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sabato 2 febbraio 2019

Tarpit Orchestra - Songs About Dragons

#PER CHI AMA: Stoner/Hard Rock, Kyuss
Uno stoner alla Kyuss, primi Queens of the Stone Age, quello dei finlandesi Tarpit Orchestra: chitarre scure, riff pesanti, martellate su martellate. Gli arrangiamenti e le canzoni scorrono senza intoppi in questo 'Damn Dragon', anzi forse un po’ troppo senza intoppi. Mi spiego meglio. Senza dubbio, la band ha una tecnica e una capacità musicale superiori alla norma, tuttavia nel genere iper inflazionato dello stoner, è necessario essere più originali degli altri per spiccare fuori dalla bolgia di band ormai troppo similari tra loro. E in tutta onestà, i Tarpit Orchestra non sono riusciti in questo intento, almeno non completamente. Ora magari io sono abituato a suoni più estremi e a band più pazzoidi, tuttavia non voglio affossare un lavoro obiettivamente ben fatto, molto curato e tecnicamente non scontato. Un plauso va alla voce, sempre sporca al punto giusto e diretta nella sua semplicità, oltre che all’arrangiamento dei pezzi, molto ben architettati, e di cui segnalerei il trittico iniziale formato da "Dues", "Songs About Dragons" (con quel suo stile vocale vicino ai Baroness) e la fortemente grooveggiante "Engines", peraltro le uniche song ascoltabili sul sito bandcamp del quartetto di Oulu. Alla fine, 'Damn Dragon' rappresenta il disco giusto per chi ha voglia di sentire una band stoner cazzuta, qui non troverete sicuramente strane sorprese! (Matteo Baldi)

lunedì 26 novembre 2018

Tritonica - Disforia

#PER CHI AMA: Post Hardcore/Alternative
I Tritonica sono un power trio formato da chitarra/basso/batteria che hanno debuttato l'anno scorso a Roma con un EP e quest'anno ha pubblicato questo 'Disforia', full length prodotto da Dischi Bervisti. Il digisleeve cartonato a due ante è caratterizzato da un artwork astratto con spruzzi di colore potenti, dove i colori blu e rosso predominano. Se in psichiatria la disforia è l'alterazione dell'umore con una predominante inclinazione verso la depressione, i Tritonica esprimono tale concetto attraverso undici brani in bilico tra post-hardcore, alternative ed influenze grunge/stoner. Nel loro percorso attraverso la psiche umana, la band romana sprigiona ansia e terrore con la opening track "al-Ghazālī", dove le granitiche distorsioni e le dissonanze ad irritare i nostri neuroni, la fanno da padrone. Un brano veloce e rude, che urla contro il progresso e l'industria tramite ritmiche affannate e discontinue che si dilatano nell'intermezzo psichedelico. Se la parte strumentale richiama i Bachi da Pietra, il cantato in italiano confonde le idee, assomigliando prima a Cristiano Godano, diventando poi più rabbioso e incontrollato per enunciare un testo impegnato e accusatorio. "Alchimia del Fato" si sintonizza su frequenze diverse, ballando a lungo intorno al falò della vita alla ricerca del proprio io su un tappeto di funghi allucinogeni che cresce e monta verso il riff distorto che ne chiude il viaggio dopo circa sette minuti. Lo schema appena visto continua anche con "Jimi" che dopo un incipit soave e lisergico, si lancia in una progressione hard blues con pattern improcrastinabili e riff di chitarra e basso dall'impatto devastante in pure stile desert rock. Vari stop and go si susseguono lasciando spazio ai fraseggi di basso inizialmente quieti e leggeri che trasmutano in maniera oscura verso il finale. 'Disforia' è un concept album complesso a livello lirico, strumentalmente là dove serve, che si rilassa poi per dare spazi di riflessione alla mente che vive battaglie intestine di continuo. Solo alla fine, si arriva all'accettazione della pazzia che ci circonda e "Mimonesis" lo fa senza l'uso di parole, con continui sbalzi di decibel in una lunga e struggente sessione di jam che sembra morire ogni volta, ma invece riprende sbattendo la coda come un pesce che vuole aver salva la vita. A tutti i costi, perché è l'istinto di sopravvivenza a guidarci. (Michele Montanari)

