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martedì 16 ottobre 2018

Sanguine Glacialis - Hadopelagic

#PER CHI AMA: Symph Avantgarde, Diablo Swing Orchestra, Fleshgod Apocalypse
La zona adopelagica è il dominio biogeografico che comprende le più profonde fosse dell'oceano. Si estende da 6000 metri di profondità fino al fondo dell'oceano. Pensate alla fossa delle Marianne, la fossa più profonda della Terra, li dove si ritiene che quasi tutte le creature abissali che vivono a queste profondità, traggano nutrimento dalla neve marina o, nei pressi di sorgenti termali, da varie reazioni chimiche. Se qualcuno di voi si stava giustappunto domandando il significato di 'Hadopelagic', secondo full length dei canadesi Sanguine Glacialis, ora è accontentato. La band originaria di Montreal, è guidata dal dualismo vocale della cantante lirica Maude Théberge abile a muoversi tra un cantato lirico ed un growling stile Cadaveria nei primi album degli Opera IX, in un condensato orchestrale di ben 60 minuti. Il cd si apre con le interessanti melodie di "Aenigma", song caratterizzata da un sound sinfonico in cui convergono tuttavia sonorità estreme, psicotiche linee di chitarra che evocano i nostrani Fleshgod Apocalypse, cosi come pure gli ultimi sinfonismi dei Dimmu Borgir, ma che poi, di fronte al cantato di Maude, ammiccano a realtà più commerciali, in stile Nightwish o Within Temptation. Il risultato però è ben più convincente, almeno per il sottoscritto, con la proposta articolata ed eclettica dei Sanguine Glacialis, cosi attenti nel proporre una gamma di colori davvero notevole nel proprio sound. Se pensate che l'inizio di "Kraken" apre tra funk, rock, symph, sperimentazioni a la Dog Fashion Disco, Devin Townsend e Diablo Swing Orchestra, per poi ritornare prontamente nei binari del death per una manciata di secondi e continuare successivamente a divagare in territori sinfonici, potrete solo lontanamente intuire quanto mi senta disorientato in un'escalation musicale davvero dirompente, tra scale cromatiche da urlo, ed una crasi sonica tra uno stile estremo ed un altro al limite dell'esotico. Tutto chiaro fin qui? Non proprio direi, nemmeno per il sottoscritto che ha avuto modo più volte di ascoltare il disco e cercato di codificarne il messaggio. I Sanguine Glacialis sono dei pazzi scatenati e lo dimostrano le divagazioni jazzy espletate nel finale della seconda song. "Libera Me" vede Maude scatenarsi in eterei ululati, mentre Marc Gervais ne controbilancia la performance con il suo cantanto gutturale. La song è comunque schizofrenica e perennemente votata al verbo stupire. Lo si deduce anche con "Le Cri Tragique d'une Enfant Viciée", brano in grado di saltare, con una certa disinvoltura, di palo in frasca. Con "Funeral for Inner Ashes" la proposta della compagine del Quebec sembra apparentemente più lineare: apertura affidata al pianoforte, poi una musicalità che procede senza troppi sussulti tachicardici fino a metà brano, dove il lirismo vocale della frontwoman è sostenuto da una batteria che potrebbe stare tranquillamente su un disco dei Cryptopsy, band non proprio citata a caso visto che Chris Donaldson dei Cryptopsy ha prodotto il disco in questione e forse una qualche influenza deve averla trasmessa ai nostri. La song prosegue comunque delicatamente verso il finale, in un duetto voce/pianoforte quasi da brividi. Il piano, sempre ad opera di Maude, apre anche "Oblivion Whispers", in cui i nostri musicisti non ci fanno mancare il loro apporto death sinfonico, in una traccia che ancora sembra evocare un ibrido epico tra Nightwish e Fleshgod Apocalypse, sorretti da una ritmica costantemente irrequieta in balia di una musicalità perennemente variegata; spaventoso a tal proposito il cambio di tempo a due minuti e mezzo dalla fine, in cui in un batter di ciglia, si passa dal death al rock e viceversa, con acrobazie da artista circense, costantemente in bilico tra difformi amenità estreme e passaggi rock/nu metal. Un album non certo facile da assimilare, da ascoltare e riascoltare anche quando un robusto riffing apre "Deus Ex Machina", per poi immergersi in suoni liquidi e psichedelici che arrivano ad evocare anche Unexpected o Akphaezya. Spettrale “Missa de Angelis" nel suo roboante inizio, poi quando le tastiere iniziano un po' a canzonarsi in stile Carnival in Coal o Solefald, la band entra nel solito vortice musicale dal quale risulta sempre più proibitivo uscire. E il centrifugato di quest'ennesima traccia, mette in mostra, ma non ce n'era più bisogno, tutto l'impianto ritmico, pirotecnico della band canadese, sempre in bilico tra mille ubriacanti generi musicali, qui peraltro assai folkish. Spero non si riveli un boomerang questa voglia di strafare per sorprendere costantemente i fan con trovate al limite del tollerabile. Le qualità tecnico-esecutive della band sono indiscutibili, ma in questi 60 minuti di musica c'è cosi tanta carne al fuoco, che il rischio di bruciare qualcosa è assai alto. Io non posso che premiare le sperimentazioni avanguardistiche dei Sanguine Glacialis ed un songwriting da urlo, con il monito di fare estrema attenzione che talvolta eccedere può rivelarsi a dir poco fatale. Nel frattempo, fate vostro questo mostro mitologico, lasciandovi sopraffare dalle melodie impervie e progressive di "Monster", ultima spettacolare perla di questo avventuroso 'Hadopelagic'. (Francesco Scarci)

(WormHoleDeath - 2018)
Voto: 80

https://sanguineglacialis.bandcamp.com/

lunedì 28 maggio 2018

Lychgate - The Contagion in Nine Steps

#PER CHI AMA: Symph. Doom, Tristitia, Wyrding
Quando tra le tue fila hai un artista che risponde al nome di Greg Chandler (frontman degli Esoteric), credo che nulla possa essere precluso. Se poi aggiungi altri musicisti che militano negli Acherontas o negli Ancient Ascendant, credo che tutto sia decisamente più semplice. Ecco che il terzo album per gli inglesi Lychgate potrebbe rivelarsi un esercizio di stile per sfoderare una prova di assoluto valore e prestigio. E questo è già avvalorato nell'opener di questo mirabolante 'The Contagion in Nine Steps', "Republic", in una magniloquente orchestrazione che lascia sin dai primi secondi a bocca aperta, per la caratura tecnica e la creatività già sprigionate dopo poco, in un'evoluzione sonora davvero imprevedibile e imperdibile. Come definire questo sound? Non è per nulla semplice, forse un doom sinfonico di stampo avanguardistico, impregnato di suoni progressivi in salsa gotica. Chiaro no? L'unica cosa certa è probabilmente la voce di Greg, che intreccia il suo insano growl con il cantato pulito di alcuni ospiti e con le prodezze di Vortigern, vero mostro alle tastiere, organo e mellotron, gli strumenti che più degli altri si riveleranno fondamentali durante l'ascolto di questo disco. L'atmosfera criptica di "Unity of Opposites" si trasforma da li a poco in giri chitarristici (e di basso) da death jazzato, cori dal sapore liturgico in un ambientazione che mi ha evocato i Tristitia, mentre la song prosegue in un frullato sonoro che lascia disorientato per il quantitativo di idee espresse in cosi pochi minuti. Una traccia di 360 secondi e poco più, in cui la sensazione finale è quella di aver ascoltato un intero album. Incredibile, perchè nulla appare scontato qui dentro. C'è finissima arte infatti nel saper creare e condensare in 40 minuti quello che ascolterete in 'The Contagion in Nine Steps', che si candida già ad essere uno dei migliori dischi dell'anno, sicuramente tra i più complessi. Con "Atavistic Hypnosis", pezzo ispirato al libro 'The Invincible' dello scrittore polacco Stanisław Lew, i suoni rallentano paurosamente e si entra in un incubo sonoro ad occhi aperti da cui sarà difficile riprendersi. È funeral ma non nell'accezione convenzionale del termine, non ci sono in effetti chitarroni profondissimi che vanno a rallentatore, ma solo suoni stralunati al massimo su cui si staglia la voce acida di Greg, in una progressione sonora comunque fuori da ogni tipo di schema, in cui le atmosfere si rivelano suggestive, surreali, e la proposta vede alcuni punti di contatto con gli americani Wyrding e nel cantato pulito anche con il folletto canadese Devin Townsend. Insomma, è intuibile che qui si entra nei meandri della sperimentazione che tanto prediligo e che alla fine i londinesi Lychgate non siano proprio una band come le altre. Ma questo lo si era già capito dalle precedenti release. Se comunque non siete ancora del tutto convinti, catapultatevi nel mondo sotterraneo di "Hither Comes the Swarm", un altro pezzo dove il delirante sound dei nostri trova modo di coniugarsi con derive dal sapore blackish. La musica classica, che già aveva primeggiato nel debut album, torna sovrana anche in "The Contagion", con giri maestosi di pianoforte e cantati puliti che entrano in collisione col growling infernale di Mr. Chandler in uno dei brani dotati di maggiore teatralità dell'intero disco, che nella sua seconda metà, rintocca campane a morto. Nonostante le mie parole al miele, sia chiaro che l'ascolto di 'The Contagion in Nine Steps' si rivela come un qualcosa di estremamente complicato, per quanto quest'album rientri tra i lavori più raffinati che io abbia ascoltato negli ultimi dieci anni. Serve una mente aperta, cosi come un cuore che sia in grado di abbracciare una musicalità cosi ostica e mai scontata. A chiudere il disco, il pezzo più breve del cd, "Remembrance", song che induce gli ultimi cinque minuti di riflessione, e che mostra un notevole approccio corale avvicinando nuovamente le proprie sonorità a quanto ascoltato dai Wyrding. Che altro dire, se non invitarvi a godere di questi 42 minuti di catarsi sonica che vi concilierà col mondo... dei morti. (Francesco Scarci)

