rock ("Radiant Waters") e sperimentazioni sonore interessanti ("Savant Syndrome"). Su questo tessuto si intreccia una sezione ritmica non indimenticabile che, tuttavia, risulta più che sufficiente all'economia del disco – nulla di suonato, intendiamoci: Autism è in realtà un solo project di un musicista lituano, costruito con chitarre e Protools. Se fosse tutto qui, "The Crawling Chaos" sarebbe un disco non certo epico, ma sicuramente più che presentabile. C'è però un problema: come dichiarato dallo stesso Autism in più di una intervista, "non importa che ogni nota sia perfetta. Se c'è un piccolo errore, lo lascio. Questi errori aggiungono un elemento umano". Verissimo. Ma quasi tutto il disco pecca di timing, soprattutto nella prima parte: le chitarre sono sempre appena troppo avanti o appena troppo indietro rispetto al click, creando spesso un tremendo effetto rimbalzo che non può non infastidire un ascoltatore medio. Considerato che il disco è costruito in digitale, un errore del genere è davvero gravissimo. Un peccato, perché le idee ci sono, così come la tecnica sufficiente a realizzarle: sarebbero bastati una cura maggiore e un piccolo lavoro di rifinitura per ottenere un disco molto migliore. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2012)
Voto: 55

http://autism.bandcamp.com/

In the Guise of Men - Ink

#PER CHI AMA: PER CHI AMA: Math, Djent, Periphery, Killswitch Engage, Meshuggah
I quattro francesi dietro al moniker In the Guise of Men devono essere dei dannati perfezionisti: attivi dal 2005, dopo un demo del 2006 sono stati in silenzio per quasi sei anni prima di sfornare l'EP "Ink", sei tracce che sembrano muoversi nelle coordinate del nuovo metal tardo-adolescenziale e cerebrale stile Periphery, Killswitch Engage e compagnia. C'è però un problema di aspettative, se vogliamo, o forse di maturità della band. Ascoltate il primo minuto di "Suicide Shop", l'opening track: pura follia matematica, cassa e riffing pressanti, un cantato potente e non scontato – tutti presupposti per un gran disco. Ecco, non fatevi troppe illusioni: a parte la bella "Drowner", i bridge di "Dog to Man Transposition" e qualche passaggio in "Blue Lethe", il resto del disco è un pastone poco chiaro di melodie banali e riff che dimenticherete prestissimo. L'impressione generale è che nelle parti strumentali la scrittura sia più libera e incisiva, ma quando si tratta di costruire un tessuto di base per la voce, gli In the Guise of Men mollino un po' la corda. Non ho sentito nulla di memorabile se non – purtroppo – dei ritornelli talmente pop da lasciarmi senza parole; e se pure la voce è potente e urlata per almeno metà disco, continua troppo spesso a ricadere nella melodia poco originale, di quelle che ai concerti fanno venire voglia di sventolare un accendino sopra la testa. C'è del buono, intendiamoci, considerato che è di fatto il primo disco della band e che, probabilmente, il margine di miglioramento è ancora tanto. Se siete alle prime armi col math, può essere un disco interessante: ma se avete già ascoltato abbastanza poliritmi nella vostra vita, Ink non durerà molto nel vostro lettore cd.(Stefano Torregrossa)