(Dischi Bervisti - 2018)
Voto: 75

https://tritonica.bandcamp.com/album/disforia

domenica 7 ottobre 2018

Deadline - Nothing Beside Remains

#PER CHI AMA: Hard Rock, Whitesnake
I rockers francesi Deadline tornano alla carica con la loro terza pubblicazione, uscita quest’anno e intitolata 'Nothing Beside Remains'. Il gangster ritratto in copertina preannuncia la linea tematica del disco, che si snoda fra 12 tracce basate su altrettante storie, oscure e criptiche, da vero romanzo giallo. Quello che ci aspetta all’interno di quest’album è un rock solido, duro e puro, pregno di richiami stilistici a mostri sacri come ad esempio Whitesnake, Ronnie James Dio, Warrant, che si notano decisamente influenzare il sound molto chitarroso della band. Sonorità decisamente americanizzate (nonostante la provenienza europea dei nostri) si articolano su uno spregiudicato 4/4, scandito da un lineare ed imperturbabile drumming. Un discreto lavoro nel complesso, che si fonda certamente sulla passione dell’ensemble per il buon vecchio hard rock, quello sporco, privo di compromessi. Le chitarre di Gabriel Lect e Chris Gatter lavorano incessantemente fra riffoni prepotenti e fraseggi più ricamati, piazzandoci anche qualche notevole assolo e tecnicismo. Molto pregevole per esempio, quello concatenato nel brano "Silent Tears", che fra l’altro è un tributo ai tragici avvenimenti di novembre 2015 a Parigi, la famigerata strage del Bataclan. Altri pezzi da segnalare, l’opener "Devil’s in the Details" o anche "Fly Trap" con delle buone parti strumentali. Si sente dunque quanto i Deadline sappiano muoversi bene sul loro terreno, quello dal sound dritto e sparato, ma bisogna spingersi un po’ più in là con la navigazione, abbandonare le “placide” acque dell’hard rock per poter dar vita a qualcosa di davvero memorabile. Questa terza fatica dei rockettari d’oltralpe, infatti, per quanto risulti ben suonata ed appassionata, finisce un po’ nel calderone del genere, senza riuscire ad esprimere qualcosa di realmente degno di nota… Attendiamo novità che ci possano stupire! (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Bad Reputation - 2018)
Voto: 65

https://www.deadlinehardrock.com/

martedì 25 settembre 2018

Drive Me Dead - Who's the Monster

#PER CHI AMA: Punk/Rock
La rutilante pop'tallica "Freak" apre l'album d'esordio dei romagnoli "fammi morire" più meno come "Fuel" apriva 'Reload' dei Metallica. Nel prosieguo del disco, un punk n'roll farsescamente cinematografico, qualcosa che potreste degnamente collocare tra gli ultimi, straordinari, Social Distortion ("Between Life and (un)death") e quelle specie di emanazione massima di krautoficienza musicale che prende il nome di Bosshoss ("Zombie Don't Run" e "A Monster/The Monster") con sporadiche escursioni nel melodic-clapclap vs. Green day ("25th of December"), nel groove-punk alla Rebel Meets Rebel ("Your Worst Nightmare") o ancora nello speed and roll (l'ossequioso tributo a L. Kilmister di "Lemmy's Ghost"). Breve e succinta analisi strutturalistica dei titoli, limitatamente ai sostantivi: monster, dead/death, zombie due occorrenze ciascuno; freak, ghost, nightmare una occorrenza ciascuno, tutti gli altri sostantivi quattro occorrenze in tutto, tra cui un nome proprio, peraltro quello dell'eminentissimo estinto di cui sopra. Copertina di Sergio Gerasi, apprezzato disegnatore, tra gli altri, di Dylan Dog. (Alberto Calorosi)

lunedì 13 agosto 2018

Kayser - Kaiserhof

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Doom, Slayer, Black Sabbath
Kayser non si riferisce al prefisso di una nota squadra di calcio tedesca, nemmeno il nome di una marca di acque minerali, bensì trattasi della creatura formata da Spice (ex-Spiritual Beggars), Mattias Svensson (The Defaced), Bob Ruben (ex-The Mushroom River Band) e Fredrik Finnander (ex-Aeon), una super band che fu scovata a suo tempo dall'attenta Scarlet Records. Questo super gruppo, traendo spunto dalle formazioni di origine, e da altre influenze che si rendono palesi fin dai primi dieci secondi del disco, rappresenta l’anello di congiunzione che mancava, tra Slayer e Spiritual Beggars. Il risultato, devo ammettere, è molto affascinante, perchè rievoca nella mente, echi ormai lontani, di 'Season in the Abyss' degli stessi Slayer, abilmente miscelati alle melodie seventies di 'Ad Astra' degli Spiritual Beggars, con richiami più o meno forti a Black Sabbath e Megadeth, abilmente reinterpretati con il sound moderno e le tecnologie oggi disponibili. 'Kaiserhof' sfoggia un’ottima produzione, affidata ai Caesar Studios (che hanno ospitato anche Soilwork e The Defaced), presenta un ottimo songwriting e buone vocals che si rifanno palesemente agli Spiritual Beggars, band nella quale Christian "Spice" Sjöstrand ha offerto i propri servigi per anni. La band svedese mostra poi tutta la sua grandissima classe attraverso le prestazioni dei singoli: alla buona prova del cantante si aggiunge l’ottima performance dei due axeman, bravi e già affiatati sia in fase ritmica che in quella solistica (da delirio gli assoli in “Like a Drunk Christ” e “Cemented Lies”); preparato come sempre Bob Ruben alla batteria, con il suo stile molto vicino al fenomenale Dave Lombardo. Insomma, se apprezzate le band sopra citate, non dovreste farvi mancare neppure il debutto 'Kaiserhof'; se poi non siete amanti dell’attitudine “hard seventies” degli Spiritual Beggars, non vi preoccupate, perchè qui troverete di che divertirvi anche con quella cattiveria tipica degli Slayer. (Francesco Scarci)

(Scarlet Records - 2005)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Kaysertheband

sabato 28 luglio 2018

Cheap Trick - We're All Alright!

