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venerdì 8 novembre 2019

Noorvik - Omission

#PER CHI AMA: Post-Rock strumentale
Con un moniker del genere avrei pensato a qualcosa di norvegese ed invece i Noorvik (il cui nome si rifà ad una città dell'Alaska) vengono "banalmente" da Colonia, con questo 'Omission' a rappresentare il loro secondo album. La proposta dei quattro teutonici è un post-rock strumentale che sembra poco abbia da aggiungere a quanto ormai inflazioni la scena da un po' di tempo. Eppure c'è un che di magnetico nella proposta dei nostri: sebbene il disco si apra in modo assai tiepido con "Floating", trovo un che di magico nelle sue note iniziali. Non credo sia quel basso che danza minaccioso nella traccia d'apertura, mentre i tocchi di tastiera generano quel pathos necessario a sostenere la struttura del brano. C'è qualcos'altro che sembra vada a crescere, e questa mia sensazione, una sorta di prurito al naso, molto spesso non sbaglia. Poco oltre la metà del brano infatti, ecco intensificarsi l'emozionalità dei suoni, ma anche la ferocia, con un finale che prende in prestito, almeno per una manciata di secondi, l'efferatezza del post-black, con una scarica ritmica davvero impressionante. E il quartetto non si ferma qui: "Above" miscela abilmente post-rock con suoni progressive e, maledizione che non ci sia una voce in stile Steven Wilson a guidare la musica, avrebbe reso ancor più alla grande i passaggi contenuti in questo notevole pezzo, che si muove in una girandola di chiaroscuri davvero gradevoli. "Hidden" è un bell'esempio di come si possano creare suoni pacati che lascino presagire ad un improvviso cambiamento, nella classica quiete prima della tempesta. La prima sottolineatura va all'eccellente prova del batterista, davvero fantasioso nella sua performance dietro le pelli. Nel frattempo, il lavoro alle chitarre va irrobustendosi con un riffing più roccioso in stile Russian Circle. Ma i cambi ritmici sono dietro l'angolo, con un ipnotico break ambient che sembra sospendere lo scandire del tempo. E come previsto, ecco che la tempesta, all'orizzonte fino a pochi secondi fa, nel frattempo si è avvicinata. Le chitarre nel loro malinconico avanzare, si sono fatte più minacciose e il frustare sulle pelli irrompe nuovamente come se si trattasse di un brano dei Deafheaven. L'ultima song, "Dark", è quella della conferma finale che tra le mani ci troviamo un nuovo campionario di suoni estremamente interessante in un genere quanto mai saturo come il post-rock. Le sembianze sono quelle di una malinconica colonna sonora, almeno per i primi sei minuti del brano, poi la violenza torna a mostrarsi con un finale aggressivo quanto basta per slegare del tutto i Noorvik dalla sola etichetta post-rock. In 'Omission' c'è ben altro, a voi l'elegante compito di decriptare al meglio l'eccitante sound dei Noorvik. (Francesco Scarci)

(Tonzonen Records - 2019)
Voto: 75

https://noorvik.bandcamp.com/album/omission

domenica 3 novembre 2019

Lambs - Malice

#PER CHI AMA: Crust/Post-Hardcore
Che fine hanno fatto i Lambs che ho recensito ormai tre anni fa su queste stesse pagine, in occasione dell'uscita del loro EP 'Betrayed From Birth'? Quella era una band di corrosivo post-hardcore/post-black, mentre i Lambs di oggi, sembrano piuttosto una realtà apparentemente più riflessiva, immersa in un contesto più vicino al post-metal. Questo è almeno quanto si evince dalla song posta in apertura di 'Malice', dall'eloquente titolo "Debug" (song che vanta peraltro la partecipazione di Paolo Ranieri degli Ottone Pesante e il musicista genovese Fabio Cuomo). Che si tratti quindi di una correzione del tiro da parte della compagine cesenate o che altro? Lungi da me trarre conclusioni cosi frettolosamente, visto che il finale della stessa si lancia verso un primigenio caos sonoro che richiama quello stesso corrosivo suono crust che avevo evidenziato in occasione del precedente dischetto, proseguendo addirittura con un sound ancor più aspro nella successiva "Arpia". La traccia si apre con ritmiche sghembe che strizzano nuovamente l'occhiolino alle band black della scena transalpina, per poi infilarsi in mefitici e fangosi meandri sludge (dove i nostri sembrano trovarsi più a proprio agio) e lanciarsi infine, come un treno fuori controllo, in un'ultima cavalcata dalle tinte oscure, non propriamente nere. È quindi il turno di "Ruins" e qui il ritmo va più a rilento, almeno fino al minuto 4 e 37, quando una grandinata improvvisa si abbatte sulle nostre teste. In "Perfidia", una song lenta e magnetica, i nostri si affidano all'italiano per il cantato e il risultato, devo ammettere, si rivela ben più efficace di quello in inglese. Certo, la song è assai particolare, muovendosi tra crust punk, math, uno sfiancante sludge e schizofrenia pura, risultando alla fine la mia song preferita. C'è ancora tempo per l'ultima sassaiola, quella affidata a "Misfortune", un brano che tuttavia parte piano con un timido esempio di post-rock in stile *Shels, con la tromba di Paolo Ranieri in sottofondo. Come anticipato però, di sassaiola si tratta e non c'è niente da fare, non la si può scampare quando esplode nella sua furia distruttiva. I Lambs cercano di attutirne i colpi, rallentando pericolosamente l'incedere intimidatorio del pezzo. Il giochino riesce alla grande ma alla fine provoca un giramento di testa non da poco, che mi sa tanto che mi accompagnerà per parecchio tempo. (Francesco Scarci)

