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lunedì 7 settembre 2020

Dawn of a Dark Age - La Tavola Osca

#PER CHI AMA: Black Avantgarde/Folk
Dopo aver saputo che Vittorio Sabelli aveva ricostituito la sua creatura Dawn of a Dark Age (supportato questa volta alla voce da quell'Emanuele Prandoni di cui abbiamo recentemente recensito l'album degli Anamnesi), ero assai curioso di ascoltare i contenuti del nuovo disco. Abbandonato il filone relativo ai sei elementi della Terra, Vittorio è tornato questa volta con una tematica di carattere storico, 'La Tavola Osca' (o Tavola degli Dei), che dà appunto il titolo alla release e si riferisce ad un antico reperto di bronzo del III secolo a.C. appartenuto al popolo dei Sanniti, che testimoniò l'esistenza della lingua italica nella terra di origine del musicista molisano. Il disco pare muoversi attorno alle vicende che hanno portato al rinvenimento della lastra bronzea nel 1848 e alle sorti che la portarono a scomparire e ricomparire nelle mani di vari personaggi storici, ma il tutto è ben spiegato all'interno del booklet. Si parte dall'opener "La Tavola Osca - Le Divinità - pt.1 (Excerpt 1)", una song che sembra voler ricalcare il passato musicale dei nostri, attraverso la combinazione di un black serrato contrappuntato da una forte componente folklorica, il tutto palesato da ritmi incalzanti, screaming vocals ma anche da splendide melodie in sottofondo. Interessante il mid-tempo a metà brano con certi interessanti richiami a sonorità anni '70. Vittorio non rinuncia ovviamente alla furia del black, ma nemmeno alle trovate avanguardistiche che da sempre contraddistinguono il progetto. Si prosegue con i suoni pù calibrati di "La Tavola Osca - Le Divinità - pt.2 (Excerpt 2)" dove largo spazio viene concesso alla narrazione degli eventi da parte della voce di Vittorio stesso, ma l'apoteosi si raggiunge quando la scena se la prende l'imbizzarito clarinetto del polistrumentista italico, con un assolo da brividi, che mi fa ricordare il motivo per cui non vedevo l'ora di riascoltare la musica dei Dawn of a Dark Age. Quasi a voler parafrase il suo titolo, "La Tavola Osca - Processione Funebre pt.3 (Excerpt 3)" assomiglia ad uno di quei cortei funebri che sono stati messi in scena nella filmografia del sud Italia. Sicuramente un brano suggestivo a suggellare l'italianità di un lavoro che sembra voler affrescare scene della vita del nostro Mezzogiorno. Terminato questo trittico di brani facenti parti dell'Atto I del disco, ci troviamo di fronte al secondo Atto, che prosegue in "La Tavola Osca (I Atto)", con la narrazione da parte del factotum nostrano degli eventi storici come se si trattasse di un audiolibro, con tanto di strumenti acustici e clarinetto in background ad accompagnarne la lettura. Bisogna immergersi quindi nel coinvolgente contesto storico-musicale di queste parole e note, lasciandosi sedurre dal folk acustico del sempre più imprevedibile polistrumentista originario di Agnone, che da li a breve si lancerà in un'altra cavalcata dal sapore post-black. Ma la song, della durata di ben 23 minuti, regala sprazzi di grande musica evocativa, toccante, tribale, mediterranea, feroce quanto basta per definire questa suite un piccolo gioiello incastonato nella discografia del mastermind italico. L'ultimo atto, "La Tavola Osca (II Atto)", nei suoi 17 minuti narra di quando nel 1873 il British Museum acquistò la collezione artistica che includeva la tavola stessa e che oggi stesso ancora la preserva, alternando nel suo corso, fumantine esplosioni black con popolari intermezzi da sagra di paese. Gli ultimi dieci minuti che rappresentano verosimilmente l'ultima scena del lavoro, sono affidati ad un antico e litanico rituale in cui vengono menzionati peraltro i nomi delle divinità sannite incluse nella tavola. Alla fine, 'La Tavola Osca' segna il graditissimo ritorno sulle scene di uno dei musicisti più talentuosi e originali della nostra penisola, con un album strutturato, dotato di una buona dose di raffinatezza e sicuramente ben suonato, che peraltro unisce con grande interesse due ambiti culturali, la musica e la storia, ove il folklore popolare ne rappresenta il minimo comun denominatore. (Francesco Scarci)

domenica 30 agosto 2020

Amiensus - Abreaction

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Gli Amiensus li conosciamo molto bene, avendoli peraltro da poco recensiti nello split album con gli Adora Vivos, ma quello era un apripista per questo nuovo lavoro, che sarà presto fuori per la Transcending Records. 'Abreaction' ci consegna una band in ottimo stato di forma, ma questo era già stato appurato nell'ultimo dischetto. La proposta del quintetto del Minnesota prosegue alla grande in quella sua ricercatezza musicale che ha reso grandi gli Agalloch ad esempio, ma credo che la band sia già un passo avanti rispetto all'ensemble originario dell'Oregon. Lo si capisce immediatamente da "Beneath the Waves", splendida traccia d'apertura che mostra le eccelse qualità dei nostri che si muovono a cavallo tra black, suoni atmosferici, blackgaze, dark e progressive con una disinvoltura da veri fuoriclasse. E in parallelo con quest'alternanza musicale, anche i vocalizzi di James Benson fanno altrettanto, tra growl e clean vocals. Splendido l'incipit corredato con tanto di archi, della seconda "Divinity", una song malinconica e coinvolgente nel suo tiepido avanzare che ben presto, nonostante la delicatezza delle vocals, ci sommergerà con una ritmica dirompente ed un placido finale nuovamente affidato al violoncello. Ma la compagine statunitense è davvero ispirata e il black compassato della terza "To the Edge of Life" ci offre uno spaccato differente, più aggressivo degli Amiensus, pur senza rinunciare a break atmosferici e ad un acustico finale. Ancora black mid-tempo con "A Convocation of Spirits" (tra l'altro riproposta in chiusura interamente acustica), una song sinistra permeata da una diabolica vena doomish, in grado comunque di palesare tutta la classe del combo soprattutto nell'ampio utilizzo degli archi e dalla presenza di un interessante dualismo vocale. Il disco è un susseguirsi di piccoli gioiellini che mostrano gli enormi passi in avanti compiuti da questo collettivo in pochissimi anni. Quindi se dovessi suggerire un altro paio di pezzi, direi senza dubbio "Cold Viscera", canzone devastante che forse si distacca dalle altre, complice un feeling che mi ha evocato qualcosa dei Dissection. Infine "All That is Unknown", scelta invece per la sua vena sinfonica che rappresenta un altro unicum di un album che si candida ad essere una delle sorprese di questo strano 2020. (Francesco Scarci)