#PER CHI AMA: Hard Rock
Se il riffone dell'introduttiva "You Got It Going On" vi susciterà l'inestimabile sensazione tipo come di scendere dalla moto e assistere a una gara di schiaffoni tra godsofmetallari e pausiniani all'autogrill di Somaglia, ecco, di sicuro vi sbagliate se solo pensate che il diciottesimo album dei piucchesenescenti Trucchetti Da Quattro Soldi vi lascerà lì così, a guardarvi i Dr. Maertens. Nel prosieguo, né il punkabilly "Radio Lover", né la stooges-punkeggiante "Nowhere", tantomeno la sleaze-like "Brand New Name On an Old Tatoo" si permetteranno di allentare la catena di trasmissione delle vostre rissose emozioni. E non saranno i mid-tempo astutamente escogitati qua e là e neppure le tentazioni folk-autoriali collocate nella seconda parte dell'album (pensate alla tom-spettynata "She's Alright" dondolante su accordi squisitamente southern, oppure ai beatles/ismi collocati nel finale di "The Rest of My Life" o nell'intera, conclusiva, "If You Still Want My Love" o ancora nella beatlesianissima "Blackberry Way", cover dell'unico hit degno di queste tre lettere dei già-beatlesianissimi-per-i-cazzi-loro "Move" nell'anno del signore millenovecento68) a farvi sfilare i tirapugni. Ascoltate questo album sorprendentemente ben scritto esclusivamente attraverso diffusori di bassa qualità, tipo quel maledetto walkman taroccato che pagaste comunque un patrimonio e che consumava due pile grosse come polpacci di cicciobello per un solo ascolto della vostra cassetta da novanta preferita, che aveva su ovviamente 'Heaven Tonight' e 'Dream Police'. Il problema, lo so, è infilare la cuffia sotto il casco. (Alberto Calorosi)

(Big Machine Records - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/cheaptrick

lunedì 16 luglio 2018

Ruxt - Behind the Masquerade

#PER CHI AMA: Hard Rock, Whitesnakes
Fin dalle prime minacciosissime note di chitarra di "Scare my Demons", il singolo al cui confronto ascoltare 'Holy Diver' sembrerà di sentire "Another Day in Paradise" di Phil Collins, l'album d'esordio dei RuGGGine (nel GGG si leggano quelle G dure che generalmente fuoriescono, per esempio, dalla chitarra di uno come Eddie Van Halen) naviga navigato tra consolidati melodic-flutti Frontiers-like più (la svolazzante "Where Eagles Fly") o meno (la roboante "Between the Lies") epicheggianti, molto ("Spirit Road") o moltissimo ("Soul Keeper") coverdaleggianti (anche, anzi, soprattutto il ballatonzo strappareggiseni "Forever Be") librandosi alto, fuggitivo e rocchenroll ("Soul Keeper") nella luminescente e boccolosa galassia-Coverdale, soltanto accidentalmente sfiorando i Rainbow di Biondino Bonnet ("Daisy"), fino a raggiungere in chiusura quella svettante, quintessenziale spremuta di Coverdale che è "Soldier of Fortune", qui in una versione più agiografica che soltanto devota. (Alberto Calorosi)

venerdì 13 luglio 2018

Closet Disco Queen - Sexy Audio Deviance For Punk Bums

 #PER CHI AMA: Noise/Stoner
Un'introduzione intuitivamente sospesa tra il post-rock flirtante con certi rigori math e i King Crimson più aleatoriamente psych, dopodiché il suono erompe fluido eppur magmatico in un modo che ricorda gli Stone Roses fluviali di "Breaking Into Heaven", poi il suono diventa più etereo e al contempo più materico in un modo che potrebbe ricordare certe cose del terzo album dei Landskapp (nell'opener "Ninjaune"). Le tentazioni stoner/metal diventano crescentemente irresistibili e rendono il chitarrismo epiteliale e poi esofitico nella successiva "El Moustachito". Difficile infine non individuare una devozione nervosamente zeppeliniana nella conclusiva "Délicieux". Nonostante la (straordinaria ma) fuorviante copertina, in queste (sole) tre sensuali audio-perversioni per chiappe punkettare, il duo svizzero chitarra/batteria composto da due ex spaccametalloni, individua una traiettoria visibile a occhio nudo eppure vividamente conturbante. Vedremo. (Alberto Calorosi)