(Argonauta Records - 2019)
Voto: 72

https://lambsit.bandcamp.com/album/malice

martedì 1 ottobre 2019

SednA - The Man Behind The Sun

#PER CHI AMA: Cosmic Post Black/Post Metal, Darkspace, Altar of Plagues
È il quinto lavoro che recensisco dei SednA (includendo demo e split), mi sa tanto che avrò più di un problema a trovare nuove parole per descrivere l'inedita fatica della compagine cesenate, da sempre in costante evoluzione musicale. E l'evoluzione anche questa volta parte da lontano, con l'ennesimo cambio di line-up e due nuovi innesti (del combo originario è rimasto il solo frontman Alex) e la scelta di rilasciare una singola traccia di quasi 34 minuti. 'The Man Behind The Sun' ci consegna una band in ottimo stato di forma che ormai ha trovato la propria strada e la calca da dieci anni con grande convinzione. Ma veniamo all'apocalittica song che compone questo lavoro, una traccia che apre con delle desolanti chitarre riverberate, sulle quali poggia la sempre malvagia voce di Alex. Da li in poi è come un incubo ad occhi aperti, tra partiture tribali e oscuri riffoni di derivazione tooliana, dispiegandosi in un post-metal di scuola Cult of Luna che va a fondersi con un suono che sembra provenire dal buio cosmico del nostro Sistema Solare, con la ritmica a farsi ancor più tetra. Stavolta la proposta della compagine italica non mi ricorda più esclusivamente gli Altar of Plagues, da sempre indicati come fonte di ispirazione dei nostri, citerei infatti un'altra band di riferimento, gli svizzeri Darkspace, anche se è più una percezione lontana che altro. I SednA sembra che si siano ritagliati il proprio angolo di inferno, dal quale insidiarci l'anima con accelerazioni improvvise, come quelle che esplodono più o meno ad un terzo del brano e che accanto a blast beat furenti, mantengono comunque quel piglio melodico, elemento fondamentale dell'act romagnolo, che non guasta assolutamente l'andamento del disco. La traccia, come inevitabile che sia vista la considerevole durata, si srotola attraverso molteplici umori, alternando parti atmosferiche (di derivazione post-rock) con le classiche ritmiche cataclismiche di scuola AoP o Wolves in the Throne Room. Poi è uno sprofondare negli abissi dronici dell'oblio, in compagnia della sola ipnotica chitarra e dei piatti del drummer; il suono del vuoto cosmico ed il flebile accompagnamento di una magistrale batteria (qui decisamente il mio strumento preferito) ci avvinghiano la gola, in un interiore moto circadiano che lascia spazio solamente all'immaginazione di ciò che vi pare, l'importante è che sia qualcosa di funesto, triste o decadente. Ma dalle viscere della terra c'è ancora modo e tempo di risalire, di inseguire una luce che per quanto accecante, ci riporti in superficie. Ed è lo screaming mefitico di Alex (che ad un certo punto assumerà sembianze quasi umane) a guidarci nella risalita, mentre le chitarre rieccheggiano nell'aire, rimbombano nello spazio infinito per poi implodere in una sorta di big crunch dell'Universo. Il finale è un crescendo impetuoso di umori che vedono l'ingrossarsi della ritmica, inasprimento dei vocalizzi e della velocità d'esecuzione, il tutto esaltato alla grande dall'apporto alla consolle di Enrico Baraldi degli Ornaments e di Lorenzo Stecconi (Lento e Ufomammut), che rappresentano la classica ciliegina sulla torta di un lavoro che vede in veste di guest star la partecipazione dello stesso Lorenzo a chitarra e synth e di Benjamin Guerry dei The Great Old Ones alla voce, ad impreziosire ulteriormente un album che farà la gioia degli amanti del post-black contaminato. Ah, dimenticavo, con 'The Man Behind The Sun', a livello lirico, i SednA chiudono la storia epico-fantascientifica iniziata con l'omonimo lavoro, e portata avanti attravero 'Eterno'. Chissà cosa ci riserverà il prossimo capitolo. Per ora affidiamoci al viaggio ad astra di 'The Man Behind The Sun'. (Francesco Scarci)

venerdì 27 settembre 2019

Huszar - Providencia (remaster)

#FOR FANS OF: Atmospheric Black Metal
Huszar is a one-man band created in Argentina in 2015 by Marcos Agüero, who has been pretty active in the scene since that year. In fact, he has created another three projects, which are related to the atmospheric black metal genre with the exception of Desprecio. Going gack to Huszar, we can say that this has been the most active project, as it has already released tree albums, alongside with some singles and splits. The album I am reviewing today is its last offering but not strictly a new one. The original recording was released two years ago and now it has been remastered and re-released by Morrowless Music, a new label founded by the well-known leader of the Swedish atmospheric black metal project Lustre, Nachtzeit. Thanks to this, Huszar’s 'Providencia' has a renewed production and a truly beautiful new artwork, which surely will catch the attention of more fans, especially those in the European scene, as this release was originally more restricted to the South American scene only.

This remastered version of 'Providencia' is a quite fine example of what Huszar does. The project is a quite interesting mixture of atmospheric black metal, some progressive influences and a good dose of post-metal. This means that the album´s tracks flow in a very natural way from the quite straightforward aggression, heir from its black metal influences, to a more quiet and instrumental esque sections, which are strongly influenced by post black and blackgaze. The instrumental post metal influenced sections cannot only be found as a part of the sung tracks, but also as full instrumental compositions, like for example the third track "Providencia III: La Flora que Crece Alrededor de Nuestras Catedrales". The most aggressive and blackish song like "Providencia IV - De los Cometas en Llamas Hicimos Vuestro Culto" balances the album with a welcoming forthright strength. Marcos delivers a quite competent vocal performance, with the expected shrieks which sound powerful, alongside with a quite well composed guitars with a unmistakable black metal style. Drums sound well executed, with a healthy combination of blast-beats and a more diverse patterns. The most pure mixture between the already mentioned influences have a greater room in the second and fifth songs, thanks to their generous length, clocking both over 15 minutes of time. Though the post, progressive and ambient influx can be found in almost every track, these longer compositions make possible to mix sections of every style in a quite natural way, flowing the track between seas of calm and moments of stormy fury. Those tracks are very tastefully composed and one of the best aspects is that you can´t complain about their length, which is always a good aspect. The remastered production makes the album sound more clear and balanced, especially on the guitars, which help the compositions to shine as a more solid set. 
 
'Providencia' is definitively a very good piece of atmospheric black metal, enriched with interesting and varied influences, where the compositions have been matured to sound elaborated yet reasonable easy to listen. An album which lasts more than one hour can always be a demanding listen, but Huszar makes possible to enjoy it without complaining too much about its length. I recommend keeping an eye on this project on its future releases. (Alain González Artola)

(Self/Morrowless Music - 2017/2019)
Score: 82

https://huszarblvck.bandcamp.com/album/providencia-remaster

lunedì 23 settembre 2019

Kora Winter - Bitter

#PER CHI AMA: Post-Hardcore/Math, Between the Buried and Me
Un paio d'anni fa, proprio in questo periodo, mi apprestavo a recensire 'Welk', secondo EP dei berlinesi Kora Winter. La band teutonica torna oggi con un lavoro nuovo di zecca, 'Bitter', il vero debutto su lunga distanza per i nostri cinque musicisti. Forti dell'esperienza maturata in tour con gente del calibro di Rolo Tomassi o The Hirsch Effeckt, la band ci offre otto isterici pezzi che proseguono con la proposta già ascoltata in passato, ossia all'insegna di un imprevedibile math/post-hardcore/screamo. "Stiche II" mette in mostra immediatamente tutto l'armamentario in mano ai nostri, con una dolce melodia su cui s'incagliano i vocalizzi psicotici (in lingua tedesca) del frontman; a dire il vero, il brano sembra più una intro che un pezzo vero e proprio, visto che è con "Deine Freunde (Kommen Alle in Die Hölle)" che emerge più forte la struttura canzone e con essa tutto il delirante approccio post-hardcore nelle partiture più ritmate e melodiche, che fanno da contraltare alla più ruvida e acida componente estrema della band, che sembra coniugare in poche ma efficaci accelerazioni post black, anche metalcore e mathcore, in un impasto sonoro davvero pericoloso quanto furente (ed efficace). I brani si susseguono in un altalenante mix di generi: con "Eifer" si parte in quinta, ma poi un chorus ed una linea di chitarra alquanto dissonante, ci conducono in territori stravaganti, quando, fermi tutti, la proposta dei Kora Winter, si sporca di influenze alternative, con tanto di voci pulite in una sorta di emo un po' ostico da digerire, almeno per il sottoscritto, che da li a pochi secondi, avranno comunque il tempo di abbracciare altri suoni che dire cattivi è dir poco. Ma niente paura, si cambia ancora registro con la spettrale title-track, che al suo interno sfodera sverniciate di violenza estrema, rallentamenti furiosi, aperture al limite dell'avanguardismo e di nuovo montagne di riff e rullanti infuocati, in un'altalena musicale ed emozionale spaventosa (che vede addirittura l'utilizzo di vocals evocative in stile Cradle of Filth). C'è di tutto qui dentro e se non si è abbastanza flessibili di testa, il rischio di switchare al nuovo album dei Tool, potrebbe rivelarsi assai elevato. Ancora suoni stravaganti con l'incipit di "Coriolis", in cui batteria e chitarra (e poi anche voci, in tutte le forme possibili) s'inseguono come in un gioco di guardia e ladri, in oltre otto minuti di frastagliatissime e funamboliche ritmiche che portano i nostri ad ammiccare un po' a destra e un po' a manca, e relegando alla seconda parte del brano, eleganti momenti post metal sulla scia dei connazionali e concittadini The Ocean. Prova convincente non c'è che dire, confermata anche dalla folle proposta di "Wasserbett", un pezzo che col metal, fatta eccezione per le pesanti chitarre, sembra aver poco a che fare. Scendono colate di malinconia, almeno a tratti, per la corrosiva "Das Was Dich Nicht Frisst", tra le song più tecniche dell'album, per questo ancor più complicata e sperimentale, soprattutto nella sua parte vocale. A chiudere quest'intrepida opera prima dei Kora Winter, ecco arrivare "Hagel", un'altra piccola perla che, se non avesse avuto il cantato in tedesco (per me il vero limite della band ad oggi), sarebbe stata ancor più convincente, visti i richiami anche ai Cynic e pure uno spettacolare assolo conclusivo. Per il momento accontentiamoci dell'incredibile portento sonoro offerto dai nostri, in attesa di altri sconvolgimenti futuri. (Francesco Scarci)

