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martedì 8 maggio 2018

Misanthropic Existence - Death Shall Be Served

#PER CHI AMA: Death/Black Old School
Altro "ripescaggio" da parte della Aesthetic Death che ripropone un disco degli inglesi Misanthropic Existence uscito originariamente autoprodotto nel gennaio 2017. Ultimamente però le scelte dell'etichetta britannica non mi stanno del tutto convincendo e la riproposizione di questo lavoro bestiale, la trovo francamente superflua. Come mai sono cosi tranchant nei confronti di quest'album? Perchè 'Death Shall Be Served' non aggiunge assolutamente nulla ad una scena davvero stantia come quella estrema: 64 minuti sparati a mille, votati ad una violenza primordiale che un tempo faceva clamore, notizia e forse destava un bel po' d'interesse, ma che oggi, in tutta sincerità, trovo obsoleta, old-school e alquanto noiosa. Se il disco fosse durato una mezz'ora, probabilmente sarei qui a parlarvi di una promettente band proveniente da Worchester che ha provato ad emulare col loro debut, gente del calibro di Slayer o Marduk, nelle loro opere più famose e decisamente dalle brevi durate. Invece mi ritrovo a commentare un lavoro monumentale di death/black/grind della durata che supera di gran lunga l'ora, no grazie è troppo. Mi limiterò a dire che il sound del terzetto inglese è ignorante in tutte le sue 11 tracce incluse. Sono estremi, blasfemi, marcescenti, probabilmente anche beceri nei testi che sembrano orientati al più ovvio e scontato dei temi, il satanismo. Le velocità sono sparate ai mille all'ora, sovrastate nel loro caos sonoro da uno screaming indiavolato che non lascia scampo. Difficile identificare un brano piuttosto di un altro, data la monoliticità in toto di un cd a dir poco brutale che affonda le sue radici nel death metal svedese di metà anni '90. Potrei dirvi solo che sorbirsi pezzi come "War-Torn Earth and Blood Soaked Skies" (che va oltre i 12 minuti) e "Humanicide" (quasi 8) è impresa non indifferente. Only the braves! (Francesco Scarci)

giovedì 12 aprile 2018

Prosperity Denied - Consciousless

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Grind
La viennese Noisehead Records non è stata un'etichetta troppo lungimirante: dopo la scadente prova dei Misbegotten, ci ha riprovato da li a poco con gli austriaci Prosperity Denied e ahimè il fiasco si è mostrato ancora dietro l'angolo. Il terzetto, formatosi nel 2006 da una costola dei Ravenhorst, proponeva l'ennesimo esempio di death metal, sporcato da influenze derivanti dall'hardcore, dal punk, dal grind e addirittura dal black metal. Il risultato sfortunatamente non è stato dei migliori: undici tracce super aggressive, incazzate, veloci, taglienti, ma come se ne ascoltavano e se ne ascoltano tuttora a migliaia in giro ogni giorno. Chitarre ruvide, non troppo pesanti, una voce al vetriolo, una batteria che bada più alla quantità che alla qualità, confermano quanto già detto: tra le mani non ci troviamo niente di particolarmente interessante. A meno che non siate fans sfegatati di questo genere, di cui tutto è già stato scritto e ripetuto una infinità di volte, lasciate pure perdere. (Francesco Scarci)

mercoledì 17 gennaio 2018

Antigama - Depressant

#FOR FANS OF: Grindcore, Terrorizer, Napalm Death
Since I am working with the guys from The Pit of the Damned, I have been discovering bands that I haven't even had an idea existed. Some are good and some are bad, regardless, these new discoveries had given me the experience to expand my taste when it comes to extreme metal. Antigama, a grindcore band hailing from Warsaw, Poland, is one of the new bands that I had come across in this experience. As an extreme music enthusiast, I had also found a reason to love grindcore because of its aggressive, furious, and pounding musical assault. And Antigama is what grindcore music is all about.

After seven studio records and loads of split releases, the band had mastered the realm of the genre and had crafted numerous of killer materials since their creation way back in the year 2000. 'Depressant' is the band's third EP release, since 2012, and it was unleashed last November 9th of 2017 under the flag of Polish Selfmadegod Records. Musically, nothing on this EP is that superb in construction and execution. There is no technical guitar work present, no strenuous vocal lines found, and no intricate drum work provided. But who needs those in grindcore music anyway?

'Depressant' is just the right album for those of you who just want to go out there and start a fucking pit and have fun. The EP carries 19 minutes of pure grindcore standard quality pleasure. The guitar section in here is straight up built for a fucking destructive wall-of-noise onslaught. With its fast grinding riffs that have bits of standard death metal riffing and some mid-paced crusty Celtic Frost chugging that's catchy as fuck, these offering will fucking slay anything in its path. Now the tracks in this opus never really include too many riffs to them, as the band preferred working with 3-5 riffs instead, but the outcome of a grind material is always better this way as is shown in the result of this EP. Yeah, I am one of those who believes that riff quantity does not supersede the quality or memorability of a release.

Bass section's presence can also be easily noticed in this proposal. Sure, there is a distinct Napalm Death and Terrorizer influence in the manner of playing the bass, but Antigama took that bass line behavior to next level, as the sound is definitely way more down-tuned than in any other contemporary band in the genre these days. What the band produced here is a fuzzy wall of noise, but still, it sustains a sense of heaviness and wickedness. The drumming is also pretty satisfying to the ears. Drummer's blasts are tight and precise, and his double bass work during more mid-paced moments of the tunes, is also pretty indulging. Normally, one can get bored with the fast drum assault in grindcore, but the execution of the dude behind the kit here is quite precise. He knows his ability, and where he is good at, that he does not overdo anything which might ruin it all.

I also love the back-and-forth high-low vocal screaming and grunting of the band's vocalist. The frontman has that crude and rusty voice shrieking in the old punk fashioned way which conveys a primitive feel to the whole offering. It is the classic cherry on top of the cake, if I may describe it. The Ep's production is also splendid for a Grindcore release. It’s crisp, it’s easy to perceive, and the listeners can hear every instrument, especially the bass. Everything in 'Depressant' sounds great because of the solid production, unlike most EPs from grind bands these days, this album isn’t discordant or difficult to decipher. One can immediately distinguish each instrument and what they’re trying to do.