(Transcending Records - 2020)
Voto: 82

https://amiensus.bandcamp.com/album/abreactio

domenica 23 agosto 2020

Рожь - Один сажень/Остов

#PER CHI AMA: Funeral/Black/Doom
Quella di oggi è una one-man-band proveniente dalla Carelia, quella regione russa al confine con la Finlandia descritta peraltro nel lavoro 'The Karelian Isthmus' degli Amorphis. A parte queste divagazioni geografico-musicali, la band si chiama Рожь che in italiano starebbe per segale, quanto meno stravagante come moniker. Detto questo, il lavoro contiene in realtà 'Один сажень' e 'Остов', i due EP del mastermind russo e sembra narrare una breve storia su un vecchio morto che nessuno sapeva chi fosse. Purtroppo la lingua cirillica non mi aiuta a capire molto di più, e allora meglio concentrarsi sulla musica. I primi quattro brani sono estratti da 'Один сажень' e si aprono con le soffocanti atmosfere di "Один", il cui sound sembra immediatamente delineare la direzione funerea intrapresa dal polistrumentista sovietico. Si, stiamo parlando di funeral doom, in una versione che si avvale di corpose e melodiche linee di chitarra che evocano il duo Draconian/Saturnus con dei vocalizzi growl che a malapena si percepiscono in background. Grande spazio è lasciato a lunghe pause ambient che caricano di una certa tensione l'aria già di per sè rarefatta del disco e così, di quasi 10 minuti di musica, quasi il 50% è affidata a queste minimaliste parti atmosferiche, in cui sembrano esserci eteree voci in sottofondo. Il risultato è convincente e mi spinge a volerne sapere di più e quindi affrontare con maggior spensieratezza le successive tracce. Ecco quindi susseguirsi la brevissima "Платье под железом", ponte per la più abrasiva "Головы", vera tormenta post-black che evolve in sonorità più black doom oriented. A chiudere il primo capitolo la ritualistica "Сажень", affidata al solo cantato del musicista russo e a delle spettrali tastiere in background. La seconda parte del disco include le tre song di 'Остов', aperte dagli archi di "Пасха", sicuramente un bel biglietto da visita per l'ascoltatore. L'introduzione è sempre abbastanza lunga e sembra essere la virtuale continuazione della precedente traccia, prima che inizi ad infuriare il mastodontico sound delle sei-corde (prima lento e poi impetuoso) e l'efferato screaming del vocalist, in un altro pezzo tipicamente post-black, sebbene il finale riservi curiose contaminazioni. La pseudo strumentale "Рукава и сажа" rivela le influenze per il nostro polistrumentista derivanti, a livello chitarristico, dallo sludge che ben si coniugano col doom e il post che spopolano un po' ovunque all'interno del disco. In chiusura, la title track, altri quattro minuti di non musica, fatta da voci evocative e parti ambient affidate agli archi che stimolano non poco l'immaginazione di chi sarà pronto e senza paura ad immergersi in questo viaggio targato Рожь. (Francesco Scarci)

domenica 26 luglio 2020

Derhead - Irrational I

#PER CHI AMA: Black/Dark, ...And Oceans
È uscito giusto un paio di giorni fa 'Irrational I', il nuovo EP dei liguri Derhead. Li avevo recensiti nel 2017, in occasione del loro precedente lavoro, 'Via', ora il comeback discografico della one man band capitanata da Giorgio Barroccu, vede il sound del mastermind italico proseguire sulle coordinate di quel lavoro, ossia ritmiche dissonanti sparate alla velocità della luce con i vocalizzi distorti del frontman a poggiarvisi sopra. Fortunatamente, non sono solo colate di selvaggia brutalità a farla da padrona, visto che la lunga opener, "The End for Now", vede l'esplorazione di territori più avanguardistici e giusto un filo più distanti da quel black cascadiano che avevo descritto in precedenza. Diciamo che la proposta dei Derhead si è fatta più complessa, incorporando elementi provenienti anche dal doom (soprattutto in occasione della seconda "Corpses of Desire") e dall'industrial, pur mantenendo la matrice di fondo black, coadiuvata però da buone linee melodiche che attutiscono la furia di quel marasma sonoro che tenderebbe a prevaricare. La già citata "Corpse of Desire" è ancor più interessante proprio per quella sua capacità di fondere ancestrali atmosfere dark/doom nella prima parte del brano con l'irruenza del black metal e anche certi sperimentalismi a livello solistico che aumentano la componente "personalità" di parecchio e che vedono francamente una mia grande e gradita approvazione. Ecco, se la nuova direzione stilistica intrapresa dai Derhead fosse questa, beh ne sarei francamente soddisfatto, perchè ancora con piccoli accorgimenti che non ne snaturino il sound, credo che ne potremo sentire delle belle nel tanto atteso full length d'esordio. (Francesco Scarci)

(Brucia Records - 2020)
Voto: 72

https://derhead.bandcamp.com/album/irrational-i

Bait - Revelation of the Pure

#PER CHI AMA: Black/Doom/Hardcore, Converge, Neurosis
Prosegue il trend esterofilo della Les Acteurs de l'Ombre Productions che questa volta va a pescare la sua nuova creatura in Germania. Signori, vi presento i Bait e il loro terzo lavoro (due EP in precedenza) intitolato 'Revelation of the Pure'. La proposta dei nostri (che vede la presenza di un membro dei Der Weg Einer Freiheit tra le proprie fila) combina in modo inequivocabile il black metal con l'intemperanza dell'hardcore. Questo almeno quanto si intuisce quando a decollare nei nostri stereo è "Nothing is Sacred", una centrifuga sonora velenosa che in poco più di tre minuti, palesa la mostruosità della proposta sonora dei teutonici attraverso sfuriate black e divagazioni hardcore appunto. Con la successiva “Leviathan III” ad entrare in scena in questo macello sonoro, ci sono addirittura rallentamenti doomish che arricchiscono ulteriormente l'ammasso sonoro che ritroviamo in questo lavoro. Il disco si muove in modo totalmente irrequieto, tra accelerazioni post-black, fantastica quella di "Into Misery" a tal proposito, e tirate di freno a mano, come accade nella stessa. Questi i punti di forza del terzetto di Würzburg che rivela le abili doti dei tre musicisti, e allo stesso tempo la loro incazzatura con il mondo. È lo screaming ferale del frontman a dircelo cosi come le ritmiche al fulmicotone sparate nell'acidissima "Lightbringer", una song a dir poco incendiaria, visto l'utilizzo spasmodico dei blast-beat su linee di chitarra lanciate a tutta velocità. Più lenta e melodica "Ruin", il pezzo relativamente più tranquillo del lotto ma anche quello venato di una forte dose di malinconia, che lo erige a mio preferito dell'album, soprattutto a fronte di quel fumoso break centrale, con il famigerato tremolo picking a prendersi tutta la scena. Anche "Odium" pare avere un approccio similare a "Ruin" con quel suo incipit compassato, malinconico e che sembra costituire la classica quiete prima della tempesta, e cosi sia. Infatti, la violenza irrompe a gamba tesa con un rullo compressore di chitarre e ferali screaming vocals. La title track invece è più melmosa nel suo incedere, strizzando l'occhiolino ad uno sludgecore comunque intriso di black ma anche di prog. Nulla di cosi semplice da digerire sia chiaro, però certo non un sound che appare cosi scontato. Con "Forlorn Souls" si torna sulla retta via della violenza roboante fatta di chitarre e urlacci disperati, ma anche di tremolii atmosferici di chitarra. Ancora una manciata di pezzi mancano a rapporto: "Eternal Sleep" si apre con un giro di basso mefistofelico e un approccio apparentemente più orchestrale che divamperà ben presto in un torrente dapprima furioso e poi placidamente intrappolato nelle sabbie mobili di uno sludge doom davvero claustrofobico. In chiusura, ecco "In Aversion", una song che in poco più di quattro minuti, ci prende prima a bastonate, poi ci coccola, e poi ci dà il definitivo colpo di grazia con una mattanza di suoni devastanti che chiamano in causa, in ordine casuale, Converge, Neurosis e Celeste. Non sarà certo una passeggiata affrontare questo 'Revelation of the Pure', ma vi garantisco che i contenuti non vi lasceranno certo insoddisfatti. (Francesco Scarci)