(Auf Ewig Winter - 2019)
Voto: 76

https://korawinter.bandcamp.com/album/bitter

sabato 31 agosto 2019

Ultar - Pantheon MMXIX

#PER CHI AMA: Post Black/Shoegaze, Deafheaven
Ho detto più volte che il post-black è giunto di fronte ad un vicolo cieco, cosi incartato su se stesso e con sonorità ormai troppo abusate. Eppure c'è ancora chi ha il coraggio di dire qualcosa di diverso in un ambito cosi chiuso. È il caso dei siberiani Ultar che se ne escono con questo meraviglioso 'Pantheon MMXIX', album ahimè disponibile solo in digitale e vinile (e per gli ultimi amanti del cd? ciccia). Tralasciando sterili polemiche, devo ammettere che la band russa, evocando peraltro col proprio moniker e il titolo dei brani il buon H.P. Lovecraft, mi ha sorpreso non poco con questo lavoro contenente sette pezzi ispiratissimi, che partendo da un background post-black appunto, trovano nuovi eccitanti spiragli per il genere. E poco importa se l'opener "Father Dagon" si trova in un qualche modo a citare da un punto di vista vocale anche i Cradle of Filth, a me musicalmente i cinque musicisti di Krasnoyarsk mi hanno semplicemente esaltato, nonostante il loro debut album omonimo non mi avesse proprio fatto impazzire. Partendo da un'ottima produzione, i nostri ci regalano uno dopo l'altro, dei pezzi convincenti a tutti i livelli, dalla musica, alle vocals e ad un sound pregno di contenuti, non solo black, ma pure shoegaze/post rock, come nella parte arpeggiata dell'opener, oppure nelle partiture etniche della seconda "Shub-Niggurath" (altro omaggio al grande scrittore), o nell'oscura quanto assai lunga "Yog-Sothoth", che parte da paranoiche linee di basso per poi affinarsi in splendide melodie dotate di una certa vena sinfonica che arricchiscono ulteriormente la proposta dei nostri. "Worms" è un brano più malinconico mentre che nel finale trova un'altra zampata vincente quando lascia ampio spazio alle partiture semi-acustiche del brano o a delle vocals femminili in background. C'è ancora tempo per la più orrorifica e strumentale "Au Seuil", cosi come per le conclusive "Beyond the Wall Of Sleep" vera tempesta black con lo screaming però troppo vicino a quello di Dani Filth e il gran finale lasciato alla tumultuosa (quasi post-punk) "Swarm" che sottolinea anche una certa ecletticità di fondo della band russa. Bravi, però ora gradirei una copia in cd! (Francesco Scarci)

(Temple of Torturous - 2019)
Voto: 78

https://ultar.bandcamp.com/album/pantheon-mmxix 

sabato 24 agosto 2019

Violet Cold - kOsmik

#PER CHI AMA: Blackgaze, Ghost Bath, Show me a Dinosaur
In un'estate in cui mi sono trovato improvvisamente apatico nei confronti del mio genere preferito, il metal, c'è ancora qualcosa che riesce a stuzzicare i miei sensi e a farmi amare questa musica. Ci ha pensato il buon Emin Guliyev, mente creativa dei Violet Cold, che torna con un nuovo lavoro, l'ottavo full length in quattro anni, intitolato 'kOsmik', uscito peraltro per la nostrana Avantgarde Music. Il cd del mastermind azero riprende dalle note post rock della precedente trilogia 'Sommermorgen', le unisce con le note esotiche del magnifico 'Anomie', infarcendo poi il tutto con stilose trovate post black e shoegaze dal forte impatto melodico. E quindi spettacolare in tal senso "Black Sun", song dal piglio feroce, ma altamente atmosferica e malinconica, caratterizzata dal dualismo vocale tra lo screaming di Emin e quello di una gentil donzella, con le melodie in sottofondo che si riempiono anche di influenze etniche e soprattutto classiche che esaltano la buona riuscita del brano. E io godo. Si perchè il flusso dinamico-musicale costruito dal factotum di Baku lo trovo estremamente piacevole e di buon gusto, in un momento in cui il post-black mi ha francamente frantumato i cosiddetti. E invece i Violet Cold continuano a produrre pezzi coinvolgenti, mai banali che mi fanno dire che c'è ancora spazio per la sperimentazione (la già citata "Black Sun"), per i suoni originali (fantastica l'ultra riverberata "Mamihlapinatapai"), per le emozioni oscure ("Space Funeral" e "Ultraviolet"), per gli echi di windiriana memoria (la title track) o i fortissimi richiami alla musica classica ("Ai(R)" evidente tributo a Johann Sebastian Bach e alla bellissima "Aria sulla Quarta Corda"). Che dire di più, se non invogliarvi ad avvicinarvi a questo brillante artista se ancora non lo conoscete ed ascoltare le sue splendide uscite su lunga distanza, tralasciando invece i fin troppo sperimentali EP. Ben fatto Emin! (Francesco Scarci)

