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Visualizzazione post con etichetta Moonlight Records. Mostra tutti i post
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domenica 16 febbraio 2014

Primo Vespere - Daylight Fading

#PER CHI AMA: Death/Black Progressive, Kalmah, Cradle of Filth, Angizia
Signore e signori si alzi il sipario, è arrivato il momento dei Primo Vespere e del loro metal estremo dalle venature sinfoniche. Il 6-piece di Venezia giunge al traguardo del primo full lenght, dopo un EP datato 2012, grazie al supporto della Moonlight Records, sfoderando una prova convincente che si palesa sin dalla prima traccia, "Black Sun". Si tratta di una heavy song dotata di una semplice struttura lineare su cui si innestano poi una serie di arrangiamenti che, partendo da una solida base di musica classica, spaziano poi dal black vampiresco al death melodico di scuola finlandese. Vorrei subito sottolineare la preparazione strumentale dei nostri, musicisti dotati di indubbio bagaglio tecnico, nonchè di un pomposo gusto melodico, che si esplicherà nella performance globale di 'Daylight Fading'. "You Gave me Life" inizia come i primi Cradle of Filth erano soliti fare, con un bell'intro dai sanguinei rintocchi gotici, prima che irrompa un riffing nervoso su cui si stagliano le vocals di Davide Lazzarini, che coadiuvato dal tastierista Marco Pedrali, danno luogo ad una sequelae di growling, scream e vocals recitate. L'atmosfera che si respira ha un che di barocco, ma è merito del massivo uso di keyboards che costituiscono la matrice tissutale del sound dei Primo Vespere. Forse i nostri in taluni frangenti hanno la tendenza a strafare, ma i ragazzi sono giovani e hanno tutto il tempo per correggere il tiro, smussando il loro desiderio innato di stupire l'ascoltatore con orpelli di ogni tipo. Ciò non è un male sia chiaro, ma talvolta la necessità di offrire più suoni ad effetto nello stesso momento, rischia di deviare enormemente l'attenzione di chi ascolta: ne è una dimostrazione "Rejected God", song strutturata, ricchi di cambi di tempo, ma che vede anche la coesistenza di mille generi musicali lungo i suoi sette minuti, centrifugandoci il cervello con death, jazz, rock, fusion, black e musica classica (chi ha citato gli Angizia?). Disorientato, ecco come mi sento. Fortunatamente attacca "Unfatithful Soul", song dall'istinto rock, un po' più lineare delle altre, che vanta una splendida sezione solistica, con la ritmica che segue i dettami del death melodico finnico di Kalmah e Children of Bodom. "Vespero" è un bell'intermezzo semi-acustico che ci mette in pace col mondo, uno spartiacque con la seconda parte del disco che apre con "Riflesso di Morte", in cui l'act di Venezia concede alla lingua italiana l'onore di raccontare le storie macabre e di terrore, cantate dal buon Davide e che ancora una volta mette in mostra le doti eccelse di Marco alle keys. Keys che a braccetto col basso, aprono "Trough the Graves", brano dal piglio rockeggiante che vanta un bell'organo di sottofondo e delle vocals nella loro veste pulita, mentre le chitarre rischiano di venire seppellite da una produzione non proprio cristallina. Con "The Darkest One" sono reminiscenze 70's ad emergere che vanno a collidere con le sonorità più estreme della band veneta. Interessante il roboante incedere di "A Modern Man a Modern Beast" con una effettistica che esplode in cuffia e che ricattura la mia attenzione che stava lentamente scemando. Chiude il disco "Sotto l'Albero Caduto", altra apparizione della lingua italiana che rende giustizia alla buona riuscita di questo pretenzioso lavoro e vede i Primo Vespere offrire ottimi spunti con la loro musica, vera fusione di stili. 'Daylight Fading' pecca ancora un po' in termini di ingenuità, ma come dicevo ci sono ampi margini di miglioramento, facendomi propendere per questo motivo, e per il bene di questi giovani ragazzi, a mezzo punto in meno nel mio score finale. (Francesco Scarci)