lunedì 1 giugno 2020

Duthaig - Harlech's Sleep/Cyhyraeth

#PER CHI AMA: Post Black
Giusto un paio di pezzi per valutare il demo cd degli svizzeri Duthaig, 'Harlech's Sleep/Cyhyraeth', ossia il titolo dei brani in esso inclusi. Il quartetto di Losanna, formatosi solo nel 2019 ed ispirato dalla tradizione celtica, irrompe con i riverberi ancestrali di "Harlech's Sleep", l'aggressiva opener di otto minuti che ha subito l'ardito compito di delineare il sound dei nostri. Riffing glaciale, harsh vocals, una valida componente tastieristica che ammorbidisce l'impatto altrimenti brutale della band elvetica. Le sorprese non finiscono certo qui, perchè alla soglia del terzo minuto, i furiosi blast beat e le chitarre acuminate, vengono interrotte da un break ambient dal forte sapore bucolico. Ma in brevissimo tempo il sound dell'ensemble torna ad irrobustirsi con il velenoso tremolo picking della chitarra a costruire una ritmica pungente che trova però in un mood più malinconico, fonte di salvezza dalla ferocia della band. E poi il finale, ancora votato all'ambient, rende giustizia ad una traccia altrimenti troppo raw-oriented. È il turno poi di "Cyhyraeth" e l'inizio imbastito da un post-black furioso non promette certo bene, complice un fitto marasma sonoro che riempie le nostre orecchie, annichilendoci i neuroni. La tempesta sonora però trova il suo attimo di pace a metà brano con un dialogo che pare estrapolato da un film e delle tiepide melodie che preservano fortunatamente i nostri padiglioni auricolari prima del gran finale, tirato ma comunque atmosferico, di quest'opera prima dei Duthaig, un nome da appuntare sui nostri taccuini, in un'ottica futura. (Francesco Scarci)

(Self - 2020)
Voto: 68

https://duthaig.bandcamp.com

Vast Souls - Voice of the Burned

#PER CHI AMA: Atmospheric Epic Black, Windir, Agalloch
Lo scorso 2019 usciva autoprodotto il debut album della one-man-band canadese Vast Souls, in questo 2020 ripreso dall'etichetta russa Narcoleptica Productions. 'Voice of the Burned' rappresenta il primo vagito di Echo, polistrumentista originario di Vancouver. Sei i pezzi a disposizione per il mastermind di quest'ogg per affrontare un viaggio introspettivo attraverso la natura umana, tra la morte e la rinascita, affrontando l'orrore e le bellezze del cosmo, il tutto attraverso un black atmosferico dalle forti tinte autunnali. L'odissea per l'autore inizia dall'incantesimo iniziale di "Zenith", una splendida traccia di black intrisa di una potente aura malinconica che si esplica attraverso desolanti break ambient, ove lo screaming affranto di Echo è accompagnato dai soli tocchi di un'impalpabile tastiera. "The Felling of the Sacred Tree" è il secondo capitolo del lungo viaggio pianificato da Echo, attraverso un percorso che va ben oltre i 13 minuti di durata, grazie ad un black lento e venato di quel mood depressive tipico di act quali gli Shining (quelli svedesi). Ampio spazio quindi per i momenti atmosferici dove dar modo al frontman di esibire vocalmente tutte i suoi oscuri pensieri ma anche da cui ripartire con galoppate post-black o epici riff di windiriana memoria che segnano l'ascolto di questo davvero interessante lavoro. Un altro lungo pezzo questa volta che si assesta oltre il muro dei 12 minuti, ecco "Runes Beneath the Bark", un altro piccolo segmento di tristi emozioni elaborate attraverso una lunga parte iniziale affidata alla voce del factotum canadese e della sua magica tastiera. Poi ancora spazio alle riverberate ed epiche linee di chitarra, ai desolati intrecci melodici e a tutta la magia di un suono che non finisce di stupire, richiamando per certi versi qui gli Agalloch più ispirati, anche se per raggiungere le vette dei maestri, servono ancora degli aggiustamenti nel marasma sonora in cui Echo tende talvolta a incunearsi. Ma niente paura, i margini di miglioramento sembrano abbastanza importanti, soprattutto quando arriva il turno di "The Great Sentinel"e per il mio cuore è un altro tuffo nel passato dei Windir, forse qui meno epico, ma di sicuro impatto emozionale, laddove più ampio spazio viene lasciato all'afflato strumentale del musicista nord americano. Quando invece Echo concede spazio alle sue harsh vocals, diciamo che l'effetto emotivo tende ad assottigliarsi. Nulla di grave per carità, ma in una prossima release lavorerei di più su una preponderanza strumentale piuttosto che a dar più voce alle corde vocali. "Stream of Aeons" parte già rutilante nel suo tappeto ritmico, con le chitarre scarnificate al massimo nella loro essenza (al pari dello screaming), di contro, la batteria vanta momenti in cui emerge forte il tamburo quasi a scandire il trascorrere del tempo. La sensazione è che questa song sia stata scritta in un periodo anteriore rispetto alle altre, forse perchè mostra un mood leggermente più old school, pur mantenendo comunque integri gli ingredienti che caratterizzano il sound dei Vast Souls. L'intermezzo atmosferico non manca nemmeno qui, seppur in versione più minimalista, ma è proprio da qui che si riparte con un'altra splendida galoppata di black epico e struggente in un climax ascendente, a tratti davvero da brividi. "Ether" è l'ultimo pezzo di questo gioiellino: inizio acustico, solo caldi colori autunnali quelli che si configurano nella mente mentre ascolto le note appaganti dell'incipit che obnubilano i sensi prima che irrompa il cantato di Echo ed una ritmica che si mantiene comunque in territori black mid-tempo compassati che chiudono con un ultimo arpeggio, un disco dotato di molte luci e qualche ombra che andrà sicuramente diradandosi in una delle prossime release. (Francesco Scarci)

