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sabato 7 dicembre 2013

Skogen - Eld

#PER CHI AMA: Epic Black Metal Borknagar, primi Ulver, Enslaved
Se nella nota trasmissione televisiva 'Le Iene' fanno l'intervista doppia, non vedo perchè nel 'Pozzo dei Dannati' non possiamo concederci il lusso della recensione doppia. Se il disco in questione è poi un gran lavoro di black epico e progressivo, perchè mai negarsi questa possibilità. 'Eld' è la terza fatica degli Skogen, che conferma quanto fatto finora di buono dalla compagine svedese. Le danze si aprono con la cadenzata "Djävulens Eld", song ispiratissima soprattutto nella sua componente acustico/atmosferica, piuttosto che nella sua parte più tirata (dal forte sapore old-school), con forti richiami all'epico sound dei Bathory di 'Hammerheart' o agli esordi dei Borknagar, mentre nelle ritmiche, inevitabile penso che sia il confronto con gli Enslaved degli ultimi lavori. Ottimo comunque come biglietto da visita. La successiva "Apokalypsens Vita Dimma" conferma le mie impressioni iniziali: a livello di rifferama siamo assai vicini (talvolta pure troppo) alla matrice musicale di Ivar e compagni, mentre è nelle parti più melodiche e d'atmosfera che il terzetto di Växjö supera se stesso, offrendo scorci di musica pagana davvero edificanti per il mio spirito. Le evocative vocals del duo Joakim e Mathias riescono poi a trasmettere tutto l'amore dei nostri per la tradizione culturale scandinava. Ma vado avanti e mi lascio ipnotizzare dall'incedere marziale dell'oscura "Genom Svarta Vatten", song che ha il grosso merito di raggelare il sangue nelle mie vene, per quel suo incedere funesto, non scevro da un assalto frontale nella sua seconda metà, in cui emerge anche una tecnica affatto male, in un assolo non proprio di lunga durata, ma che apre ad un semplice, quanto mai splendido, arpeggio da brivido. Rapito dalla classe dei nostri, me ne fotto semplicemente se la band possa assomigliare a questa o quell'altra band di turno. Questo è il momento degli Skogen: i Bathory ci hanno lasciato, i Borknagar stanno percorrendo un cammino diverso e nell'Olimpo del black pagano dalle tinte progressive, accanto agli Enslaved, possono tranquillamente sedere gli Skogen. Splendida la strumentale "Nihil Sine Morte" per quel sentimento di profonda solitudine che riesce ad imprimermi nell'anima: calda e fluida emozionalità, in cui il forte pulsare del basso (vero protagonista del cd) e le malinconiche linee di chitarra, scuotono in un qualche modo, il mio cuore. Strano a dirsi quando si parla di black metal, ma questa è pura poesia, come poco spesso se ne è sentita in giro. Dopo questa breve parentesi, le nubi si addensano sopra la nostra testa con "Aska" con le vocals caustiche a prendersi la scena, costantemente minacciate dal basso tonante di Joakim e dallo squarcio di un nuovo assolo. I toni si fanno drammaticamente feroci, l'atmosfera si fa più sulfurea e la proposta degli Skogen appare ora avvolta da un'inattesa aura di malvagità, che mai prima d'ora avevo scorto nelle note dei nostri e che lentamente divampa nei pezzi successivi, fino al lunghissimo epilogo della glaciale "Monolit" che conferma la band svedese come unica e vera alternativa agli dei Enslaved. Eroici! (Francesco Scarci)