venerdì 29 giugno 2018

Quiet Riot - Road Rage

#PER CHI AMA: Glam/Hard Rock
Il banchetto che spaccia glammaccio sfuso (l'unoduetre introduttivo è micidiale: uno, il singolo "Can't Get Enough"; due, una "Getaway" comicamente introdotta da una specie di... sì, dev'essere un sitar; tre, "Roll This Joint" "Hold each end uh loosely / lick it up and give it a twist", nel caso vi foste scordati come si fa) è collocato esattamente di fianco a quello del ciabattino che vende scarpe da ginnasitica Mike © e Adibas ©. Osservateli entrambi. Osservate il faccino implume del nuovo frontboy James Durbin e ascoltate la sua vociottina mentre se ne sta lì a recitare la parte del cattivone rock sventrapapere. La sensazione sarà la medesima, quella che vi faceva sghignazzare ogni volta che vi capitava sotto gli occhi la bambolottosa copertina di 'Bad' di Michael Jackson. Coretti, liriche evanescenti come Ceres pisciata nel vicolo, elementari riffettoni ggg-osi degnamente accompagnati dai sempre più banali pattern di batteria di Frankie. Emergono al di sopra del pelo del ridicolo liquido la simil-zeppeliniana "Still Wild" e il quasi-power di "Freak Flag", dove non faticherete a individuare (più che) qualcosa di "The Man Who Sold the World". Ma sicuramente non ci riesce la copertina del disco. A emergere dal ridicolo, intendo. (Alberto Calorosi)

(Frontiers Records - 2017)
Voto: 50

https://www.quietriot.band/

giovedì 28 giugno 2018

Blitzkrieg - Judge Not!

#PER CHI AMA: NWOBHM, Iron Maiden
Al di là di qualche timida tentazione power (raggranellate qualcosa in giro, per esempio in "Who is Blind"), old-school-hard ("Wide Legged and Headless" si colloca nell'esatta intersezione tra "A Light in the Black" e "Spotlight Kid" dei Rainbow, mentre "Falling into Darkness" e "Stargazer" hanno, diciamo, una consanguineità somatica ben visibile) o 70's-glam ("Loud and Proud" e "Without You"), al di là di tutto questo, dicevo, nel suono distillato 100% proof NWOBHM, individuerete con una certa evidenza, una devozione nei confronti del genere e dei numi I-Maiden ("Reign of Fire") e J-Priest ("All Hell is Breaking Loose" e "Angels or Demons"). Il quinto postulato dell'heavy metal sostiene che se da "Black Sabbath" (la canzone) sarebbe scaturito lo stoner a mo' di big bang sonoro, allora la NWOBHM scaturisce da "Sabbath Bloody Sabbath" in modo del tutto analogo. E così canzoni del calibro di "Forever is a Long Time", e più in generale l'intera essenza dei Blitzkrieg, troverebbero una precisa collocazione all'interno del quadrante Alfa dell'universo. Ma la guerra-lampo dei Blitzkrieg si protrae oramai da trentotto ere astrali. Non giudicate, quindi. Ve lo dice persino il titolo. Non ne avete il diritto così come non ce l'ha l'autore di queste sconclusionate righe. Ascoltate e basta. (Alberto Calorosi)

(Mighty Music - 2018)
Voto: 70

https://www.facebook.com/BlitzkriegUK/

domenica 3 giugno 2018

Dope Oüt - Scars & Stripes

#PER CHI AMA: Hard Rock, Alter Bridge
I Dope Oüt sono francesi, precisamente di Parigi, ma i loro connotati sono indubbiamente americani per lo stile musicale e il mood con cui vivono il loro sogno. Il quartetto è al secondo album, 'Scars & Stripes' appunto, uscito l'anno scorso dopo circa tre anni dal precedente 'Bad Seeds' che ha avuto un buon riscontro dal pubblico. L'album contiene dieci brani ed è stato autoprodotto dalla band che si fa però supportare dalla Dooweet Agency per quanto riguarda promozione e booking. La opening track "Scars & Stripes" presenta la band e il suo lavoro, partendo in quarta come una muscle car che non vede l'ora di divorare l'asfalto a suon di ottani. Subito si fa sentire il meticoloso lavoro fatto per ottenere i suoni del modern hard rock d'oltreoceano e bisogna dire che il risultato è davvero buono. Ne giova soprattutto la chitarra dalla distorsione corposa e ben equalizzata, bella presente nel mix come il basso pulsante che segue fedelmente le linee melodiche e i pattern minimal di batteria. Il brano fila liscio carico di groove per tre minuti circa, poi con il classico break rallenta e spezza lo schema che viene ripreso in chiusura. Il pezzo ricorda molto gli Alter Bridge incazzosi di "Metalingus", a cui i Dope Oüt si ispirano liberamente per il loro sound. "Lady Misfits" parte lenta e suona come una ballad moderna per la prima metà, poi i ragazzi aumentano il voltaggio e il brano cresce in maniera progressiva e convincente. Nota di merito al cantante per l'ottima spinta, ma anche i fedeli compagni si destreggiano bene, tessendo un crescendo solido e potente. Da questo singolo è stato tratto anche un video che ci mostra una lady appunto, che cerca di sfuggire dalle sue debolezze. Passiamo poi a "Clan of Bats" che si distingue per riuscire a fondere Black Stone Cherry e Blink 182, i primi per la parte strumentale più aggressiva e predominante del brano, i secondi per il cantato e il chorus che si solleva verso l'alto con sfumature più chiare. Una sorta di brano bipolare per intenderci. Proseguendo con l'ascolto si trovano altri brani che fanno l'occhiolino anche ai Velvet Revolver come "Balls to the Wall" e "Again", concentrati di puro rock veloce che non concede tregua dall'inizio alla fine del pezzo. Si chiude con "Soulmate", pezzo con chitarra acustica e cori che scomodano gli Oasis e Smashing Pumpkins per portarvi in spiaggia e chiudere la festa, un po' in sordina a dire il vero. Escludendo la chiusura un po' sottotono, i Dope Oüt hanno prodotto un bell'album, fresco e allo stesso tempo potente, un mix che riesce a catturare il pubblico giovane resistente al rock da vecchi e che rischierebbe di essere travolto e rapito dall'ondata trap. (Michele Montanari)

