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sabato 31 agosto 2013

Autism - The Crawling Chaos

#PER CHI AMA: Post-metal, Post-rock strumentale, Cult Of Luna
Non è una novità, per le band ascrivibili al genere post-qualcosa-strumentale, usare spoken words qua e là nel disco. Ma l'idea degli Autism per questo concept è davvero efficace: la voce narrante, dalla prima all'ultima delle sette canzoni che compongono il disco, legge frammenti del racconto "The Crawling Chaos" del compianto Howard Phillips Lovecraft. La musica diventa quindi colonna sonora perfettamente integrata nella lettura del racconto e il lavoro si trasforma in una sorta di audiolibro musicale, dove parole e suoni contribuiscono a creare un'atmosfera oscura e surreale. Le coordinate musicali di "The Crawling Chaos" non sono nulla di originale, anzi, peccano spesso di ripetitività: le chitarre comandano e guidano tutti gli strumenti, costruendo architetture decisamente metal – senza tralasciare inserti più prog ("Maelstrom", "Concealment"), parecchi spazi melodici più vicini al post-rock ("Radiant Waters") e sperimentazioni sonore interessanti ("Savant Syndrome"). Su questo tessuto si intreccia una sezione ritmica non indimenticabile che, tuttavia, risulta più che sufficiente all'economia del disco – nulla di suonato, intendiamoci: Autism è in realtà un solo project di un musicista lituano, costruito con chitarre e Protools. Se fosse tutto qui, "The Crawling Chaos" sarebbe un disco non certo epico, ma sicuramente più che presentabile. C'è però un problema: come dichiarato dallo stesso Autism in più di una intervista, "non importa che ogni nota sia perfetta. Se c'è un piccolo errore, lo lascio. Questi errori aggiungono un elemento umano". Verissimo. Ma quasi tutto il disco pecca di timing, soprattutto nella prima parte: le chitarre sono sempre appena troppo avanti o appena troppo indietro rispetto al click, creando spesso un tremendo effetto rimbalzo che non può non infastidire un ascoltatore medio. Considerato che il disco è costruito in digitale, un errore del genere è davvero gravissimo. Un peccato, perché le idee ci sono, così come la tecnica sufficiente a realizzarle: sarebbero bastati una cura maggiore e un piccolo lavoro di rifinitura per ottenere un disco molto migliore. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2012)
Voto: 55

http://autism.bandcamp.com/

In the Guise of Men - Ink

#PER CHI AMA: PER CHI AMA: Math, Djent, Periphery, Killswitch Engage, Meshuggah
I quattro francesi dietro al moniker In the Guise of Men devono essere dei dannati perfezionisti: attivi dal 2005, dopo un demo del 2006 sono stati in silenzio per quasi sei anni prima di sfornare l'EP "Ink", sei tracce che sembrano muoversi nelle coordinate del nuovo metal tardo-adolescenziale e cerebrale stile Periphery, Killswitch Engage e compagnia. C'è però un problema di aspettative, se vogliamo, o forse di maturità della band. Ascoltate il primo minuto di "Suicide Shop", l'opening track: pura follia matematica, cassa e riffing pressanti, un cantato potente e non scontato – tutti presupposti per un gran disco. Ecco, non fatevi troppe illusioni: a parte la bella "Drowner", i bridge di "Dog to Man Transposition" e qualche passaggio in "Blue Lethe", il resto del disco è un pastone poco chiaro di melodie banali e riff che dimenticherete prestissimo. L'impressione generale è che nelle parti strumentali la scrittura sia più libera e incisiva, ma quando si tratta di costruire un tessuto di base per la voce, gli In the Guise of Men mollino un po' la corda. Non ho sentito nulla di memorabile se non – purtroppo – dei ritornelli talmente pop da lasciarmi senza parole; e se pure la voce è potente e urlata per almeno metà disco, continua troppo spesso a ricadere nella melodia poco originale, di quelle che ai concerti fanno venire voglia di sventolare un accendino sopra la testa. C'è del buono, intendiamoci, considerato che è di fatto il primo disco della band e che, probabilmente, il margine di miglioramento è ancora tanto. Se siete alle prime armi col math, può essere un disco interessante: ma se avete già ascoltato abbastanza poliritmi nella vostra vita, Ink non durerà molto nel vostro lettore cd.(Stefano Torregrossa)