(Frostscald Records)
Voto: 80

Giunti al loro terzo lavoro in studio, gli svedesi Skogen riconfermano quanto di buono avevano già espresso in passato, affermandosi come una delle band più interessanti che il panorama estremo abbia da offrire tra i nuovi talenti. Non vi sono virate stilistiche rispetto ai precedenti lavori, per cui il genere proposto rimane saldamente ancorato ad un black metal dal respiro pagano. Quel che invece risulta maturata è la capacità di elaborare arrangiamenti più ricercati, che aggiungono maggior forza espressiva alle nuove composizioni. “Eld” ha tanto il sapore di un album uscito alla metà degli anni ’90, per cui non vi sono commistioni ibride tra generi, nessun tipo di azzardo avanguardista, né tantomeno la ricerca di un sound che a tutti i costi debba apparire originale. Anzi, la scrittura dei pezzi è piuttosto lineare ed è proprio in questa semplicità che gli Skogen hanno trovato la loro dimensione più consona, riuscendo a catturare l’attenzione con il solo tocco di un arpeggio o la leggerezza di una melodia ben costruita. È il caso di “Djävulens El”, il brano di apertura, che lascia trapelare immediatamente una discendenza diretta dalla scuola norvegese, restituendoci come un'eco, i fragori dei primi Ulver o dei Borknagar. A questo punto sorge il dubbio se gli Skogen appartengano alla cerchia dei cosiddetti gruppi derivativi, ma se anche fosse, ciò non va minimamente ad intaccare la solidità dell’album, che reclama un valore artistico autonomo, attraverso una collezione di brani realmente ispirati. Si prendano i cori vichinghi di “Apokalypsens Vita Dimma”, la parentesi acustica di “Genom Svarta Vatten” o il tappeto di tastiere di “Svavelpsalm”: sebbene diversi elementi di “Eld” tendano ad evocare un black metal dallo stile già ampiamente sfruttato, l’effetto “deja-vu” risulta comunque piacevole. Tra l’altro ogni passaggio è suonato in maniera ineccepibile, per cui non dispiace affatto compiere questo balzo all’indietro di quasi vent’anni. In “Aska”, ad esempio, risulta facile soffermarsi su dei giri di basso così ben cesellati tra le ritmiche mid-tempo o immergersi nella grandeur epica dell’assolo. Facile come perdersi nella strumentale “Nihil Sine Morte”, sognando le foreste innevate del grande nord. E se alla fine ci si riscopre nostalgici, non è poi così grave, no? (Roberto Alba)

(Frostscald Records)
Voto: 75

http://www.facebook.com/skogensweden

So Hideous - Last Poem​/​First Light

#PER CHI AMA: Post-, An Autumn for Crippled Children
Finalmente le band statunitensi hanno imparato a suonare anche in territori estremi. Acquisita definitivamente la lezione in campo post-metal da Neurosis e Isis, nello shoegaze dagli Swans e nel post-black dai Wolves in the Throne Room, ecco che stanno spuntando come funghi una miriade di band decisamente valide. I newyorkesi So Hideous, che ho già recensito egregiamente sotto il nome di So Hideous my Love, rientrano di gran diritto in questo stuolo di realtà musicali che va via via ingrossandosi giorno dopo giorno. Anche senza il "My Love" in coda, il quartetto della grande mela propone sei ottimi pezzi di post black emozionale che promette di conquistare molti nuovi adepti (il sottoscritto è già stato catturato). Diciamolo subito, 'Last Poem​/​First Light' è un gran bel lavoro in cui si mescolano oscure sonorità post-metal, la furia del black, l'attitudine malinconica dello shoegaze e la primitiva irruenza dell'hardcore. Prima con "Rising" e poi "Stabat Mater", i nostri mi mettono immediatamente ko con il loro iper-tonico sound, fatto di chitarre indiavolate pregne di malinconia e una brutalità vocale vicina a quella dei nostrani Amia Venera Landscape, a cui mi sento di avvicinare maggiormente il sound della band statunitense. L'intensità che deriva dall'ascolto di "Rhapsody" o della conclusiva "Glory" rappresentano poi episodi di rara bellezza, in cui la tempesta sonora che si abbatte sulle nostre teste è mitigata dalla delicatezza e dall'eleganza dei gentili tocchi di pianoforte e della copiosa sezione d'archi che accompagna il meraviglioso intruglio sonoro dei nostri. Il post-rock targato *Shels, emerge prepotentemente nell'incipit di "Last Poem", in cui melodie da brivido ondeggiano nell'aria prima che graffianti pennelli dipingano desolati paesaggi autunnali. E poi l'apoteosi conclusiva, con la già citata "Glory", song per cui si potrebbero spendere mille parole: song in cui ritrovo tutti gli elementi sopraccitati, mescolati e calibrati alla perfezione in un evocativo climax ascendente da pelle d'oca, che ci consegna una nuova esaltante realtà musicale dagli States. Da ascoltare e riascoltare all'infinito! (Francesco Scarci)