(Avantgarde Music - 2019)
Voto: 78

https://avantgardemusic.bandcamp.com/album/kosmik

giovedì 20 giugno 2019

Vous Autres - Champ du Sang

#PER CHI AMA: Black/Post-core, Blut Aus Nord
In Francia non si sbaglia un colpo. Hanno vinto l'ultimo Mondiale di calcio, la Champions femminile di calcio negli ultimi quattro anni, primeggiano un po' ovunque, soprattutto nella musica estrema, che vede affacciarsi sulla scena i Vous Autres e il loro debut album, 'Champ du Sang'. Nove inni di pura malvagità all'insegna di un black metal contaminato da post metal, industrial, dark e doom. Questa è almeno la sensazione che scorgo durante l'ascolto dell'opening track, "Sans Lendemain", quasi nove minuti di sonorità sofferenti e malefiche, sorrette da atmosfere spettrali, screaming vocals, ma anche ritmiche tirate che mi spingono ad individuare in gente tipo Blut Aus Nord o Deathspell Omega, le principali influenze di questo duo originario tra Nantes e Parigi. "Pauvre Animal, Simple Pantin" prosegue sulla falsariga, provando a sgretolare certezze consolidate di chi ascolta, alimentandone invece paure e angosce. Colpa, senza ombra di dubbio, di quelle meravigliose atmosfere da castello infestato, generatrici di mostri ed incubi, create dalle sinistre keys e da un tappeto roboante di percussioni e chitarre graffianti. Non è possibile rimanere impassibili nemmeno di fronte alla notte più buia espressa in "En Souffrance Devant Dieu", cosi come dal deflagrante e marziale incedere di "Vos Erreurs Consternantes" che schiude ad un'altra influenza dei nostri, quella dei conterranei CROWN. Un disco multiforme questo 'Champ du Sang', un disco ove immergersi nel fangoso ed oscuro sound, fatto di riverberi, suoni ipnotici, splendide melodie soffuse, bombe ritmiche, vocalizzi dannati e ambientazioni minimaliste, decisamente rarefatte. Penso a "Tes Jours Passés" ad esempio, dove ampio spazio viene lasciato ad una lenta malinconica musicalità, con tanto di voci cerimoniali in sottofondo, quasi ad evocare lo spettro dei mai dimenticati (almeno per il sottoscritto) Decoryah per poi virare verso ambiti più orrorifici. Il disco alla fine è notevole, suonato con meticolosità e sagacia, sospinto da una buonissima vena creativa e vede ancora alcuni episodi di grande interesse. Uno di questi è lo sgangherato rifferama di "Le Gouffre est Devant", dissonante, sghembo, disarmonico, ma sempre estremamente ispirato, nella più pura tradizione transalpina. L'altro è rappresentato dalla lunghissima "La Tristesse de Tes Déboires", dieci minuti che si aprono con landscape desolati (chi ha detto Godflesh?) che coprono metà del brano, e lasciano poi posto ad una mistura di dark, black e post-core, davvero da brividi. Che altro dire se non invogliarvi all'ascolto di questo magnifico ed evocativo album, rilasciato da questi maestri di enigmatici suoni tenebrosi. (Francesco Scarci) 

(Sleeping Church Records - 2019)
Voto: 80

https://vousautres.bandcamp.com/album/champ-du-sang

lunedì 20 maggio 2019

Time Lurker/Cepheide - Lucide

#PER CHI AMA: Post Black, Au Dessus
Time Lurker e Cepheide, due band che qui all'interno del Pozzo dei Dannati conosciamo assai bene. Uno split, 'Lucide', che consta di sole tre tracce per oltre trenta minuti di musica. Partono i Time Lurker con un paio di pezzi ("No One is Real" e "Unstable Night") che confermano quanto di buono avevamo già sentito nel debut della one-man-band di Strasburgo, capitanata dal buon Mick (qui peraltro accompagnato da un secondo vocalist, Thibo dei Paramnesia), ossia un post black atmosferico dalle forti tinte apocalittiche, con tanto di cavalcate infuocate, spezzate da ombrosi rallentamenti doom e grida disperate (e soffocate) in sottofondo. Questo è quanto si sente nell'opener track, ancora peggio (o forse meglio) con la seconda impetuosa "Unstable Night", un fiume in piena di abrasive quanto mefistofeliche melodie che sembrano prepararci al nostro incontro con il Signore delle Mosche e a quello che sentiremo da li a poco, con la lunghissima traccia (quasi venti minuti) dei Cepheide. Il duo parigino ci propina proprio la title track dell'album, che per genere, potrei ammettere di essere assimilabile a quello del collega che ha aperto il disco, con la sola differenza nell'uso di vocalizzi più strazianti (di matrice suicidal black metal). La musica poi è per certi versi affine ad "Unstable Night", deviata, diabolica, malvagia e melodica quanto basta per disturbare i sensi e il nostro sonno notturno. Un lungo incubo da quale sarà difficile destarsi, anche nella parte più ambient della traccia, alla fine quella che differenzia le proposte dei due gruppi transalpini. Un succoso split album che sa di riempitivo in attesa delle nuove fatiche delle due compagini, un breve malatissimo viaggio nelle perverse menti di Time Lurker e Cepheide, che conferma, ancora ce ne fosse bisogno, l'eccellente stato di forma della scena estrema francese. (Francesco Scarci)

(Les Acteurs de l’Ombre Productions - 2019)
Voto: 72

https://cepheide.bandcamp.com/album/split-with-timelurker

lunedì 22 aprile 2019

Ellende - Lebensnehmer

#FOR FANS OF: Post Black
The black metal scene in the German speaking countries has traditionally been focused on a certain type of black metal where relentless songs were the norm, always intensive but retaining some sense of melody, which I have always found interesting. In recent times bands like the Germans Der Weg Einer Freiheit or the Austrian Ellende, without leaving aside this traditional approach, have increased this sense of melody creating albums where the atmosphere is particularly intense. Now it’s time to turn out our attention to the Austrian project Ellende. This one-man band was created by Lukas Gosch in Graz back in 2011 and this project is exclusively his property though he uses live members to play gigs.

Ellende plays a rather interesting mixture of black metal with atmospheric and post metal influences. From the very beginning, the quality of the stuff composed by Lukas was very good, though this project gained a bigger recognition in the scene thanks to the album 'Todbringer' which caught the attention of many fans. Thanks to this success, Lukas signed a new deal with the always recommendable label Art of Propaganda, which has made possible the release of the third and newest opus 'Lebensnehmer'. From the very first moment that you take a look the its macabre and war related artwork, you realise that this stuff is an ode to darkness and a melancholic approach to existentialism. Ellende’s stuff is primarily black metal with a strong atmospheric and mournful touch, where the guitars play a major role. This instrument´s tone varies from the most furious moments, mixing the most intense black metal with some post influences, and other sections where the riffs have a more tranquil and hypnotic touch. Those parts are the best ones in my humble opinion as they show the intense work Ellende has done composing these tracks. Like the guitars, the rest of instruments vary their tone and pace according to the approach of each song. This makes the compositions to flow very naturally from some fast and furious sections to the most mid-paced and even slow ones, where melodies are more prominent. A nice example of this could be the song “Der Blick Wird Leer”, which contains very contrasted parts. The keys play a secondary role in Ellende, though they have certain moments to shine during very short though inspired sections like in “Augenblick”, for example. Lukas likes to introduce some guitars with a more acoustic touch, as it happens in “Der Wege” or the excellent closing track “Atemzung”. The use of purely acoustic or, like this time, acousticesque electric guitar chords helps to reinforce the atmospheric and gloomy characteristics of Ellende’s music.

Ellende’s third instalment confirms the progression and quality of this Austrian project. 'Lebensnehmer' is an excellent work where the project reinforces its strengths and sounds more confident than ever. This album should help the band to increase its niche of fans, not only in the German speaking lands, but also in every country where people can appreciate this excellently done black metal. (Alain González Artola)