(Dooweet Records - 2013)
Voto: 60

http://www.intheguiseofmen.com/

After All - This Violent Decline

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Thrash, Xentrix, Anacrusis, Exodus
Dopo il mediocre “The Vermin Breed” (già stroncato dal sottoscritto), i belgi After All ci riprovano con il loro thrash metal influenzato dai mitici anni ’80. A differenza del precedente disco, il sound di “This Violent Decline” si è parzialmente irrobustito, mantenendo comunque come solida base di partenza lo stile proposto dai mitici Exodus e dalle altre band dell’area di San Francisco. La produzione di Fredrik Nordstrom (In Flames, Arch Enemy, Soilwork) ai mitici Fredman Studios di Gotheborg, ha giovato parecchio al sound della band mitteleuropea rendendo i brani più potenti e compatti, dodici nuovi pezzi con cui gli After All cercano di colpirci al costato. I ragazzi parzialmente riescono anche nel loro intento, sparandoci in faccia vincenti riffs heavy thrash, rasoiate laceranti degli axemen che risultano preparati sia in fase solistica che ritmica, cavalcate che richiamano gli album anni ’80 di Metallica e Testament e gli immancabili chorus alla Anacrusis o Xentrix. Il gruppo cerca anche di inserire alcune melodie squisitamente catchy nella propria musica, per non apparire alla fine del tutto insipidi e passare inosservati ai più. Diciamo che la sufficienza la raggiungono, anche se la performance del vocalist risulta ancora poco convincente; inoltre si tratta di musica che come al solito ha ben poco da dire, vista comunque la pochezza di idee e originalità spese. Il disco comprende anche la traccia video di “Frozen Skin”. Alla fine, “This Violent Decline” è un album di thrash metal anni ’80, riletto in chiave moderna, quindi chi è appassionato di questo genere, un ascolto lo dia pure. Gli altri, si vadano a sentire gli originali, molto meglio... (Francesco Scarci)

(Dockyard I)
Voto: 60

http://www.afterall.be/

Revenance - Omen of Tragedy

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Brutal Death
No, no e ancora no... mi rifiuto di recensire una tale porcheria!!! Cinque ragazzotti che vomitano nei microfoni, strapazzano i loro strumenti, facendo uscire solo dei suoni brutali in linea con la peggior tradizione brutal statunitense. Il quintetto di New York City ci sputa addosso dieci tracce di pessimo brutal death metal, tra il più putrido mai sentito negli ultimi tempi. Di certo non coadiuvati da una buona produzione, il sound dei Revenance è un attacco ferale ai nostri pochi sopravissuti neuroni cerebrali: chitarre marcissime, blast beat, voci in acido miscelate a grugniti dall’oltretomba, fughe in territori grind e il gioco è presto fatto. Mi stupisce il piacevole assolo della title track, così come pure “Catharcyst”, quinta traccia dell’album, strumentale e completamente arpeggiata, che si differenziano dal resto di questo banale “Omen of Tragedy”. Per il resto è solo noia, con i conclusivi 15 minuti di cicale (si avete capito proprio bene, sto parlando del verso della cicala) a prenderci per il culo, con questo orrido disco... L’edizione limitata (fortunatamente 500 sole copie) include anche un poster e qualche adesivo. Catastrofici... da allora infatti (era il 2006) solo silenzio. (Francesco Scarci)