(Narcoleptica Productions - 2020)
Voto: 78

https://vastsouls.bandcamp.com/

domenica 17 maggio 2020

Forelunar - Sonorous Colours of Dolour

#PER CHI AMA: Post-Black
Che rabbia quando gli album interessanti rimangono relegati a semplice disco digitale, l'impressione è che scivolino nel dimenticatoio assai più velocemente. Questo è quanto accade a 'Sonorous Colours of Dolour', disco di debutto della one-man-band iraniana Forelunar, il cui mastermind è anche mente di altri progetti altrettanto interessanti del sottobosco, quali Erancnoir, Etheraldine ed Forestionist, tanto per citare i principali. La proposta dei Forelunar è per il sottoscritto un toccasana quando sento la necessità di immergermi in sonorità decadenti, malinconiche ma che comunque mantengono intatto lo spirito battagliero del post-black senza rinunciare però alla poesia e al romanticismo che un genere cosi estremo avrebbe comunque da offrire. A dir poco splendide le melodie dell'iniziale "Epicede" che si muove tra accelerazioni black e un molto più ampio e variegato paesaggio atmosferico, quasi dilaniante da un punto di vista emotivo per le sue melodie cosi fortemente autunnali. Questo album lo vorrei in un formato fisico, lo vorrei toccare, annusare, stringerlo nei momenti di difficoltà, captare quali siano i messaggi che il bravo Harpag Karnik vuole trasmetterci attraverso ogni sua singola nota, come quelle elegiache poste nell'incipit di "Ardour" giust'appunto prima che divampi quel tornado ritmico che sembra spazzare via tutte le nubi che offuscano la mente. Lo screaming indecifrabile dà voce solo alla nostre coscienze narrando tutto quello che si muove dentro a noi stessi e che emerge e si infrange nelle note di questa song favolosa, presagio di un altro uragano all'orizzonte, "Dolour". Qui il fragore irrompe fin da subito con quella ritmica che ha le sembianze di una nuvolaglia che avanza veloce insieme al vento, chitarre, blast beat e soffici tastiere che ne ammortizzano il vigore fino ad un improvviso break di pianoforte che, diavolo, trovo inebriante nella sua semplicità espressiva e ci sorregge fino alla conclusiva "Sanguine". L'incipit questa volta affidato allo scroscio dell'acqua, sa molto di quiete dopo la tempesta, ma alla fine mi rendo conto che quest'ultimo pezzo ha un flavour burzumiano, quello della recente èra ambient, che porta a chiudere questo brillante 'Sonorous Colours of Dolour', che auspico sia in grado di trovare chi possa produrlo in formato fisico al più presto. Sarebbe un delitto infatti lasciar cadere nell'oblio un simile gioiello. (Francesco Scarci)

venerdì 1 maggio 2020

Wows - Ver Sacrum

#PER CHI AMA: Post Metal/Black, Altar of Plagues, Amenra
La Primavera Sacra (Ver Sacrum in latino) era una pratica rituale di origine antica, che consisteva nell'offrire negli anni di carestia, come una sorta di sacrificio, tutti i primogeniti nati dal 1º marzo al 1º giugno; l'immolazione non era però reale, in quanto i bambini crescevano come sacrati, per emigrare in età adulta a fondare nuove comunità altrove. Ora, questa Primavera Sacra è stata traslata per identificare il periodo di uscita di questo nuovo capitolo degli italici Wows, affidando una sorta di sacralità all'evento (questa la mia libera interpretazione), dato che abbiamo atteso quasi cinque anni per ascoltare la terza fatica dei nostri. E non ne vedevo l'ora. Cinque pezzi quindi per tastare il polso ai sei musicisti veronesi, anche se "Elysium" è una malinconica intro pianistica sul cui sfondo si aggira una spettrale e appena percettibile voce femminile. "Mythras" divampa poi spaventosamente nelle mie casse, con una ritmica al vetriolo, schiaffi sui piatti, una voce che arriva direttamente dall'oltretomba e una minacciosa crescita musicale che mi rievoca immediatamente uno dei brani che più ho amato degli Altar of Plagues, "God Alone". Date un ascolto attento alla song e godete con me nel sentire come gli insegnamenti dell'ensemble irlandese siano stati presi in dote dalla band e riadattati, resi forse anche più claustrofobici nell'evoluzione angosciante di una traccia che rischia di divenire alfiere di una nuova ondata post-black. Si perchè, parliamoci chiaro, l'evoluzione dei nostri iniziata già ai tempi di 'Aion' non si è affatto conclusa ma prosegue nel suo dilaniante disagio interiore, esteriorizzato dai suoni malefici e angusti di questo 'Ver Sacrum' che pone la band di fronte ad un nuovo bivio futuro, di cui vorrei conoscerne già la risposta. Tornando alla track, questa si muove in bilico tra un sound melmoso e un più furente e apocalittico post-black, figlio di questo maledettissimo periodo che stiamo vivendo. È gioia estatica la mia nel farmi inglobare dall'insana musicalità della compagine nostrana e quale orgoglio nel sentire che simili suoni escano da una band italiana piuttosto che dalle solite realtà americane o svedesi. Che abilità poi nel passare tra lo sludge, il black, l'hardcore e poi concludere con un funeral dalle tinte morbosamente ossessive. "Vacuum", la terza traccia, è tutt'altra cosa con un incipit shoegaze, fatto di impalpabili e decadenti melodie di chitarra e nostalgiche clean vocals che riversano il proprio straziante malessere su quei minimalistici tocchi di chitarra. Poesia allo stato puro, che non preannuncia nulla di buono, visto che sul finire del pezzo, la realtà sembra distorcersi e sembra volerci annunciare di prepararci ad affrontare una distorta forma di realtà. E cosi sia. "Lux Æterna" parte da lontano, con quanto rimane dal precedente album, ossia un minimalistico pizzicare di corde di chitarra e la voce del buon Paolo Bertaiola a declamare pochi versi (ci sento un po' di scuola Amenra in questo frangente). Un ipnotico riff di chitarra inizia a salire nel frattempo, affiancando il più muscoloso riffing portante, mentre una terza chitarra sembra addirittura lanciarsi in un tremolo picking dal forte effetto disturbante. Un forte senso di angoscia sale man mano che le chitarre nel loro marziale incedere, vedono la voce del frontman urlare straziata. La song rimane però bloccata nelle sabbie mobili di un tortuoso e ossessionante giro di chitarra, francamente avrei osato di più in questo frangente, considerata la sua rilevante durata di oltre 13 minuti, un peccato perchè la song sembra castrata e depotenziata nei dettami di un genere che necessita di nuove intuizioni. E arriviamo, senza nemmeno rendercene conto, alla conclusiva "Resurrecturis", non sembra, ma trentadue minuti di sonorità oscure sono già scivolati e quanto ci rimane, sono gli undici rimanenti dell'ultima traccia. L'inizio è un ambient dronico che funge da apripista ad un sound che persiste nel parcheggiarsi dalle parti di un post-sludge lisergico ove riappaiono i fantasmi dei Neurosis ma pure dei Tool. La voce di Paolo si conferma su tonalità pulite ed acute, ma sempre dotate di un profondo senso di sofferenza, mentre il saliscendi ritmico alla fine è da mal di testa e per questo varrebbe la pena sottolineare la performance dietro alle pelli di un magistrale Fabio Orlandi soprattutto nel roboante finale affidato ad un feroce climax ascendente. Per concludere, non posso che enfatizzare ottima la performance in toto della band italica, sebbene in tutta franchezza, avrei garantito più minutaggio alla componente post-black dell'iniziale "Mythras", vero gioello del disco. Aggiungerei poi i complimenti al duo Enrico Baraldi e Luca Tacconi dietro al mixer presso gli Studi Sotto il Mare dove la band ha registrato e ultima menzione per il lavoro sempre di prim'ordine, di Paolo Girardi per l'ennesima spettacolare cover artwork del disco. Che altro volete di più, devo forse intimarvi di far vostra questa spaventosa creatura che risponde al nome di 'Ver Sacrum'? Ora vi prego, non fateci attendere un altro lustro per avere nuove notizie della band, si sa dopo tutto che la fame vien mangiando e io ho già appetito per un'altra release targata Wows. (Francesco Scarci)