(Self - 2017)
Voto: 70

https://www.facebook.com/Dopeout/

lunedì 28 maggio 2018

Doomster Reich - Drug Magick

#PER CHI AMA: Psych/Stoner, Electric Wizard, Pentagram
I Doomster Reich sono un combo di navigati musicisti provenienti da Łódź, carichi di esperienza che si fa notare ormai in tutti i loro lavori, un gruppo che merita tutta la vostra attenzione considerato che dalla loro prima uscita discografica, i nostri sono cresciuti moltissimo. Devo ammettere che ci ho messo un bel po' di ascolti per convincermi che la nuova release della band polacca, uscita per la Aesthetic Death l'anno scorso, fosse stata registrata in una session live presso i Radio Lodz concert studio, tanto è buona la produzione quanto alto il valore della musica espressa. Prodotti da Kamil Bobrukiewicz in maniera ottimale fin dall'iniziale "Gimme Skelter", song peraltro irresistibile, 'Drug Magick' riesce a mantenere sia la tensione live che la qualità di un album doom/stoner/vintage hard rock di egregia fattura per tutta la sua durata. Brano dopo brano ci si immerge in una totalità cosmica e psichedelica acidissima (ascoltare "Rites of Drug Magick" per credere) , figlia dei Pentagram quanto degli ultimi Electric Wizard, con un sound ribassato ma molto frizzante, allucinato e con un calorosissimo pathos nelle parti più colorate. Ci sono poi esplosioni di memoria 70's come riuscivano ai migliori Nebula, suoni dilatati, assoli space oriented ideali per esplorare il cosmo, e una voce che sembra arrivare da una galassia ignota, pronta a salmodiare prediche politicamente scorrette condite di funghi allucinogeni ("Round the Band Satan"). L'attitudine doom emerge in "Meet the Dead" con un incidere blues e una chitarra che sputa note lisergiche come fossero lava ardente, e con i fantasmi di Hendrix e co. che si riaffacciano al mondo delle sette note con nuove colorazioni e rivisitazioni, in quasi nove minuti di sbornia psichedelica lasciata libera di creare effetti stupefacenti di ogni tipo. "Chemical Funeral" omaggia a suo modo gli insuperabili Cathedral, nel suo essere così vintage e nuova allo stesso tempo. Per chiudere, la più sperimentale e lunghissima "Black Earth, Red Sun", dove la band assume un'anima oscura, sinistra, desertica e mantrica di tutto rispetto, mostrando che di psichedelia non ci si stancherà mai e che le sue strade sono infinite, l'ennesimo viaggio ai confini della concezione psichica umana. Album sorprendente, non fatevelo scappare! (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2017)
Voto: 80