venerdì 27 aprile 2018

Estate - Mirrorland

#PER CHI AMA: Symph Power Metal
La power-band proveniente dalla città russo-caucasica gemellata nientemeno che con Reggio nell'Emilia, propone un power-metal eminentemente calligrafico, fervido però di inorgoglite incursioni aliene. Insomma, aliene si fa per dire. Capita pertanto che al power quintessenziale distillato un po' dappertutto nel disco, ma soprattutto in apertura ("Mirrorland" e "The Ghoul"), si contrappongano, si fa sempre per dire, composizioni renderizzate con texture epic/prog/qualcuno-ha-orinato-nel-santo-graal ("Matter of Time"; una "Lady Wind" che si colloca tra i Dream Theater di 'Awake' e la Gillan band di 'Mr. Universe' o 'Glory Road'; una "Stolen Heart" che suona grosso modo come la suonerebbero degli Hammerfall provvisti di colbacco imprigionati nel carillon di "The Memory Remains") o di hair-melodic anni '80 (almeno due indizi: l'intera "Silver Skies", che sta tra il Bryan Adams che indossa un reggiseno di Robin Hood e il Jack Nitzsche che indossa mutandine femminili di "Up Were We Belong"; oppure l'attacco di "Lady Wind", che fa sembrare "Popcorn" di Gershon Kingsley come una specie di ouverture True Norwegian BM). Ultima nota per la copertina di Leo Hao, apprezzato illustratore esperto di di draghi, battaglie e fanciulle svestite leggiadramente maneggianti pesanti spadoni. (Alberto Calorosi)

domenica 22 aprile 2018

Eternal Silence - Mastermind Tyranny

#PER CHI AMA: Symph/Gothic, Within Temptation
Con una copertina ed un’introduzione che sembrano provenire direttamente dalle profondità più remote dell’inferno, è lecito aspettarsi da 'Mastermind Tyranny' un’anima piuttosto brutale, degna delle lande più estreme del death. Invece, sorprendentemente, una volta superato il diabolico monologo introduttivo ed il primo riff, ci accolgono delle sonorità meno “cattive” del previsto. Le tematiche comunque esoteriche di quest’ultimo lavoro della band nostrana degli Eternal Silence, vengono sostenute infatti da un impianto piuttosto melodico, un symphonic metal ricco di orchestrazioni che viene alternato a qualche cavalcata più potente, come nel primo brano "Lucifer’s Lair". C’è spazio anche per qualche contaminazione elettronica come in "Game of the Beasts", fra le sue numerose variazioni di tempo. Le liriche oscure e strazianti vengono incarnate con maestria dalla voce di Marika Vanni, forte di una buona estensione e di grande potenza espressiva, che si percepisce soprattutto in brani come la ballad "Adagio" (la quale richiama i Within Temptation più recenti). Le vocals sono spesso alternate con la timbrica maschile di Alberto Cassina, secondo chitarrista e principale compositore del gruppo lombardo, che si occupa anche degli arrangiamenti orchestrali per questo disco. L’album procede in modo piuttosto lineare sino alla conclusione, senza troppe sorprese rispetto ai canoni del symph/gothic in cui si inserisce l’ensemble di Varese. Manca forse quell’idea, quella “scintilla” che faccia decollare l’ascolto di 'Mastermind Tyranny', nonostante rappresenti una buona prova per il gruppo, che dimostra di aver maturato un proprio stile rispetto ai precedenti album, a partire da un’ottima produzione, che ne evidenzia il notevole impegno. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Sliptrick Records - 2017)
Voto: 70

https://www.facebook.com/eternalsilencemusic

lunedì 8 gennaio 2018

Lord Shades - The Uprising of Namwell

#FOR FANS OF: Symph Death/Black
Lord Shades is a French band founded in 2001. Initially, it was a one man project, managed by the current singer and bass player Alex that was the mastermind behind the band´s music, sometimes accompanied by occasional collaborators. Such situation lasted during the demo era, and as soon as the band started to release full albums, new members were added to the band´s line-up. This four-piece line-up has been rather stable during the release of their three albums. 
 
'The Uprising of Namwell' is their last one which closes the trilogy of works based on a fictional universe created by the band members. The storyline of those works covers three different worlds. Firë-Enmek, the land of mortals and a land of suffering, Namwell which is a land of bliss and harmony and Meldral-Nok, a cursed land where only chaos and fire prevail. In this last chapter the main character, Lord Shades, has turned to the dark side and though he has become an evil creature, he is still haunted by almost forgotten memories of his previous life. This is by far the darkest and most chaotic chapter of the trilogy and the concept behind the new album. Taking into account this background, it can guess that the music included in this release must be something dark and epic, but in this occasion variety plays a major role. This is not a standard extreme metal album with an interesting concept behind, mainly because Lord Shades tries to combine different styles, like black, death and symphonic metal, even with certain thrash metal influences to make this complex trilogy a reality. The mixture makes this album an interesting beast, that requires a certain amount of listenings before fully appreciating it. Each song has its peculiar touch, and this can be confusing if you don’t listen to it with an open mind. Anyway, 'The Uprising of Namwell' has a general darker tone than the usual conceptual album with an epic story behind. The last part of this trilogy shows a dark world hit by violence and cruelty, so don´t expect “happy” epic arrangements. A good example of this idea would be the track “Woe to the (Vae Solis)”, which has the aforementioned dark and even decadent atmosphere. This doesn´t mean that this album lacks of beautiful arrangements, because this track is a good example of how Lord Shades successfully introduces atmospheric touches (female vocals and symphonic arrangements), which are a clear contrast to the general tone of track. This gives an extra point of unexpectedness, which is always great. On the other hand, songs like “The Revenge of Namwell” and “Nightly Visions" have a clear stronger tone with a massive death metal influence and they are probably the heaviest tracks of this conceptual work. Regarding the arrangements, the release is very rich in details and the range is quite wide. Those arrangements are usually symphonic-esque, but at certain times they can have a clear folk/ritual tone as it happens with “The Awakening”, which sounds quite close to Middle-East traditional folk music. At the end, the best way to understand the richness and diversity included here, is to check out the long and epic closing track, “A New Dawn”. This song sums up all the Lord Shades efforts in creating an authentic sonic representation of Namwell´s dark universe. 
 