(Dio Drone/Coypu Records/Hellbones Records/Shove Records - 2020)
Voto: 81

https://thewows.bandcamp.com/album/ver-sacrum

venerdì 3 aprile 2020

Constellatia - The Language of Limbs

#PER CHI AMA: Post Black, Deafheaven, So Hideous
E anche in Sud Africa il fenomeno Post-Black sta trovando terreno fertile. Dopo Wildernessking e Crow Black Sky, ecco arrivare anche i Constellatia (band in realtà formati da membri delle due citate band) a diffondere il germe oscuro laggiù, a quelle latitudini remote con un lavoro, 'The Language of Limbs', davvero degno di nota. Non tanto perchè il quartetto di Città del Capo si è inventato un genere, piuttosto per una freschezza nelle loro idee ed una capacità comunicativo-emozionale che da un po' non suscitava in me determinate emozioni. Quattro lunghe tracce per 35 minuti di musica affascinante, un'ondivaga esperienza che parte dalla sognante opener, "All Nights Belong To You". Questa è una song che rivela la doppia anima del combo sudafricano, diviso tra ritmiche e screaming feroci ed un'altra decisamente più melliflua, votata ad atmosfere post-rock e vocals femminili (a cura di Alison Rachel degli Honeymoan) che stemperano quell'oceano in tempesta che sa tanto di scuola Deafheaven e che saltuariamente sale alla ribalta con le sue splendide melodie messe a disposizione di una componente ritmica ad alto tasso di pericolosità. "In Acclamation", a differenza della opening track, parte molto più compassata, per poi rullare su territori quasi punk ed infine prendere il volo in una deflagrante e ruvida parte post-black, "addolcita" da una meravigliosa melodia di sottofondo che ne interrompe improvvisamente la furia, proponendo uno psichedelico break acustico, ove lo screaming del frontman rimane giusto in sottofondo, lasciando in primo piano uno struggente romanticismo strumentale. "Empyrean" è un pezzo più classico di black mid-tempo che probabilmente non rimarrà negli annali della musica però, quella sua seconda vibrante parte di chitarra, merita comunque un ascolto. A chiudere il disco ci pensa la traccia più lunga del disco, "The Garden", un pezzo che nelle sue note iniziali potrebbe essere stato tranquillamente concepito (e suonato) dai Pink Floyd, cosi delicato e suadente, con la voce di un'altra brava donzella, Lucy Kruger (già incontrata qui nel Pozzo dei Dannati) a palesarsi con le sole chitarre acustiche in accompagnamento. Poi, non appena la voce ruggente del vocalist le si affianca, ecco che le chitarre elettriche tornano a fare il loro sporco lavoro e la song inizia ad accelerare pericolosamente. Ma lo dicevo all'inzio del carattere instabile di questo disco, dei suoi umori, delle sensazioni che 'The Language of Limbs' è in grado di generare lungo il suo decorso, e che avremo ancora modo di assaporare sul finale del brano tra chitarrismi abrasivi e splendide atmosfere che sanciscono l'eccelsa riuscita di un disco davvero gradevole che in Italia è passato ahimè quasi del tutto inosservato. (Francesco Scarci)

(Isolation Records - 2019)
Voto: 78

https://constellatia.bandcamp.com/releases

venerdì 13 marzo 2020

Borgne - Y

#PER CHI AMA: Black Sperimentale, Aborym, Dodheimsgard
Impugnate la vostra matitina e prendete nota di questo disco perchè già oggi si candida ad essere una delle migliori release in ambito estremo di questo tribolato 2020. Gli svizzeri Borgne sono tornati con un lavoro spaventoso per intensità e qualità esecutiva. 'Y' è il loro nono album, e devo ammettere di non aver particolarmente amato i precedenti otto, un disco che propone uno sconfortante concentrato di black metal sporcato da contaminazioni industrial e visioni post apocalittiche (che in questo periodo ci stanno davvero alla grande). Sette le tracce a disposizione dei nostri per 65 minuti di musica malefica che sembra essere uscita direttamente dalle porte dell'Inferno, carica di odio ma anche di una massiccia dose di melodia. Il cd, in splendido formato digipack, si apre con le tonanti melodie di "As Far as My Eyes Can See", un pezzo che irrompe nel mio lettore con la medesima deflagrante violenza che aveva avuto "Disgust and Rage (Sic Transit Gloria Mundi)" pezzo apripista di 'Generator' degli Aborym. Ecco gli Aborym di quell'album potrebbero essere un bel punto di contatto per la nuova release del duo di Losanna. Tuttavia mi verrebbe da pensare anche ai Dodheimsgard e al loro black avanguardistico industriale per descrivere quello che i Borgne sono oggi. Come detto, non sono mai stato un fan della band elvetica, tuttavia mi ritrovo ad infiammarmi ed entusiasmarmi per un disco mastodontico. Ascoltatevi il ritmo incalzante di "Je Deviens Mon Propre Abysse", quasi una traccia dance all'inizio (e anche alla fine) che muta in una violenta melodia che governa un pezzo cosi incredibilmente ricco di pathos e ottime orchestrazioni. Ancora ammiccamenti di matrice industrial-cibernetica per la lunga e sorprendente "A Hypnotizing, Perpetual Movement That Buries Me In Silence", sorprendente per un finale che sembra chiamare in causa addirittura i Depeche Mode (soprattutto a livello vocale). Con "Derrière Les Yeux De La Création" i Borgne sembrano spostarsi invece in territori dark folk, complice quella chitarra acustica in apertura dal sapore cosi bucolico, seguita poi da un'atmosfera quanto mai glaciale e funesta che rende l'aria pesante da respirare anche quando i nostri cercano con spaventose accelerazioni, di mutare quel mood catastrofico che la song si porta dietro, figlia di giorni di sconforto e terrore. Si cambia ancora questa volta con la follia sintetico cerebrale di "Qui Serais-Je Si Je Ne Le Tentais Pas?" e la sua colata di melodie informi che si muovono tra sonorità a rallentatore e altre elettroniche, prima di immergerci nell'ambient malato di "Paraclesium", una pausa di nove minuti in attesa del gran finale affidato a "A Voice In The Land Of Stars". L'ultima song infatti include ben oltre 17 minuti di musica in cui converge tutto quanto creato sin qui dal duo formato da Bornyhake e Lady Kaos: l'inizio è lento ma poi la velocità e l'umore nero della band elvetica, hanno il sopravvento creando un wall of sound orrorifico, complici peraltro le splendide keys gestite dalla bravissima Lady Kaos. Alla fine devo ammettere che 'Y' è un signor album, moderno, sofisticato, alquanto originale a cui sarebbe il caso di dare una grossissima chance. (Francesco Scarci)

