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giovedì 9 marzo 2023

Cave Dweller - Invocations

#PER CHI AMA: Noise/Ambient/Dark
Il nuovo album di Cave Dweller, ovvero Adam R. Bryant, ex membro della band post black metal americana Pando, è stato concepito come una lunga colonna sonora, con l'idea stessa di emanare una visione simbolica del rapporto che lega l'uomo alla spiritualità della natura. Un concetto profondamente radicato tra le note della musica di questo uomo delle caverne, che si fa notare fin dal significato del moniker scelto dall'autore stesso. Le danze si aprono con una voce che recita sopra una rarefatta base, acustico ambientale ("An Invitation"), morbida ed eterea per proseguire nella oscura parvenza di "To Accept the Shadow", che ricorda le trame delle musiche più cerebrali dei Virgin Prunes (vedi la splendida raccolta 'Over the Rainbow'), con un piano nostalgico e amaro a condurre le musica, per poi finire a deragliare su di un finale dark/ambient, con la presenza ritmica di una percussione metallica, che sonda i terreni dei lavori, tutti da scoprire, del progetto mistico/ambient russo, Enoia. Da qui, si viene traghettati in modo naturale, verso la splendida "Bird Song". Questo brano era già presente nel precedente ottimo EP, 'Between Worlds', ed è una traccia che vanta un cantato fragile, drammatico ed epico, con una chitarra solitaria dall'animo grigio e un'evoluzione in stile folk black, che fa riscoprire tutta la forza artistica di questo atipico menestrello del Massachusetts. L'arte di Cave Dweller è sotterranea, rurale fino al midollo, criptica, sperimentale e la si apprezza solo se si colgono i dettagli di registrazioni fatte con smartphone, rumori, fruscii e suoni non convenzionali, particolari sparsi un po' ovunque con genialità e la consapevolezza di creare qualcosa di profondamente evocativo. Un'opera di 44 minuti che evolve le sperimentazioni dell'autore in vari ambiti, folk apocalittico, ambient, alternative country, neofolk, senza prendere a prestito niente da nessuno, per un viaggio personale e originale. Suoni d'ambiente, uccelli in sottofondo, gabbiani, noise, oppure una tiepida batteria di matrice jazz, per rendere più accessibile la ballata noir, minimalista, "Entelechy". Un sound tribale e oscuro, con conseguente esplosione black industriale, nello stile della sua precedente band, dona con vigore, una facciata ipnotica e cosmica al lungo brano intitolato "Mirror". Ma la differenza in chiave di bellezza estrema, la troviamo nella canzone conclusiva intitolata "Solastalgia", dove il solo campione di voce simil lirica/sciamanica, che persiste in sottofondo di tutta la traccia, fa onore all'arte di questo musicista unico e impareggiabile nella sua esplicita arte sonora isolazionista, fredda, rumorista e lo-fi, contornata da psichedelia cosmica ed un cristallino folk, con uno spirito etnico proveniente da qualche sistema solare sconosciuto, che rievoca un vero e proprio risveglio interiore. Un album in veste concettuale, che rispecchia un po' la forma del gioiello sonoro quale fu, 'The Inspiration of William Blake' di Jah Wobble, ovviamente da accostare solo come intuizione compositiva, non come stile musicale, visto che i due artisti sono agli antipodi stilistici, ma convergono entrambi per una libertà d'espressione molto proficua. 'Invocations' è stato creato e mixato dallo stesso Bryant in un arco di tempo piuttosto lungo, tra il 2018 e il 2021, e si presenta come un resoconto del suo percorso sonoro, quindi da considerarsi come una specie di diario di bordo delle sperimentazioni che hanno dato vita al primo splendido album del 2019 (sotto il titolo 'Walter Goodman – or the Empty Cabin in the Woods') e l'EP sopracitato del 2021. Una musica intimista tutta da scoprire ed apprezzare, per cui consiglio di ascoltare prima questa raccolta introduttiva, per poi passare in ordine temporale, alle altre due ottime opere di questo valido autore. (Bob Stoner)