https://doomster-reich.bandcamp.com/

mercoledì 23 maggio 2018

Winfield - Rock 'N' Roll Ist Krieg

#PER CHI AMA: Hard Rock
I Winfield sono una band hard rock originaria di Caen in Francia, ovvero normanni puro sangue, attivi da quasi dieci anni. Il quartetto voce-chitarra-basso-batteria conta un paio di EP ed un album autoprodotto, un anno fa hanno poi rilasciato questo full length 'Rock 'N' Roll Ist Krieg'. Il digipack è semplice ma ben fatto, dominato da una stile "noir" dove la band si è divertita a posare in modalità gangster. "The Opening" fa appunto da intro a quest'album di dieci brani e ci invoglia con un breve stralcio strumentale dal sapore southern-folk ad assaporare chitarre acustiche, armonica a bocca ed una lontana sirena che raccontano di un paesaggio lussureggiante sotto un cielo plumbeo e carico di pioggia. E come di consueto accade, la quiete prima della tempesta non lascia presagire niente di buono ed ecco allora che i Winfield attaccano con "Kingdom of Gold", brano con il gain impostato a undici decimi. I riff di chitarra viaggiano veloci e pesanti, un mix tra Motörhead and Pantera che regala un pezzo potente, il tutto incorniciato da un cantato perfettamente in linea con il genere. Il basso pesta a più non posso sulle corde e la batteria non è da meno, i vari break aiutano poi a dare respiro e ripetere la struttura della canzone ad libitum. La storia si ripete con "Goddamn Loud" ma in chiavi leggermente più lenta e maliziosa, in stile Jon Bon Jovi anni '90 per intenderci. La solfa non cambia, sempre un gran lavoro di arrangiamenti, assoli e ricerca del suono che portano a quasi sei minuti di puro rock. Piacevole lo stacco a metà brano che alleggerisce e permette ai musicisti di destreggiarsi in un fraseggio funk-blues, ove ahimé il vocalist non coglie l'occasione per dare il suo contributo interpretando il break alla solita maniera. La parte strumentale evolve verso l'alto con la prevedibile chiusura che riprende il tema iniziale. "El Tequito" è un altro break strumentale dal gusto folk che ha la sola colpa di non essere stato approfondito e lasciato solo fine a se stesso. Un gran peccato. La speranza non sembra perduta con "Alcoholic Song", un doom rock che puzza di whiskey e mozziconi, lento come il sangue che fuoriesce da una ferita che sai già che si rimarginerà in fretta, ma lascerà una piccola cicatrice quale ricordo indelebile. Le altre tracce della seconda metà dell'album mantengono il livello e sembrano addirittura più convincenti delle precedenti, questo per dire che forse una track list diversa avrebbe coinvolto maggiormente l'ascoltatore. I Winfield hanno saputo mescolare bene lo stile Nashville Pussy con suoni più moderni, mantenendo un buon livello di composizione ed esecuzione. I fedelissimi del genere apprezzeranno questo cd e non possiamo dargli torto, si ascoltano i Winfield per avere una boccata di classic rock senza orpelli. Chiudiamo con la dichiarazione del frontman circa il fatto che scrive un nuovo album quando ne sente veramente il bisogno, altrimenti meglio aspettare. Se non si hanno obblighi di alcun tipo, questo è il miglior modo per alimentare la propria creatività. L'importante è non farla appassire lasciandola a se stessa per troppo tempo. (Michele Montanari)

(Gargouille Productions - 2017)
Voto: 70

https://www.facebook.com/winfieldcaen

lunedì 7 maggio 2018

Gold Miners Night Club - S/t

#PER CHI AMA: Punk/Hard Rock
Una manciata di rocchenroll energetici ("Rock'n'Roll Song", appunto), polleggiati (la flessuosa "Everybody Want to Be Like Me" è ahimè intercalata da piuccheopinabile interludio quasi-rnb con tanto di autotuning), funkeggianti (più precisamente fukkeggianti: "Shut the Fuck up", appunto) o ancora aromaticamente punk n'roll ("I Live My Life", ma perché quella batteria così sintetica?): non è difficile ipotizzare che tra i più assidui frequentatori del malandato night club dei minatori bresciani vi sia un certo Billy Gibbons (tutto l'album, ma forse "I Wanna Fah" e "Gummy Eyeball" sono i brani maggiormentte ZZ-eggianti). A tratti meccanico e privo di corpo il suono, è senz'altro frutto della (coraggiosa seppure eccessiamente diffusa) scelta di esibirsi in duo. Indubbiamente da sistemare l'accento anglofono nelle parti cantate. Si raccomanda l'esecuzione a cappella di "Subterranean Homesick Blues" per almeno cento volte. E tre paternoster. (Alberto Calorosi)

giovedì 5 aprile 2018

The Night Flight Orchestra - Amber Galactic

#PER CHI AMA: Hard Rock/Glam, Rainbow
Anche stavolta i riferimenti sono nitidi e ben scanditi: l'hard-glam chiassoso dei Kiss pre-disco ("Sad State of Affairs"), i Rainbow di 'Bonnett' obbligatoriamente in apertura proprio come accadeva nei due dischi precedenti (stiamo parlando ora di "Midnight Flyer") oppure quelli subliminali di 'Rising' (nel finale di "Space Whisperer" un inchino riconducibile a "A Light in the Black"), il 101%-proof-melodic alla J-L Turner (per esempio il singolo "Gemini"), il saxy-rock dei Supertramp mid-settanta ("Just Another Night"). La conclamata similitudine di "Domino" con "Africa" è invece pretestuosa. Piuttosto, allora, con "Pamela" individuerete parecchi Toto-VII-ismi almeno anche in "Josephine". Ma si apprezzi, in ogni caso, la sfacciataggine. Alla terza uscita, il manierismo fluo/dinamico melodic-rock dei T-N-F-O fluisce straordinariamente consapevole nel suo cipiglio ortocentricamente vintage (prima ancora di sentire il disco fate caso alle copertine), eppure impeccabilmente prodotto e sempre freschissimo di idee, ciò che accade piuttosto di rado nel reviviscente, patinatissimo universo nu-melodic. Niente male per un supergruppo che si esprimeva in growling dai tempi dell'asilo. (Alberto Calorosi)

martedì 3 aprile 2018

Roommates - Fake

#PER CHI AMA: Post Grunge/Hard Rock
Un southern voluminoso ma ispido, senz'altro devoto studioso di storia antica (Lynyrd Skynyrd, qualcuno si ricorda ancora gli Atlanta Rhythm Section?), sì, ma analogamente prossimo al più recente nichilismo alcaloide germinato in quel di Seattle nel primo lustro dei novanta (ritroverete la disperata profondità di suono degli ultimi Alice in Chains di Staley nelle due canzoni che aprono l'EP, "Light" e "Blow Away"; quando parte "Fakin' Good Manners" non riuscirete a non canticchiarci sopra "Nothingman" dei Pearl Jam) ma anche a un certo highway-punk americano metà ottanta ("Black Man Guardian") e a cert'altro sofficissimo e confortevolissimo face-between-your-tits-rock ("Empty Love"). Osserverete che la copertina unisce (neanche troppo) curiosamente un'estetica biker-rock a un logo eminentemente death metal. Chissà poi perché! (Alberto Calorosi)