At last, the American bands have learned to play extreme music. They have gained the lessons of post-metal by Neurosis and Isis, the shoegaze by Swans and finally post-black by Wolves in the Throne Room, thus a lot of definitely good bands, are popping up like mushrooms in the scene. So Hideous, a New York band, of which I’ve already given a good review in these pages, under the name of So Hideous My Love, is in this bevy of musical reality that is gradually swelling day by day. Even without "My Love" in their name, the quartet from the Big Apple, offers six excellent pieces of emotional post black metal that promises to gain many new followers (I have already been captured). Let’s immediately say that 'Last Poem / First Light' is a great album that combines a dark post-metal sound_ with the fury of black metal and the attitude of melancholy shoegaze with the primitive vehemence of hardcore. "Rising" then "Stabat Mater", the first 2 songs, knocked me out immediately with their hyper-tonic sound, made of diabolical guitars instilled with melancholy and with a brutal vocalist, very similar to the one of Amia Venera Landscape. "Rhapsody" and the final "Glory” represent episodes of rare beauty, where the anger of the storm striking upon our heads, is tempered by the sweety elegance of gentle touches of piano and by the copious string section that accompanies this wonderful example of music. The post-rock a la *Shels, rises forcefully in the incipit of "Last Poem" where thrilling melodies ripple in the air before biting brushes depict desolate landscapes of autumn. Then the final apotheosis, with the aforementioned "Glory," the song for which I could spend a thousand words: a song where I could find all of the characteristics mentioned above, mixed and tuned to perfection in an evocative creepy ascending climax, that gives us a new exciting musical reality from the United States . To be listened and listened to forever! (Francesco Scarci)

venerdì 6 dicembre 2013

Blizzard at Sea – Certain Structures

#PER CHI AMA: Post/sludge, Cult of Luna, Neurosis
Bene, dopo i Ghosts at Sea (recensiti su queste pagine giusto lo scorso mese), arrivano alle nostre orecchie i Blizzard at Sea... insomma ci dev’essere qualcosa di grosso che bolle sotto questo beneamato mare, perché tutti quelli che ci fanno una capatina se ne tornano a casa con risultati strabilianti. Americani dell’Iowa, il trio di ragazzi ci propone il loro full-lenght d’esordio (dopo due validissimi EP che vi consiglio di recuperare – 'Invariance' e 'Individuation', entrambi recensiti ed incensati qui nel Pozzo), composto da nove pezzi che... beh, come posso dire... ok, ci provo con questo esempio: immaginate di essere legati da catene e trascinati a forza da un escavatore (che non brilla certo per velocità sostenute) lungo una bella distesa di deserto roccioso pieno zeppo di sassi e punte acuminate, sotto un sole cocente, completamente ricoperti di polvere. Ecco, ora immaginate che al termine di tale avventura qualcuno vi liberi da queste catene e, alzandovi in piedi tutti belli rotti e doloranti, l’unico pensiero che abbiate in testa reciti grossomodo così: “Cazzo, rifacciamolo!!!”. Spero di aver reso l’idea perché, se vi fidate del sottoscritto e concedete un ascolto a questo album, sono abbastanza sicuro che almeno qualcosa delle sensazioni che ho provato a descrivervi le ritroverete. Stiamo parlando di un lavoro ispirato, duro, un post-metal intriso di sludge che certo guarda indietro verso i “soliti” mostri sacri citati più e più volte in tante recensioni (Neurosis, Cult of Luna, The Ocean...), ma che si limita solo ad uno sguardo: i ragazzi non hanno fatto un passo indietro che sia uno da dove li avevamo lasciati, continuando sulla strada del “suonare quel che ci pare e piace”, e guai se non fosse così. Vi martelleranno per bene e vi ipnotizzeranno, concedendovi in dono l’equivalente di un kilometro di carta vetrata grana grossa strofinata con maestria su ogni centimetro quadrato della vostra pelle. Voce, chitarra, basso e batteria, nulla di più, per erigere un muro sonoro pronto a crollarvi addosso. Nove tracce accomunate dall’unico difetto di esaurirsi troppo velocemente, perché ne vorreste ancora! Credetemi, non è da tutti riempire 52 minuti di tale impatto sonoro senza mai una sola volta percepire noia. Così non vi resta che premere di nuovo il tasto play e rotolare di nuovo lungo il pendio funesto di questa scarpata sonora. Tra i pezzi mi limito solo a menzionare “Almost Awake”, come vero e proprio manifesto del tutto, contenente i riff più aggressivi dell’intero l’album; ma non temete, ogni singola canzone vi marchierà a fuoco. Concludo così: presto sarà Natale: fatevi un regalo e recuperate in blocco la discografia di questi ragazzi, ma attenzione a metterla sotto all’albero assieme agli altri pacchetti, perché potreste ritrovarvi con un mucchietto di macerie e cenere fumante... poi non dite che non vi era stato detto. (Filippo Zanotti)