(Permeated Records - 2006)
Voto: 45

http://www.purevolume.com/revenance

Siva Six - Rise New Flesh

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: EBM, Industrial, Electro Music
La sorte di questo duo greco sembra già essere scritta. L'interesse che i musicisti di derivazione metal manifestano per il suono "sintetico", è evidente, non viene mai accolta di buon occhio in certi ambiti della musica elettronica. Per questo "Rise New Flesh" è stato probabilmente snobbato o guardato con molta indifferenza dal pubblico a cui si è rivolto Ma chi sono questi due "metallari" dalle velleità elettronico-industriali? Presto detto: il tastierista Noid è stato per ben sette anni un membro attivo della black metal band Rotting Christ, mentre Z (alla voce) ha fatto parte per dieci anni degli altrettanto famosi Septic Flesh, formazione death/gothic greca dalle grandi potenzialità. Un curriculum di tutto rispetto, ma anche una pesante zavorra che i Siva Six si portano appresso. Inevitabilmente. Dovendo esprimere il mio parere, posso dirvi che "Rise New Flesh" è un lavoro valido sotto molteplici aspetti. Innanzitutto il gruppo si è cimentato in una sorta di "harsh-EBM" che riesce a demolire senza mai annoiare, creando la giusta amalgama tra la staticità della battuta che il genere impone e un lavoro di tastiere complesso e assolutamente mai banale. Non c'è dubbio che i Siva Six abbiano molto da insegnare in termini di composizione ed è sufficiente soffermarsi sui grandiosi intrecci apocalittico-orchestrali di "Nihil Before Me" e "Nexus 6" per accertarsene. Efficace anche la prova vocale di Z, che si affranca dal timbro esageratamente artefatto oggi tanto in voga e opta invece per un approccio ben più crudo e diretto (suppongo ispirandosi ai Nitzer Ebb). Di certo non siamo di fronte ad un lavoro imprescindibile, ma brani come "Streetcleaner" o "Awayk" sono mazzate EBM che non potranno lasciarvi indifferenti, se in questa musica ricercate soluzioni violente e intelligenti allo stesso tempo. (Roberto Alba)

(Decadance Records - 2005)
Voto: 70

http://www.lastfm.it/music/Siva+Six/Rise+New+Flesh

Die Apokalyptischen Reiter - All You Need Is Love

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Death dalle tinte sinfoniche e avanguardistiche 
Dodici le tracce che compongono il terzo album di questi quattro pazzoidi tedeschi! Fautori di un sound affascinante quanto strano a definirsi. Reiter metal dicono loro, coniando un genere che si basa su potenza, emotività,buoni riffs e grandi melodie! “Liched by the Tongues of Pride” apre il disco con un assalto frontale di black-death metal con timbri vocali tanto cari ai grandi Obituary. Per poi proporre un doom molto ispirato, dalle venature gotiche e con tastiere in primo piano. “…Erhelle Meinhe Seele” è epica e melodica. Un alternarsi di timbri vocali sempre azzeccatissimi, accompagnati da chitarre molto compatte ed evocative. La follia di "Geopfert" in cui break improvvisi di piano esplodono in mazzate thrash dalla voce urlata oppure le cavalcate di piano e chitarra in “Die Schoneith….”, uno tra i pezzi più interessanti. Questi brani rivelano una vena creativa originale e mai scontata tesa ad unire melodia e rabbia! Se contiamo poi che a farcire il tutto ci siano anche fisarmoniche, violini e il cantato venga proposto in varie lingue, dall’inglese al tedesco, non posso che consigliarvi questo lavoro e aggiungerlo nella lista di uno dei prodotti più interessanti di inizio millenio! 