In conclusion, 'The Uprising of Namwell' is a truly ambitious album, both conceptually and musically. The album itself is quite demanding due to its length and complexity, but its worth of it if you like conceptual albums with a wide range of musical influences. Lord Shades has managed to create a worthwhile closure to their epic trilogy. (Alain González Artola)

mercoledì 27 settembre 2017

Persona - Metamorphosis

#PER CHI AMA: Symph Metal, Epica
Ci eravamo lasciati lo scorso anno con il loro album d’esordio, 'Elusive Reflections', che aveva rivelato le potenzialità della band, improntandosi su un solido power-symph, gradevole seppur non esageratamente innovativo. Quest’anno i tunisini Persona si ripresentano con il loro nuovo lavoro in studio, il full-length 'Metamorphosis'. E avvertiamo subito un aggiustamento di tiro rispetto al precedente lavoro: seppur più caratteristico nelle scelte stilistiche, il primo album presentava al suo interno qualche avvertibile fragilità. Con 'Metamorphosis' invece approdiamo indubbiamente ad un operato di più ampio respiro, frutto di scelte studiate e composizioni ben curate. A partire dal clavicembalo di “Prologue”, assistiamo al crescendo complessivo del disco, seguendo le fasi di questa metamorfosi fino al suo culmine, la liberazione, l'epilogo affidato a “The Final Deliverance”. All’interno di questi 12 brani si può notare tutta l’evoluzione compositiva e tecnica effettuata dalla band. Le continue oscillazioni e i repentini passaggi di Jelena Dobric dalle tonalità più soavi alle potenti linee di growl, si fanno leit-motiv dell’intero disco. Si avverte come la cantante afferri decisamente le redini dell’ensemble, ricamando le liriche sull’alone gothic di oscure atmosfere che avvolgono l’album fin dalle prime note. Pad e soprattutto organi sono determinanti in questo caso, frutto di un pregevole lavoro alle tastiere. Notevoli sono i numerosi passaggi squisitamente tecnici, caratterizzati dalle continue alternanze di tempo, che condiscono l’opera, altro esempio della migliorata qualità compositiva del gruppo. Frequenti sono anche le decise e spregiudicate accelerate, guidate da un drumming imperioso, sviluppando una fragorosa potenza che spezza i più pacati equilibri melodici. Ritroviamo in 'Metamorphosis' anche diversi richiami al primo album, con sonorità e passaggi “esotici”, sfruttando particolari scale musicali che conferiscono quel tratto “orientaleggiante” ai brani (per esempio in “Hellgrind”). Sul finale da segnalare un pezzo in puro stile Epica, profondamente melodico e atmosfericamente curato, “The Seeress of Triumph”, prima della traccia in chiusura già citata, “The Final Deliverance”. Quest'ultima alleggerisce nettamente i toni rispetto al resto, in quanto si trova dover simboleggiare la salvezza finale dell’essere dopo questa serie di trasformazioni. Che dire, quest'ultimo disco dei Persona è indice dell’impegno e della dedizione che questi ragazzi hanno impiegato per migliorarsi sotto molteplici aspetti. Un risultato che premia gli sforzi, poiché la qualità dell’album di debutto viene ampiamente superata e deve fungere da incoraggiamento per la band, intrepida ed insolita portavoce del metallo nell’Africa Nord-occidentale, a fare ancora meglio per gli anni a venire. (Emanuele Norum Marchesoni)

mercoledì 16 agosto 2017

In Tormentata Quiete - Finestatico

#PER CHI AMA: Avantgarde/Folk/Prog
Ecco il disco che non ti aspetti, la bomba pronta ad esplodere in questa afosa estate 2017. Gli In Tormentata Quiete son tornati, li conosco bene, avendo tutti i loro album, e dico mai e poi mai, mi sarei aspettato un comeback di questo calibro, pur avendoci abituato da sempre a lavori di una certa portata. 'Finestatico' è un cd che divampa immediatamente in tutta la sua furia nella bolgia black iniziale di "Zero", song mutevole nel suo portamento, capace in poco più di quattro minuti di offrire suoni estremi, echi progressivi, voci eteree femminili, un cantato in italiano e chi più ne ha più ne metta. Una song che evolve nella successiva "Sole" che, fatto salvo per i suoi rari vocalizzi estremi, è pura poesia per le orecchie, grazie alle sue splendide melodie e voci, cosi come al concept filosofico-astrale insito nelle note di questo brillantissimo album. È però con "R136a1" che si toccano apici di esaltazione in una canzone da cui è stato estratto peraltro un video, che sembra tracciare nel suo incedere il movimento degli astri allo zenit. Epicità, insanità, magia e malvagità sono solo alcuni degli elementi che si possono riscontrare in questa song cantata interamente in italiano che vede un break vocale nel mezzo che sembra uscito da uno dei primi album degli Aborym che fa da contraltare alle notevolissime vocals femminili della brava Irene Petitto. La splendida "Eta Carinae" parte piano, evidenziando ancora una volta le enormi capacità vocali della cantante, vera punta di diamante dei nostri, sebbene in alcuni acuti strizzi un po' l'occhiolino alle frontwomen di Nightwish o Evanescence. Questo l'unico punto di contatto però con le band più mainstream menzionate sopra, perché poi è nuovamente la poetica della band bolognese ad emergere, miscelata ad un sound dalle tinte avanguardistiche, folk (per l'uso di alcuni strumenti tipici), mediterranee, prog, cantautorali (per il contenuto lirico davvero particolare), tutte peculiarità che alla fine rendono la proposta degli In Tormentata Quiete, unica nel suo genere. Il nostro viaggio intergalattico prosegue nella Costellazione del Cane Maggiore con la poetica siderale di "Sirio", che unisce ancora divagazioni folkloriche, grandiose melodie, stacchi psichedelici e la triade vocale che tra screaming vocals, voci pulite maschili e femminili, regala ancora momenti di elevatissimo lirismo e teatralità. “RR Lyrae” sembra un surreale dialogo tra due stelle dai connotati umani, due amanti che si sussurrano dolci parole di sconfinato amore, in una song sublime nuovamente a livello lirico, soprattutto per chi come il sottoscritto, è amante di astronomia. Siamo scivolati fino all'ultima ambientale "Demiurgo", dove delle liturgiche vocals, maschili e femminili, chiudono un album maestoso, elegante, suggestivo, sospinto da un'eccitante energia cosmica capace di renderlo incredibile ed imperdibile. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music - 2017)
Voto: 90