(Self - 2013)
Voto: 80

http://blizzardatsea.com/

Enos - All to Human

#PER CHI AMA: Stoner Psichedelico, Black Sabbath, Orange Goblin,
Un giorno senza psichedelia & stoner è un giorno senza sole, quindi oggi prendo un bel discetto che arriva direttamente da UK e via, verso nuovi orizzonti. Dopo l'apprezzato 'Chapter 1' del 2010, gli ENOS tornano con 'All to Human' per raccogliere ancora consensi dal pubblico e dalla critica del settore. Tra le loro influenze si leggono Black Sabbath, Orange Goblin, Deep Purple, Fu Manchu, Cathedral, etc. e non posso che confermarlo, ma aggiungerei anche Pink Floyd, tanto Pink Floyd. "Collisions" infatti è pregna delle atmosfere di 'The Dark Side of the Moon', con vocalizzi alla "The Great Gig in the Sky" e tanto ancora, però nel suo insieme risulta personale e molto introspettiva. Un volo dell'anima, tra organi hammond e riff di chitarra zeppi di riverbero e delay. Se chiudo gli occhi vedo uno spettacolo di luci fioche che guizzano intorno a me, come una danza di fuochi fatui. E poi il cd passa ad "Another Solution", puro stoner/doom fatto di cattiveria sonora, chitarre piene di fuzz e cantato ruvido come un urlo incazzato a pochi centimetri dalla faccia. Gli ENOS sono capaci di metamorfosi repentine, prima vi cullano in braccio e poi vi lanciano giù da un crepaccio più alto del Grand Canyon. Non ci resta che alzare le corna al cielo. La traccia "Obscured" intreccia un ritmo ipnotico con atmosfere in stile Black Rebel Motorcycle Club, che accompagnano lo slide di chitarra, forse il vero protagonista della canzone. Sta di fatto che tutto è al suo posto, basso e batteria sono sempre all'altezza e creano un tappeto ritmico che permette agli altri strumenti di muoversi con facilità. Non posso chiudere la recensione senza parlare di "All Too Human", traccia che da al titolo all' album e che vi farà pogare in maniera incontrollata, come un attacco epilettico causato dal riff grezzo e sanguigno di chitarra che si insinuerà nel vostro malato cervello e non vi mollerà più. Un ottimo lavoro questo dei ragazzi di Brighton, niente da dire o da aggiungere. Avendo già il cd, aspetto solo di vederli dal vivo e tornare a soffrire di epilessia da concerto. (Michele Montanari)