Concluding, Antigama had put out a fine example of a release with 'Depressant' that precisely defines what a good grindcore offering is all about. It's pretty fucking straightforward and the band did not exaggerate anything. I am really glad that I discovered the band, and I am quite excited to hear more from them in the future. If you fellas have not yet grabbed a copy of this EP, I suggest that you go and purchase a copy now. This is an excellent grindcore release that sick bastards, like me, will really enjoy. (Felix Sale)

(Selfmadegod Records - 2017)

martedì 26 settembre 2017

Erupdead - Abyss of the Unseen

#PER CHI AMA: Brutal Techno Death
Sono rimasto un po' stupito di fronte a questa uscita della Czar f Bullets, death metal nudo e crudo per una band alquanto datata nella scena svizzera. Si tratta dei basilesi Erupdead, in giro dal 2007 e con all'attivo un EP, uno split con i Total Annihilation, e che con questo 'Abyss of the Unseen', raggiungono i due full length nella loro discografia. Del genere abbiamo già detto, un ferale death metal che si evolve lungo le nove tracce contenute, che partono peraltro all'insegna della melodia accattivante di "Fucked Up", una traccia che poi ci spara in faccia tutta la propria furia tra sgroppate infauste, frustate ritmiche e qualche buona apertura carica di groove in stile Dark Tranquillity. Il tiro si fa ancor più incendiario con la seconda "Guns and Roses" (buffa la scelta di questo titolo per una song cosi incazzata) e forse ancor di più con la frenetica "Temple of Baal", dove le voci si palesano sia in growl che con un arcigno screaming. Il problema di fondo dell'album però è che non trovo abbia granché da dire in un genere che in trent'anni credo che abbia esplorato in lungo e in largo tutto lo scibile musicale e che 'Abyss of the Unseen' alla fine arrivi fondamentalmente fuori tempo massimo. Non posso negare che non ci siano cose discrete: il solismo di "Bolon Yokte 'K' uh" non mi dispiace affatto, cosi come l'approccio doomeggiante di "Me First: The Gentleman" che ritornerà anche nella conclusiva title-track. La ricerca di una maggiore forma di originalità ha prodotto "Private Rearmament", una song in cui accanto al grugnito di Sebbi, compaiono anche delle spoken words su un tappeto ritmico come sempre devastante ma che spiccano anche per una certa ricerca in fatto di melodia. Si continua a pestare con "Unhumanizer", una song che mette in luce il lavoro alla sei corde da parte delle due asce, cosi come il mostruoso e dispendioso armeggiare dietro alle pelli di Atz, che sicuramente premiano a livello tecnico le capacità della band. Il resto? Normale amministrazione all'insegna di un death pirotecnico e brutale che tuttavia necessita di una spinta addizionale per poter emergere dalla massa. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/erupdead/

giovedì 24 agosto 2017

Pathology - S/t

#FOR FANS OF: Brutal Death
With a rhythm like a spray of bullets and thunder of artillery erupting up and down a battle line, Pathology runs amok leaving a wake of carnage that disassembles anything in its path. This band conjures images of rolling fortresses misshapen by arrays of weaponry in a seemingly random assortment of calibers and missile pods made for massacre rather than as an figure to appreciate. Made all the more imposing by their terrifying silhouettes stretching across blood-soaked battlegrounds, a regiment of these harbingers prognosticates the twilight of civilization. Unlike many inappreciable weapons systems of yore, shredded in scrap yards and burned on roadsides, there is a meticulous method to Pathology's misshapen steeds as they make their mad rush to scorch the earth through an album that transitions from a bewildering first blast to an exhaustive meditation on technique.

Eleven years old and on its ninth full-length album, this California outfit is an experienced mainstay of the brutal death metal realm and continues to plunge itself into the undulating pits of flesh that dot this world of sickness and gore. Immediately to the point, each song involves the slamming percussive patterns symbolic of the sub-genre as the ensemble forms an ever-morphing ball of aggression where strings attempt to breach the viscous surface, beating themselves to exhaustion and squeezed back into their confines by the fleshy crush. In “Litany” a thrashing surge enhances the guitars' muddy bounce. Behind it is an enticing lick here and there that takes center stage with higher pitch that wraps the guitars in harmony far above the abyssal bedlam. These aberrations stand far out against a series of slams and stomps that shows a serious focus on technique and packs each song to the brim with undulating variations on its restless rhythms. After an abrupt solo and a massive breakdown, the end of “Servitors” features a bit of Suffocation flair through a momentary guitar trill, just barely noticeable in the background of the romp and stomp, while “Shudder” showcases the intricacies of this down-tuned guitar dance alongside a magnetic vocal delivery that creates a disturbing accompaniment to an already obtuse album.

Pathology makes some very serious, very focused, ultra-brutal death metal in the veins of Texas' Devourment, Russia's Katalepsy, and Scotland's Cerebral Bore. Disgusting and indecipherable gutturals maintain the forefront, guitars fling themselves into pits of filth and arise with momentary screams while barely getting a chance to elaborate in merely two solos in this album, one in “Servitors” and another in “Vermillion”. Drumming consistently drives each song towards a fresh examination of the overall structure with astute variations, gravity blasts, and brutal bass kicking galore. Pathology is down and dirty while still remaining professional. This ninth studio album is a series of brutal death metal mainstays done very well with enough personal touch to keep the music fresh and versatile as it plunges deeper into realms of revulsion. (Five_Nails)

lunedì 1 maggio 2017

Mindful of Pripyat/Stench of Profit - New Doomsday Orchestration

#FOR FANS OF: Death/Grind
'New Doomsday Orchestration' showcases two disgusting deathgrind bands whose sounds crash right into you from the first second and refuse to relent through their mind-melting onslaughts of blast beats. Where Mindful of Pripyat has a solid enough approach and balances between grinding and letting the guitar ring out its slight death metal moments, Stench of Profit plays frenetic grindcore closer to the noise side of the spectrum.

