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giovedì 12 aprile 2018

Prosperity Denied - Consciousless

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Grind
La viennese Noisehead Records non è stata un'etichetta troppo lungimirante: dopo la scadente prova dei Misbegotten, ci ha riprovato da li a poco con gli austriaci Prosperity Denied e ahimè il fiasco si è mostrato ancora dietro l'angolo. Il terzetto, formatosi nel 2006 da una costola dei Ravenhorst, proponeva l'ennesimo esempio di death metal, sporcato da influenze derivanti dall'hardcore, dal punk, dal grind e addirittura dal black metal. Il risultato sfortunatamente non è stato dei migliori: undici tracce super aggressive, incazzate, veloci, taglienti, ma come se ne ascoltavano e se ne ascoltano tuttora a migliaia in giro ogni giorno. Chitarre ruvide, non troppo pesanti, una voce al vetriolo, una batteria che bada più alla quantità che alla qualità, confermano quanto già detto: tra le mani non ci troviamo niente di particolarmente interessante. A meno che non siate fans sfegatati di questo genere, di cui tutto è già stato scritto e ripetuto una infinità di volte, lasciate pure perdere. (Francesco Scarci)

lunedì 9 aprile 2018

Misbegotten - Keeping Promises

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrashcore
Era il 2007 quando è uscita la quinta release degli austriaci Misbegotten e sinceramente era la prima volta che li sentivo nominare, segno che proprio dei fenomeni non fossero, e lo split-up dopo questo 'Keeping Promises' lo testimonia. La proposta del quintetto, in giro addirittura dal 1993 e che ha supportato band del calibro di Obituary, Pro Pain e Grip Inc., è decisamente noiosa e abulica. Non inventano nulla di nuovo con queste dieci tracce, i nostri sanno solo spararci in pieno volto, un mix di thrashcore sorretto dalle tipiche sporche chitarre hardcore e altre (e forse qui sta l'unico vero elemento interessante) che talvolta richiamano riffs di scuola Iron Maiden (nella opener è ben più palese questa influenza). Le rozze vocals di Andreas Forster, la ritmica selvaggia, i soliti breaks e qualche discreto assolo o bridge, rendono 'Keeping Promises' il tipico album che nulla ha da chiedere, se non un rapido ascolto, solo da chi mastica quotidianamente questo genere di musica. Gli altri, per carità, si tengano alla larga. (Francesco Scarci)