https://intormentataquiete.bandcamp.com/

lunedì 24 aprile 2017

Rossometile - Alchemica

#PER CHI AMA: Gothic Rock, Nightwish, Lacuna Coil
La band di oggi arriva (con notevole ritardo) da Salerno: si tratta dei Rossometile e l’album in questione è il loro ultimo lavoro in studio, 'Alchemica', ormai datato 2015. Trattasi di un disco prevalentemente hard rock con delle pesanti influenze gotiche e pop-melodiche, senza farsi mancare nemmeno qualche sprazzo progressive. Ciò è il risultato dei diversi cambiamenti di direzione musicale intrapresi nel tempo dalla band, attiva sin dal 1997. Con l’ingresso in line-up della cantante Marialisa Pergolesi e grazie alla sua soave voce, i Rossometile sembrano essersi stabilizzati su questo gothic-rock di 'Alchemica', senza abbandonare comunque le sonorità pop che caratterizzavano i precedenti lavori, 'Tirrenica' e 'Plusvalenze'. Il risultato è un richiamo a certi mostri sacri come i primi Nightwish o i nostrani Lacuna Coil, certo un po’ meno aggressivi e senza grandi artifizi sinfonici. Qualche sfumatura dai toni più pesanti la si avverte nel brano “Le Ali Del Falco”, che con i pregevoli assoli di Rosario Runes Reina, contribuisce ad aumentare il tiro dell’album. Il lavoro dei Rossometile è sicuramente impreziosito dalle vocals di Marialisa, che si destreggia egregiamente anche su registri quasi lirici inseriti nei pezzi (cito ad esempio “Nel Solstizio d’Inverno” ). Le liriche sono tutte cantate in italiano, quasi insolito in questo contesto, molto rischioso più che altro. La band salernitana tuttavia, riesce nell’intento di non cadere nella banalità dei testi, proponendo anche qualche passaggio davvero ispirato, focalizzandosi su temi introspettivi e di interiorità complesse. Quest’ultimo lavoro dei Rossometile è un disco adatto a chi predilige sonorità più leggere, con le componenti melodiche e pop-eggianti che sovrastano spesso e volentieri quelle più dure: l’album scivola via avvolgendosi nelle sue atmosfere gotiche, senza intoppi ma senza nemmeno lasciare un segno particolarmente evidente. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

giovedì 16 marzo 2017

Scuorn - Parthenope

#PER CHI AMA: Black Symph/Folk, Inchiuvatu, Fleshgod Apocalypse, Rotting Christ
Vergogna. No, non vi sto invitando a provare quel senso di inadeguatezza che deriva dall'avvertire simile emozione, vergogna è semplicemente la traduzione in italiano di "scuorn", parola che arriva dal gergo napoletano e che da oggi non scorderò mai più, in quanto Scuorn è anche il moniker di una band proveniente proprio da Napoli, che dopo parecchie vicissitudini, arriva finalmente al debutto, con un album che definirsi bomba, potrebbe rivelarsi riduttivo. 'Parthenope' è il titolo del cd in questione, uscito per la Dusktone Records da poche settimane. Un album che francamente mi ha stupito per i contenuti, la cura dei particolari, l'inventiva, e mille altri motivi. Partendo da un'impostazione black metal, ci immergiamo in un lavoro che saprà spaziare dal death sinfonico al folk mediterraneo, passando attraverso l'epic, l'ambient, il progressive, l'etnico e diverse altre sfaccettature, che rendono già in partenza "Fra Ciel' e Terra" una traccia semplicemente meravigliosa, che si muove tra sfuriate black, pompose orchestrazioni in stile Fleshgod Apocalypse, spezzoni tribali, il tutto cantato rigorosamente in napoletano. Si avete letto bene: Giulian, il factotum mente della band, utilizza il dialetto della propria terra per accompagnarci in questo viaggio unico nella musica estrema campana. E la opening track (escludendo l'intro) entusiasma per le sue melodie, i suoi cambi di tempo, l'utilizzo degli strumenti tipici del folklore partenopeo, le vocals growl e quelle recitate in italiano e in latino, le frustate chitarristiche, i blast beat, le magniloquenti tastiere, quegli echi alla Inchiuvatu che si mischiano con il sound colto degli In Tormentata Quiete, il tutto trainato da un sound sinfonico alla Emperor. "Virgilio Mago" attacca di seguito con una chitarra che richiama suoni della tradizione campana, prima di lanciarsi in vorticosi giri ritmici ed aperture atmosferiche di scuola Dimmu Borgir/Old Man's Child, break di chitarra da brividi che esaltano le qualità del mastermind italico, epiche melodie classicheggianti, ed un drumming finale roboante che ammicca al sound ellenico dei Rotting Christ dell'ultimo periodo. Lo sottolineo nuovamente, è musica esaltante quella degli Scuorn. Il vortice sonoro prosegue con "Tarantella Nera" e il suo ritmo spezzettato da quei cori in napoletano, che mi spingono anche a concentrarmi sui testi che ci raccontano leggende del periodo greco e romano di Napoli. La musica spinge con tutta l'enfasi possibile, non stancando mai, anzi continuando ad esaltare per le trovate che costantemente emergono dalle tracce di quest'incredibile disco, che si candida già oggi, ad essere nella mia personale top ten di fine anno, se non addirittura sul primo gradino del podio. Si picchia, non temete: con "Sangue Amaro", i colpi inferti alla batteria, i riffoni di chitarra, le vocals maligne sono un esempio di come rendere una traccia selvaggia, pur stemperata successivamente da parti folkloriche più raffinate che si prendono interamente la scena poco più tardi con la magia dell'interludio "Averno", che ci piglia per mano e ci introduce a "Sibilla Cumana", la sacerdotessa di Apollo, colei che profetizzava nelle religioni classiche. La complessità dei pezzi, unita ad un innato gusto per le melodie e ad una produzione spettacolare, avvenuta ai 16th Cellar Studio di Stefano “Saul” Morabito, riescono a rendere interessanti anche quelle tracce che magari hanno un po' meno da dire, come poteva essere questo racconto sulla somma sacerdotessa, ma che in verità, si dimostra un pezzo parecchio interessante. Con calma si arriva a "Sepeithos", il nome greco del fiume che bagnava l'antica Neapolis, il cui significato è "andar con impeto", quello stesso impeto che contraddistingue l'ottava traccia di quest'intenso lavoro, che vede peraltro nelle sue diverse edizioni - che includono un disco bonus orchestrale - una serie di guest star prestar le proprie voci nella narrazione di questo gioiello musicale. Inclusi nel disco troviamo infatti tra gli altri, Tina Gagliotta dei Poemisia, Diego Laino degli Ade, Wolf dei Gort e Riccardo Struder degli Stormlord alle orchestrazioni. Nel frattempo siamo giunti alla lunga title track, pezzo clou dell'intero lavoro, in cui mi preme soffermarmi sul break centrale, in cui dialoghi in dialetto napoletano narrano le gesta di Ulisse incatenato legato all'albero maestro della nave a sfidare il canto delle sirene. Le atmosfere in sottofondo sottolineano l'epica drammaticità di questo momento, e di un disco carico di emozioni di ogni tipo, che lo rendono davvero unico ed imperdibile. (Francesco Scarci)

domenica 12 febbraio 2017

Revenience - Daedalum

#PER CHI AMA: Power Symph
Formatisi nel 2014 dalle ceneri di precedenti band, principalmente dai Nemoralis, i bolognesi Revenience ci presentano la loro prima fatica discografica, 'Daedalum', uscita per la Sliptrick Records lo scorso anno. Forti della soave voce di Debora Ceneri e di un’inclinazione melodica, la band ci propone con naturalezza un carico symphonic metal forgiato da influenze gotiche, seguendo le fortunate orme di gruppi come i connazionali Soundstorm. Il quintetto bolognese non si fa mancare nemmeno qualche sfumatura più elettronica, che possiamo avvertire fin dall’inizio del disco, già dall’introduzione strumentale: questa, per i nostalgici come me, può richiamare alla mente i vecchi album dei Rhapsody, che si presentavano sempre con la canonica intro composta da cori ancestrali e orchestrazioni da soundtrack. Tuttavia, se allora capitava di perdersi nelle sinfonie provenienti da mondi antichi e fantastici, qua ci troviamo in una terra ben diversa e in un’epoca decisamente più attuale! “Blow Away By The Wind” è forse il pezzo più emblematico, in cui si avvertono un po’ tutte le caratteristiche principali dei Revenience: sound potente a sostegno delle vocals della Ceneri, che qui si destreggia in modo impeccabile, sfoderando la sua padronanza delle corde più alte e alternandosi nel chorus alle growl-vocals del batterista Simone Spolzino. Le tastiere lavorano a tempo pieno, con le onnipresenti orchestrazioni d’archi e gli stacchi “electro” arricchiti da una sovrapposizione di fluttuanti pad. La lenta ballad piano-voice “Lone Island”, molto ben congegnata musicalmente e con vocals ancora vincenti, è seguita dall’irruenta "A-Maze", che racchiude il lato più potente e cattivo dell’ensemble bolognese, ma in cui non può comunque mancare uno stacco di richiamo fortemente melodico (bel lavoro la parte pianistica sul finale!). La traccia conclusiva dell’album, “Shadows and Silence”, dalla struttura leggermente più articolata, rappresenta una degna chiusura per un esordio altrettanto degnamente riuscito: la doppia cassa a sostenere i ritornelli, l’assolo ‘catchy’ di chitarra nella parte centrale, l’ottimo lavoro dietro le tastiere di Pasquale Barile e poi una scordata melodia in fade, lasciano l’atmosfera sospesa in un misterioso sospiro. Possiamo con piacere definire questo 'Daedalum' un debutto discografico decisamente azzeccato da parte della band bolognese che, pur senza introdurre particolari novità, riescono a proporsi con un certo stile, senza annoiare: una piacevole sorpresa nostrana nel campo power/sinfonico, come furono qualche tempo fa anche i Sailing To Nowhere. Speriamo dunque di stupirci ancora! (Emanuel 'Norum' Marchesoni)