(Art of Propaganda - 2019)
Score: 85

https://ellende.bandcamp.com/album/lebensnehmer

martedì 16 aprile 2019

Sick Sad World - Imago Clipeata

#PER CHI AMA: Post-hardcore/Post-metal
A cinque anni di distanza dal precedente 'Murmuration', tornano i Sick Sad World, il moniker scelto dalla band francese, perfetto ad indicare questo nostro mondo triste e malato e testimoniare quanto il paese dei nostri cugini, sia attivo egregiamente un po' in tutti i generi musicali. Si perchè la compagine di quest'oggi ci porta nel mondo del post-hardcore, quello esistenziale ed emotivo. L'ensemble, originario di Nantes, ci offre sei tracce, che nascono dalle cupe tonalità di "The Family" e calano il sipario con "The Rope". L'opener mette comunque in mostra le eccelse qualità del quintetto sfoggiando appunto un tono dimesso, un suono compassato che si muove tra il post-metal e il post-hardcore appunto, con un rifferama compatto che trova in un paio di rallentamenti acustici e nelle sue improvvise accelerazioni, i propri punti di forza. A sottolineare la prova dei nostri aggiungerei anche l'ottima e caustica performance dietro al microfono di Julien, ma in generale, è tutta la proposta dei Sick Sad World a fare breccia nelle mie corde. Anche con la seconda e lunga "Battlefield" infatti, mi lascio travolgere da quelle vorticose ritmiche che prendono spunto dal post-black e si dilatano successivamente in partiture post-rock con tanto di voce pulita e sofferente che esalta ulteriormente la riuscita di questo brillante 'Imago Clipeata'. Devastante l'attacco di "Destroy" ma c'era da intuirlo, visto il titolo. La musica parafrasa alla perfezione la distruzione, probabilmente per quei suoi chitarroni ultra ribassati e quei vocalizzi acidi che li accompagnano. Quello che poi mi sorprende, sebbene non sia proprio una novità, è la capacità di questi musicisti di variare alla grande il tema principale e passare con estrema disinvoltura da scorribande post-core a melliflui rallentamenti o melmose atmosfere sludge. E vi dico che "Destroy" ci riesce alla grande, guadagnandosi il titolo di mia song preferita del disco. Non che la successiva "Echoes" sia da meno, grazie a quel suo magico incipit affidato a basso, piatti e voce in sottofondo, una perla che ammicca, tra gli altri, anche ad un certo dark/post-punk che completa alla grande il quadro di influenze dell'act transalpino. Ah dimenticavo, le melodie incluse in 'Imago Clipeata' sono davvero buone ancora una volta a testimoniare quale e quanta sia la maturità raggiunta dai Sick Sad World giunti ormai alla loro terza release ufficiale. Ancora suoni soffusi in apertura con "Market", voci sussurrate, tocchi di chitarra arpeggiata in quella che forse è la song più malinconica del lotto, anche quando nella seconda metà sembra incattivirsi e pestare maggiormente sull'acceleratore. "The Rope" dicevamo come ultimo atto del cd: un modo di calare il sipario con i controfiocchi grazie ad una song controversa, feroce, seducente, emotivamente instabile, depressa, insomma la summa del triste e malato mondo dei Sick Sad World. (Francesco Scarci)

giovedì 11 aprile 2019

Antre - Void

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Da Nottingham, il nuovo furore che avanza. In periodi di Brexit, speriamo che gli Antre possano abbattere quelle barriere che incredibilmente il Regno Unito ha deciso di alzare, quasi un salto indietro nei secoli bui della nostra storia, ma andiamo oltre queste beghe politiche e focalizziamoci sulla musica del quintetto britannico. 'Void' è il primo full length per i nostri, dopo un EP uscito nel 2017 ed uno split album lo scorso anno. Lp include nove tracce di focoso black che inizia a darci calci sugli stinchi a partire già dall'opener "Suffer the Light", una song che evidenzia il carattere irrequieto di una band formatasi solo nel 2017. La proposta, non troppo pulita da un punto di vista produttivo, mette in mostra la sua efferatezza con un riffing tipicamente post black, su cui si installerà lo screaming caustico di Patrick MacDonald. Poi è il turno di "Fear the Old Blood" una traccia dal carattere ancora più inquieto anche se inizialmente si palesa più rallentato; poi il nefasto riffing che puzza ancora di hardcore, probabile retaggio dell'ensemble, inizia a pigiare ancor di più sull'acceleratore e son dolori, anche se qui la voce di Patrick passa dallo screaming ad un urlato polemico, mentre il sound si muove a cavallo tra punk, black, hardcore, grind, doom e death in un impetuoso ed entropico sound, che si prende una pausa nell'acustica di "Denisovan", un breve intermezzo strumentale. Poi tocca ad "Into Oblivion" riprendere il filo del discorso qui interrotto ed ecco nuovamente una colata di suoni funambolici e discordanti, come se i Deathspell Omega jammassero con Defheaven e Napalm Death, mentre il vocalist passa con grande disinvoltura da urla bestiali ad altre un po' più teatrali, che sembrano richiamare gli A Forest of Stars. Più old school invece "Tyrant", una classica song black di poco meno di tre minuti. "Guided by Nightmares" esplode ancor più tonante nella sua isterica rincorsa black/death, rallentata solamente nella seconda parte, decisamente più compassata. Un altro break acustico, "The Frozen Deep", ed è tempo della veemeza esacerbante di "Infinite Abyss", dove nei suoi suoni sembra convogliare uno psicotico death sound che evoca gli Aevangelist in un gorgo ritmico (o forse meglio in un buco nero) da cui è impossibile far ritorno. Alquanto inatteso invece il finale affidato a "Beyond these Skies", inatteso perchè l'inizio si presenta assai morbido, in una strategia disorientativa per subire ancor di più l'attacco che da li a pochi secondi ci calerà sulla testa, in un finale che sembra omaggiare questa volta i conterranei Akercocke in un ammorbante assalto pestilenziale che segna il risucchio totale nel maelstrom creato dagli Antre dal quale sarà impossibile uscire. (Francesco Scarci)

(Withered Hand Records - 2019)
Voto: 70

https://antre.bandcamp.com/album/void

giovedì 4 aprile 2019

Heaume Mortal - Solstices

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Sebbene uscito da pochi giorni per l'etichetta Les Acteurs de l'Ombre Productions, 'Solstices', atto primo dei parigini Heaume Mortal, include brani in verità scritti tra il 2011 e il 2014. L'espressione musicale della band guarda al versante black, il genere prediletto ormai dalla label francese, come punto di riferimento per i nostri. L'ensemble, che peraltro include membri di Eibon e Cowards, due realtà che abbiamo già avuto modo di recensire su queste pagine, offre il classico sound dissonante, divenuto quasi marchio di fabbrica per la scena estrema transalpina. Lasciatevi investire quindi dalla furia sbilenca dell'opener "Yesteryears", una lunga suite di oltre 13 minuti che nel suo corso vedrà la compagine cedere anche a spartiti post-rock e sludge. Con questa verve cosi eterogenea, la proposta degli Heaume Mortal non si rivela affatto male, soprattutto perché i tre musicisti riescono a coniugare con una certa maturità (ma l'avevo detto che non sono gli ultimi arrivati), il post-black con sonorità più melmose, il tutto sorretto da voci al vetriolo. Forti di una produzione potente che esalta il suono di ogni strumento, la band ci dà in pasto alle proprie visioni destabilizzanti: strana a tal proposito la scelta di avere una song breve ma ficcante come "South of No North", due minuti in cui anche sonorità industriali sembrano convogliare nella musica degli Heaume Mortal. Ma che il sound dei nostri sia particolare, lo si deduce soprattutto da "Oldborn", una traccia che mostra il lato più deviato del trio, con reminiscenze avanguardistiche che riconducono ai Ved Buens Ende, grim vocals che sembrano ispirarsi ad Attila Csihar, momenti noise che probabilmente derivano dall'esperienza nei Cowards di vocalist e chitarrista. L'impianto ritmico è quello tipico del post metal, con dei lenti riffoni stratificati che addensano un sound già di per sé iper-saturo; e a chiudere, ecco un discreto assolo in tremolo picking. A metà disco una sorpresa, la sofferente ed ipnotica cover "Erblicket die Tochter des Firmament" dei Burzum, estratta dal controverso 'Filosofem', a raccontarci qualcosa in più in fatto di influenze della band; io ne avrei fatto volentieri a meno. Meglio invece quando la spettrale "Tongueless (Part III)" inizia a risuonare nelle mie cuffie, con il suo incedere imponente a metà strada tra Void of Silence e Cult of Luna, spruzzati di un forte alone black, a rappresentare probabilmente l'apice musicale di questo 'Solstices', che almeno per il sottoscritto finisce qui. L'ultima strumentale "Mestreguiral" ha qualche analogia con "Tomhet" di Burzum: ricordate quel brano elettronico, ipnotico e alla lunga noioso, che chiudeva 'Hvis Lyset Tar Oss'? Ecco, il paragone credo che sia quanto mai azzeccato, e come nel capolavoro del Count Grishnákh, forse si poteva ridurre di gran lunga la durata, se non addirittura farne a meno. Diverse luci e qualche ombra per il debutto degli Heaume Mortal quindi, un ascolto però è quanto mai dovuto. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2019)
Voto: 74