(Moonlight Records - 2013)
Voto: 70

http://www.facebook.com/pages/Primo-Vespere

lunedì 7 ottobre 2013

Throne - Avoid The Light

#PER CHI AMA: Sludge, Stoner-doom, Spiritual Beggars, Weedeater, EyeHateGod
L'artwork di questo primo full-lenght degli italianissimi Throne prepara già al peggio: esoterismo, oscurità e magia nera si fondono per vestire un digipack ben curato. Musicalmente parlando, il quintetto si muove nelle coordinate dello sludgecore di ispirazione sudista, parecchio condito da elementi punk e metal (per intenderci: più EyeHateGod e Weedeater che Baroness) e arricchito da una voce potente come poche se ne sentono ultimamente. La medaglia d'oro per la performance va infatti alla voce di Samu: roca, profonda, violenta e oscura, dà il vero colore all'interno di ogni singolo pezzo e personalità all'intero lavoro. Ottima la prova di tutti gli altri; forse appena sottotono la batteria, che non ama grandi fantasie ma predilige il colpo sicuro e ben piazzato. C'è davvero poca luce in questo album: i riffing di chitarra sono a tratti oscuri e ridondanti fino all'ossessione ("Prefer To Die" – sentite che arpeggio in apertura, roba di prima classe –, "Black Crow", "Forsaken"), a tratti violenti e veloci accompagnati da un drumming di ispirazione hardcore ("Buried Alive", "3 Days Of Rain"); c'è qualcosa dello stoner di scuola Down e Spiritual Beggars ("Smoke-Screen", "God Sent Me To Kill You": saltate a 3:47 e gustatevi il riff più indimenticabile dell'intero lavoro). Ma c'è poco citazionismo in "Avoid The Light", tutt'altro traspare la volontà personale dei Throne, che hanno senz'altro le idee molto chiare sulla musica che vogliono proporre. Per fortuna, i Throne non cadono nel trucco di infilare qua e là delle tracce di rumori giusto per dire "Toh, facciamo pure la pissichedelia": il giochino sta iniziando a stufare. I cinque prediligono, insomma, la via dura: ogni singola traccia è un pugno in faccia all'ascoltatore, diretto, ben piazzato e senza scampo, che vi lascerà un livido per parecchio tempo.(Stefano Torregrossa)

martedì 3 settembre 2013

Prehistoric Pigs – Wormhole Generator

#PER CHI AMA: Stoner strumentale, Kyuss, Sleep
L’esordio di questo trio udinese “a conduzione familiare” (composto infatti dai fratelli Jacopo e Juri Tirelli, mentre Mattia Piani è loro cugino) ha raccolto ovunque recensioni a dir poco entusiastiche, con la “benedizione” giunta niente meno che dal Gran Mogol degli appassionati di rock “rumoroso” della penisola, Claudio Sorge; e di rumore deve averne fatto abbastanza anche fuori dai confini italiani, se i tre sono stati chiamati a suonare in Irlanda e Germania. Con tale biglietto da visita, ci si accosta all’ascolto con grande curiosità, e una certa trepidazione. L’immagine di copertina di questo elegante digipack lascia pochi dubbi su quale sia il contenuto del dischetto: colori e iconografia molto “desertiche”, traslate in un contesto spaziale come mi è capitato spesso di vedere ultimamente, compresa l’immancabile la citazione dell’astronauta degli Sleep, fanno presagire massicce dosi di stoner, psych e space rock. Fare stoner oggi non è cosa semplice, o meglio, non è semplice avere qualcosa da dire che si discosti almeno un poco dal mare di produzioni, tutte mediamente buone, facilmente rintracciabili oggi giorno in giro per la rete. Il compito appare poi anche più arduo se di decide di rinunciare alla voce e affidarsi ad una proposta interamente strumentale, come quella dei “Maiali preistorici”. Una proposta basata essenzialmente su riff granitici, iperdistorti, ossessivi al limite dell’ipnotismo, lenti e pachidermici nell’avviarsi in un incedere che, una volta giunto a regime, diventa davvero difficile da arginare (vedasi la strepitosa "Interstellar Gunrunner"), su una percussività tribale e potente e su costruzioni architettate con precisione, fantasia e gran gusto come le ottime "Primordial Magma" o "Ente Lodonts". La lunga e conclusiva "Electric Dunes" si fa desertica e riflessiva, e potrebbe essere l’ideale colonna sonora di un viaggio sul pianeta rosso, spazzato da incandescenti venti interstellari. Un ascolto estremamente appagante, soprattutto considerando l’apparentemente limitato spazio di manovra offerto dalla loro scelta stilistica. Bravi davvero. (Mauro Catena)