(Dooweet Records - 2013)
Voto: 60

http://www.intheguiseofmen.com/

After All - This Violent Decline

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Thrash, Xentrix, Anacrusis, Exodus
Dopo il mediocre “The Vermin Breed” (già stroncato dal sottoscritto), i belgi After All ci riprovano con il loro thrash metal influenzato dai mitici anni ’80. A differenza del precedente disco, il sound di “This Violent Decline” si è parzialmente irrobustito, mantenendo comunque come solida base di partenza lo stile proposto dai mitici Exodus e dalle altre band dell’area di San Francisco. La produzione di Fredrik Nordstrom (In Flames, Arch Enemy, Soilwork) ai mitici Fredman Studios di Gotheborg, ha giovato parecchio al sound della band mitteleuropea rendendo i brani più potenti e compatti, dodici nuovi pezzi con cui gli After All cercano di colpirci al costato. I ragazzi parzialmente riescono anche nel loro intento, sparandoci in faccia vincenti riffs heavy thrash, rasoiate laceranti degli axemen che risultano preparati sia in fase solistica che ritmica, cavalcate che richiamano gli album anni ’80 di Metallica e Testament e gli immancabili chorus alla Anacrusis o Xentrix. Il gruppo cerca anche di inserire alcune melodie squisitamente catchy nella propria musica, per non apparire alla fine del tutto insipidi e passare inosservati ai più. Diciamo che la sufficienza la raggiungono, anche se la performance del vocalist risulta ancora poco convincente; inoltre si tratta di musica che come al solito ha ben poco da dire, vista comunque la pochezza di idee e originalità spese. Il disco comprende anche la traccia video di “Frozen Skin”. Alla fine, “This Violent Decline” è un album di thrash metal anni ’80, riletto in chiave moderna, quindi chi è appassionato di questo genere, un ascolto lo dia pure. Gli altri, si vadano a sentire gli originali, molto meglio... (Francesco Scarci)

(Dockyard I)
Voto: 60

http://www.afterall.be/

Revenance - Omen of Tragedy

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Brutal Death
No, no e ancora no... mi rifiuto di recensire una tale porcheria!!! Cinque ragazzotti che vomitano nei microfoni, strapazzano i loro strumenti, facendo uscire solo dei suoni brutali in linea con la peggior tradizione brutal statunitense. Il quintetto di New York City ci sputa addosso dieci tracce di pessimo brutal death metal, tra il più putrido mai sentito negli ultimi tempi. Di certo non coadiuvati da una buona produzione, il sound dei Revenance è un attacco ferale ai nostri pochi sopravissuti neuroni cerebrali: chitarre marcissime, blast beat, voci in acido miscelate a grugniti dall’oltretomba, fughe in territori grind e il gioco è presto fatto. Mi stupisce il piacevole assolo della title track, così come pure “Catharcyst”, quinta traccia dell’album, strumentale e completamente arpeggiata, che si differenziano dal resto di questo banale “Omen of Tragedy”. Per il resto è solo noia, con i conclusivi 15 minuti di cicale (si avete capito proprio bene, sto parlando del verso della cicala) a prenderci per il culo, con questo orrido disco... L’edizione limitata (fortunatamente 500 sole copie) include anche un poster e qualche adesivo. Catastrofici... da allora infatti (era il 2006) solo silenzio. (Francesco Scarci)

(Permeated Records - 2006)
Voto: 45

http://www.purevolume.com/revenance

Siva Six - Rise New Flesh

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: EBM, Industrial, Electro Music
La sorte di questo duo greco sembra già essere scritta. L'interesse che i musicisti di derivazione metal manifestano per il suono "sintetico", è evidente, non viene mai accolta di buon occhio in certi ambiti della musica elettronica. Per questo "Rise New Flesh" è stato probabilmente snobbato o guardato con molta indifferenza dal pubblico a cui si è rivolto Ma chi sono questi due "metallari" dalle velleità elettronico-industriali? Presto detto: il tastierista Noid è stato per ben sette anni un membro attivo della black metal band Rotting Christ, mentre Z (alla voce) ha fatto parte per dieci anni degli altrettanto famosi Septic Flesh, formazione death/gothic greca dalle grandi potenzialità. Un curriculum di tutto rispetto, ma anche una pesante zavorra che i Siva Six si portano appresso. Inevitabilmente. Dovendo esprimere il mio parere, posso dirvi che "Rise New Flesh" è un lavoro valido sotto molteplici aspetti. Innanzitutto il gruppo si è cimentato in una sorta di "harsh-EBM" che riesce a demolire senza mai annoiare, creando la giusta amalgama tra la staticità della battuta che il genere impone e un lavoro di tastiere complesso e assolutamente mai banale. Non c'è dubbio che i Siva Six abbiano molto da insegnare in termini di composizione ed è sufficiente soffermarsi sui grandiosi intrecci apocalittico-orchestrali di "Nihil Before Me" e "Nexus 6" per accertarsene. Efficace anche la prova vocale di Z, che si affranca dal timbro esageratamente artefatto oggi tanto in voga e opta invece per un approccio ben più crudo e diretto (suppongo ispirandosi ai Nitzer Ebb). Di certo non siamo di fronte ad un lavoro imprescindibile, ma brani come "Streetcleaner" o "Awayk" sono mazzate EBM che non potranno lasciarvi indifferenti, se in questa musica ricercate soluzioni violente e intelligenti allo stesso tempo. (Roberto Alba)