lunedì 23 gennaio 2023

Wesenwille - III: The Great Light Above

#PER CHI AMA: Experimental Black
Wesenwille atto terzo. È infatti la terza volta che mi trovo a dover recensire una release dei folli olandesi, divenuti nel frattempo una one-man-band a tutti gli effetti, guidati dal buon Ruben Schmidt. 'The Great Light Above' prosegue con il barbarico e dissonante sound che avevamo già avuto modo di apprezzare nei primi due lavori e, per quanto mi aspettassi un calo fisiologico del nostro mastermind, mi ritrovo invece una band in piena forma e progressione sonora. Sette le devastanti song a disposizione del polistrumentista di Utrecht, con il disco che si apre con il black tutto (di)storto di "Revelation of the Construct" in una cavalcata irrefrenabile che vede un importante uso delle melodie e momenti più atmosferici, che interrompono quello sferzare tipico dei nostri, assai simile alle raffiche del blizzard che soffia a latitudini polari. Quello che adoro di questo pezzo, che sfiora peraltro i dieci minuti, sono gli splendidi giochi di chitarra che, per quanto mi riguarda, potrebbero già sancire una elevata valutazione della release. Ma non ci accontentiamo e guardiamo oltre, con la più breve e rutilante "Transformation", brano che mette in mostra i muscoli e al contempo il cervello del musicista dei Paesi Bassi. Largo spazio alla strumentalità, ad un rifferama che somiglia più al suono dei cingoli di un carroarmato, ma che quando dà spazio alla voce graffiante di Ruben, si trasforma in un mid tempo più ragionato che sembra prendere le distanze dai maestri Deathspell Omega. Niente paura però, per quelle sonorità deviate e disarmoniche, basta pazientare la più lunga "The Legacy of Giants", con il suo fare cupo e oppressivo che ben si abbina ad un riffing sbilenco ma progressivo e che sembra percorrere i medesimi passi seguiti dagli Enslaved ai tempi di 'Monumension', in un incedere mai banale (a tratti dotato anche di una certa vena orchestrale) che sottolinea come oggi sia ancora possibile fare black metal tanto originale quanto sperimentale, senza sporcarsi troppo le mani con trovate bizzarre o l'utilizzo massivo di effettistiche varie. Il disco mi piace molto, non è certo semplice da affrontare, ma molto meglio di una passeggiata con temperature polari che di questi tempi ci allietano le giornate. "Trinity" è un pezzo mortifero sotto i quattro minuti di durata, che nasconde tutta la malignità della band nelle sue fosche e deliranti note. Quando si dice che il bello deve ancora venire, ecco piombarci addosso "Our Sole Illuminator", un disumano concentrato di post black, tracce di prog deathcore e improbabili sperimentalismi sonori (a tratti malinconici) che innalzano ulteriormente, nemmeno ce ne fosse stato bisogno, il tasso qualitativo del disco. Un interludio strumentale ("Eclipse") e ci dirigiamo verso lo spettrale finale affidato all'ispiratissima e labirintica "The Specular Gaze", degna chiusura di un album che vanta peraltro in copertina la foto di Harold Edgerton, grande innovatore tecnico nel campo fotografico e dell'ingegneria elettrotecnica al MIT, nello scorso secolo. (Francesco Scarci)