(LADLO Prod - 2020)
Voto: 83

https://ladlo.bandcamp.com/album/y

Sertraline - These Mills are Oceans

#PER CHI AMA: Blackgaze, Agalloch
Sertraline atto terzo, quanti gli EP (solo in digitale ahimè) fatti uscire negli ultimi tre anni dalla band di Buffalo, che prende il nome del generico dell'antidepressivo Zoloft. Ora avrei un desiderio, ossia che l'etichetta canadese Hypnotic Dirge Records che supporta la band, mettesse tutti e tre gli EP su supporto fisico, grazie. Ma veniamo a 'These Mills are Oceans', lo splendido lavoro di oggi. Tre pezzi per venti minuti di musica che combinano post metal, post black atmosferico e depressive con grande maestria ed efficacia per un risultato che ho trovato semplicemente intenso ed emotivamente destabilizzante. Perchè queste mie parole? Ascoltate la malinconicissima "Eyes as Tableau", un pezzo che viaggia su una ritmica post metal che vive di qualche sporadica accelerazione black, ma soprattutto di melodie struggenti su cui poggia il cantato in screaming del frontman Tom Muehlbauer. La seconda "Their Cities" potrebbe essere un mix tra Agalloch, Shining e Cult of Luna, il tutto ovviamente suonato in tremolo picking con una portanza emotiva davvero da applausi, tra rallentamenti in acustico e malefiche sfuriate post black, con la melodia sempre collocata in primo piano. A chiudere il dischetto ecco "Prague": lunga intro ambient con tanto di voci malvagie in sottofondo che cedono il passo ad un estatico intermezzo acustico e clean vocals per passare poi ad una tiepida atmosfera blackgaze con le chitarre che ammiccano qui agli *Shels. L'intensità va salendo e il riffing riprende quota acuendo la propria cattiveria a pari passo con lo screaming arcigno del vocalist, per un risultato finale veramente notevole. A parte desiderare i tre EP in cd, gradirei ora anche uno sforzo da parte della band, ossia un full length. Grazie mille per prendere in considerazione i miei desideri. (Francesco Scarci)

giovedì 12 marzo 2020

My Purest Heart For You - Change of Heart

#PER CHI AMA: Post Black, Deafheaven
Ispirati all'anime giapponese 'Neon Genesis Evangelion: The End of Evangelion', i My Purest Heart for You sono l'ormai più non comune one-man band americana, come ce ne sono tante altre. Capitanata da tal Gwynevere, la band, dopo aver rilasciato tre Lp, di cui l'ultimo nel 2018, torna a farsi risentire con questo EP intitolato 'Change of Heart', in attesa di un nuovo platter da lanciare. L'EP consta di tre tracce che, dall'iniziale title track attraverso la successiva "Heavy Lights", fino alla conclusiva "Mirror Water", vaga per i territori non tanto inesplorati, del post black di scuola Deafheaven(iana). Preparatevi quindi a farvi investire da una matrice sonora corrosiva lanciata a tutta velocità, su cui si piazza la voce molto arcigna del factotum della South Carolina, che si diletta nel regalare anche attimi di quiete in mezzo a quel caos (melodico) generato. Si insomma, avrete intuito che l'attitudine (e forse anche il risultato finale) sono parecchio assimilabili a quelli della band di San Francisco. Fondamentalmente, la cosa non mi dispiace, soprattutto quando i tempi sono più rallentati e in mezzo a quel sound cosi impastato (e talvolta volutamente caotico), affiorano le melodie di cui Gwynevere si fa portavoce. Il problema è semmai che la proposta della band non è troppo originale: il tremolo picking chitarristico è seducente, accattivante, quello che volete, ma è qualcosa di già sentito. Allora forse la band è più efficace nel proporre quel riffing debordante come nella cavalcata conclusiva che ci mostra qualcosina di più interessante e apre a nuovi spiragli di novità nella release di cui auspico una veloce uscita. (Francesco Scarci)

domenica 8 marzo 2020

Anizvara - Atman

#PER CHI AMA: Blackgaze Strumentale
Un'altra one-man-band questa volta proveniente dal Cile, con un EP di tre pezzi che non deficitano certo in personalità. Gli Anizvara, stravagante moniker di questa creatura sud americana, propone un 3-track intitolato 'Atman', un dischetto che strizza l'occhiolino allo stesso tempo a blackgaze e post metal e che stuzzica non poco la mia curiosità in vista di una release più ufficiale di questa esclusivamente digitale. Comunque sia, i tre pezzi del lavoro si aprono con le furiose accelerazioni di "Krisis", stemperate dalle melodie malinconiche del mastermind di quest'oggi e da quelle suadenti atmosfere su cui il musicista cileno non lesina affatto. Bello immergersi in siddetti suoni con tanto di tremolo picking sempre in primo piano; vi basti ascoltare "Fire on Your Forehead" per schiarirvi ulteriormente le idee sulle eccelse qualità di questo progetto, cosi come pure con la conclusiva "Unknowable", due esempi di come si possa coniugare alla grandissima sonorità estreme con anche un più sognante post-rock intriso di splendide orchestrazioni e passaggi acustici (onore alla traccia di chiusura). Sin qui tutto benissimo ma, si c'è un ma, altrimenti mi toccherebbe parlare di un gran bel gioiellino. Ovviamente manca l'apporto vocale, per cui auspico già un cambio di rotta a partire dal prossimo album. Sapete quanto mi stia sulle scatole la mancanza di un vocalist che qui avrebbe rappresentato la classica ciliegina sulla torta. E allora, per favore, caro Anizvara, mettiamo un paio di urlacci sulla prossima release e un alto voto sarà qui garantito, promesso. (Francesco Scarci)

sabato 8 febbraio 2020

Sons of a Wanted Man - Kenoma

#PER CHI AMA: Post Black, Deafheaven
 Che botta! Il debut dei belgi Sons of a Wanted Man irrompe infatti con una violenza quasi disarmante nelle casse del mio stereo, con tanto di grida infernali ed ritmica arrembante, quasi a volersi presentare facendo le dovute premesse su quanto dovremo aspettarci durante l'ascolto di questo controverso 'Kenoma'. È un black scarnificante quello dei primi due minuti della opening (e title) track che evolve però verso lande desolate di un sound che ammicca in modo indiscutibile al post metal (e con relative vocals che virano improvvisamente al growl). Ma i quasi undici minuti della traccia sono multiformi, con continui cambi di tempo e forma, tant'è che mi sembra addirittura di percepire una forma primordiale di punk quando a metà brano c'è l'ennesima inversione di rotta (e vocals). Ma la song è mutevole, come ampiamente intuito nei primi minuti del brano, che ha ancora modo di proporsi sotto molteplici vesti, sfiorando il black doom e il depressive prima di risprofondare nella modalità post black della feroce "Serpentine". Qui, ritmiche tiratissime e screaming vocals, ma anche rallentamenti oscuri si coniugano in un marasma sonoro alquanto complicato da venirne fuori. E con "Canine Devotion" le cose si complicano ulteriormente e sapete il perchè? Questa volta non è un annichilente urlaccio ad aprire le danze ma la seducente voce di una gentil donzella che si assesta su un disarmonico pezzo dalle forti tinte shoegaze su cui tornerà a graffiare anche la urticante voce di Jan Buekers e di una sezione ritmica da incubo, a cavallo tra black e post-punk, dove vorrei sottolineare la prova disumana alla batteria di Mr. Kevin Steegmans, un uomo che parrebbe dotato di un paio di arti addizionali.In chiusura rientra la voce soave della vocalist in una versione più caustica dei Sylvaine. Con “Under A Lightless Sky” si torna nelle viscere dell'inferno con un intro di chitarra che poteva stare tranquillamente su 'Clandestine' degli Entombed ed un cantato di nuovo tra il possente e l'urlato. Il brano è una convincente cavalcata black metal corrotta qua e là da parti atmosferiche che ne assorbono tutta la malvagità. La parte centrale si mostra poi come un mid-tempo più controllato e melodico, ma io dei Sons of a Wanted Man, ho capito che non posso certo fidarmi e faccio bene. Appena si abbassa la guardia infatti, l'ensemble di Beringen, torna ad assestare mortiferi colpi in stile Deafheaven, sebbene accanto allo screaming ferale del cantante compaiano anche delle clean vocals. È il turno della seminale "Absent", che sferza colpi di brutal black che sconfinano nuovamente nel death metal. 'Kenoma' l'avrete capito non è un disco leggerino e "Amor Fati" non fa che confermarlo con un'altra tonante scarica adrenalinica che si muove tra ritmiche infuocate, altre mid-tempo, contestualmente ad un'alternanza vocale tra laceranti scream e oscuri growl. A chiudere il cd ecco l'outro ambient affidato a "Pleroma", finalmente la pace dopo la tempesta perfetta. (Francesco Scarci)
 