This split is a demonstration of why grindcore, despite all its chaotic energy and frantic forms, is not the heaviest of metals in the long run. Though this noisy and blatantly in-your-face music can be some of the fastest in notation and quickest to change pace, its tendency towards structural atonality and constantly ambiguous formlessness in theme lays waste without attempting to pick up any pieces. In Mindful of Pripyat, the general push is to grind down a death metal riff as mercilessly as possible. Stench of Profit attempts to be as offensive an affront to your sensibilities, their tongue-in-cheek self-deprecating description as “ignorant music for smart people” is only halfway correct.

The crazed hammering throughout these songs will eventually decay your patience for this toxic noise. Despite a longer half-life than the band following it, Mindful of Pripyat reminds me of the limitations of extreme grindcore music while at the same time conjures in me a feeling that is all too familiar with writing. Each song is a start. As has been said by smarter people than me, 'beginning is easy and continuing is hard'. Mindful of Pripyat plays one-minute starts to songs with barely ripe riffing ideas intermixed with the same raucous blazing blasts that have been done to death by the likes of Skinless, who has not changed form, and Carcass, that has pupated and exploded from its cocoon of grind to become a fantastic death metal example. Like too many of my own scribblings that will probably never get their own physical forms, Mindful of Pripyat's meager manifestations are a pile of underdeveloped blast-laden mush that has little form and even less direction. I wanted to go through this album because of the fact that I don't listen to enough grindcore. Though that makes me no authority on how to review grindcore, despite my attempt to explore a bit more with this album, it gets to the point that a series of atonal one-minute blasts and ridiculous attempts at feeble structures becomes not metal, but a dysfunctional mesh of worthlessness knitted together thematically only at the end by the sound of a Geiger counter clicking away as though it had something to do with disappointing deluge preceding it. This is no album. It's a page of notes that needs some serious editing, discipline, and time to coalesce into something worthy of the moniker of metal.

Stench of Profit is a bit more measured in its approach despite playing songs that are far shorter than Mindful of Pripyat. Reveling in its migraine-inducing madness, this band's relentless surge starts with slower blasts through seventeen psychotic songs, each faster than the one before. The album rises to a height of intensity, stripping the listener of his sanity through formless frenzied flurries. Even though it's easily noticeable where one song ends and another begins, songs like “Calve Fast”, “Divine Education”, and “The Dance of Deceit”, all clocking in at exactly eighteen seconds long, are the same thing over and over. “No Sense” is the shortest song on this half of the album and is just two blast beats separated by a slight tempo change with two screams behind it. Then again, that's really all that every song is here. There's always one change in each song as relentlessness is met with more of the same relentlessness. This isn't “ignorant music for smart people.” It's ignorant music for morons who are so ignorant that they think they're smart.

As radioactive as the decaying abandoned town of its Chernobyl-infected namesake, Mindful of Pripyat's music is a toxic punishment diminishing slightly slower compared to what Stench of Profit has to offer. The attempt at mindless fun in these two grind albums makes for a combination that shows just how much punishment a dead horse can receive from its petulant abusers. At least it's silent between some of these songs, those moments are the best that this split has to offer. I'm done trying to be nice and open-minded about it. This album is obnoxious crap. (Five_Nails)

domenica 12 febbraio 2017

Intervista con Hungry Like Rakovitz


Conosciamo qualcosa di più dei grinders Hungry Like Rakovitz. Di seguito il link all'intervista che il nostro Kent ha avuto con la formazione bergamasca:

venerdì 16 settembre 2016

Antigama - Resonance

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Grind, Napalm Death, Psyopus, Cephalic Carnage
Identificati come la nuova faccia del grindcore moderno, i polacchi Antigama non potevano non sfuggire dalle grinfie della Relapse Records. Dopo due furiosi lavori quali 'Discomfort' e 'Zeroland', la band di Varsavia ha continuato nella sua evoluzione, proponendo un sound sempre più borderline tra brutal death e grindcore. In 'Resonance' però i suoni si fanno più claustrofobici rispetto al passato, ma anche più ossessivi e psicotici. Forti di una produzione eccellente e di una padronanza strumentale ineccepibile, i nostri ci sparano in volto 17 schegge impazzite di musica feroce, allo stesso tempo ipertecnica e malsana: combinando la asprezza del grind old-school con gli acrobatici numeri della scuola techno grind tipica di act quali Cephalic Carnage e Cryptopsy, il combo ci aggredisce con un mix mortale di riff micidiali e intricati, iperveloci blast beat, rigurgitanti growling vocals, ma anche insane, schizofreniche e rallentate atmosfere, che ci mostrano il lato più malato, ma secondo me, più intelligente della band polacca. Qui non troviamo soltanto una furia sonora fine a se stessa, ma anche citazioni psichedeliche alla Mastodon, frammenti impazziti di musica tribale (ascoltate “No” e la successiva “After” per farvi un'idea); richiami più o meno eccellenti ai Sepultura (per ciò che concerne l’utilizzo della batteria), ai Napalm Death (per le similitudini vocali con mister Barney) e ai Meshuggah sotto acido. 'Resonance' ci consegna una band che dimostra di avere idee assai chiare e una forte dose di personalità e autoironia. Promossi a pieni voti!! (Francesco Scarci)