https://ladlo.bandcamp.com/album/solstices

giovedì 21 marzo 2019

Triste Terre - Grand Oeuvre

#PER CHI AMA: Black/Doom
Torna la Les Acteurs de l'Ombre Productions e con essa un nuovo carico grondante di estremismo sonoro, questa volta in compagnia dei francesi (ormai cosa acclarata) Triste Terre. Si tratta di un duo proveniente da Lione che manco a farlo apposta, propone in questo 'Grand Oeuvre', del black metal contaminato. Interessante notare come la band, all'esordio sulla lunga distanza dopo tre EP all'attivo fino ad oggi (più una compilation), individui Bach come unica fonte di influenza, un unicum direi in ambito estremo. Questa potrebbe essere identificabile nella opening track "Œuvre Au Noir", dove accanto ad un black mid-tempo dalle forti tinte atmosferiche, si pongono degli inserti di organo che possono evocare in realtà un qualsiasi compositore classico, ma mi piace immaginare che quello che ci ho sentito io, sia davvero il buon Sebastian. A livello vocale invece, Naâl si pone con uno screaming cupo alternato ad un cantato sguaiato quasi pulito ma sofferente, là dove il criptico sound avanza tra marcette militaresche ed immersioni al limite del funeral. I pezzi durano parecchio, vi basti pensare che l'opener, la traccia più lunga del cd, sfiora i tredici minuti, mentre le altre canzoni si assestano tra i nove e i dodici. Un attacco post black irrompe in "Corps Glorieux", una song che si riappropria ben presto della sua indole oscura, navigando in stagnose acque blackened doom, anche se non mancano le vorticose e caotiche accelerazioni in blast-beat. Diciamo che gli ingredienti tipici che si riscontrano nelle release della LADLO Prod, ci sono tutti e questo inizia un po' a far scricchiolare, a mio avviso, la strategia di selezione dei gruppi da parte dell'etichetta francese. Chiaro che fintanto che i dischi rilasciati otterranno un discreto successo, la ragione starà dalla parte della piccola ma potente label di Champtoceaux, però il consiglio è quello di cercare qualche soluzione alternativa per evitare di bollare ogni singola release con il marchio "è il solito sound della LADLO", sarebbe davvero un peccato. Però non posso far finta di niente e anche di fronte ad un più che discreto brano come "Nobles Luminaires", l'unica cosa che mi preme sottolineare è quel bridge di musica classica che si ritrova a metà, che risveglia in me echi lontani mai assopiti dei Windir di 'Arntor' o dei Dispatched di 'Motherwar', ma con le dovute differenze, perchè qui non c'è il medesimo e forte approccio da musica da camera che avevano le due band scandinave. Sembra che ai Triste Terre l'influenza classica rimanga bloccata in canna e faccia fatica ad emergere potente, probabilmente intrappolata nelle congiure di un tentacolare doom claustrofobico. Non so se sia un bene o un male, ma il disco prosegue a rilento con i rimanenti tre brani, per un'altra mezz'ora buona di musica lenta ed insana che, passando attraverso le discordanti melodie di "Grand Architecte", altra song dai profondi organoni e dall'incedere angosciante, arriva a condurci a due passi dal precipizio. "Lueur Émérite" apre con un semplice arpeggio, che cede il posto ad un liturgico cantato sorretto da una ritmica che somiglia più ad un mitragliatore M60 piuttosto che al trittico formato da chitarra/batteria/basso, il che lo leggo come un tentativo di regalare qualche variazione in più al tema, che talvolta sembra soffrire di una scarsa dinamicità di fondo. Il disco non è affatto brutto sia chiaro, però, si c'è un però, stenta a decollare. Forse è con la conclusiva "Tribut Solennel", ove la band si lancia nuovamente in sghembe melodie dissonanti di scuola transalpina, che la band diventa finalmente credibile in quello che fa, sfoderando soprattutto un esplosivo finale da applausi che sancisce, tra qualche difficoltà, la fine di quest'opera prima dei Triste Terre. 'Grand Oeuvre' è in definitiva un lavoro che si muove tra luci ed ombre, che palesa tuttavia le potenzialità ancora non completamente a fuoco di un duo che in futuro avrà modo di togliersi diverse soddisfazioni se solo si levasse di dosso quell'impersonale ruggine compositiva che talvolta ammanta il loro sound. Forza e coraggio. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2019)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/grand-oeuvre

domenica 17 marzo 2019

Black Yen - Lure

#PER CHI AMA: Instrumental Post-Rock/Doom
Il bassista dei deathsters austriaci Nekrodeus, nonchè musicista live dei post black metallers Ellende, Sebastian Lackner, ha cambiato mestiere, dando vita al proprio progetto solista, i Black Yen. Coadiuvato alla batteria da Paul Färber, il buon Seb rilascia tre brani strumentali che poco hanno a che fare con la violenza tritaossa della sua band madre o con l'irrequieta emotività degli Ellende. Partendo con l'ascolto di "Lure", la title track dell'album, è evidente che i propositi del buon factotum austriaco siano, almeno in apparenza, quelli di rilasciare una musica che spazi tra la pesantezza del doom e l'eteree atmosfere del post-rock. Il risultato sembra dar ragione a Seb, che si lancia in lunghe fughe sognanti, chitarre in tremolo picking, qualche cruda accelerazione post black (retaggio degli Ellende, ma anche un qualche ammiccamento ai Deafheaven) che prova a non farmi soffrire troppo per l'assenza di un vocalist. Decisamente diverso l'approccio della seconda traccia, "Drag", molto più morbida rispetto all'irruenza sprigionata dall'opening track di questo 'Lure'. Il sound è ritmato, forse un po' troppo minimalista per i miei gusti e che nei quasi otto minuti della song, fatica a decollare, almeno fino a quando, a due minuti e mezzo dalla fine, sembra scaldare i motori per un finale più dirompente, che tarda a venire e comunque a soddisfare appieno le mie aspettative. Con una voce a ricamo, probabilmente avrei sofferto meno questa frustrante attesa. Arriviamo alla lunga canzone conclusiva, i dodici minuti di "Throat Pain" e sono le plettrate di chitarra ad aprire, in un frangente acustico a tratti suggestivo. Il clima è rarefatto, spoglio, malinconico, qui le influenze post-rock di Sebastian convergono a creare un'attesa per un qualcosa che non tarderà a venire ossia l'esplosione di un cangiante rifferama che ancora si muove tra dilatazioni post, qualche sporadica accelerazione black e delicati arpeggi acustici. Interessante la scoperta dei Black Yen, sicuramente c'è ancora da lavorarci per definire una propria personalità, ma le premesse sono positive, se poi ci fosse una vocina qua e là... (Francesco Scarci)