(Sliptrick Records - 2016)
Voto: 80

https://www.facebook.com/Revenience/

giovedì 12 gennaio 2017

Angelseed - Crimson Dyed Abyss

#FOR FANS OF: Power Symphonic Metal, Dragonland, Kaledon, Ancient Bards
Croatian symphonic power metal newcomers AngelSeed have struggled with numerous lineup changes over the years as the band’s complex arrangements and vast array of influences have kept the band in check throughout the years. Forging forward with these elements, the band is quite adept at their style here which manages to interject so many rather strong and dynamic elements that range from operatic vocals, soaring cinematic orchestrations that generate the kind of power and bombastic grandiosity present there to heavy, thumping riffing alongside the straightforward riffing which is quite a great backbone of attack which generates quite a lot to like here. The fact that it’s not as intense and driving as the vast majority of the genre’s practitioners for the full-on album as they prefer to stay in the mid-tempo chugging realm and offer complex arrangements rather than indulge in those overt speed-drenched numbers might make this a somewhat clashing tone for some but otherwise isn’t all that flawed since the consistency and tone makes up a lot of that. The three ballads might be overkill, but the tracks are still enjoyable enough. First effort ‘Bloodfield’ gets this going with moody atmospherics and pounding drumming that propels this along at a steady pace as the operatic elements coming to pass throughout the swirling keyboards leading into the finale for a decent-enough start. ‘Dancing with the Ghosts’ offers heavy, thumping rhythms and harmonious leads that bring about the controlled Gothic-flavored outbursts while chugging along to the strong rhythms as the mid-tempo patterns keep this one flowing nicely into the final half for another strong offering. Their first ballad ‘Man with Black Roses’ drops off into softer rhythms with a more relaxed tempo that still retains some solid atmospheric keyboards amid the simple strumming and romantic vibe that runs continuously throughout here for a rather nice attempt at the style without really doing much else. ‘Forever Blind’ returns to the forefront of heavy, chugging patterns and utterly frenzied patterns that blast along at more traditional speed-drenched rhythms and bombastic drumming throughout the finale that makes for a standout highlight track. Second ballad ‘Leaving All Behind’ offers even softer and more romantic patterns with simplistic elements and orchestral patterns that brings the keyboards to the forefront against the guitars as the gentle rhythms continue on for a much more engaging and up-tempo effort than the previous effort. ‘Fallen Angel’ and ‘Schizo-head’ tread into the cinematic realm with surging keyboards and simple mid-tempo riffing that relies more on dramatic arrangements as the pounding rhythms and harmonious cinematic melodies make for fun and rather engaging efforts. ‘Dreamer / Breaking Dawn’ mixes the ballad and mid-tempo crunch styles nicely with soft, gentle melodies and dramatic arrangements that contain romantic rhythms alongside the bombastic keyboards which is nice but does feel way too dragged out at it’s current length. ‘Soulcollector’ brings some electronic influences into the dramatic cinematic rhythms and pounding arrangements as the crushing riff-work and swirling keyboards combine into a fine operatic whole for a rather enjoyable offering. ‘The Healer’ offers the heaviest variation yet with the faster rhythms and thumping patterns offering plenty of cinematic-styled outbursts alongside the softer, gentle melodies and simple keyboards only with a lessened impact against the driving orchestral rhythms for a rather enjoyable offering. Finally, the final ballad and album-closer ‘Now’ uses the soft strumming and gentle melodies for a romantic guide through the solid rhythms and engaging vocal melodies that carries on into the final half for a solid if completely inappropriate lasting impression that drops this a notch. Otherwise, this here is a solid addition to the genre overall. (Don Anelli)

(Sliptrick Records - 2015)
Score: 75

http://www.angelseed.info/

mercoledì 28 dicembre 2016

Lost Opera - Hidden Sides

#PER CHI AMA: Power/Prog, Kamelot, Epica
Sono diverse le influenze che si trovano all’interno di quest'ultimo lavoro dei Lost Opera, 'Hidden Sides': dal power basilare a qualche ritmica prog. Si ascoltano anche derivazioni da generi più ruvidi, in cui il front-man Loic Conti, sfoggia le sue growling vocals come accade nel brano più duro dell’album, “O.P.S.”, che diventa quasi un pezzo in puro stile death. Le sonorità che però emergono su tutte nel resto del disco, sono quelle melodiche "kamelotiane" come si sentono in “Betrayal”. Le parti orchestrali ben studiate di “The Inquisitor”, “So Wrong” o “The Sinner, potrebbero invece ben figurare negli intermezzi di un qualsiasi disco degli Epica. Le onnipresenti tastiere si muovono su orchestrazioni semplici, che appaiono tuttavia spesso troppo deboli, e non riescono pertanto a conferire una seria componente sinfonica ai pezzi, lasciandoli sospesi cosi, a mezza via. Questo accade anche nel singolo "Follow the Signs", seppur si tratti di un brano mica male. I suoni electro e le contaminazioni death non trovano la perfetta amalgama con l’impianto melodico del disco e alla fine la resa non è delle migliori. Sebbene questo secondo full-length della band normanna rappresenti comunque un notevole passo in avanti rispetto al precedente lavoro uscito nel 2011, che mostrava ancora acerbe sonorità, in realtà non riesce ancora veramente a convincermi. Ci sono delle buone premesse, ma c’è bisogno di lavorare ancora un po’ per imboccare la giusta via, che non sappia di “già sentito (un sacco di volte)”, anche se un ambiente quasi saturo come quello del melodic francese non sia di troppo aiuto. Le idee sono tante ma bisogna metterle in ordine, cercando di accantonare quelle troppo scontate. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Dooweet Records - 2016)
Voto: 60

https://www.facebook.com/lostoperametal/

giovedì 1 dicembre 2016

Ivory - Southern Cross


#FOR FANS OF: Symphonic Metal, Stratovarius
Without wanting to sound too much like an sociologist, Ivory's 'Southern Cross' just wouldn't happen in Australia, I reckon. I just feel like we have a lower tolerance of cheese down here in the antipodes- or perhaps we tolerate a different kind of cheese? Anyway, it's easy to come away from this album thinking "thank god heavy metal is not a mainstream pursuit here"; it's just a shiny, overwrought nothing of a thing.

Instrumentally it's not terrible. It plods like a sauropod on valium, but you can tell there's a few parts where at least they tried. It's not a new sound or anything- Stratovarius with some occasional Dream Theatre-lite moments and maybe some Metallica meets My Little Pony when the band wants to get heavy. The keys and guitars are saccharine sweet but they play a lot of busy parts- the occasional neat bit of interplay here, a lot of cool little runs and solos all over the place. The overall impression is that while it's dripping with mature cheddar, the musicians weren't content with just being a backing track for a vocalist to wail over.