(Noisehead Records - 2007)
Voto: 55

https://www.facebook.com/MISBEGOTTEN-191361580872/

lunedì 29 aprile 2013

Eloa Vadaath - Dead End Proclama

#PER CHI AMA: Folk Death Progressive, Ne Obliviscaris, Skyclad
Ma possibile che tutte le band nostrane debbano emigrare all’estero in cerca di fortuna e in Italia ci sia ancora chi punta su realtà straniere con la convinzione che l’esterofilia abbia una cosi grande presa sui fan italiani? Io non ne sarei cosi convinto, pieno supporto alla scena italica. Questa vena polemica iniziale per introdurre quello che è il nuovo cd dei veneto/emiliani Eloa Vadaath, che ha visto i nostri andare in Austria a trovare l’appoggio dell’attenta Noisehead Records, che pare aver creduto in loro. Conosciuti ed intervistati in occasione del loro debut, “A Bare Reminiscence of Infected Wonderlands”, bisso ora che è uscito il sequel di quel lavoro. Ebbene il sound dei nostri mantiene la sua enorme creatività con qualche piccola novità che a mio avviso ora è molto in linea con alcune delle produzioni mondiali più sponsorizzate e sto pensando all’exploit che hanno avuto nell’ultimo anno gli australiani Ne Obliviscaris. Proprio dal progressive sound dell’act australiano, miscelato al black, death e alla musica classica, il sound del combo italico accresce quella che in realtà era già la matrice di fondo della loro proposta. Si perché quando uscì il primo album, i nostri suonavano già questo genere, ma forse il pubblico nostrano non era pronto ad affrontare questi suoni avanguardistici. Ancora una volta vengo investito dal delirante folk death dalle forti tinte progressive del quintetto italico. L’immancabile intro, poi il funambolico violino di Riccardo Paltanin prende per mano i suoi compagni e inizia a dipingere drappeggi color porpora, spennellare paesaggi di un blu intenso e tessere tele di colori tenui e delicati. Mi spiace per gli altri membri della band, ma la mia attenzione è catalizzata quasi esclusivamente dall’esplosività dello strumento ad arco. Non faccio caso nemmeno alle tonalità dell’altro Paltanin, Marco, che insieme a Nicolò Cavallaro, si divide il compito delle vocals, pulite le prime e talvolta poco convincenti, un rabbioso growling invece, quello del giovane bassista. “The Sun of Reason Breeds Monsters” è la terza song che mischia la dinamicità del death metal con ambientazioni dal chiaro sapore rinascimentale, senza tralasciare quel folk rock anni ’70 incarnato alla perfezione dai Jethro Tull. Sebbene la band di Blackpool rimase famosa per l’utilizzo del flauto, lo spirito incarnato dagli Eloa Vadaath potrebbe essere sicuramente avvicinabile a quello dei rockers inglesi, vuoi per il desiderio di donare un tocco etnico e progressivo al proprio sound, e per il caratterizzante utilizzo del violino da parte dei nostri EV. “Vever” è un pezzo magico, assai malinconico ma con un finale da urlo affidato ad uno splendido assolo che avvicina di nuovo i nostri alla fiamma che mosse le band a fine anni ’60. Sia ben chiaro, per chi potesse male interpretare le mie parole, che non abbiamo in mano un disco di rock nel senso più stretto, anzi il contrario, “Dead End Proclama” è un lavoro ad ampissimo respiro, che incorpora nuove influenze, si è dimenticato di alcune vecchie (qui di black metal non c’è più traccia, se non in una qualche sporadica e talvolta fin troppo caotica ritmica serrata), ha messo da parte le influenze nordiche di scuola Opeth e ha costruito col duro lavoro, un sound che riesce quasi ad essere personale al 100%, anche se magari rimangono ancora cose che non mi convincono del tutto. Splendida la title track, ma forse un po’ troppo ricca di cambi di tempo che finiscono per sembrare fin troppo forzati; un mezzo punto in meno anche per la performance vocale di Marco (che a tratti mi ha ricordato il vocalist degli Aneurysm), non ancora a proprio agio in questa nuova veste. È sempre comunque il violino indemoniato di Riccardo a farla da padrone, è quello che fondamentalmente imbastisce la ritmica dell’ensemble, su cui poi poggiano gli altri strumenti. “Relics” è un altro fantastico pezzo, peccato solo che duri una manciata di minuti. “From the Flood” ha una vena iniziale doomish, e la band dimostra di sapersi muovere con una certa disinvoltura in tutti i generi musicali, e di sapermi conquistare per la loro fortissima carica emotiva, le splendide melodie e una enorme raffinatezza nei suoni. Tecnici, brillanti, orchestrali, sinfonici e teatrali, gli Eloa Vadaath si confermano tra le sorprese più gradite di questo primo quarto del 2013, soprattutto quando a risuonare nel mio stereo c’è il mio pezzo preferito dell’album, “Ad Rubrum Per Nigrum”; volete conoscerne il ragione? Fate vostro questo lavoro e ne capirete il motivo. Assolutamente da non perdere. (Francesco Scarci)

giovedì 9 agosto 2012

Prosperity Denied - Consciousless

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
La viennese Noisehead Records, dopo la non brillante prova dei Misbegotten, ci riprova con gli austriaci Prosperity Denied e ahimè il fiasco è ancora dietro l'angolo. Il terzetto, nato nel 2006 da una costola dei Ravenhorst, propone l'ennesimo esempio di death metal, sporcato da influenze derivanti dall'hardcore, dal punk, dal grind e addirittura dal black metal. Il risultato è sfortunatamente non dei migliori: undici tracce super aggressive, incazzate, veloci, taglienti, ma come se ne ascoltano a migliaia in giro ogni giorno. Chitarre ruvide, non troppo pesanti, una voce al vetriolo (non troppo brillante), una batteria che bada più alla quantità che alla qualità, confermano quanto già detto: tra le mani non ci troviamo niente di nuovo ed interessante. A meno che non siate fans sfegatati di questo genere, di cui tutto è già stato scritto e ripetuto una infinità di volte, lasciate pure perdere. (Francesco Scarci)

(Noisehead Records)
Voto: 55
 

Misbegotten - Keeping Promises

#PER CHI AMA: Thrash/Hardcore
Quinta release per gli austriaci Misbegotten e sinceramente, è la prima volta che li sento nominare, ma passiamo oltre a questa sottigliezza. La proposta del quintetto, in giro già dal 1993 e che ha supportato band del calibro di Obituary, Pro Pain e Grip Inc., è sinceramente un po' noiosa e abulica. Non s'inventano nulla di nuovo in queste dieci tracce, i nostri sanno solo spararci in pieno volto, un mix di thrashcore sorretto dalle tipiche sporche chitarre hardcore e altre (e forse qui sta l'unico vero elemento interessante) che talvolta richiamano riffs di scuola Iron Maiden (nella traccia iniziale è ben più palese questa influenza). Le rozze vocals di Andreas Forster, la ritmica selvaggia, i soliti breaks e qualche discreto assolo o bridge, rendono “Keeping Promises” il tipico album che nulla ha da chiedere, se non un rapido ascolto, solo da chi mastica quotidianamente questo genere di musica. Gli altri, per carità, si tengano alla larga... (Francesco Scarci)

(Noisehead Records)
Voto: 55