(Moonlight Records - 2013)
Voto: 75

http://prehistoricpigs.bandcamp.com/music

mercoledì 14 agosto 2013

The Coffeen - You Must Be Certain of

#PER CHI AMA: Heavy Doom Stoner Punk
Caffettiera, bara da morto e altre amenità, questo album è un calderone infernale di generi (stoner-doom-heavy metal-dark-punk-blues-la suoneria dell' Iphone, etc.) che se preso nel modo giusto, non è così male. Per modo giusto intendo non seriamente, dopo tutto cercar di fondere generi diversi è già stato fatto, però o hai le palle per farlo bene, altrimenti cadi nel banale. Tecnicamente niente da dire, si sente che c'è esperienza e pelo sullo stomaco, ma ormai non basta quello, da anni. Parliamo brevemente di "Zombie for Breakfast", doom iniziale lento come un cadavere che cerca di risalire dalla sua tomba e vocione grosso in dark style. Poi si cambia e via di punk, assolo di wah wah e cori che ricordano l'heavy metal degli anni 80. "Fistfuck Rising" è uno stoner primordiale, neanche fossero mai esistiti i Kyuss e gli Sleep. Giri ripetitivi e voce con un pò di riverbero, giusto per non perdere lo stile vintage del cd. Chiudo (sennò sto male) con "When the Telephone Doesn't Ring" che risolleva i The Coffeen, almeno per alcuni riff che catturano l'orecchio del vecchio rocker e lo incitano a smuovere le budelle bruciate dal troppo whisky trangugiato nei molti anni di concerti dei Motorhead, ZZ Top e co. Che vi devo dire, ascoltatevi le altre tracce e decidete che farne. Italians do it better, come recitano i The Coffeen, ma cosa facciamo meglio? Sicuramente non facciamo valere le nostre idee e non mettiamo in gioco il nostro culo per qualcosa in cui crediamo. Noi al massimo il culo ce lo facciamo rompere, non solo da Rocco. (Michele Montanari)