It's the vocals are the main problem. With a charismatic, powerful vocalist this would probably still be the most artificial thing since diet coke, but it would at least have a chance at being entertaining. As it stands though it's pretty gross. Devoid of power, writing not a single memorable vocal, atrocious lyrics (all of which are easily audible, just to increase the cringe), forever sounding like he's at the absolute end of his range, and possessing a very strong, very cringy accent, there is absolutely nothing going here for the poor guy. He clearly tries, but that doesn't matter- he sounds awful, he's loudly mixed and he's everywhere.

It's not a horrible album or anything, but I certainly don't like it that much and I can't see it getting any play after this review. If you can get past the vocals you've got a fairly okay, symphonic, vaguely proggy power metal album. I couldn't get past the vocals. There's far better albums in this vein- don't bother looking here. (Caspian Yurisich)

martedì 18 ottobre 2016

Stormtide - Wrath of an Empire

#PER CHI AMA: Symph Death, Whispered, Tengger Cavalry
L'artwork del debut album degli Stormtide concede largo spazio alla fantasia: montagne incantate, templi e druidi, lasciano presagire ad un che di epico e fantasy che potrebbe tradursi in suoni power metal. Mai ipotesi fu cosi azzardata e soprattutto sbagliata dal sottoscritto. I sei australiani si lanciano infatti in sonorità death sinfoniche che incorporano pesanti elementi orientaleggianti. La title track apre le danze con un sound che in alcuni frangenti mi ha evocato i taiwanesi Chthonic e il loro black folklorico ricco di sonorità della cultura dell'estremo oriente o, per rimanere in Cina, la musica degli Stormtide potrebbe essere assimilabile a quella dei Tengger Cavalry, mentre se guardiamo in Europa, l'accostamento più plausibile sarebbe con i finlandesi Whispered ed il loro "samurai" sound. Fatto sta che gli Stormtide mi piacciono e mi convincono sin dal primo pezzo in cui, complice una ricerca spasmodica di melodie dell'estremo oriente, identificano le tastiere come elemento cardine su cui si vanno poi ad inserire tutti gli altri strumenti, compreso il growling del frontman, Taylor Stirrat. Certo, questo potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio per chi mal sopporta brani stracarichi di orchestrazioni sinfoniche, ma a quel punto meglio lasciar perdere e volgere la propria attenzione altrove. Qui tutto quello che dovete e potete aspettarvi, sono brani stracolmi di melodie che scomodano in un modo o nell'altro altre influenze derivanti dal viking ("As Two Worlds Collide") che chiamano in causa Einherjer e Amon Amarth. I nostri provano a essere un po' più aggressivi con robuste linee di chitarra ("Dawnsinger"), ma inevitabilmente si torna a cavalcare quello che è il genere che identifica gli Stormtide: un melo death aggressivo per ritmiche e vocals, corredato da fiumi di tastiere che guidano l'intero evolversi dei brani. Immaginate dei Children of Bodom in versione più orchestrale, anche se poi in un brano come "Conquer the Straits", i ragazzi di Melbourne hanno il merito di picchiare come fabbri e, sebbene le cinematiche tastiere rispolverino un non so che dei Bal Sagoth, ci ritroviamo fra le mani una traccia ruggente ed incazzata. La durata delle song si assesta quasi ovunque sui 4-5 minuti, permettendo una più facile memorizzazione delle stesse, sempre traboccanti di groove. La cosa che convince è poi un approccio musicale che volge il proprio sguardo all'heavy metal classico piuttosto che agli estremismi sonori di altri esponenti di questo genere. Anomalo il break di basso centrale di "Sage of Stars", che mostra una ricerca di originalità da parte dell'ensemble australiano, in un genere ove è parecchio difficile inventarsi qualcosa di mai sentito. In fatto di liriche, inevitabile che i testi contengano storie di rovina (la ballata folk "Ride to Ruin"), eroismi ("A Heroes Legacy") o gesta malvagie. 'Wrath of an Empire' non può che essere un album epico che trova ancora il tempo di sorprendere con quella che è la mia canzone preferita, "Ascension", non la song più veloce del lotto, ma quella che a suo modo, trova anche punti di contatto con il black metal. Il disco si chiude con un pezzo, "The Green Duck", che invece sembra strizzare l'occhiolino ad un viking/power che, per quanto mi riguarda, non apprezzo più di tanto, ma che comunque non modifica il mio personale giudizio di un disco che, pur non presentando grandi novità, ha comunque il merito di coinvolgerci per oltre 42 minuti di buona musica. (Francesco Scarci)

sabato 15 ottobre 2016

Oracles - Miserycorde

#PER CHI AMA: Swedish Symph Death, Arch Enemy, Fleshgod Apocalypse
I belgi Aborted non sono mai sazi e cosi, tre dei suoi membri (voce, batteria e chitarra), hanno pensato bene di mettersi in affari con tre ex membri dei System Divide (voce, chitarra e basso), tra cui Sanna Salou (l'eccellente ex voce femminile anche di Dimlight, Ad Inferna ed Emerald Sun), e dar vita agli Oracles (dal look molto "Assassin's Creed" style), che arrivano all'esordio con questo 'Miserycorde'. La cosa non si ferma qui perché al disco partecipano anche tre guest stars, Jeff Loomis ascia dei Nevermore, Per Nilsson alfiere degli Scar Symmetry e Ryan Knight, ex chitarrista dei The Black Dahlia Murder, a completare quello che sembrerebbe essere un super gruppo a tutti gli effetti. Leggendo la line-up, le attese non possono che essere altissime, e alla fine non verranno affatto deluse, dopo aver infilato il platter nel lettore e pigiato il tasto play dello stereo. La classica breve intro dà subito un assaggio delle capacità vocali della leggiadra vocalist ellenica e poi ecco esplodere "The Tribulation of Man", che delinea immediatamente la proposta dei nostri, fatta di ritmiche serratissime in blast-beat e l'alternanza vocale, growl ed ethereal, dei due cantanti, che danno prova della loro bravura su linee di chitarra vertiginose, assolutamente catchy e corredate da formidabili assoli. Non fosse per la voce di Sanna, potrei affermare che la proposta degli Oracles è una vera mazzata nello stomaco, invece la soave performance della donzella greca, riesce ad interrompere quelle selvagge trame chitarristiche che in "Catabolic (I Am)", palesano le influenze "meshugghiane" dei nostri, in un pezzo concreto, violento, moderno e melodico, soprattutto nel suo inebriante assolo conclusivo, che gli vale per questo la palma di mia song preferita del lotto. In “Quandaries Obsolete” vengo investito dalla devastante dirompenza ritmica dei nostri, con chitarre sghembe e vocals belluine da parte dell'ottimo Sven de Caluwé, bestiaccia feroce degli Aborted, che viene qui sempre tamponata dalla vena lirica della brava Sanna, che alla lunga però corre il rischio di stufare o addirittura non piacere a chi preferisce i soli estremismi sonori degli Oracles. Ciò che colpisce è però la dinamicità che emerge dalle note di questo pool di musicisti, una vena sinfonica estrema che in un qualche modo, è comparabile a quella dei nostrani Fleshgod Apocalypse, forse la band più vicina agli Oracles per sonorità. Chiaro che gli assoli marcatamente di matrice heavy classico, avvicinano la super band di quest'oggi anche agli Arch Enemy (e non solo per la presenza di Jeff Loomis, che negli ultimi due album dell'act svedese, ha dato una grossa mano a livello di chitarre). Si prosegue attraverso canzoni che come nei migliori roller coaster, arrivano a spingere il cuore in gola, grazie ad accelerazioni esagerate, ottimi rallentamenti e velocità sostenute, in cui a mettersi in luce alla fine sono le rasoiate ad opera delle due sei-corde, in mano a dei veri maestri della chitarra. "Remnants Echo" è un pezzo più atipico in cui, sugli scudi rimane la sola Sanna, ad evocare i bei tempi andati di Anneke van Giersbergen nei The Gathering, con le melodie che si confermano ispiratissime, qui più rilassate ed intimiste. Il disco prosegue sui binari dell'alternanza dell'estremismo sonoro e di suoni sinfonici, accompagnati rispettivamente dalle caustiche voci dell'esagitato vocalist degli Aborted e dalla delicata ugola di Sanna. Prodotti egregiamente da Mr. Jacob Hansen (Volbeat, Epica, Amaranthe e gli stessi Aborted), la band arriva addirittura a coverizzare “The Beautiful People” di Marilyn Manson, testimoniando cosi l'eclettismo musicale di un ensemble che non ha alcuna paura a mettersi in gioco. E noi, non possiamo far altro che godere di fronte a questa dimostrazione di forza degli Oracles e gustarci 'Miserycorde' tutto di un fiato. (Francesco Scarci)