(Self - 2018)
Voto: 68

https://black-yen.bandcamp.com/

martedì 5 febbraio 2019

Blurr Thrower - Les Avatars du Vibe

#PER CHI AMA: Post Black/Doom
Francia, one-man-band, black obliquo, Les Acteurs de l'Ombre Productions. Tutti i tipici ingredienti del metal estremo sono racchiusi in quest'album dei Blurr Thrower intitolato 'Les Avatars du Vibe'. Due brani per 36 minuti di musica marcescente, ferale, insana, ma comunque attraente perchè assai spesso il male ha una capacità seducente sull'uomo. L'EP d'esordio dell'act parigino, pur non inventando nulla di nuovo, mette in scena un lavoro che appassionerà certamente gli amanti del post black o di sonorità comunque estreme, spazianti tra post e doom. Si perchè "Par-Delà les Aubes" nei primi nove minuti è un attacco all'arma bianca tra accelerazioni disarmanti, urticanti screaming vocals e ritmiche infernali, più vicine al cascadian black metal che alle deviazioni francesi di scuola Blut Aus Nord o Deathspell Omega. Nei successivi nove minuti, il mastermind transalpino si getta invece in un riffing di chitarra dal forte sapore ambient/post rock, a sparigliare le carte sul tavolo per acquisire nuovi consensi, di sicuro ha ottenuto quello del sottoscritto. Il finale è ancora uno spaventoso tornado black che ci conduce, attraverso un ipnotico rifferama e a dronici scenari, alla seconda song, "Silences". Qui, la situazione non cambia poi molto, con la classica tormentata ritmica post black ad aprire le danze in una lunga galoppata che non lascia troppo spazio all'immaginazione, tanto meno alla quiete se non in un angusto rallentamento centrale, che verrà poi spezzato ancora una volta dalle intemperanze sonore dell'oscuro musicista che si cela dietro a questi Blurr Thrower, di cui sono certo, sentiremo parlare molto presto. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2019)
Voto: 70

https://blurrthrower.bandcamp.com/releases

giovedì 6 dicembre 2018

Entropia - Vaccum

#PER CHI AMA: Blackgaze/Trance/Post, Deafheaven, Thy Catafalque, Lux Occulta
'Vacuum' si candida ad essere uno dei miei dischi preferiti del 2018. La band che l'ha concepito è formata dai polacchi Entropia, che mi avevano già colpito favorevolmente col loro debut album del 2013, 'Chimera' ed in seguito con 'Ufonat'. Perché tutto questo entusiasmo vi chiederete? Perchè a mio avviso la band di Oleśnica ha ereditato lo scettro degli Altar of Plagues, l'ha arricchito con le idee deliranti dei Thy Catafalque, rilasciando un lavoro mostruoso per sonorità, sperimentalismi vari ed espressività, che mi ha fatto letteralmente perdere la testa. Il quintetto in un'ora di musica ed in soli sei pezzi, ne combina davvero di tutti i colori: si parte dagli oltre 15 minuti di "Poison", una song ipnotica che miscela elementi psycho trance con il metal estremo, black, post e tanto altro. È semplicemente follia, quella che vado ricercando da tempo immemore, quella che riempie e centrifuga il cervello, che nei suoi magistrali loop elettronici, pop-algebrici, incorpora tutto ciò che un visionario malato di musica metal, vorrebbe sentire in una canzone. I quindici minuti più destabilizzanti della mia vita, ma si sa che la scuola polacca ha altre band antesignane nel genere e penso ai Lux Occulta e alle loro ultime divagazioni avanguardistiche. Ecco, gli Entropia ci hanno messo tanto del loro, della loro classe che già era emersa in passato et voilà, ecco questo meraviglioso gioiellino di musica ascrivibile al genere sperimentale, avantgarde estremista, o come diavolo volete, a me non interessa. Per me è importante che voi diate un ascolto, anzi due, tre o forse dieci, a 'Vacuum' e al drumming ossessivo di "Wisdom" e alle folgorazioni dettate da non so quali sostanze proibite che hanno portato questi cinque pazzi musicisti a scrivere musica di tale consistenza. Delizia per le mie orecchie, e sarà altrettanto per tutti coloro dotati di una mente aperta, apertissima, perchè il disco non è proprio semplicissimo da affrontare. Citavo "Wisdom", un brano che mette in loop per cinque minuti lo stesso giro di chitarra e synth, prima di esplodere in una tremebonda cavalcata post black che sembra trarre ispirazione però da qualche riff prog rock di anni '70. Il tutto senza utilizzo di una voce (uno screaming peraltro fantastico che fa capolino qua e là nel disco) che farà la sua comparsa solo sul finire del pezzo, quando l'ultima centrifugata ci avrà dato il colpo di grazia. Ecco a cosa somigliano gli Entropia, ad una lavatrice che nella sua centrifugazione più estrema, rilascia splendide note musicali. Come quelle che aprono "Astral", un viaggio sparati nell'iper spazio più profondo alla ricerca di una qualsiasi forma aliena con cui interagire. Certo, la musica degli Entropia potrebbe essere un pericoloso biglietto da visita per la specie umana, gli extraterrestri la considererebbero un'arma pericolosissima visto che la ritmica della song somiglia di più ad un cannone laser. E nemmeno la title track ci dà modo di mostrare l'attitudine pacifica del nostro pianeta, è un'altra arma di distruzione di massa, che rallenta i suoi beat a tal punto da ipnotizzarci di fronte alla ridondanza sonica profusa. Un loop di suoni ed immagini che entrano nella testa e non accennano a lasciarci. Io questo album l'ho consumato, ascoltato decine e decine di volte, le sue melodie ormai le sento sotto la mia pelle, la sua furia belluina risuona nella mia testa, le sue geniali trovate le inserirei in un'ipotetica enciclopedia della musica metal, per spiegare come possono convivere differenti forme musicali sotto lo stesso vessillo. Con "Hollow", i suoni si ammorbidiscono un po', rimanendo nei paraggi di uno space rock malinconico, dove le vocals sono cosi cariche di pathos da far venire la pelle d'oca, grazie soprattutto all'eccezionale lavoro di tastiere e synth che accompagnano la progressione blackgaze che si sviluppa nella sua seconda metà. Gli ultimi dieci minuti sono affidati alle melodie di "Endure" e alla sua debordante quanto arrembante ritmica che sancisce la fine di questo capolavoro di musica estrema, che voglio consigliare anche a chi di estremismi non ne vuol sapere, ma ritiene di avere la mente abbastanza "open" da poter affrontare questa sfida targata Entropia. Album dell'anno per il sottoscritto? Mi sa proprio di si. (Francesco Scarci)