domenica 22 gennaio 2023

Boogie Belgique - Machine

#PER CHI AMA: Electro/Jazz
La band belga si gioca la carta del sesto album in maniera vincente, non cambia i registri del proprio stile, anzi li esalta e mette a fuoco. Dinanzi ad una concezione sonora ricercata e propensa ad interagire con le idee di artisti del calibro di Bonobo e Wax Taylor, i Boogie Belgique si destreggiano in bella maniera tra trip hop, new jazz, lounge music, elettronica e pop. Musica dai ritmi pulsanti che a volte emulano la dance music da club con innesti funk, ma con melodie studiate e mai pesanti, in modo da far apparire sempre, l'insieme musicale del disco, assai leggero, accessibile, sofisticato ed intelligente. I fiati fanno la differenza stilistica, per un disco concepito nel ricordo musicale degli anni '30, quei rigogliosi anni prima della guerra, un sound che infondeva serenità e ottimismo per il futuro, un amarcord, che in quest'opera, nasconde però, una velata malinconia nel suo essere costantemente orecchiabile e ricercato, con numerosi innesti di campionature datate e un'atmosfera vintage, che veramente ci rimandano in quegli anni che precedettero la Seconda Guerra Mondiale. Fondamentale per capire il senso di questo album è guardare il video di "Mercury" (in puro stile "Metropolis"), che a mio parere è l'apice compositivo di questo valido lavoro, dove assaporare l'estetica intelligente che la band belga dona, anche attraverso semplici immagini d'epoca, alla sua musica dal taglio lounge, senza disdegnare una visione riflessiva ed odierna, sul degrado urbano, la caduta della società e il disagio sociale. Risulta normale, quindi, che al sottoscritto, brani come la già citata "Mercury", "Fly" e la morbida "How Deep is the Ocean", dal tocco così etereo ed astratto, pur restando in tema jazz e new jazz, facciano immenso piacere, perchè emulano certe evoluzioni del miglior acid jazz di nicchia, degli anni '90. Per concludere, posso dire che non ho alcun dubbio ad affermare, che il progetto nato una decina d'anni or sono, dalla mente di Oswald Cromheecke, con l'aiuto dei collaboratori di oggi, Emily Van Overstraeten, Cedric Van Overstraeten, Aiko Devriendt, Ambroos De Schepper e Martijn Van Den Broek, sia la sua realizzazione discografica migliore. 'Machine' è un gioiellino pop,con una splendida ed evocativa grafica di copertina, tutto da ascoltare, ballare e poi magari riflettere su quello che oggi ci circonda. A mio avviso un album, più introspettivo ed ipnotico e profondo, del loro più famoso album 'Volta'. (Bob Stoner)

(Music Mania Records - 2022)
Voto: 75

https://boogiebelgique.bandcamp.com/album/machine-2 

sabato 14 gennaio 2023

Skythala - Boreal Despair

#FOR FANS OF: Experimental Black Metal
The US-based trio Skythala appeared in the scene with a debut album ready to conquer the listener who wants to escape from a standardized black metal sound, at least in its spirit and how the songs are composed. There is not much information about the origin of this project, although Ryan Clackner, known as ‘R’ in this project, is known to participate in several projects (e.g. Primeval Well, Coffin Hunter), some of them tied to extreme metal. Unsurprisingly, taking into account Skythala’s sound, some of them also have certain tendence to integrate experimentation in their sound.

Going back to Skythala, the band was able to catch the attention of the reputed label I, Voidhanger Records, to release its first opus entitled 'Boreal Despair'. If you want to listen to traditional black metal, I warn that you will be disappointed, but if you are thirsty of some experimentalisms and weirdness, 'Boreal Despair' may be something of your interest. In any case, this album is firmly rooted in the black metal genre, as you will notice in the continuous blast-beasts that songs like the album opener "Eternal Nuclear Dawn" has. Moreover, the sharpened guitars and raspy vocals will inevitably remind you the very own foundations of the genre. But leaving aside these core elements, the riffing and the eclectic arrangements give to the compositions an undeniable avantgarde touch and the usual complexity and unexpectedness that this subgenre usually offers. The orchestrations are as experimental and strange as you may imagine, creating like a chaotic atmosphere that complements the also ‘bizarre’ riffing work. The second track, "Variegated Stances of Self Mockery", combines in an interesting way, the chaotic brutality with atmospheric arrangements and a slightly more varied pace, although the speed is also quite present here. The composition abruptly stops with long and equally bizarre atmospheric interlude, which as intriguing as you could imagine. The second half of the song brings back the metal elements, but with a more hypnotic and slow-paced final section. As aforementioned, Skythala doesn’t disown of the expected brutality and speed, as their compositions are mainly remarkably fast and sharp. The arrangements play a major role in the forge of experimental sound of this album, as they are numerous, varied, and well-placed in each song. They can sound just atmospheric as a counterbalance to the chaos of the guitars or even increase this sense of madness and experimentation depending on the moment, which happens many times. "Boreal Phrenological Despair" is probably my favorite track as it shows how diverse the orchestrations can be, sounding both beautiful and weird in the same composition. Pace-wise the rest on the songs follow similar patterns with the exception of "Rotted Wooden Castles", whose rhythm is much slower until its final section, where the already known velocity comes back.