(Decadance Records - 2005)
Voto: 70

http://www.lastfm.it/music/Siva+Six/Rise+New+Flesh

Die Apokalyptischen Reiter - All You Need Is Love

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Death dalle tinte sinfoniche e avanguardistiche 
Dodici le tracce che compongono il terzo album di questi quattro pazzoidi tedeschi! Fautori di un sound affascinante quanto strano a definirsi. Reiter metal dicono loro, coniando un genere che si basa su potenza, emotività,buoni riffs e grandi melodie! “Liched by the Tongues of Pride” apre il disco con un assalto frontale di black-death metal con timbri vocali tanto cari ai grandi Obituary. Per poi proporre un doom molto ispirato, dalle venature gotiche e con tastiere in primo piano. “…Erhelle Meinhe Seele” è epica e melodica. Un alternarsi di timbri vocali sempre azzeccatissimi, accompagnati da chitarre molto compatte ed evocative. La follia di "Geopfert" in cui break improvvisi di piano esplodono in mazzate thrash dalla voce urlata oppure le cavalcate di piano e chitarra in “Die Schoneith….”, uno tra i pezzi più interessanti. Questi brani rivelano una vena creativa originale e mai scontata tesa ad unire melodia e rabbia! Se contiamo poi che a farcire il tutto ci siano anche fisarmoniche, violini e il cantato venga proposto in varie lingue, dall’inglese al tedesco, non posso che consigliarvi questo lavoro e aggiungerlo nella lista di uno dei prodotti più interessanti di inizio millenio! 

(Hammerheart Rec. – 2000)
Voto: 85

Secrets of the Moon - Carved in Stigmata Wounds

BACK IN TIME

#PER CHI AMA: Black occulto, Potentiam, primi Keep of Kalessin
Sebbene la biografia li presenti come un terzetto di black metal occulto, i Secrets of the Moon poco hanno a che fare con le sonorità di casa nostra, che, per intenderci, devono a gruppi come Mortuary Drape, Opera IX e Funeral Oration la paternità del suddetto genere. Il gruppo tedesco attinge più che altro da una corrente del black metal orientata allo sfoggio delle proprie doti tecniche, tant'è che il termine "occulto" trova giustificazione solamente nelle liriche dell'album e non certo nelle atmosfere che la musica è in grado di evocare. Ad ogni modo "Carved in Stigmata Wounds" non è affatto un brutto album e l'unica pecca effettivamente riscontrabile sta nella prolissità di alcuni arrangiamenti e nell'eccessivo protrarsi delle composizioni, che raggiungono dei minutaggi talvolta sfiancanti. Per quanto infatti le velocità non siano sempre sostenute, 70 minuti e più di black metal non sono facili da reggere per nessuno e diventano una difficile prova di resistenza persino per chi possiede padiglioni auricolari ben rodati. Un vero peccato, perché questi tre tedeschi ci sanno fare e già dai primi riff di "Cosmogenesis" ci si accorge che non sono poche le frecce al loro arco. La voce, prima di tutto, mantiene quella perfetta ruvidità utile a bilanciare in ugual misura aggressione e musicalità, mentre le chitarre annichiliscono senza mai perdere il controllo, interrompendo solo saltuariamente la loro folle corsa in favore di momenti più ragionati. Non manca qualche sprazzo di tastiera, che riveste però un ruolo assolutamente marginale nell'economia generale dei brani. Come già detto, è l'ottima preparazione tecnica degli strumentisti a farla da padrona nell'album e non è da meno il lavoro svolto in sede di produzione, responsabile di un suono limpido e a sua volta selvaggio. Se masticate il genere, provate ad immaginare un incrocio tra Keep of Kalessin, Potentiam e Dissection e avrete un'idea abbastanza calzante di come suonino i nostri. In conclusione, una prova convincente ma, ripeto, offuscata da una durata dei brani a dir poco estenuante, che fa dell'album un prodotto discreto e niente più. (Roberto Alba)