giovedì 27 giugno 2013

King Bong - Space Shanties

#PER CHI AMA: Instrumental Psychedelic Space Rock, Stoner
Bel trip, quello messo in piedi dai King Bong (nome che non lascia dubbi sull’ispirazione “psichedelica” della loro musica) nell’arco di sei pezzi strumentali, durata media dieci minuti, che compongono questo loro terzo lavoro. Brani lunghi e stratificati, questi “canti dello spazio”, che a volte si basano sulla reiterazione di un’idea, poi espansa e dilatata a dovere, e altrove mostrano una costruzione più meditata e complessa, laddove invece il precedente “Alice in Stonerland” era totalmente improvvisato sul momento. I King Bong (un classico trio chitarra-basso-batteria) hanno inciso il disco dal vivo in studio, senza sovraincisioni, come si apprende dalle note del cd, e questo depone decisamente a loro favore, oltre a donare al lavoro un feeling particolare, che valorizza l’interplay dei musicisti, e un suono più caldo e “rusty”. Non rimane che chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dall’incedere sinuoso di “Even 50 Feet Hamsters Have Feelings”, affascinante ibrido di post rock meditabondo, doom e psichedelia. La successiva “Of Bong and Man” sembra incanalarsi verso binari più classicamente stoner, salvo poi deviare senza preavviso verso atmosfere dilatate e quasi jazzy (da sottolineare il bel lavoro della chitarra). Si continua tra valli ariose e tranquille, improvvisamente spazzate da venti furiosi (“Kilooloogung”), foreste abitate da presenze sinistre (la jam psichedelico-sabbathiana “A.B. Ong”), fino ad arrivare alla conclusione del viaggio con l’allucinatoria e lovercraftiana (nel titolo quanto nelle atmosfere) “Cthulhu”, 12 minuti di crescendo potente, un buco nero che risucchia inesorabile qualsiasi cosa gli capiti a tiro. Qualche personale perplessità solo su “Inhale On Main Street”, dove il maestoso maelstrom sonico che caratterizza la seconda parte del brano cozza con una prima parte quasi funk-rock che mi ha lasciato un po’ così, ma sono dettagli. In definitiva un ottimo lavoro, che lascia ancora ampi spazi di manovra e di crescita ad una formazione a cui manca davvero poco per fare il definitivo salto di qualità. (Mauro Catena)

(Moonlight Records, 2012)
Voto: 75

http://kingbong.bandcamp.com/

domenica 23 giugno 2013

Electric Taurus - Veneralia

#PER CHI AMA: Stoner Doom, Clutch, Led Zeppelin, Orange Goblin, Monster Magnet
C'è una sola cosa che rimpiango degli anni '70: che non avessero a disposizione le tecnologie moderne di registrazione e missaggio. Certo, il suono un po' distante e quasi per nulla on-your-face fa anche parte del fascino di quegli anni: ma è innegabile che per orecchie abituate alle produzioni e ai volumi di oggi, certi dischi di quarant'anni fa lascino l'amaro in bocca. Poi, per fortuna, arrivano gruppi come gli Electric Taurus, che ripescano a piene mani il meglio di Led Zeppelin, Grandfunk Railroad e Black Sabbath per miscelarli con un certo stoner doom di oggi (gli ultimi Clutch, ma anche Orange Goblin e Sleep): e il miracolo di ascoltare gli anni '70 con i suoni di oggi si avvera. C'è più heavy blues che doom, intendiamoci: la batteria è più spesso veloce che lenta, ma le chitarre sono violente al punto giusto e annegate nel fuzz, il basso (un po' troppo pulito, forse) fa il suo lavoro e la voce scivola ogni tanto nelle melodie hard-rock di vecchia scuola – ma in generale il mix che ne esce è di tutto rispetto. La componente settantiana emerge prepotente in certi brani ("New Moon", "Magic Eye", "Mountains"), ma c'è spazio anche per lo stoner di "Two Gods/Caput Algol" e per una lunga parentesi psichedelica (l'unica del brano) in "Mescalina/If/At The Edge of Earth". Stona invece "Prelude to the Madness", con parti doom uscite dall'inferno alternate un po' troppo forzatamente a schitarrate acustiche stile pezzi-peggiori-dei-Monster-Magnet. In definitiva un buon lavoro, quello degli Electric Taurus, peraltro confezionato in un packaging gradevolissimo con un'inquietante illustrazione di copertina. Se cercate l'originalità, qui non ce n'è molta. Ma se siete nostalgici dell'heavy blues dei tempi andati suonato con l'oscurità dello stoner doom di oggi, e se volete ascoltare un bel prodottino tutto italiano, questo disco fa per voi.(Stefano Torregrossa)

(Moonlight Records, 2012)
Voto: 65

http://electrictaurus.bandcamp.com/