All in all, 'Boreal Despair' is not an easy album to digest. It can be a bit too experimental and weird for the classic fans, and perhaps too brutal for those who want pure experimentation. But if you like the merge of both worlds, this album can be a demanding, yet satisfactory listen. (Alain González Artola)


(I, Voidhanger Records - 2022)
Score: 72

https://skythala.bandcamp.com/album/boreal-despair

domenica 11 dicembre 2022

H.C. Behrendtsen - S/t

#PER CHI AMA: Math Rock
E questi H.C. Behrendtsen da dove diavolo saltano fuori? Con un moniker quasi impronunciabile, sicuramente parecchio complicato da fissare nella testa, il trio di Lipsia se ne esce con l'album omonimo di debutto che miscela suoni sperimentali che partendo dal math rock dell'iniziale "Ibiza/Heinz" (il singolo del disco) arriva ad una sorta di nintendocore/chiptune della successiva "Modem". Ecco appunto, il titolo sembra lasciar intendere che a comunicare sia un modem di un computer attraverso suoni informatici che lentamente prendono forma e colori svariati, dal jazz all'hardcore in uno schianto sonoro che mi ha evocato i nostrani Eterea Post Bong Band (EBPB), che nel 2009 avevano fatto uscire 'EPYKS 1.0', un album incentrato sull'uso di internet e dei cellulari. Ecco, trovo più di una similitudine tra i tedeschi H.C. Behrendtsen e gli EBPB anche nell'uso dell'effettistica (in "Labyrinth" o nella più ipnotica "Domino-Theorie", ad esempio). La band teutonica sfugge cosi ad ogni tipo di etichettatura troppo stringente, vista un'attitudine avanguardista che collide spesso con ritmi incalzanti e tirati (come quella dell'opening track), o con atmosfere più psichedeliche ("Vitamin") o lisergiche (la già citata "Domino-Theorie"). L'album tuttavia non è cosi semplice da digerire, complici suoni molto spesso poco immediati (ascoltatevi la tribalità sghemba di "Kalimba", tanto per gradire e poi impazzire). Il jazz blues torna di casa nelle meno vivaci (e meno riuscite) "Never Get High on Your Own Supply" e "LiLiGeTiTi", mentre con la conclusiva "Weight", si ritorna ad un delirio sonoro quasi improvvisato che non lascia diritto di replica alcuno. (Francesco Scarci)

(Schatulle Bömm - 2022)
Voto: 70

https://hcbehrendtsen.bandcamp.com/album/h-c-behrendtsen

mercoledì 7 dicembre 2022

Estrangement - Disfigurementality

#PER CHI AMA: Experimental Death Doom
Ci hanno messo ben otto anni gli australiani Estrangement a far uscire il loro album di debutto su lunga distanza dopo un demo e uno split album usciti rispettivamente nel 2013 e 2014. Lo stravagante quartetto di Sydney capitanato da JS, esce quindi con questo 'Disfigurementality', un concentrato di stralunato death doom che esordisce con "Destitution Stench", una breve intro che ci prepara all'originale forma musicale espressa dalla successiva "Detritivore". Citavo il death doom, ma potremmo aggiungere anche il funeral in alcune linee pesantissime di chitarra (e nelle durate estenuanti dei brani) o ancora nelle profondissime growling vocals, ma quello che colpisce nella proposta dei nostri è l'inserimento di alcune partiture neoclassiche, ma anche jazzy o addirittura scorribande black come accade nella seconda parte del brano. Tutto questo oltre a regalare una grande dinamicità al disco, prospetta grandi speranze per un genere che ultimamente avevo avvertito come spento o con ben poco da dire. E invece la band australiana si gioca molteplici carte di improvvisazione che rendono anche le successive tracce molto più palatabili. Passando da un breve intermezzo acustico, si arriva a "The Light Unshown", una song che sembra votata a quel mood struggente di My Dying Bride o dei primissimi Paradise Lost e non posso far altro che applaudire, per quanto il sound possa risultare obsoleto. Ma l'uso di contrabbasso, flauto e violino, che già avevo apprezzato in "Detritivore", cosi come un favoloso break acustico dal sapore spagnoleggiante, corredato poi da una cascata di note di chitarra e atmosfere epiche e struggenti, regalano una proposta che in termini di freschezza, sembra non aver uguali. Dopo un iniziale cerimoniale esoterico, prende piede "Fire Voice", con una sorta di assolo di flauto a cui fa seguito un'altra chitarra flamencata a testimoniare, se ancora ce ne fosse bisogno, l'originalità dei nostri. "Clusters" è puro caos sonoro che trova comunque il suo perchè in un lavoro unico e complicato come questo. " Womb of Worlds" è un altro tassello di follia di questi quattro musicisti tra sonorità doomish catacombali e altre derive psicotiche, con un violino nel finale a rimembrare i fantastici esordi dei My Dying Bride. "Asleep in the Vineyard" è un altro interludio atmosferico che ci conduce a quello che è il brano più lungo del lotto, i tredici soffocanti minuti della schizoide "Doppelganger", la summa di tutto il male, la genialità, la malinconia e la follia di questi Estrangement. Bel debutto, complimenti! (Francesco Scarci)