(Self - 2012)
Voto: 80

http://enosthechimp.com/

Lustre - Wonder

#FOR FANS OF: Black/Ambient
Lustre’s particular brand of atmospheric black metal has always struck me on a deep and personal level. Whether that’s through the fuzzed out reverberating guitars or the emotional and shimmering keyboards, Lustre is able to craft some of the most vivid atmospheres that have graced my ears. 'Wonder' carries on with their signature style, yet despite no alterations to their overall sound Lustre still prove to be masters of their craft when it comes to this particular form of keyboard laden black metal. The most notable aspect of Lustre is the heavy keyboard presence. They dominate the entire mix, pushing the guitars and vocals to the background. It’s a strange mixture, what with black metal being a predominantly guitar based genre of music, yet Lustre work wonders with this mixing. The guitars are suitably fuzzed out, and despite being quiet can be quite easily heard and provide a good background for the shimmering keyboards. The guitars function on a minimalistic, perhaps one could say droning wavelength, indeed there’s no solos, no real riffs, just one note chords stretched out for extended periods of time. The keyboards have always been the main instrument in Lustre’s arsenal, everything else comes second. "A Summer Night" makes great use of the keyboards; a Burzum meets Port-Royal kind of thing with hissed vocals, ambient keyboards and quiet guitars. The overall song structures of the songs are very simple, usually following the same formula of open with a keyboard melody, add some guitars, end with an atmospheric outro. With each songs being of an average of nine minutes with very little to differentiate between themselves, one could be led to believe that this is a boring album. With this kind of music though, one needs to approach it with the right mindset, if you go in thinking this is going to be too repetitive and way too boring then incidentally you’ll be bored out of your mind. This kind of music works best when the listener approaches it in a different way as to the way they’d approach an artist such as Iron Maiden. This isn't music for those looking for lots of riffs and solos; this is repetitive and trance inducing that above all aims to create an ethereal, even mystical atmosphere. Black metal has always been a genre than focuses on atmosphere much more than other metal genres yet Lustre takes this to the next possible extreme. The songs are incredibly minimalistic, containing only a small handful of melodies. The vocals show very little variation between pitch, dynamics and even rhythm, they’re a constant whispering shriek that could easily be missed if enough attention isn't placed upon them. Whilst the music of 'Wonder' is quite easy to listen to and admittedly quite accessible, this is not an album for everyone. The moods this album creates are unique, perhaps even abstract, there’s a strong sense of sorrow within this but the music also seems to deal with themes of hope and perhaps even wonder. Nachtzeit is the kind of abstract, surrealist artist who leaves his work open to interpretation, there’s no right or wrong way to feel about the music of Lustre and this is why this kind of music is so special. It has this undeniably ability to connect with people on a mass scale; due to the ambiguous nature of these songs they have a universal factor to them, as though Nachtzeit was able to channel the collective consciousness of the entire human race when forging this album. Pretentiousness aside, this truly is a great album, the keyboard melodies are stunning to say the least and the repetitive, droning guitars create a nice backdrop to the prominent keyboards. If you weren't swayed by Lustre’s brand of black metal in the past then this will not change your mind, Lustre keeps his style of music constant with the only differentiation present in the mood of the songs. Go into this album with the proper mindset and be sucked into Nachtzeit’s surrealist view of the world. (Sean Render)