(Relapse Records - 2007)
Voto: 75

https://antigamaband.bandcamp.com/album/resonance

mercoledì 31 agosto 2016

Spectral Mortuary - From Hate Incarnated

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Cannibal Corpse, Morbid Angel
Continua la riscoperta di vecchi album da parte del Pozzo dei Dannati che quest'oggi ci porta in Danimarca e all'anno 2007, quando esordì un nuovo combo atto a devastare il mondo: costituito da membri dei grinders Exmortem e da altri musicisti della scena estrema scandinava, gli Spectral Mortuary rilasciano il loro debut album, 'From Hate Incarnated'. Il lavoro si presenta come il classico disco death metal che tanto andava in voga a metà anni ’90, senza nulla aggiungere e nulla togliere a questo genere. Un onesto platter di musica incendiaria, caratterizzata da ritmiche possenti e una batteria precisa e veloce. Demoniache growling vocals e qualche buon assolo (registrato, ahimè ad un volume più basso), completano il quadro di questa brutal death old-school band danese. Che altro dire a riguardo di un album, che ha il solo pregio di far male e non regalare nulla di nuovo, ad una scena che più volte ho sottolineato puzzare di stantio? Di sicuro non troverete un attimo di tregua dall’inizio alla fine dell’album, non un respiro concesso, perché l’intensa furia distruttiva del quintetto scandinavo, sovrasta tutto ciò incontri sulla sua strada. L'ispirazione? Ovviamente quella trainante dei mostri sacri americani, Morbid Angel e Cannibal Corpse in primis, che sfocia di sovente in sfuriate grind, per poi rientrare in binari più canonici. Decisamente un disco indicato solo per gli amanti del death metal nato al sole della Florida. (Francesco Scarci)

(Mighty Music - 2007)
Voto: 60

https://www.facebook.com/spectralmortuary

lunedì 31 agosto 2015

Cephalic Carnage - Anomalies

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Grind/Techno Death
Dodici brani suddivisi in 99 sottotracce per un totale di 45 minuti di musica malsana. 'Anomalies' è il quarto album, datato 2005 degli statunitensi Cephalic Carnage. La band proveniente da Denver (Colorado) sfodera l'ennesima prova eccellente, confermando (e non c’era il bisogno) di essere una delle band più creative e camaleontiche nel loro genere, un grind folle, unico, originale e senza compromessi. 'Anomalies' rappresenta un viaggio, un viaggio nella mente dei pazzi criminali che hanno concepito questo sound, un sound capace di annientare ogni nostra sicurezza e di stravolgere il vostro (e il mio) concetto di musica. Ci troviamo di fronte ad un mix di ipersonico e ipertecnico grindcore, granitico death’n roll miscelato ad un pachidermico doom e ad altre influenze non propriamente metal (jazz e punk su tutte). Il lavoro è un piccolo gioiello: pezzi come “Piecemaker” e “Dying will be the Death of me” piaceranno sicuramente anche a chi con questa musica non ha molta confidenza. Una sezione ritmica devastante e altamente complicata si abbina a ottime vocals (che possono rievocare i vari Lars Goran Petrov, Barney Greenway, Ozzy Osbourne, si avete letto bene!!), a una perizia tecnica mostruosa, con richiami dai folli Pan.thy.monium (creatura di Dan Swano), ai The Dillinger Escape Plan o alla lucida follia di Mike Patton; un’ottima produzione contribuisce a rendere quest’album un grande disco. Non so se sia per l’influenza dell’uranio contenuto nel granito delle Montagne Rocciose o cos’altro, fatto sta che ci troviamo di fronte a dei ragazzi che sanno il fatto loro, che hanno partorito un lavoro di grande valore, che farà sicuramente nuovi proseliti. Forse i puristi del grind storceranno un po’ il naso a questa mia recensione, vi invito, ad ogni modo a dare un’occasione a questo gioiellino, pregandovi di andare oltre ad un superficiale ascolto e addentrarvi nella psiche malata di chi ha prodotto questo strumento di morte. La “Carneficina” sta per iniziare... (Francesco Scarci)

(Relapse Records - 2005)
Voto: 90

mercoledì 29 luglio 2015

The Red Chord - Clients

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Grind, Napalm Death
La Metal Blade da sempre sforna dischi a ripetizione, sarà poi compito nostro e vostro valutarne la reale qualità. Nel 2005 ecco uscire per la label statunitense il secondo album dei death metallers The Red Chord: 37 minuti di puro brutal death tritabudelle. Formatisi nel 2000 e originari del Massachussets, la band ha già una bella gavetta alle spalle con circa 400 shows all’attivo per la promozione del debut album 'Fused Together In Revolving Doors'. Con il nuovo lavoro, il quintetto a stelle e strisce ci spara 11 massacranti pezzi di death metal, che sfociano talvolta anche nel grind e nell'hardcore, ma che presentano anche altre sorprese (cantato rapcore, breaks acustici e assoli melodici). C’è da dire che da un punto di vista tecnico i ragazzi sono assai preparati: buona e veloce la batteria, ahimè poco incisive le chitarre. Per quanto riguarda i contenuti beh, o amate questo tipo di musica oppure è meglio lasciare perdere in partenza. Le fonti d’ispirazione per i nostri sono come sempre gli inventori del genere, i Napalm Death, ma anche Morbid Angel e Deicide. La produzione è buona, sebbene i suoni siano grezzi e aggressivi. Le vocals sono quasi sempre gutturali, occasionalmente compaiono urla terrificanti come backing vocals e voci al limite del rap. Non sto qui a segnalarvi un brano piuttosto che un altro, anche perché i pezzi si assomigliano un po’ tutti. Non saprei che altro dirvi, dischi di questo genere, cosi monolitici e un po’ piattini, hanno ben pochi spunti da analizzare. Se siete degli amanti del genere di queste sonorità, andate a ripescare questo terremotante 'Clients', altrimenti meglio lasciar perdere. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2005)
Voto: 65