giovedì 24 novembre 2022

Incantvm - Strigae

#FOR FANS OF: Black/Doom
From Italy a quite special project comes under the leadership of the clarinetist Vittorio Sabelli, a former member of the band Dawn of A Dark Age, who has recruited some very talented musicians to help him in his new musical voyage. More than 10 musicians have taken part to record ‘Strigae’, the first effort of this interesting and undeniably original project.

The concept behind the music is also something worthy, as the album is based on witch hunt and summary trials that took place during the past centuries, and that which sadly led to the sentence of hundreds of innocent women. Musically speaking, it is quite hard to define Incantvm’s music, although the term theatrical might be a good definition for that, as the different arrangements and expressive nature of the music itself has a lot in common with a theatrical performance. 'Strigae' is, in any case, strongly tied to the extreme metal scene, as its obvious metal influences come from the black and doom metal genres, but also has a clear progressive nature if you pay attention on how the compositions are structured. The generous length of the three actual songs (as the first and last ones are the intro/outro of the album) gives the necessary room to introduce quite varied influences and changing structures. "Il Cerchio e il Fuoco" opens the album with its ever-changing structure and pace, where we can enjoy Tenebra’s super high-pitched shrieks, which for sure could remind us of the scream of an actual witch. The pace has its ups and downs with a great combination of raspy guitars and plenty of arrangements which enrich the music a lot. There is also a room for calm sections where the progressive and most non-metal influences reign, with the tasteful pianos, clarinets and several other classic instruments which mark an abrupt contrast with the heaviest sections of the song. As aforementioned, this album is like a baroque and theatrical act and the music is the perfect portrayal of this concept. The narrative voice of Nequam serves as the director of the most experimental sections as reinforces the feeling of experiencing an actual performance in its broadest sense. "Lamie" has a clear progressive evolution in its structure as it begins with a doomish pace, and it gains some intensity with the track progression, even though it always has a changeable pace and unexpected changes in the style and intensity, which are a tangible proof of the great work behind this album. The always relevant and tasteful arrangements done by the mastermind Vittorio, shows how he has tried to introduce several non-metal influences in an actual metal album, trying to forge and album free of stylistic restrictions. The narrative voices and introduction of several instruments may not appeal every metal fan but it makes 'Strigae' a compelling work that requires an open mind and several listens.

In conclusion, 'Strigae' is a remarkably interesting and enjoyable album. Its very personal mixture of black and doom metal influences, and the generous use of classic instruments make it a complex, demanding yet a very satisfactory album. From my point of view, this effort should please every music fan who demands both originally and quality. (Alain González Artola)