(Nordvis Produktion - 2013)
Score: 95

https://www.facebook.com/lustre

giovedì 5 dicembre 2013

Sorgsenhet - Drachennebel

#PER CHI AMA: Black Epic, Windir, Abigor
Portati da un vento gelido boschivo ecco i Sorgsenhet, band germanica dedita ad un sorprendente black metal intarsiato di decori sinfonici e folkloristici. 'Drachennebel' è una demo siderale e melodica, il genere di musica adatta agli amanti dei Windir e degli Abigor e perché no, del black metal nella sua forma più fantasy. Logo e vesti grafiche sono molto belle soprattutto per quanto riguarda il dipinto della cover, copertina che però ad oggi deve ancora essere ufficializzata dalla band a causa delle alte spese per i diritti d’autore. Mi auguro che questi tre giovani bardi trovino presto un contratto con una casa discografica che ne agevoli il percorso in questo sempre più affollato marasma di band troppo spesso mediocri. I Sorgsenhet con questa breve demo di circa 22 minuti, riescono a riscaldare l’animo: dopo la breve e ventosa intro “Aufsturm”, si parte con “Spektralgang” canzone che mette subito in chiaro molte cose. Si sente che l’ispirazione di questa band è molteplice: i riff suonano malinconici, la voce è austera, la batteria elettronica è programmata egregiamente e non disturba l’ascolto, come spesso succede, anzi direi che la sua resa è veramente eccellente. Si passa alla terza “Sorgesång”, vero e proprio cuore del dischetto, più di 8 minuti di gloria, minuti che nascono con dolci accordi di piano e procedono monolitici fino ad un intermezzo di organo, preludio ad uno dei più malinconici riff mai sentiti. "Ustren", quarta e ultima song dimostra che i Sorgsenhet possono spingersi anche oltre, regalando all’ascoltatore una canzone meravigliosa con un riffing fatto di melodie impareggiabili, forse la traccia più evocativa di tutto il lotto. Una demo breve che oltre ad essere ben concepita, ha il pregio di vantare un suono convincente, old school, un suono unico perché non frutto di grossi studi di registrazione, il suono che piace a chi non ha mai smesso di credere al vero black metal, quello che vive ancora nelle profondità sepolcrali dell’underground. Il black metal che esce da questa release non è comune metallo, questo è pregiato metallo nanico che cola dalle fucine ancestrali dell’essere, per forgiare la spada magica dell’eroe, quello che presto o tardi brandirà la sua lama nella guerra contro i venduti. Benvenuti al bastione della resistenza! Hail Sorgsenhet! (Alessio Skogen Algiz)

Toxic Holocaust - Chemistry of Consciousness

#FOR FANS OF: Death/Thrash
Over the last decade we have seen a resurgence of old school thrash. With numerous bands trying to capture the sound of 80's metal. The likes of Municipal Waste, Havok, and Skeletonwitch have cemented themselves firmly in the retro thrash movement. However, of the many bands within the trash revival scene, none have gained more recognition than Portland, Oregon's Toxic Holocaust. 'Chemistry of Consciousness' the fifth full length from these thrashers is no more inspired, creative or enjoyable than the previous four. It is, however, just as boring as all its predecessors. I am amazed at the popularity and enthusiasm that Toxic Holocaust has managed to gain. There is nothing here that remotely interests me. As I listen through the twenty-nine minutes of speed induced thrash with a blacked vocal style, by minute ten I am just waiting for it to be over. I must push on though, to see if there is even one stand out track on this album that I can talk about. Alas, it's not there and I am left feeling unimpressed and unfulfilled. To mention one track on the album, the best song on 'Chemistry of Consciousness' is the opening track "Awaken the Serpent", because at 1:39 it's the shortest. I have not found much interest at all in this retro thrash movement, and aside from sci-fi progressive thrashers Vektor, I can't name one band worth my time. Even with that being said the most popular of these acts is also my least favorite. After five full length albums (five to many, I might add) I believe it's time for Toxic Holocaust to throw in the towel. The only positive that I can present to you here, is that I respect the energy and enthusiasm that Joel Grind has put into this project and the production is pretty good too. But all the energy and production in the world can't make up for poorly crafted songs. Unless you are a true revivalist, I recommend keeping your wallet in your pocket and moving on. (Brian Grebenz)