domenica 28 giugno 2015

Dekadent - Veritas

#PER CHI AMA: Blackened Death Prog, Anaal Nathrakh, Old Man's Child, Devin Townsend
Il panorama metal sta espandendo sempre più i propri confini: il black non arriva più solo dal nord Europa, il doom non è ormai da tempo prerogativa dell'Inghilterra, e lo swedish death ormai potrebbe definirsi semplicemente melodic death metal. Il sound esplosivo di 'Veritas' arriva dalla Slovenia e da una band, i Dekadent, che sono in giro già da un decennio, con quello di oggi che rappresenta il quarto lavoro dell'act di Ljubljana. Musicalmente i nostri sono ben difficili da etichettare, in quanto l'impianto sonoro di 'Veritas' affonda le proprie radici nel metal estremo degli Anaal Nathrakh, ma tuttavia, punti di contatto con il melodic death e una certa vena progressivo/sperimentale del folletto Devin Townsend, è riscontrabile fin dalla opening track, "Of Acceptance & Unchanging", song che mostra una certa maturità a livello di songwriting, ma soprattutto una padronanza invidiabile nella matassa di pezzi furiosi, sprazzi acustici e chorus melodici. L'esito alla fine è davvero convincente, considerando la ragguardevole durata della opening track e i suoi quasi 10 minuti. "Dead Opening" irrompe con una splendida cavalcata stracolma di groove che genera anche un certo trasporto emotivo che tende ad una diffusa malinconia (complice anche il fatto che questa traccia la si ritrova a supporto del film che appare nel bonus dvd), grazie anche alle ariose tastiere, di scuola Townsend, che chiudono il pezzo. Un bombastico riffing stile Old Man's Child è la matrice sonora di "Pasijon", song che si avvicina al black dei norvegesi, arricchendolo di colate di groove e di chitarre death da metà brano in poi, mentre i vocalizzi del bravo Artur si mantengono più orientati al versante growl. Ma il sound dei Dekadent è un fiume in continua evoluzione, non stupitevi quindi se sul finire la traccia si spinga ancora una volta in territori progressivi. Ascoltare un brano del quartetto sloveno si rivelerà infatti come guardare un film con tre tempi, con un susseguirsi di colpi di scena. Con "Nervation's End" si ritorna alle scorribande stile Anaal Nathrakh, e un sound violento e oscuro che lentamente si arricchisce in melodia: la comparsa di una tastiera, un assolo che mi ha fatto rizzare i peli sulle braccia, in una miscela di suoni lenti e oscuri che nel frattempo hanno già dimenticato la veemenza iniziale del brano, che vira addirittura verso versanti onirici, prima di implodere su se stessa in un fragoroso come back death metal. Avete presente i Dimmu Borgir più orchestrali? Ecco come si presenta "Valburga", almeno inizialmente; ovvio che da li a poco, la song proverà a percorrere altre strade, grazie alla mutevole essenza dei suoi musicisti. Death metal e black avanzano a braccetto avvolti in una veste barocca e pomposa, sospinta da una suadente furia grind che trova attimi di riflessione in fraseggi e assoli di natura progressiva. "Beast Beneath the Skin" è un'altra cavalcata senza sosta, in cui il turpiloquio musicale è dettato dal riffing selvaggio dei nostri che in questa song non riesce stranamente a trovar pace. Il finale di 'Veritas' è affidato alle note di "Keeper's Encomium", song velata di una malinconia diffusa che richiama alla grande la follia di Devin Townsend, in un coacervo di suoni doom, death progressive e ambient, per quella che sembra essere la migliore traccia del lavoro. Lavoro che comprende anche un bonus dvd con un cortometraggio di 24 minuti di cui Artur è il regista, e con le musiche dei Dekadent a sugellarne l'essenza decadente. Altri contenuti bonus, tipo i trailer ufficiali della release stessa, ne completano il contenuto. Che altro dire, se non invitare voi tutti ad accostarvi a questo elegante e complesso bel lavoro. Bravi! (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 85

sabato 6 dicembre 2014

Wrøng – Doomed From the Start

#PER CHI AMA: Grind/Hardcore, primi Napalm Death
Parlare di grindcore metal o noise per questa band è decisamente riduttivo. Di casa a Melbourne, Tim - bass / vocals - lyricist e Crispin - drums / vocals – editor, sfoderano nel 2014 ben sei opere devastanti tra singoli, e.p. ed album, tutte autoprodotte e dal copione selvaggio, iconoclasta e mostruosamente realistico. Un grido di rabbia e disperazione reso possibile distorcendo esageratamente ogni cosa, dalle voci alle trombette giocattolo, dai trapani elettrici al basso, senza nessuna remora o forma canzone, una illogica/logica contorsione intellettuale della forma sonora. L'amore per i primi Napalm death e per l'hardcore primordiale, uniti alla rumoristica sperimentale più oltranzista, quella che prevede tutto il rumore possibile nel più breve tempo possibile, ha voluto la genesi di questo album che a parer nostro risulta, nella sua inaccessibilità, una geniale follia sonica. Il suono è pregno di violenza ma non fine a se stessa, una crudeltà a scopo artistico, ispirata, incomprensibile e rumorosissima. Cercare il bandolo della matassa nelle sette tracce che compongono 'Doomed From the Start' nella sua durata di soli tredici minuti risulterà arduo, così se adorate il teatro dell'assurdo, sconcertante, profondo, riflessivo ed intelligente, adorerete anche quest'album, al contrario, il consiglio è di non ascoltarlo. Non troverete niente o poco di suonato veramente, niente di tecnicamente dotato, niente di stilisticamente corretto ma se avete amato gli albori rumoristici degli Einsturzende Neubauten (il paragone è valido solo tenendo conto dell'attitudine alla sperimentazione che accomuna queste due diversissime band), allora tuffatevi senza timore tra le sue fila rumorose, troverete la stessa voglia estroversa di far musica disagiata e di confine. Lasciatevi tentare a cuore aperto dal caos sonoro provocato dai due artisti australiani. Considerateli figli illegittimi dei Black Flag in super low-fi. Sparatevi in faccia questi loro brani che suonano come un bootleg degli Atari Teenage Riot registrato con un walkman anni '90 dentro una cantina, mentre emulano pezzi dei Napalm Death sbagliando il dosaggio dei distorsori di basso e batteria!?! Questa musica è avanguardia noise, hardcore per menti superiori, intelligenza che sfocia in rumore accecante, di bassa fedeltà, contornato da immagini underground eversive, musica catartica, evoluta per le orecchie di chi la saprà realmente apprezzare. Un'arma delicata e fatale chiamata rumore... Genialmente underground! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 80