(Nadir Music - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/RoommatesRock

venerdì 30 marzo 2018

Styx - The Mission

#PER CHI AMA: Hard Rock
L'ultimo album in studio degli Sty(ti)x (suvvia, il precedente 'Cyclorama' era del 2003) è un temerario sci-fi concept sulla prima missione umana su Marte, prevista, nell'opinione di Superpippo Shaw, nell'anno del signore 2033 (dilettatevi a individuare nei testi sbragonerie del calibro di "Hands on the wheel of my rocket mobile / and I'm a hundred million miles from home", dalla song "Hundred Million Miles From Home"). Quattordici stazioni narrativamente ultracanoniche a formare una specie di Via Martis motorizzata. Accensione dei razzi (una Asia/ticissima "Overture" power-prog), decollo (la Uriah-propulsiva "Gone Gone Gone", indovinato primo singolo), distanza da casa (il glam clap-clap di "Hundred Million Miles From Home"), paura di non farcela ("Trouble at the Big Show"), considerazioni (la gilmouriana "Locomotive"), cartoline dallo spazio profondo (i Queen-of-the-world ipermelodici di "Radio Silence"), esistenzialismo cosmico (la ponderosissima Queen-tale "The Greater Good"), un altro po' di esistenzialismo cosmico ("Time May Bend"), atterraggio/casini-col-motore/paura ("Red Storm"), no-ovviamente-è-tutto-a-posto ("All Systems Stable"), apertura del portellone ("The Outpost"), conclusioni/ faccenda-del-piccolo-grande-passo/ pippone-saluti/ ringraziamenti (una power-melo ancora più Asia/ticissima "Mission to Mars"). Il sedicesimo album degli Styx si colloca sulla rotta astral-melodic-hard-ruffianesimo tracciata tra il 1977 e il 1981 dagli alter-ego degli Sty(ti)x, i Prolyfix (quattro album in sei anni. Decollo: 'The Grand Illusion', atterraggio: 'Paradise Theatre'), senza utilizzare una singola molecola di propellente all'idruro di nostalgismo e destreggiandosi con consumata perizia e comprovata professionalità all'interno di una vera e propria tempesta di asteroidi del ridicolo. Vi pare poco? (Alberto Calorosi)

(UMe - 2017)
Voto: 75

http://styxworld.com/band

giovedì 22 marzo 2018

Black Banana - The Great Wazoo

#PER CHI AMA: Psych/Hard Rock
I Milanesi (di provincia) Black Banana (BB) s'incontrarono qualche anno fa per dar vita ad un progetto scanzonato che trasuda hard rock vecchia scuola. Nonostante le evoluzioni dei generi, le contaminazioni con l'elettronica, folk ed altro, i BB hanno scritto dieci brani (più una cover) con l'obiettivo di creare un vademecum per nostalgici e novellini. 'The Great Wazoo' si presenta in un digipack semplice e curato, prodotto dalla Verso del Cinghiale Records, piccola etichetta indipendente che ha diverse band punk/rock interessanti nel proprio catalogo. "Stop Runnin'" ha la responsibilità di aprire l'album dei BB e si parte di brutto con chitarroni spavaldi, basso molesto e batteria pulsante per una brano veloce e pieno di groove. Il cantato in inglese regala l'atmosfera giusta, grazie anche alla grinta e con i cori che rafforzano là dove serve. Già in questi tre minuti abbondanti si sentono tutte le influenze che hanno forgiato i BB, il meglio dell'hard rock degli ultimi trent'anni soprattutto d'oltreoceano. "The Devil's Lips" parte veloce e gioca molto sugli stop & go che movimentano la struttura del brano, a cui vengono saggiamente aggiunti allunghi di ritmo, assoli e quant'altro. Anche il testo non si smentisce, restando sui temi cari dell'hard rock quali alcool, donne e tutto quello che fa bruciare una vita altrimenti scialba e piatta. Saltando qualche traccia si arriva a "Revelation" che ci mostra il lato più oscuro della band, un momento di riflessione per mettere sul tavolo le cose fatte, i progetti falliti e le vittorie portate a casa con i denti. L'inizio tenebroso è affidato alla chitarra grazie all'ebow che crea un layer continuo quasi fosse un sintetizzatore, poi basso e batteria danno il ritmo alle chitarre che possono cosi unirsi al crescendo. Il vocalist sussurra leggero all'orecchio dell'ascoltatore preparandoci all'esplosione rock che arriva prepotente non per i suoi suoni granitici, ma per il groove tanto spontaneo quanto curato nei dettagli. Lo stesso vale per gli arrangiamenti studiati nei minimi particolari, sempre ben curati ed azzeccati, questo per dire che i BB sono dei gran musicisti e meritano grandi cose nel loro prossimo futuro. La cover di "Iron Zion Lion" è una chicca assoluta, il rifacimento del celebre brano di Bob Marley è un perfetto connubio tra rock e reggae, dove i BB sono stati dei geni a fondere suoni e ritmiche in maniera perfetta. Il featuring con la brava Ketty Passa alla seconda voce corona un successo meritato perchè se si reinterpreta una cover con un tale risultato, vuol dire che si hanno le palle quadrate, quindi standing ovation. L'album chiude con "Wonder Drugs" che, nonostante sia l'ultimo brano, ha tutte le carte in regola per essere un singolo di tutto rispetto. Oltre alla consolidata profusione di rock, la band si diverte a giocare un po' sulle ritmiche e il cantato, quasi fossero alla fine di un concerto ben riuscito e il calo di adrenalina li fa osare un po' di più. Bravi, nella vita bisogna sapersi prendere in giro e non calarsi troppo nella parte dei duri e cattivi. Tirando le somme, ci troviamo di fronte ad una band ben preparata che produce rock di qualità, cinque musicisti che hanno ancora tantissimo da dare al pubblico. Questo 'The Great Wazoo' è un lavoro meritevole di attenzioni, quindi accaparratevelo senza indugi e lasciatevi trasportare dal rock nella sua forma più pura e longeva. (Michele Montanari)