(Relapse Records - 2013)
Score: 40

http://toxicholocaust.bandcamp.com/

mercoledì 4 dicembre 2013

Putrefact - Of Those Who Were Deceased

#FOR FANS OF: Death metal old-school, Grave, Dismember, Unleashed, Morbid Angel
This two-track EP from Mexico’s Putrefact is a shining example of old-school death metal that has a lot of elements at work in the different underground sections of the genre. There’s elements of cavernous-sounding primitive Death, Swedish styled influences and even sections replete with doom influences though those are on the backburner, and normally, these are simple, primitive tracks all slung through those Swedish sounding riffs at various tempos, from straight-forward chugging to thrashing death metal or slow-paced doom offerings that keep the Swedish guitars rattling along nicely as it burns through its paces. You really can’t tell much about a band with such a small window of critique, though it definitely seems apparent the band is hungry, energetic and definitely willing to play around with the clichés, as the opener "We Were Deceased", tends to roll through far more up-beat tempos and thrashes more often than not, meshing really nicely with the simply massive, cavernous vocals that really give an aura of dirty, mucky howls corresponding to the guttural tone of the guitars. Second song, "II" is slightly more doom-oriented as it’s a little slower, contains far more spacious patterns and kicks up the energy rarely, which isn’t a shocker since more than half of it is taken up with an ambient noise outro. It’s hard to see where they’re going, but this definitely seems like a fine band to watch in the scene if they can give us a little more to handle on future releases. (Don Anelli)

(Pulverised Records - 2013)
Score: 65

http://www.facebook.com/putrefact

Euglena – Близость

#PER CHI AMA: Black Grind Post Hardcore
Se il vostro desiderio è di ascoltare una band epica come gli Enslaved ma potente e selvaggia come i The Chariot, urticante come i Converge e astratta come i Solstafir, ecco, qui troverete di che dissetarvi, anzi ubriacarvi con una tale pozione magica, ultra violenta, ultra oscura e ultra noise. I Brutal Truth in veste riflessiva che suonano imitando i Deathspell Omega e chi ne ha più ne metta di accostamenti impossibili per cercare di spiegare come questa band russa riesca a superare facilmente e senza traumi le barriere di generi estremi così, all'apparenza, diversi tra loro. Gli Euglena al loro terzo EP uscito per la Basement Apes Industries in questo 2013, riescono in appena cinque brani a fondere hardcore, black metal e grindcore con la stessa facilità e fluidità con cui ci apprestiamo a bere un bicchiere d'acqua. La forza espressiva di questo lavoro è davvero notevole, non si ha mai la certezza di cosa si stia ascoltando ma soprattutto, di qualsiasi cosa si tratti, il che è una cosa che incuriosisce e lascia ben appagati. Un sound dilaniato, estroverso, dissonante, ruvido e tenebroso, guidato da chitarre eccezionali e una bella voce al vetriolo, con rimandi ad ogni cambio, ai vari generi estremi. Possiamo definirlo un puzzle riuscitissimo di epico black noise post-core metal se così riassunto vi può aiutare nella comprensione di tale ordigno. La forza dell' hardcore generata dal ventre di una vergine di ferro nerissima, illuminata dalla luna del post-tutto. I demoni oscuri della vostra coscienza prenderanno vita da queste tracce e parleranno il linguaggio del suono più estremo, figlio del trapasso di tanti generi, non temete alla fine ne sarete entusiasti se riuscirete a sopravvivere. (Bob Stoner)