(Hammerheart Rec. – 2000)
Voto: 85

Secrets of the Moon - Carved in Stigmata Wounds

BACK IN TIME

#PER CHI AMA: Black occulto, Potentiam, primi Keep of Kalessin
Sebbene la biografia li presenti come un terzetto di black metal occulto, i Secrets of the Moon poco hanno a che fare con le sonorità di casa nostra, che, per intenderci, devono a gruppi come Mortuary Drape, Opera IX e Funeral Oration la paternità del suddetto genere. Il gruppo tedesco attinge più che altro da una corrente del black metal orientata allo sfoggio delle proprie doti tecniche, tant'è che il termine "occulto" trova giustificazione solamente nelle liriche dell'album e non certo nelle atmosfere che la musica è in grado di evocare. Ad ogni modo "Carved in Stigmata Wounds" non è affatto un brutto album e l'unica pecca effettivamente riscontrabile sta nella prolissità di alcuni arrangiamenti e nell'eccessivo protrarsi delle composizioni, che raggiungono dei minutaggi talvolta sfiancanti. Per quanto infatti le velocità non siano sempre sostenute, 70 minuti e più di black metal non sono facili da reggere per nessuno e diventano una difficile prova di resistenza persino per chi possiede padiglioni auricolari ben rodati. Un vero peccato, perché questi tre tedeschi ci sanno fare e già dai primi riff di "Cosmogenesis" ci si accorge che non sono poche le frecce al loro arco. La voce, prima di tutto, mantiene quella perfetta ruvidità utile a bilanciare in ugual misura aggressione e musicalità, mentre le chitarre annichiliscono senza mai perdere il controllo, interrompendo solo saltuariamente la loro folle corsa in favore di momenti più ragionati. Non manca qualche sprazzo di tastiera, che riveste però un ruolo assolutamente marginale nell'economia generale dei brani. Come già detto, è l'ottima preparazione tecnica degli strumentisti a farla da padrona nell'album e non è da meno il lavoro svolto in sede di produzione, responsabile di un suono limpido e a sua volta selvaggio. Se masticate il genere, provate ad immaginare un incrocio tra Keep of Kalessin, Potentiam e Dissection e avrete un'idea abbastanza calzante di come suonino i nostri. In conclusione, una prova convincente ma, ripeto, offuscata da una durata dei brani a dir poco estenuante, che fa dell'album un prodotto discreto e niente più. (Roberto Alba)

(Lupus Lounge/Prophecy - 2004)
Voto: 65

https://www.facebook.com/sotm777

giovedì 22 agosto 2013

Satyricon - Volcano

BACK IN TIME

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Da più di un decennio seguo le sorti di questo colosso norvegese, che assieme ad Emperor e a pochi altri è riuscito a portare il black metal a livelli elevatissimi. Lavori come "Dark Medieval Times", "The Shadowthrone" e il capolavoro assoluto "Nemesis Divina" hanno segnato un'epoca e hanno posto le basi per la crescita di un genere che agli inizi degli anni '90 sembrava dover essere relegato unicamente all'underground. Ho sempre accolto con grande entusiasmo ogni prova in studio di Satyr e Frost e neanche il tanto contestato "Rebel Extravaganza" era riuscito a deludermi quando uscì nel 1999. Trovo che "Rebel Extravaganza" rappresenti tuttora il capitolo più estremo e misantropico della carriera dei Satyricon, un ottimo album che purtroppo non fu accolto in modo benevolo e venne criticato duramente, forse proprio per il suo carattere ostico e per l'abbandono totale delle atmosfere epiche e medievali degli esordi. Dopo l'uscita di "Volcano", ammetto però di esser rimasto sorpreso e disorientato leggendo tutti i commenti positivi che l'album ha ricevuto da stampa e affezionati e non mi sento di appoggiare in pieno questo verdetto collettivo che ha decretato la nuova creatura dei Satyricon come un'opera d'arte sublime ed innovativa. Indubbiamente "Volcano" ha ereditato le strutture spigolose e dissonanti di "Rebel Extravaganza" ma appare più scarno e diretto del suo predecessore, tanto da perdere quasi integralmente quell'aura ipnotica e malsana a cui il duo norvegese ci aveva abituati nelle sue composizioni più intricate. Solo "Angstridden" porta con sè l'inconfondibile marchio dei Satyricon mentre brani come "Suffering the Tyrants", "Mental Mercury" o "Black Lava", nonostante risultino formalmente perfetti e non manchino di alcuni spunti geniali, scivolano via senza far male e rimangono privi di slancio. Va anche detto che riesce difficile resistere a due pezzi esplosivi come "Repined Bastard Nation" e "Fuel for Hatred" -due macigni dalla vena rock'n'roll che suonati dal vivo, vi assicuro, risultano assolutamente travolgenti- ma questo non basta a far guadagnare quota a "Volcano", che purtroppo rimane soffocato dall'eccessiva smania di sintesi emersa nella sua stesura. Per quanto mi riguarda non c'è nessun tradimento delle origini, nessun cambio radicale di stile e non trovo nulla di sospetto nemmeno nel passaggio della band ad un'etichetta importante (affermare che Satyr e Frost siano diventati delle rockstar è semplicemente ridicolo)... più semplicemente, "Volcano" è un disco sottotono e alle volte un po' noioso, l'album di una band che resta comunque grandissima e rimarrà tale anche in futuro. (Roberto Alba)