(Arachnophobia Records - 2018)
Voto: 90

https://entropia.bandcamp.com/

mercoledì 21 novembre 2018

Avast - Mother Culture

#PER CHI AMA: Post Black/Shoegaze, Deafheaven
Sono passati quasi due da quando recensii il primo album dei norvegesi Avast. Era infatti il 25 dicembre del 2016 quando pubblicammo, sulle pagine del Pozzo, la recensione dell'EP omonimo della band. Due pezzi che mi avevano colpito per quella loro selvaggia ed inquieta emotività di fondo. Oggi, i ragazzi di Stavanger tornano con un nuovo capitolo, 'Mother Culture', che tocca temi scottanti e d'attualità come quelli dei cambiamenti climatici, che cosi da vicino ci stanno coinvolgendo, dagli incendi della California alle concomitanti furibonde nevicate della East Coast, arrivando alle devastanti calamità che da poco hanno colpito anche il nostro paese. Su questi temi e il rapporto natura-uomo, ecco insinuarsi la musica degli Avast, attraverso sei pezzi di un blackgaze che risponde con forza e convinzione alla proposta degli statunitensi Deafheaven. Tutto questo è assai palese sin dall'opener, la title track, che si prende la grande responsabilità di aprire l'album. Signori chapeaù. La song è debordante, una maligna cavalcata post black (e con qualche ricamo hardcore), che nei suoi attimi di quiete, cede ovviamente il passo ad aperture eteree degne del miglior post rock d'autore e ad atmosfere che ricordano da vicino quelle degli Alcest. Un pezzone insomma, che trova conferma nell'esplosività di "Birth of Man", passando però prima attraverso le ispirate note strumentali della suadente e splendida "The Myth". La terza traccia conferma tutto l'ardore palesatosi nell'opening track, forse qui ancor maggiore; ci pensano però i break acustici a spezzarne la furia e stemperarne gli animi. E le chitarre tremolanti del duo formato da Ørjan e Tron, abbinate al drumming furente di Stian ed ai vocalizzi al vetriolo di Hans (peraltro anche bassista), rendono 'Mother Culture' un disco davvero degno di nota. "The World Belongs to Man" ha un piglio decisamente più orientato verso il post metal: affascinanti le linee melodiche, le ferali urla del frontman, cosi come le sfacciatissime accelerazioni post black di metà brano e il malinconico tremolo picking nella seconda parte del pezzo, in una salita emotivamente incandescente che avvicina i nostri ai miei preferiti di sempre, i nostrani Sunpocrisy. Arriviamo nel frattempo a "An Earnest Desire", song dalla quale i nostri hanno estratto il loro notevole video in bianco e nero, un viaggio dall'alto su desolate spiaggie, accompagnato dalle splendide sonorità blackgaze del quartetto norvegese. Ahimè, siamo già all'ultimo pezzo e "Man Belongs to the World" sancisce quel doppio filo che vede l'uomo legato alla natura e viceversa, in un'ultima galoppata, decisamente più ritmata delle precedenti, dove l'essere più controllati non significa per forza essere meno convincenti. Forse il pezzo perde un po' in fatto di imprevedibilità, ma il bel break acustico a metà brano, mette d'accordo tutti sulla qualità eccelsa degli Avast (anche in termini di produzione) e non fa altro che aumentare il mio desiderio di ascoltare quanto prima una nuova gelida proposta musicale dei quattro scandinavi. Nel frattempo, vi suggerisco di procedere in ordine, ascoltare il debut EP, e poi consumare questo 'Mother Culture' nel vostro lettore preferito, non ve ne pentirete di certo. (Francesco Scarci)

(Dark Essence Records/Karisma Rec - 2018)
Voto: 80

https://avastband.bandcamp.com/

sabato 17 novembre 2018

Strunkiin - The Joy of Creation

#PER CHI AMA: Post Black Strumentale
Io francamente non me lo ricordavo, ma Bob Ross fu un pittore che divenne famoso per aver creato il programma televisivo "The Joy of Painting" tra il 1983 e il 1994, che insegnava ai telespettatori, a dipingere delle scene naturali con la tecnia dell'olio. Morì all'età di 52 anni a causa di un linfoma. Questa premessa perchè 'The Joy of Creation', secondo album dei finlandesi Strunkiin, vuole essere un tributo proprio a quell'artista che evidentemente influenzò i nostri con quel suo approccio artistico, qui applicato alla musica. E allora non ci resta altro che socchiudere gli occhi e provare ad immaginare quei paesaggi: "Island in the Wilderness" e le sue ariose tastiere mi conducono in assolati paesaggi montani, penso a quelle distese infinite di radure e foreste che caratterizzano le zone più remote della Finlandia in cui è la natura a governare. Meravigliose le melodie black che guidano il brano, il suono degli animali, di voce non v'è traccia, mi sembra quasi di vedere renne e alci scorrazzare per le lande innevate e le aquile scrutare il mondo dall'alto. La colonna sonora di tutto questo è quella contenuta negli otto minuti dell'opener, tra saliscendi di un black atmosferico assai interessante. "Northern Lights" richiama ovviamente l'aurora boreale e quei magici momenti che caratterizzano la visione di quell'unico evento naturale. La musica si muove veloce, come se fosse guidata dallo sfarfallio delle luci del nord nel cielo stellato, tra improvvise accelerazioni ricche di blast beat e momenti più soavi, in cui le tastiere assumono il ruolo cardine nell'economia del brano, talvolta animato da un tumultuoso riffing in grado di intersecarsi con momenti più calmi, guidati da un tremolo picking malinconico. Lo stesso mood nostalgico apre in acustico "Blue Ridge Falls", una song che miscela il black con un sound etereo, ricco di orchestrazioni e attimi di quiete, ove in sottofondo è sempre il verso di uccellini a tener banco. Poi largo spazio a splendide incursioni melodiche, tocchi di pianoforte e meravigliose vallate (come quelle dell'artwork) riempiono i miei occhi. Il suono dell'acqua apre "Crimson Tide", poi chitarre taglienti iniziano a descrivere con i loro accordi, nuove scene di natura estrema. Tutto molto interessante ma c'è un ma. Brani cosi lunghi (la media è vicina ai 10 minuti) trovo che sia delittuoso lasciarli privi di una voce, sembrano depotenziati e meno poetici, un qualche grido qua e la gliel'avrei messo perchè affrontare quasi 50 minuti di black strumentale, per quanto ispirato, non è tra le cose più semplici da fare. Nel frattempo siamo giunti al finale, affidato a "Wilderness Day", gli ultimi 11 minuti e mezzo di suoni orchestrati dalla rabbia del duo finlandese, che omaggia egregiamente la natura estrema del nord. (Francesco Scarci)

mercoledì 7 novembre 2018

Nomura e Nulla+ - Impronte / Lacrime

#PER CHI AMA: Sludge/Post Black
Siamo di fronte allo split 'Impronte / Lacrime' di Nomura / Nulla+, un disco di 5 pezzi che si muove tra lo sludge, il black e il post. Le atmosfere cupe sono la linea tematica, l’italiano usato con rabbia e disperazione è il mezzo. Si tratta di un quarto d’ora di inferno, uno sguardo dentro un oscuro abisso di disagio e disperazione. Il brano dei baresi Nomura, "Salice", diviso in due parti, è una sferzata di post black sanguigno ma anche spirituale legato alla natura e alla convinzione che essa sia al di sopra di tutto e di tutti, che assista impassibile allo svolgersi delle più efferate atrocità che l’uomo sia in grado di concepire. Il Salice è un simbolo, un albero piangente che si duole e soffre con l’umanità per la sua destinata e catastrofica fine. I Nulla+, con il loro black metal al vetriolo, si concentrano invece sulla sofferenza umana, nell’incomunicabilità tra le persone, le lacrime come effige di una lotta mai vinta e mai combattuta, che non può che finire in una cocente disfatta. I rampolli arricchiti che sperperano denaro e tempo negli oggetti e nelle attività più inutili, in un mondo in cui la fame non molla mai e le persone che hanno fame, alla fine muoiono per gentile concessione della società cosìddetta civile. Uno split imbevuto di petrolio viscoso e velenoso, una volta toccato, penetra nella pelle e pervade ogni emozione, solo il nero regna sovrano per ricordarci che il male esiste, vive e non se ne andrà mai. (Matteo Baldi)

(The Triad Rec/Italian Extreme Underground/Nothing Left Records/Boned Factory - 2018)
Voto: 75

https://nomuratheband.bandcamp.com/album/impronte-lacrime