(Il Verso del Cinghiale Records - 2017)
Voto: 80

https://soundcloud.com/marcello-gatti-1/sets/the-great-wazoo

sabato 10 marzo 2018

Blueriver – Waiting for the Sunshine

#PER CHI AMA: Country Rock, Buffalo Tom
La Music for People alimenta il braciere del rock promuovendo (è uscito nel settembre 2017) il primo EP ufficiale di questa band proveniente dalla provincia di Lecco, pubblicato in precedenza dal gruppo autoprodotto nel 2015. Le quattro cavalcate elettriche scorrono veloci, aggraziate da una verve brillante e una buona dose di tecnica musicale, il suono è in carreggiata con band di grossa rilevanza, tra Buffalo Tom e Grant Lee Buffalo e devo ammettere che l'iniziale "You and Me" gioca la sua carta emozionale nel migliore dei modi portando alla mente un po' di quel sogno americano pieno di libertà e strade polverose da macinare. La title track, "Waiting for the Sunshine", porta con sè ottime linee vocali a stelle e a strisce, dove si sente tutto l'allinearsi dei Blueriver con i mitici Buffalo Tom e se non fosse per una registrazione assai buona, ma non troppo per gli standard yankee e anche non così calda come dovrebbe, in più momenti in quest'album, si sarebbe potuto gridare al miracolo. Ottima l'interpretazione vocale e i ricami chitarristici, che aprono le composizioni con un suono cristallino e aggressivo al tempo stesso, buone le scelte ritmiche, la varietà delle canzoni che pur rimanendo saldamente ancorate ad un genere molto classico, dall'impianto tipico del cantautorato rock, si muovono libere e per certi aspetti anche originali. Ripeto ancora che con una scaldata ulteriore al sound in direzione Drive-By Truckers sarebbe stato perfetto. Buon debutto ufficiale, attendiamo notizie per un full length con i fiocchi! (Bob Stoner)

(Music for People/GoDown Records - 2017)
Voto: 70

https://blueriverockband.bandcamp.com/releases

sabato 3 marzo 2018

Mothership - High Strangeness

#PER CHI AMA: Stoner Rock, Black Sabbath
Il terzo album dei cosmic-sassaioli Mothersip, provenienti dalla medesima città di J.R. Hewing e Meat Loaf, esordisce con uno strumentale, "High Strangeness", se possibile persino più psico-cosmico del già largamente psico-cosmico "Celestial Prophet" collocato in apertura del precedente 'Mothership II' (avrete senz'altro ascoltato 'Embryo' dei Pink Floyd almeno una volta nella vita). Ma a differenza del precessore, più monolitico, qui lo stoner è una sorta di substrato sedimentario ove collocare, di volta in volta, chitarrismi eminentemente secondozeppeliniani (la quasi citazionistica chiusura di "Midnight Express" e "Wise Man") o primosabbatiani (i riverberi infernali emanati dalla conclusiva, eccellente, "Speed Dealer") oppure polverose aspirazioni nu-grunge (la deboluccia "Crown of Lies"). Quello che sorprende è che si tratta proprio dei momenti maggiormente riusciti, a (ulteriore) testimonianza di un futuro auspicabile distaccamento dal genere di riferimento oppure, vedete voi, del fatto che chi scrive nutre una conclamata antipatia nei confronti delle ortodossie musicali in generale e dell'ortodossia stoner in particolare. (Alberto Calorosi)