(LADLO Prod - 2020)
Voto: 70

martedì 4 febbraio 2020

Lauxnos - Crushed By Waves

#PER CHI AMA: Post Black/Dark
Russia, terra di lande desolate, crocevia di popoli provenienti da oriente e da occidente. Syktyvkar, città d'origine della compagine di quest'oggi, sembra collocarsi in mezzo, ai piedi degli Urali, dà i natali a questi Lauxnos, quartetto formatosi nel 2013 con all'attivo quattro EP, un live e tre album, di cui l'ultimo nato è questo 'Crushed By Waves', uscito lo scorso giugno per l'onnipresente Symbol of Domination Productions. Chi si aspettava una release all'insegna del funeral doom dovrà però ricredersi poichè quanto proposto dai nostri è un sound che, lungo le sue nove tracce, combina estremismi post-black con sonorità darkeggianti pregne di una discreta dose di malinconia. Tutto è immediatamente e maledettamente chiaro sin dai primi pezzi: "The Voice of Dead Ocean" è un buon esempio della proposta dei quattro musicisti russi che si muovono su ritmiche che fondono appunto sonorità estreme con altre più oscure, senza tralasciare ovviamente una bella porzione di melodia. La title track, collocata in seconda posizione, è già più caotica e meno apprezzabile, in quanto la linea ritmica sembra sia un po' abbandonata alla sua stessa forma di anarchia sonora. In questo impasto sonico si colloca poi il growling aspro del frontman Katharos, un nome un programma mi verrebbe da dire. Con la terza "In Total Darkness", aperta peraltro da un'abusata parte arpeggiata, la velocità sembra diminuire in bpm a favore di una cadenza ritmica più pronunciata e ad un maggiore utilizzo di cambi dei tempo. Certo le sfuriate black non mancano neppure qui ed è in questi frangenti che la band sembra perdere il controllo dei propri strumenti. Molto meglio invece nelle partiture ove le parti malinconiche vengono fuori con più decisione, tipo nella parte iniziale di "Whose Dream You Don't Dare Disturb", schiacciata poi da una centrifugazione di chitarre che ne inasprisce l'esito finale. Un peccato perchè mi sembra che i nostri rendano maggiormente nei mid-tempo o comunque nelle parti più atmosferiche o acustiche, anche se devo ammettere che queste ultime sono fin troppo abusate in questo cd. C'è allora da lavorare duramente nella costruzione di un sound più definito e curato nei dettagli per poter ambire ad uscire dalla massa. Non basta infatti eseguire il compitino per raggiungere la sufficienza quando le potenzialità sono ben maggiori. E lo si evince da "Bordering the Dawn", in cui la band prova ad utilizzare un cantato differente, quasi cibernetico, e si lascia poi andare in una più raffinata ricerca sonora, che vede srotolare splendide linee solistiche nella sua seconda parte, con un tremolo picking da brividi. In questo apprezzo maggiormente i quattro russi, quando vanno alla ricerca di trovate decisamente più ricercate (date un ascolto alla liturgica "Through the Gates" per intenderci o in quello che reputo il miglior brano del disco, "Lord of the Wild Waters"), molto meno invece quando i Lauxnos cercano di fare i duri del villaggio sciorinando una serie di killer riff che non portano a quagliare nulla di interessante. Insomma per concludere, 'Crushed By Waves' è un lavoro che mostra pro e contro (piuttosto grossolani) di una band che sta cercando di forgiare al meglio il proprio sound. Lasciamoli lavorare, diamogli credito e vediamo che salterà fuori in futuro. (Francesco Scarci)

domenica 1 dicembre 2019

Ketoret - Departure

#PER CHI AMA: Post Metal/Blackgaze
'Departure' non è altro che una prova per vedere di che pasta sono fatti gli israeliani Ketoret, pasta buona direi io. La band di Gerusalemme propone infatti tre tracce per 26 minuti di musica all'insegna di un post-metal riflessivo, impreziosito da certe venature blackgaze. Questo è almeno quanto ho potuto assaporare dall'ascolto dell'opening track "Ivy", una song che si dipana tra melodie solenni e decadenti assai simili ad una colonna sonora degna di un colossal, che solo sul finire prende le sembianze di un post-black (con tanto di screaming vocals) davvero ispirato, che non fa che aumentare la mia curiosità per questa compagine. Con mia sorpresa, l'incipit di "Box" è molto più pacato, con voci pulite che sembrano condurci in mondi alternativi (musicalmente parlando); poi sprazzi di ferocia, ma sono ancora le sonorità alternative a prevalere, prima che nuovamente la band si conceda ad un finale suggestivo all'insegna di un blackgaze sognante, che mi fa ben sperare per il futuro. E visto che ci siamo, diamo un ascolto anche all'ultima traccia, gli undici minuti di "Departure in a Heartbeat" che partono dai sussurri del vocalist che evolvono a grida di dolore su di un atmosferico tappeto di melodie soffuse che va via via crescendo fino all'esplosione di un pathos disarmante che mi lascia senza parole e per cui auspico, che quanto prima qualcuno si accorga di questi affascinanti Ketoret. (Francesco Scarci)