(Basement Apes Industries - 2013)
Voto: 70

https://www.facebook.com/euglena

martedì 3 dicembre 2013

Dawn of Tears - Act III: The Dying Eve

#PER CHI AMA: Swedish Death, Dark Tranquillity, Children of Bodom
La formazione spagnola non è certo l'ultima arrivata in ambito estremo, anche se certamente non è la più prolifica delle band. Attivi infatti fin dal 1999, con questo loro 'Act III: The Dying Eve' giun-gono finalmente al traguardo del secondo album (all'attivo anche un EP). Si tratta di un lavoro cer-tamente debitore delle sonorità dei mostri sacri del nord Europa, in testa Children of Bodom e primi Sentenced. Il lavoro consta di nove tracce che aprono con "A Cursed Heritage", song che a livello di melodie strizza decisamente l'occhio ai 'Bambini di Bodom' mentre a livello di rifferama, non posso non citare i Dark Tranquillity, per un risultato finale davvero apprezzabile. Certo, come spesso mi è capitato di scrivere, nulla di nuovo sotto il sole. "Present of Guilt" è una song più pacata che tra malinconiche melodie nordiche e leggeri influssi elettronici, mi conquista per la sua semplicità e fluidità. Di sicuro a livello tecnico-compositivo, il quintetto di Madrid non è certamente sprovveduto: ottime qualità infatti risiedono nei suoi strumentisti. "Lament of Madeleine" è una song che per certi versi ha in sè qualcosa dei primi Cradle of Filth, per una velata vena gothic black, niente male. "The Darkest Secret" apre con una bella tastierina dal taglio vampiresco, poi attacca il riffing serrato ma sempre marcatamente melodico (e di chiara derivazione heavy classica) della sezione di asce, mentre il robusto drumming picchia che é un piacere. Un plauso va al buon J. Alonso che dietro al microfono offre una prova molto convincente con un growling mai sopra le righe per ferocia, ma anzi molto comprensibile, a cui peraltro spesso si affianca una eterea voce femminile. Ribadisco che forse la pigrizia dei nostri nel rilasciare i propri album alla fine rischierà di essere un'arma a doppio taglio, in quanto la proposta del combo iberico finisce per "puzzare" ov-viamente di già sentito, un peccato. Arrivo a "Silent as Shades are" e la eleggo immediatamente mia traccia preferita, forse perchè avrebbe potuto essere inclusa in 'Projector' dei già citati DT e perchè in modo un po' ruffiano, le sue melodie si stampano immediatamente nella mia testa. Il disco scivola piacevolmente fino alla sua conclusione, "Prize Denied", con rimandi qua e là della discografia swedish e melo death di matrice finlandese che alla fine farà la gioia di coloro che apprezzano ques-to genere, pur non proponendo assolutamente nulla di innovativo. Album onesto, dalle cui critiche mi aspetto però una risposta in futuro decisamente più personale. (Francesco Scarci)

(Inverse Records - 2013)
Voto: 70

http://dawnoftears.org/

Sutekh Hexen - Monument of Decay

#PER CHI AMA: Noise, Black, Abruptum, Arckanum
Tipo la morte. Non so come altro descrivere questa catartica sinfonia degli Sutekh Hexen, gruppo californiano votato ad un noise lo-fi estremamente cupo e maledetto. 'Monument of Decay' è un EP di venti minuti formato da quattro tracce di egual durata che si apre con "Lastness", un tetro sentiero che conduce verso la perdita di ogni senso e speranza, delle note ripetute maniacalmente sotto un synth che sembra sussurare l'arrivo al punto di non ritorno. Questo punto si percepisce con l'entrata della drum machine in "...Of Emanation", che mi scuote radicalmente con il suo sound alla 'Nattens Madrigal', in cui tutta l'atmosfera di smarrimento si è già sedimentata dalla traccia precedente. La successiva "Dhumavati’s Hunger" torna a ricalcare le orme del noise in un constesto ancora più gelido e distaccato, come se rappresentasse la desolazione dopo la furia della tempesta, mentre l'ultima "Dakhma" è un'ascesa di diaboliche voci che si inseriscono in un tappeto di synth e una monotona chitarra baritona, e in cui il tutto viene reso ancor più inquietante dall'entrata di archi nel finale, il che ricorda qualche vecchia colonna sonora di Bernard Herrmann (Alfred Hitchcock, Orson Welles, Martin Scorsese tra gli altri). I Sutekh Hexen mi sorprendono drammaticamente con questa loro opera che però io vedo mutilata: dato l'enorme pathos evocato dalle composizioni, avrei preferito veder sviluppate le tracce in qualcosa di più sostanzioso, o semplicemente di più prolisso, in modo da poter godere pienamente del loro disagio. Credo alla fine che sia proprio il forte senso di inadattamento che percepisco nelle note di questo oscuro lavoro (che esce in una edizione limitata in una doppia cassetta), che abbia suscitato in me cosi sconvolgenti emozioni, quindi direi ben fatto, ma dal prossimo lavoro, mi aspetto un minutaggio decisamente più cospicuo. (Kent)

(Belaten - 2013)
Voto: 75

http://www.sutekhhexen.org/