(Deadlight Entertainment - 2016)
Voto: 80

domenica 1 maggio 2016

Persona - Elusive Reflections

#PER CHI AMA: Power Symph
Il debut album dei Persona, band attiva dal 2012, ci arriva direttamente dalle desertiche lande della Tunisia. La terra dell'antica e splendente Cartagine non è di certo un ambiente molto battuto dalle band metal, ma anzi decisamente esotico per questa scena musicale. Per questo mi trovo a guardare (e ascoltare) questo disco con un occhio/orecchio piuttosto sorpreso. Questo esordio si apre subito come ci si aspetterebbe: atmosfere orientaleggianti vengono subito evocate grazie al sitar nell'intro e proseguono poi per tutto il pezzo con tempi e ritmiche davvero sahariane. Si nota infatti come “Somebody Else” riesca subito a calarci nella giusta atmosfera, fatta di sogni onirici e miraggi, immagini sfuggenti che ci avvolgono, magari dentro una tenda o intorno ad un fuoco, in un accampamento di Tuareg del deserto. Lo stile dei Persona si identifica come un power solido, con chitarre piene e un sound potente su una doppia cassa aggressiva e onnipresente, anche quando le ritmiche si fanno più blande. Le tastiere si ricavano ampio spazio all'interno dei brani, insistenti ma non eccessive, e vengono spesso coinvolte in sezioni strumentali e ricchi assoli, intrecciandosi con le chitarre. Un buon esempio può essere il brano "Blinded", in cui l'alternanza keys-guitars nella seconda parte del pezzo, apporta un tocco epico davvero suggestivo. A completare il quadro si aggiungono le vocals acute di Jelena Dobric, che perdurano fino alla fine sulle studiate linee melodiche (rafforzate anche da qualche sovrincisione qua e là). Unica eccezione la ritroviamo nell'interessante traccia "Monsters", in cui è presente un passaggio in growl . Brano particolare all'interno dell'album, che si distingue innanzitutto per le sue continue variazioni ritmiche e stilistiche, senza però uscire dal tema e mantenendo la sua solidità e compiutezza. Basti pensare al continuo cambio in ¾ (tanto amato dalla band tunisina) nei ritornelli, o al caratterizzante passaggio centrale che evoca sonorità desertiche ed arabeggianti, prima di passare alla sezione più aggressiva del brano, vicina a sonorità death. Altro punto di forza del pezzo l'ottimo e articolato assolo chitarristico sul finale, a sottolineare ancora una volta le buone doti tecniche dei musicisti. Il pezzo successivo, dai tempi più smorzati ,“He Kills Me More”, si apre con una forte linea di basso, che si rende protagonista fino alla conclusione. Infine, a chiudere questa prima fatica dei Persona, incontriamo la semiballad “The Sea Of Fallen Stars”, rigorosamente in ¾ ed accompagnata dal solito guitar-solo, questa volta più ricercatamente melodico. Dalle solide fondamenta di quest'album i Persona possono cominciare a modellare e rifinire il proprio stile, che per il momento si sofferma sui canoni classici del genere. Buono il livello tecnico della band, che seppur impeccabile nell'esecuzione, manca ancora di quel “guizzo” che sappia far emergere pienamente le proprie qualità. Per ora infatti, la band sembra non voler “osare” particolarmente oltre a questi orizzonti limitati, con l'unica eccezione di alcuni buoni elementi, come i passaggi e le sonorità orientaleggianti, che riescono a conferire una minima caratterizzazione al lavoro dell'ensemble tunisino.(Emanuele "Norum" Marchesoni)

Cyclocosmia - Deadwood

#PER CHI AMA: Gothic Symph., Tristania
I Cyclocosmia sono una band londinese, concepita inizialmente come solo project da James Scott nel 2011, a cui si sono progressivamente uniti altri membri più o meno stabili. In primis Lorena Franceschini, la vocalist venezuelana, entrata in pianta stabile a prestar la propria voce, poi Draven Gray (piano), Pete Hartley (violino) e Sebastian Cure (chitarra), come ospiti, a dare una mano per completare questo debutto. 'Deadwood' è il risultato di anni di lavoro, un disco costituito da 10 lunghe song, influenzate, in ordine sparso, da The Gathering, Lacuna Coil, Tristania, The 3rd and the Mortal e Trail of Tears, tanto per citare qualche nome. Avrete pertanto capito che siamo al cospetto di una band dedita prettamente a una forma di gothic metal, ovviamente grazie alla soave voce di Lorena, che si staglia su un tappeto sinfonico, che ogni tanto ha modo di sprigionare anche una carica di energia e violenza, grazie a backing growling vocals. Dando un occhio alla playlist, vediamo un po' quali sono le song che più mi hanno colpito: sicuramente la opener "Marionette", che traccia subito la direzione sinfonica dell'act inglese, la cui pomposità iniziale (quasi un tributo ai Dimmu Borgir), mi aveva quasi ingannato. La voce di Lorena prende infatti il sopravvento, ricordandomi per timbrica Anneke van Giersbergen, pertanto emozionandomi non poco, mentre il buon James ogni tanto piazza i suoi possenti growl, in una traccia che poteva stare tranquillamente in uno qualsiasi dei dischi dei Tristania. "Wither", per la sua vena malinconica, invece mi ha fatto ripensare a 'Tears Laid in Earth' dei The 3rd and the Mortal, con i vocalizzi di Lorena che ricalcano, se mi consentite il paragone, quelli magici di Kari Rueslåtten. La ninna nanna "Ubasute", sebbene la magia del violino, non mi convince per tre quarti, almeno fino a quando la ritmica non pigia sull'acceleratore, rendendo la song decisamente più viva. Una chitarra acustica accompagna la voce della brava cantante sudamericana in "Season of Regret", ma è la parte solistica a sorprendermi questa volta con un bel tracciante scaturito dalla 6-corde di James. "Little Girl Lost" è una lunga traccia di oltre nove minuti, in cui la costruzione del brano presenta costantemente una prima parte assai mansueta, in cui regina è la bella voce di Lorena, a cui segue, nella seconda metà, un irrobustimento nel sound del combo albionico, le cui linee di chitarra confermano sempre una spiccata dose di malinconia. La seconda metà del disco è a mio avviso un po' più deboluccia: interessante la nostalgica "...Y Dolor En la Tierra", anche se troppo melliflua per i miei gusti. La forte vena malinconica è però presente in tutto il disco, legato verosimilmente alla perdita della madre di James nel 2015 e forte è questa emozione nella drammatica "Aftermath". Insomma, 'Deadwood' alla fine è un buon debutto, seppur parecchio derivativo e a più riprese richiami questa o quell'altra band, d'altro canto, il gothic non è certo un genere nato oggi, ma che in oltre 30 anni di onorata carriera, ha partorito davvero pietre miliari della musica rock. (Francesco Scarci)