(Capitol, 2002)
Voto: 65

http://www.satyricon.no/

Runes Order - The Hopeless Days

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Dark Ambient, Cold Wave
Un tiepido inizio dalle movenze rallentate, quasi come intorpidite da una tremenda sensazione di gelo, la stessa orribile sensazione che solo il terrore per una morte iniqua può serbare. Incomincia così il settimo album di Runes Order, un lavoro le cui prime tracce lasciano ben intendere quale sia il percorso intrapreso da Claudio Dondo dopo le divagazioni nella musica horror anni '70 de "La Casa dalle Finestre che Ridono". Parlo di un ritorno alle sonorità di "Odisseum" e "Waiting Forever", lavori dai quali l'artista è ripartito per catturarne lo spirito e riproporne le intuizioni, ma affrontando l'onere con la padronanza del musicista maturo che ha preso completa coscienza del proprio potenziale espressivo (in tal senso, la collaborazione con Trevor di Northgate e Camerata Mediolanense sembra essersi rivelata cruciale). Con "Il Giorno della Vendetta" si entra nel vivo dell'incubo. Nel crescendo introduttivo di synth, sostenuto dall'incalzante base ritmica di sottofondo, lo stile dell'artista alessandrino diventa immediatamente riconoscibile ed è proprio a partire da questo brano che l'ascolto dell'album si farà sempre più coinvolgente. Segue "After the Passing", una bellissima cover dei Malombra interpretata da Daniela Bedeski (Camerata Mediolanense), la cui voce soave e distante accompagna l'ingresso inatteso di figure evanescenti, che giungono alla nostra dimora come portatrici di un messaggio funesto. Le urla raccapriccianti di "Misoginy!" non lasciano alcun dubbio su quanto stia per accadere: qualcosa di orrendo è già in atto... un delitto brutale ed efferato sta per essere consumato. Il buio della notte si adagia allora come un drappo nero su quel corpo martoriato, su quel volto privo di vita in cui la paura ha dipinto un'ultima smorfia. Le deboli luci al neon di una squallida periferia diventano così, le testimoni del macabro scenario e osservano, tra i rapidi bagliori dei flash, i movimenti di un obiettivo che cattura avidamente le istantanee della vittima. Intanto, le oscure ritmiche trip-hop di "The Night" sembrano trasformarsi nelle complici più fidate del Mostro, accompagnando la sua fuga nel traffico cittadino. Con l'arrivo di "Lucy" assistiamo infine ad uno degli episodi più intensi dell'album, un grido disperato che fa eco tra i ricordi di una mente distorta, quella di chi è pronto ad uccidere ancora. Muovendosi tra soundtrack music, dark ambient, cold wave ed electro ritmata, Claudio Dondo consegna alle stampe un altro formidabile album, un lavoro decisamente emozionante che raggiunge il culmine di una parabola evolutiva in continua ascesa. Prematuro immaginare quale ulteriore crescita affronterà l'artista in futuro; meno difficile è riconoscere "The Hopeless Days" come l'ennesima prova di un talento innato. (Roberto Alba)

(Beyond Production, 2004)
Voto: 85

https://myspace.com/runesorder