domenica 9 novembre 2014

Vampillia - Some Nightmares Take You Aurora Rainbow Darkness

#PER CHI AMA: Math/Experimental/Ambient
Ritornano i folli giapponesi Vampillia, già recensiti in occasione del precedente lavoro, dal fido Bob e valutati con un 110 cum laude. Abbandonati gli estremismi sonori di quella release, i nostri diminuiscono anche drasticamente il numero di song contenute nell'album ma le novità non si limitano solo a questo. 'Some Nightmare Take You...' infatti propone una nuova veste per la band del Sol Levante. La title track, posta in apertura del disco è infatti una canzone di oltre sette minuti che si muove ondeggiando su un tenue tappeto di chitarre classiche, violini e un finale drone/noise/wave. I nostri non si smentiscono, anche se non è il folle grind mischiato a musica classica a saturare le mie orecchie. Con “Fedor” ritornano a farsi sentire gli strumenti elettrici e quindi mi attendo verosimilmente il delirio. L'inizio infatti è affidato a una batteria schizofrenica, chorus celestiali e fraseggi ambient prima della definitiva esplosione del tipico sound dei Vampillia: schegge impazzite di grind/math su cui si innestano pianoforte, strumenti ad arco, chitarre classiche e frammenti di urla farneticanti, che sottolineano ancora una volta la genialità del combo giapponese, uno che quando c'è da sperimentare non si tira certo indietro. Il sound fiabesco riprende con la terza “The Volcano Song”, in cui ancora sono eteree voci di donzelle unite a violini a dare una parvenza di normalità ad un sound che spinge per liberarsi da quelle catene che lo tengono costretto alla normalità. Qualche riffone infatti ben più pesante cerca di erompere nella quiete ultraterrena che quegli angeli provano a mantenere con i loro soavi vocalizzi, ma questa volta la follia rimane del tutto controllata fatto salvo per un bellissimo assolo conclusivo accompagnato però da mefistofeliche vocals e da un drumming tribale e ossessivo. È forse il suono di una spinetta quello che apre “Silences” song che nei suoi primi 30 secondi mette in scena tutta la teatralità musicale dei Vampillia: musica classica e grind, un binomio perfetto per un risultato fuori dal comune. Il disco prosegue con una serie di pezzi che non superano i due minuti di durata in cui emerge forte l'anima dei nostri. In “Dream” la musica di questi pazzi sembra richiamare le colonne sonore cinematografiche degli anni '50, mentre “Hope” potrebbe rievocare gli anni '60. A chiudere il disco ci pensano le delicate atmosfere di “Kizuna”, l'ennesimo pezzo che stravolge completamente il concetto musicale dei Vampillia, che in nove brani sono stati in grado di dire tutto e il suo contrario. Genialità e follia allo stato puro. (Francesco Scarci)

(Candlelight Records - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/pages/Vampillia-official

martedì 21 ottobre 2014

Sarkast - Komakollektiv

#PER CHI AMA: Crust, Punk
Sporco, diretto e veloce. Così si può sintetizzare 'Komakollektiv' dei teutonici Sarkast. Una corrosiva opera di venti minuti che, già dall'artwork, lascia ben poco spazio all'immaginazione, un ritorno verso la fine degli anni '80, una dedica alla rabbia, una - giustamente - velata non curanza della produzione (anche se una grancassa con meno punta sarebbe stata nettamente più piacevole). Perchè alla fine ciò che conta è il messaggio e questo arriva chiaro e conciso già dalle prime note di "Kreislauf", quando si è investiti da una impalpabile raffica cenerea, distorsioni taglienti e ruvide vibrazioni. Il songwriting ad ogni modo non è portato ai minimi termini e si trovano dei piacevoli ma sporadici rallentamenti e dei pattern di batteria dinamici grazie all'uso del doppio pedale e blast-beat, la cui sintesi la si può ascoltare e gustare nella centrale "Farbenleere"o nell'ultima "Ohne Abschied", tracce a mio parere da considerarsi le migliori del platter, in quanto vincono con una basilare originalità. Tratti melodici, seppur infimi e di dubbio carattere, vengono sfiorati solamente in un paio di tracce, andando a ravvivare le composizioni là ove potrebbere arenarsi nelle classiche ritmiche del genere. Il lavoro nel complesso è onesto e poco pretenzioso, piacerà certamente ai cultori dell'old school nonostante qualche "influenza" moderna, come le ritmiche serrate spesso in combinazione con il sopraccitato doppio pedale o le sporadiche dissonanze. Incazzati! (Kent)

mercoledì 27 agosto 2014

Patrons of the Rotting Gate - The Path Less Travelled

#PER CHI AMA: Black/Death, Anaal Nathrakh
Il Pozzo dei Dannati prosegue la sua opera di scandaglio negli abissi profondi dell'underground e oggi fa tappa a Belfast, Irlanda del Nord, per conoscere i Patrons of the Rotting Gate, duo formatosi lo scorso anno e costituito da Adam "Arc" Irwin (chitarrista) e Andrew "Manshrew" Millar (tutto il resto), ex membri dei Kiriath. Il duo nord irlandese, abbandonate quasi del tutto le velleità techno death della precedente creatura, si lancia in un sound all'insegna del black metal, quello sinistro e più difficile da definire, perché sporcato da suoni caotici che talvolta sfociano in dimorfismi musicali terrificanti. La consueta intro apre le danze creando sin da subito una palpitante atmosfera orrorifica che sfocerà nella furia distruttiva "Tři Závěti" che mi investe come fosse una violenta tempesta polare. Il black delle linee di chitarra stile sega circolare, si fonde con partiture tipicamente death progressive, in cui ritmiche infuocate si alternano a tempi medi. La parola d'ordine rimane comunque quella di infrangere ogni limite di velocità e per questo ne sono certo, i nostri si beccheranno una bella multa per l'autovelox che li ha visti sfrecciare ben oltre i limiti concessi, quasi a ridosso del grind melodico degli Anaal Nathrakh. Con "Carnassial", l'atmosfera si fa funerea: un po' Aevangelist, ma anche Dodecahedron, la musica del duo infernale si rivela assai scorbutica nella sua paranoica dissonanza. Un growling profondo ci accompagna nella prima metà del brano prima che si infiammi in una cavalcata isterica sostenuta da velocità insostenibili e urla strazianti. "Secrets in the Soil" è il classico pezzo interlocutorio, quello che ci concede l'attimo di respiro prima di affrontare una nuova parete irta di pericoli. "Pride in Descent" è un'altra psicotica traccia all'insegna di un black malato e suonato a velocità ipersoniche che mostra comunque una band a proprio agio in qualsiasi tipo di situazione, da quella più estrema a quelle più ragionate e atmosferiche. La band di Belfast trova il tempo di concedersi il lusso di rallentare il passo e lo fa con "Chest of Light", pezzo black doom dalle tinte fosche e rarefatte. Non cullatevi sugli allori, perché con "Clandestine Fractures" si torna a viaggiare su ritmi sostenuti, in cui tempi sono dettati da una batteria sempre puntuale e che riesce anche ad essere fantasiosa. Con "A Perfect Suicide", i PotRG scrutano ancora gli anfratti più oscuri della loro bellicosa mente, giocando tra situazioni horror doom e altri tempestosi pattern carichi di groove. 'The Rose Coil' non rimarrà certo agli annali per essere un album geniale, tuttavia credo che gli amanti dell'estremo si possano avvicinare senza timore per scoprire quali menti poliedriche si celino dietro al monicker di Patrons of the Rotting Gate. (Francesco Scarci)