martedì 23 febbraio 2016

Benighted Soul - Kenotic

#PER CHI AMA: Symph Metal, Epica
Quella che ho tra le mani è la bonus edition (2015) di 'Kenotic', pubblicato nel 2014. Secondo full-length per i sinfonici francesi Benighted Soul, già in attività dal lontano 2003, che fino ad ora avevano pubblicato diversi demo e il debut album 'Start From Scratch'. 'Kenotic', trasposizione in musica di 12 diverse “inclinazioni dello spirito”, rappresenta decisamente i migliori aspetti dell'orchestrale sottogenere metallico: arrangiamenti classicheggianti ed eccellenti orchestrazioni, cori polifonici e melodie studiate, degni degli Epica dei tempi migliori. Il tutto viene condito ad hoc da pesanti contaminazioni elettroniche e numerosi passaggi all'insegna del progressive, cosparsi lungo tutto il corso dell'album, i quali contribuiscono a forgiare il caratteristico ed unico sound della band d'oltralpe, che si è decisamente evoluto rispetto al precedente lavoro. "Halcyon Days" (trasposizione della beatitudine), apre l'album con un'eleganza superba: variazioni ritmiche e tempistiche (che poi si ripresentano in quasi tutti i brani) rendono il pezzo sempre più interessante e mai scontato. In "Too Far Gone" (l'ascesa e il declino), le tastiere cominciano a farsi sentire prepotentemente, con pesanti strings-orchestrations, synth taglienti e sezioni più electro, che si accentuano ulteriormente nella successiva "Si Se Non Noverit" (l'Illusione). Le linee vocali di Jay Gadaut, spesso inframezzate dal growl del bassista Jean-Gabriel, non stancano (quasi) mai: il modo in cui la cantante riesce ad incarnare lo spirito dei brani e a fornirne un'interpretazione davvero sentita, modellata appositamente su di essi, è qualcosa di eccezionale. Fantastico è anche il brano centrale strumentale "Enlightenment" (apoteosi), che a parer mio meriterebbe un 100 e lode anche solo per il contemporaneo/neoclassico intro pianistico. Il canone orchestrale viene portato fino alla fine, sostenuto dal graduale ingresso di tutti gli strumenti, creando un'atmosfera epico-romantica. Senza dubbio il mio brano preferito del lotto. In “The Shallow and the Deep” (tentazione), la placida dolcezza iniziale data dal leggero cantato della Gadaut viene spezzata da passaggi decisamente più aggressivi grazie all'accelerata della band, che appesantisce repentinamente il sound (the Deep appunto). La seguente "Let You Win" (perdono) invece, diventa completamente strumentale dalla metà in poi, con tastiere e chitarre che si articolano in una concatenazione continua di assoli, a sottolineare anche le qualità tecniche eccelse dei musicisti francesi. Subito dopo lo scompiglio di "Bound" (sacrificio), arriviamo alla fine con "One Last Harvest" (l'insignificanza), che rappresenta pienamente lo spirito di un azzeccato finale: i ritmi si abbassano, le vocals si intrecciano elegantemente con i cori che si adagiano su un costante tappeto di tastiere a creare la giusta atmosfera per arrivare allo sfumato finale. Nella mia bonus edition sono presenti anche due traccie finali supplementari, "Jack in the Box" e "The Acrobat", che non sono però necessarie ai fini della valutazione: anche senza di esse infatti, si può comunque constatare l'ottima riuscita di quest'ultimo album targato Benighted Soul. Bel colpo dei francesi che con quest'ultimo lavoro compiono un altro grande passo sul loro percorso artistico. Vedremo quali news ci arriveranno prossimamente dalla Lorena! (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Savage Prod - 2015)
Voto: 85

lunedì 21 dicembre 2015

Poseidon – Octavius

#PER CHI AMA: Symphonic/Cinematic/Progressive, Arcturus
La band russa di Stravropol, dopo aver pubblicato nel 2014 'Infinity' per Argonauta Records, è tornata in pista, nell'estate del 2015, con questo lungo singolo di quasi dieci minuti, qui proposto in doppio formato composto da una lunga suite cantata e a seguire lo stesso brano in veste strumentale. Devo ammettere che mai riferimento ad un genere fu più azzeccato di quello che gli stessi autori si sono affibbiati, ossia 'cinematic metal'. Il brano è straordinario, carico di suggestioni sonore vicinissime alle colonne sonore, preferibilmente epiche, classicheggianti e sinfoniche, oserei quasi dire perfette sotto ogni profilo. Pur mantenendo una forma molto metal, il suono acquista sfaccettature progressive e moderne con una qualità sonora veramente degna di un colossal, suonato divinamente e concepito per stupire, aiutato poi da un'ottima produzione. Nella versione cantata, la performance vocale fa la differenza, solcando le orme di un death metal sinfonico, in cui il canto dona ulteriore epicità al brano, e l'interpretazione a più voci risulta veramente indovinata e di alta qualità. Nulla è fuori posto, è tutto esageratamente completo e stilisticamente perfetto, cori, synth, tastiere e chitarre dal divino, classico gusto progressivo, una sezione ritmica impeccabile, compatta e peculiare, precisissima, effetto cinematografico ed un modo di intendere il metal senza singoli sfarzi musicali ma una coralità invidiabile, una compattezza adorabile, un'ottima attitudine al suono d'insieme, ideale per raggiungere l'intento sonoro della band, ovvero, un maestoso e potente metal progressivo dal sapore fortemente cinematico. Dieci minuti di intenso piacere, da ascoltare interamente senza riserve. Ottimo lavoro, ora attendiamo il full length! (Bob Stoner)

(Crowford Records - 2015)
Voto: 80

domenica 27 settembre 2015

Hollow Haze - Countdown to Revenge

#PER CHI AMA: Power Sinfonico
I vicentini Hollow Haze, capitanati dal chitarrista fondatore Nick Savio fin dal 2003, hanno da poco pubblicato il loro sesto album in studio, ‘Memories of an Ancient Time’, il quale sta riscuotendo un discreto successo. Tuttavia, quello di cui andiamo a parlare oggi è il precedente full-length della band, quel ‘Countdown to Revenge’, pubblicato nel 2013, che forse rappresenta il loro lavoro migliore. La formazione degli Hollow Haze del 2013 vede dietro al microfono il signor Fabio Lione, veterano della scena power italiana (Rhapsody of Fire, Vision Divine, Labyrinth), che sicuramente rappresenta una spinta in più per il gruppo veneto. Punto di forza di ‘Countdown To Revenge’ è la collaborazione anche con la Wintermoon Orchestra di Simone Giorgini, che apporta una interessante innovazione nel sound della band, amalgamando la potenza delle composizioni di Nick Savio ad azzeccate orchestrazioni sinfoniche, le quali fortunatamente non rubano mai la scena, ma vanno ad inserirsi nel sound dei nostri senza appesantirlo troppo. Lo si può percepire già dalla cavalcata iniziale “Watching in Silence”, che si presenta con un pomposo intro orchestrale fino all'ingresso della band che ci travolge con la sua accelerata, a cui partecipa anche l'orchestra che sembra non mollare mai la presa, andando a creare uno dei passaggi più belli del disco. Le atmosfere sinfoniche ci accompagnano fino alla fine del brano (e anche per tutto l'album), in cui possiamo apprezzare anche un ottimo assolo di chitarra, che mette in luce le doti tecniche di Savio. Il disco prosegue con il tipico sound power-moderno dell’ensemble veneto, sempre accompagnato dalla Wintermoon Orchestra e arricchito dalla voce del grande Fabio (che qui si è occupato anche della stesura dei testi) che ci accompagna fino all'interessante suite che dà il nome all’album, per poi concludere con la strumentale “The Gate To Nowhere” che ci riporta alla dimensione iniziale. Un altro ottimo passaggio a favore per la formazione vicentina, che con quest'album mette a segno l’ennesimo colpo per farsi largo nella scena, valorizzati peraltro dal sempre ottimo lavoro di produzione da parte di Sascha Paeth, sicuramente uno dei produttori in circolazione più in gamba in assoluto che rende questo disco uno spettacolo di suoni. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Scarlet Records - 2013)
Voto: 80

http://www.hollowhaze.com/