(Lupus Lounge/Prophecy - 2004)
Voto: 65

https://www.facebook.com/sotm777

giovedì 22 agosto 2013

Satyricon - Volcano

BACK IN TIME

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Da più di un decennio seguo le sorti di questo colosso norvegese, che assieme ad Emperor e a pochi altri è riuscito a portare il black metal a livelli elevatissimi. Lavori come "Dark Medieval Times", "The Shadowthrone" e il capolavoro assoluto "Nemesis Divina" hanno segnato un'epoca e hanno posto le basi per la crescita di un genere che agli inizi degli anni '90 sembrava dover essere relegato unicamente all'underground. Ho sempre accolto con grande entusiasmo ogni prova in studio di Satyr e Frost e neanche il tanto contestato "Rebel Extravaganza" era riuscito a deludermi quando uscì nel 1999. Trovo che "Rebel Extravaganza" rappresenti tuttora il capitolo più estremo e misantropico della carriera dei Satyricon, un ottimo album che purtroppo non fu accolto in modo benevolo e venne criticato duramente, forse proprio per il suo carattere ostico e per l'abbandono totale delle atmosfere epiche e medievali degli esordi. Dopo l'uscita di "Volcano", ammetto però di esser rimasto sorpreso e disorientato leggendo tutti i commenti positivi che l'album ha ricevuto da stampa e affezionati e non mi sento di appoggiare in pieno questo verdetto collettivo che ha decretato la nuova creatura dei Satyricon come un'opera d'arte sublime ed innovativa. Indubbiamente "Volcano" ha ereditato le strutture spigolose e dissonanti di "Rebel Extravaganza" ma appare più scarno e diretto del suo predecessore, tanto da perdere quasi integralmente quell'aura ipnotica e malsana a cui il duo norvegese ci aveva abituati nelle sue composizioni più intricate. Solo "Angstridden" porta con sè l'inconfondibile marchio dei Satyricon mentre brani come "Suffering the Tyrants", "Mental Mercury" o "Black Lava", nonostante risultino formalmente perfetti e non manchino di alcuni spunti geniali, scivolano via senza far male e rimangono privi di slancio. Va anche detto che riesce difficile resistere a due pezzi esplosivi come "Repined Bastard Nation" e "Fuel for Hatred" -due macigni dalla vena rock'n'roll che suonati dal vivo, vi assicuro, risultano assolutamente travolgenti- ma questo non basta a far guadagnare quota a "Volcano", che purtroppo rimane soffocato dall'eccessiva smania di sintesi emersa nella sua stesura. Per quanto mi riguarda non c'è nessun tradimento delle origini, nessun cambio radicale di stile e non trovo nulla di sospetto nemmeno nel passaggio della band ad un'etichetta importante (affermare che Satyr e Frost siano diventati delle rockstar è semplicemente ridicolo)... più semplicemente, "Volcano" è un disco sottotono e alle volte un po' noioso, l'album di una band che resta comunque grandissima e rimarrà tale anche in futuro. (Roberto Alba)

(Capitol, 2002)
Voto: 65

http://www.satyricon.no/