(The Path Less Traveled Records - 2013)
Voto: 70

venerdì 20 giugno 2014

Blastasfuk - Super Fun Happy Slide

#FOR FANS OF: Grind, Nasum, early Napalm Death
The second release from this Australian act, this is a rather typical output and really serves to be appealing for the hardcore fans of the genre. As is typical of the kind of music usually produced here, it’s a blinding wall of noise that rips through intense, chaotic patterns that usually recall the early hardcore punk scene in terms of sheer chaotic energy and random guitar wailing is being undertaken. Still, the focus on the Death Metal roots here in terms of the rhythm section and how dexterous the rhythms become allows this one to stay more in tune with the truer side of Grindcore than most other types of bands like this, as there’s a rather more profound attempt at incorporating blastbeats and guttural Death Metal growls into the music that are a part of the general Grindcore scene. In this sense, the band certainly sets out on notable paths accomplishing this feat pretty well, but there are several problems with the album. The DIY approach to the production leaves the whole thing sounding way too thin and under-produced in comparison to more traditional Grind acts, making it plainly obvious in regards to the drumming that this is an amateur effort by clattering away on what sounds like a homemade drum-kit instead of professional-sounding equipment. There’s no power or punch in the blastbeats, which should be the most extreme part of the whole album but come nowhere close to the devastation wrought by upper-echelon bands. The repeated samples that have nothing to do with the track as a whole is another big issue, making them seem distracting rather than integral to the song as a whole, and the croaking-frog like vocals that repeatedly show up here are nothing more than a general embarrassment that it made it to tape and thought it sounded good. That just leaves the fact that the whole album is barely a half-hour with none of the tracks reaching a minute and half and having so many on here to begin with that it really could’ve gone through longer stretches of extending the songs since hardly any of them stand-out at all and don’t leave much of an impression at this excessively short length. This one really could’ve been given the time and space to stretch itself out instead of just constantly blaring through the indecipherable patterns through the awful production and then a minute later you’re stuck on another track and you can’t tell where you’ve been as the whole thing is so scattershot and disorganized that it leaves the feeling of bewilderment rather than out-and-out pummeling. As for Grindcore fans in general, this is good stuff and plays into the scene quite well with all these points about the genre proving the there’s still quality old-school Grindcore still being made, and should therefore add onto the total score below. That’s mainly for the more mainstream metal fans to follow. (Don Anelli)

(Lesstalk Records - 2014)
Score: 40

sabato 7 giugno 2014

Dol Kruug - Eat Me

#PER CHI AMA: EBM, Industrial, Cyber Electro Grind
Dol Ammad, Dol Theeta e gli ultimi arrivati Dol Kruug (senza scordare anche i Synesthesia) non sono altro che le incarnazioni sonore degli umori di Thanasis Lightbridge, musicista greco di Salonicco, che attraverso la sua label Electronicartmetal Records, dà libero sfogo a tutte le sue caleidoscopiche idee. Veniamo agli ultimi nati, i Dol Kruug e al loro formidabile esempio di come si possa combinare l'elettronica col cyber grind/EBM e rumorismi vari, senza cadere nello scontato o nel già sentito. La cavalcata sonora di 'Eat Me' parte dalla funesta "Game Over Human" che incarna lo spirito malsano di questa release e decreta la fine della nostra razza sulla Terra. Spettrale, malvagia e idiosincratica, la traccia mostra una nuova immagine di Thanasis, fino ad oggi edulcorata dalle sperimentazioni sinfoniche delle altre sue creature. Con questo album invece l'idea è quella di far male con le ritmiche eletro-industrial delle sue tracce, che una dopo l'altra scorrono in questo magmatico effluvio ipersonico. "Mecha Orgy" richiama qualcosa dei Fear Factory, ma molto più ampio è lo spazio ivi riservato per la sperimentazione cibernetica con le vocals del mastermind greco, mai cosi profonde. L'album spacca di brutto e poco spazio (per non dire nullo) viene concesso a momenti più rarefatti. L'EBM regna sovrano in "Obey the Toad" con le sue perturbazioni soniche che destrutturano pericolosamente la mia massa cerebellare. Se poi ascoltate il tutto in cuffia, il risultato di annientare i sempre meno neuroni rimasti, avrà il suo massimo effetto, statene sicuri. Degli ansimi spaventosi aprono "Brain Lab" e poi l'effetto dei suoni che si canalizzano all'interno delle mie orecchie è quello di un esercito di piccoli soldati che, dotati di una mazza ferrata, fanno pulizia prendendo a martellate le cellule del mio meato acustico. L'atmosfera mortifera che si respira ha un che di spaventoso, gli effetti giocano a ping pong passando da un orecchio all'altro, destabilizzando sempre più la mia mente. Urla di donne, suoni provenienti da un rave party in una fabbrica dismessa, vocals suine sono gli ingredienti di questa song e delle successive. Nella title track l'electro sound assume connotati quasi noise, sfondandoci il cranio a suon di EBM e disco space rock. Siamo a metà ascolto e mi sembra di essermi fatto un'endovena delle più potenti droghe psicotrope: l'esercito di piccoli soldati non è più nelle mie orecchie, ma me lo vedo danzare davanti agli occhi, ormai stordito dal vodooo sonoro che si è inventato il buon Thanasis. Che diavolo ti sei fumato per concepire questo lavoro? Vado avanti, abbandonando la follia degenerativa di "Vo Du Delagua" per farmi accogliere a braccia aperte dalla furia deflagrante di "Psycho Stops For Tea", l'esempio più palese di come si possa suonare grind cibernetico e si rischi di diventare quasi più devastante del mitico 'Scum' dei Napalm Death. 'Eat Me' è un'arma pericolosa, da maneggiare con cura, un album concepito da alieni tant'è che "Alien Butcher Doctors" ne rappresenta probabilmente l'inconfutabile prova, un messaggio che lo strumentista di Tessalonica volge verso lo spazio per richiamare forze extraterrestri che invadano il nostro pianeta. Sonorità stile film di Dario Argento per la catacombale "Ex Inferis" e la conclusiva "Sonic Diarrhea" che ci danno il definitivo colpo di grazia targato Dol Kruug. Preparatevi, l'invasione è iniziata e i Dol Kruug (e la gallina finale) ne sono gli infami promotori. (Francesco Scarci)