giovedì 21 novembre 2019

Asphodèle - Jours Pâles

#PER CHI AMA: Post Punk/Depressive Black/Shoegaze
Gli Asphodèle si sono formati nel 2019, ma non pensate che siano dei pivelli. La band francese che consta di cinque membri, include infatti batterista e chitarrista degli Au Champ des Morts, una band che ho particolarmente apprezzato nel 2017 con l'album 'Dans la Joie', la ex vocalist degli Amesoeurs, il cantante dei Aorlhac (che abbiamo già incontrato su queste pagine) e il bassista degli svedesi Gloson. Insomma, potrebbe risultare fuori luogo parlare di super gruppo però, se rapportato ai circuiti underground, non mi vergognerei affatto ad affermarlo. Che attenderci quindi da questo quintetto inedito? Vi risponderei semplicemente che tutti e cinque i musicisti hanno portato le loro pregresse esperienze in questo 'Jours Pâles', cercando di conglobarle con quelle degli altri. Pertanto, dopo l'intro strumentale di "Candide", ecco palesarsi in "De Brèves Étreintes Nocturnes" la voce di Audrey Sylvain, a portarmi con la sua timbrica, indietro di una decina di anni quando la brava cantante si dilettava con i vari Neige e Fursy T. nel loro inequivocabile concentrato di post-punk, shoegaze e depressive rock. Ad inasprire il sound però con echi post-black, ecco la chitarra sbilenca di Stéphane Bayle, uno che da 25 anni suona anche (e soprattutto) negli Anorexia Nervosa e ha pertanto una vaga idea di come fare male, a fronte anche di una nuova esperienza nei blacksters Au Champ des Morts. La musica degli Asphodèle si muove quindi in ambiti estremi anche se l'utilizzo massivo delle female vocals, smorzano la vena feroce della band, sebbene le ritmiche si confermino taglienti anche nella title track e il growling/screaming di Spellbound, cerchi di fungere da classico contraltare della soave performance della gentil donzella. Il sound dei nostri si arricchisce comunque di molteplici sfaccettature, dai break acustici della già citata title track, alle asprezze più black oriented di "Gueules Crasses", song dotata di una epica e gelida aura, grazie alle chitarre di scuola scandinava, mitigate dalle melodie vocali della particolare Audrey. Il disco scivola velocemente verso la fine attraverso altri pezzi, alcuni decisamente malinconici ("Nitide") ma comunque molto vari, altri che strizzano l'occhiolino più pesantemente allo shoegaze ("Réminiscences") song che trovo quasi fuori posto in questo contesto sebbene Spellbound cerchi di mantenere con la sua timbrica una certa connessione col depressive black. A chiudere invece "Décembre", un pezzo in stile Shining (quelli svedesi) che sancisce un disco interessante che sembra però mostrare qualche intoppo a livello di songwriting o comunque non avere una fluidità musicale ancora acclarata. 'Jours Pâles' è un lavoro discreto suonato da ottimi musicisti che paiono ancora non particolarmente amalgamati tra loro. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2019)
Voto: 68

https://ladlo.bandcamp.com/album/jours-p-les

martedì 19 novembre 2019

Mur - Brutalism

#PER CHI AMA: Post-Hardcore/Post-Black
Periodo prolifico per la Les Acteurs de l’Ombre Productions, che in poco più di due mesi, ha rilasciato un considerevole numero di release (e il meglio sembra che debba ancora venire). Questi Mur, da poco nelle mie mani, sono in realtà un side-project di act francesi quali Today is the Day, Glorior Belli, Mass Hysteria, Comity e Four Question Marks. 'Brutalism' è il loro debut sulla lunga distanza, sebbene i primi vagiti dei nostri risalgano al 2014 con un EP autoprodotto. Il risultato mi sembra piuttosto buono visto che non sembra il classico lavoro del roster LADLO Prod. La band infatti ci aggredisce con il sound intenso e fresco di "Sound of a Dead Skin" che pare coniugare il post-hardcore con una più sotterranea vena black, espressa probabilmente solo a livello di screaming vocals e di una robusta cavalcata conclusiva al limite del post-black. Ma questa è solo una delle sfaccettature espresse dal sestetto francese in questo lavoro, viste le disturbanti contaminazioni elettroniche disseminate un po' ovunque e un sound comunque più radicato negli estremismi hardcore che black. Ovviamente, bisogna mettere in conto che l'ascolto del disco non sia la classica passeggiata domenicale, viste le influenze rivolte al versante punk/hardcore. È bene quindi prepararsi mentalmente alla "rozzaggine" sonora di "I Am the Forest" o al più imprevedibile approccio catalizzante di "Nenuphar", dove rock, doom, hardcore, black, grind, post ed electro-noise si fondono all'unisono in una miscela polverizzante di suoni. La quarta song dal titolo lunghissimo, che vi risparmio per cortesia, è in realtà il classico raccordo tra la terza e la quinta traccia intitolata "Third", singolo apripista di 'Brutalism'. Scelta più che mai azzeccata viste le stranezze iniziali, le devastanti aberrazioni musicali, le dirompenti vocals, le stranianti ritmiche che probabilmente identificano "Third" come brano più violento e riuscito del disco. Ma le sorprese non finiscono certo qui, c'era da aspettarselo, visto lo stralunato e folle incedere di "My Ionic Self", una proposta non proprio alla portata di tutti, anzi direi da proibire assolutamente ai più deboli di cuore. Mi sa che dovremmo farcene una ragione perchè l'impressione è che man mano si vada verso la conclusione del disco, le sperimentazioni si facciano ben più presenti: "Red Blessings Sea", pur essendo più controllata nella sua furia, ha un impianto ritmico un po' malato. L'incipit elettronico "I See Through Stones" sembra quasi evocare la sigla di 'Stranger Things', prima di evolvere in dirompenti schiamazzi noise industrial black. La cosa che più mi sorprende è che il caos profuso dai Mur alla fine suona sempre piacevole e dinamico e questo è un grosso punto a favore della compagine francese. Un altro pezzo assai interessante (e forse il mio preferito) è rappresentato da "You Make I Real", una traccia emotivamente instabile, dotata di ottimi arrangiamenti e atmosfere apocalittiche che ci introdurranno all'epilogo di "BWV721", l'ultimo atto ambient/noise di questo inatteso 'Brutalism', graditissima sorpresa di fine anno. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2019)
Voto: 76

https://ladlo.bandcamp.com/album/brutalism

martedì 12 novembre 2019

N█O - Isolates

#PER CHI AMA: Black/Death
I N█O mi avevano piacevolmente colpito quando esordirono nel 2017 con il loro 'Adrestia'. Tornano a distanza di un paio d'anni con un EP, giusto per dire ai fan che la band ucraina è viva e vegeta e che sta lavorando a qualcosa di nuovo. La proposta del terzetto di Kiev prosegue sulla scia del debut con un post-black condito da contaminazioni post-metal. Se l'inizio di "Void" parte in sordina con un approccio mid-tempo, a metà brano la band scalda i motori, ingrana la quarta e inizia a pigiare sull'acceleratore con una bella scorribanda di oscuro post-black. I nostri sono imprevedibili, e forse per questo li avevo apprezzati, cosi a fronte dell'accelerata, assistiamo anche ad una bella frenata con tanto di testa a coda incluso, ossia un break acustico a cui fanno seguito le classiche melodie glaciali dell'ensemble, su cui vanno a piazzarsi le grim vocals del buon Andrey Tkachenko. Poi è solo una cavalcata verso l'infinito a chiudere questo primo pezzo. "The Room" è un angosciante intermezzo semi-acustico che ci conduce a "Dreamcatcher", una song che parte ritmata e prosegue con il medesimo piglio almeno fino ad un minuto dalla fine, quando gli strumentisti ucraini si scatenano per l'ultima furiosa scarica metallica. 'Isolates' alla fine non è altro che un discreto antipasto per tenere a freno gli appetiti voraci dei fan della band ucraina. (Francesco Scarci)
 
(BloodRed Distribution - 2019)
Voto: 65


https://bloodreddistribution.bandcamp.com/album/isolates