(Electronicartmetal Records - 2014)
Voto: 80

domenica 13 aprile 2014

The Orange Man Theory - Giants, Demons and Flocks of Sheep

#PER CHI AMA: Death/Grind, Brujeria
Al ritrovamento di questo album nella mia cassetta postale, ero particolarmente contento causa il fatto che in uno storico e defunto locale live del vicentino, trovavo perennemente in bagno il loro adesivo con sottoscritto "Satan Told me I'm Right" (ed un gruppo con uno slogan del genere non può che starmi simpatico). Dopo il primo approccio con questa loro opera però, ho cambiato decisamente la mia opinione. Ciò che mi rende più astioso l'ascolto di questo terzo album della band romana sono principalmente i suoni, causa una voce preponderante su tutto, un'infima chitarra ed un basso enormemente distorto; la produzione però non è scarna e zanzarosa, bensì freddamente chirurgica e molto (troppo) carente di basse frequenze, anche su volumi sostenuti. A ciò purtroppo si aggiunge l'impasto sulle frequenze causato dal basso e dalla chitarra che non permette di cogliere facilmente i tecnici fraseggi dei due, oltre che dalla batteria, resa estremamente secca dalla produzione, della quale però si riescono ad apprezzare pienamente i notevoli giochi ritmici. Dal punto di vista compositivo, le tracce sono per lo più rapide e grooveggianti, ad eccezione di "If I Could Speak", un sapiente mix di grindcore, death metal moderno, un pizzico di noise e strutture southern rock. Altro punto fermo del songwriting sono gli innumerevoli cambi di tempo e le adrenaliniche aperture che occupano l'opera nella quasi totalità. 'Giants, Demons and Flocks of Sheep' è un disco molto vario, che troverà terreno fertile tra gli amanti della musica estremamente movimentata ed aggressiva; personalmente, sarei molto curioso di vederli live con un buon impianto a supporto. Li aspetto. (Kent)

(Subsound Records - 2013)
Voto: 65

domenica 16 marzo 2014

Orbweaver - Strange Transmissions From The Neuralnomicon

#PER CHI AMA: Death Grind Schizoide, Gorguts, Primus, Meshuggah, Naked City 
Gli Orbweaver arrivano dalla Florida e ci aprono all'ascolto del loro primo scrigno magico composto da cinque stupendi brani, magistralmente autoprodotti con un artwork di tutto rispetto, ricercato e perfetto per l'immagine della band. L'album è a dir poco allucinante, suonato divinamente, duro, tossico, violento, psichedelico e folle. Immaginate i Psyopus che suonano un tributo agli Hawkind con la follia dei Primus più trasversali e con la potenza devastante dei Napalm Death e avrete una vaga idea del groviglio sonoro proposto da questa stratosferica band. Un quartetto di tre ragazzi e una ragazza (Sally Gates suona la chitarra divinamente), formazione classica con un chitarrista cantante e una propensione al grindcore infarcito di LSD e viaggi cosmici, una tecnica invidiabile e una fantasia al limite del sopportabile in quanto a variazioni sul tema. Esagerati, forse fin troppo positivamente oppressivi nella proposta musicale indecente, troppo intellettuale, tanto affascinante ed emozionante e piena di sensazioni in continuo movimento. L'atmosfera è surreale, simile a quella di certi Voivod o Meshuggah e un gusto naif alla Ozric Tentacles, con una maniacale devozione alla forza d'urto, alle dissonanze e alle magnifiche chitarre interstellari, al viaggiare attraverso mille galassie di suoni . Un improbabile connubio tra Frank Zappa, i Naked City di 'Torture Garden', Cannibal Corpse, The Dillinger Escape Plan e Gorguts. È difficile spiegare come questi ragazzi abbiano superato indenni la tentazione di creare la solita zuppa di tecnicismi fini a se stessi, optando per un EP carico di suggestione sonora e chilometri di fantasia, cercando nuove vie di espressione, allargando i confini di una musica che molte volte cade nel sentito e risentito. Ci rendiamo conto che non sarà facile dare un seguito ad un tale capolavoro e per ora ce lo gustiamo spensierati a tutto volume, a bordo della nostra navicella cerebrale a spasso per lo spazio più profondo. Intelligente, geniale, fantasioso, estremo. Stellare! (Bob Stoner)

(Primitive Violence Records - 2013)
Voto: 85