(I, Voidhanger Records - 2022)
Score: 80

https://i-voidhangerrecords.bandcamp.com/album/strigae

mercoledì 16 novembre 2022

The Universe by Ear - III

#PER CHI AMA: Stoner/Psych/Prog Rock
Dopo aver recensito i primi due album degli svizzeri The Universe by Ear, mi sembrava doveroso approcciarci qui nel Pozzo anche al loro terzo lavoro, intitolato semplicemente 'III', per un concept album focalizzato sul tema dell'acqua. Il combo originario di Basilea torna in sella quindi con cinque nuovi pezzi che pescano un po' qua e là tra psichedelia, post-rock, stoner e addirittura jazz. La lunghissima traccia d'apertura, "Sail Around The Sun", ci delizia con i suoi quasi 12 minuti di sonorità ricercate, melodiche e lisergiche, che passano con estrema disinvoltura dalle atmosfere pinkfloydiane dei primi minuti a scorribande chitarristiche tipiche dello stoner, per poi lanciarsi in una lunga fuga solistica e cambiare repentinamente verso un blues rock, in un'alternanza di generi quasi da lasciarmi di stucco. Sebbene non sia questo il mio genere preferito, posso tranquillamente sottolineare la solidità compositiva dei nostri e l'altrettanto accattivante finezza musicale che si cela nei minuti conclusivi dell'opening track, quando i nostri sfiorano territori math rock. Le stesse derive soniche complesse ed insolite, si palesano anche nella seconda "Something in the Water", una sperimentazione sonora che sembra miscelare ammiccamenti noise, roboanti riff dissonanti, voci che vanno verso una direzione più garage surf rock anni '60, a dimostrazione della robustezza e della creatività del trio elvetico. Ma anche lungo gli oltre nove minuti di questa traccia, la band sarà in grado di esplorare oscuri anfratti atmosferici soprattutto quando è il basso di Pascal Grünenfelder a fare da main driver del brano. Assai interessanti, lo devo ammettere. Un po' meno invece nella traccia successiva, "Two-Hour Drive/Are We There Yet?", un pezzo linearmente troppo rock che stona con quanto ascoltato sin qui, un tuffo in un passato settantiano che mi lascia piuttosto tiepidino, almeno fino a quando la chitarra di Stef Strittmatter decide di salire in cattedra e, a braccetto col basso di Pascal, regalano un lungo e suggestivo break strumentale che ribalta totalmente il mio giudizio sul brano. A questo punto, dopo aver superato la metà del mio percorso in questo lavoro, mi sento di dire che il power trio svizzero dà il meglio di sè nelle parti più ricercate, psichedeliche e sperimentali, il rock classico meglio metterlo in soffitta e continuare a dedicarsi alla ricerca dei versanti più originali della musica. I nostri non deludono e proseguono anzi con le loro stravaganti idee anche nella quarta "Lie Alone", un pezzo dall'aura oscura, in cui anche la voce del frontman ne esce rafforzata e in cui ritroveremo un'altra fuga strumentale che sembra pescare a piene mani dalle visioni caleidoscopiche del prog rock. E in chiusura ecco arrivare "Salty River (including Monoliths)", un pezzo che per certi versi mi ha evocato i Zeal & Ardor più votati a sonorità soul/gospel (anche se qui non sono cosi palesi) miscelati con lo psych kraut math rock stralunato (soprattutto nei giri di basso) dei nostri, per una chiusura davvero degna di nota, che sancisce quanto i The Universe by Ear siano musicisti preparati, con idee avanguardistiche e meritevoli della vostra attenzione. (Francesco Scarci)

(On Stage Records - 2022)
Voto: 75

https://www.theuniversebyear.com/

giovedì 10 novembre 2022

Acédia - Fracture

#PER CHI AMA: Experimental Black
Dopo un silenzio perdurato sette anni dovuto a quanto pare a qualche assestamento di line-up, ecco ritornare i canadesi Acédia sotto l'egida della sempre più attenta Les Acteurs de l'Ombre Productions. La band originaria di Quebec City torna con il terzo album ed un sound totalmente dissonante sin dalle note introduttive della folle "La Fosse". Servirà tutta la vostra apertura mentale infatti per approcciarvi ad una proposta di per sè parecchio scorbutica, ma che verosimilmente potrebbe regalare grandi soddisfazioni. Perchè dico questo? Perchè dietro a quei giri di chitarra completamente disarmonici si nasconde un mondo estremamente ricercato e complicato da proporre. Certo bisogna entrare in sintonia con le modalità davvero astruse dei nostri che si esplicano attraverso un tremolo picking che mi ha immediatamente evocato i Windir di 'Arntor' in una schizofrenica ed epica galoppata black miscelata ad una più subdola musica classica, il tutto incorniciato dallo screaming efferato di Pascal Landry. Tutto chiaro quindi? Non proprio perchè come dicevo, la proposta degli Acédia non è proprio una passeggiata in riva al mare, direi piuttosto un trekking ad alta quota e con un dislivello di 1000 m, ma coraggio, so che ce la potete fare. In aiuto arriva infatti la seconda " Mont Obscur" che, per quanto mostri un incedere più compassato, regala comunque una proposta ostica e poco accessibile che assomiglia più ad un trapano atto a forare la vostra teca cranica con suoni tanto tecnici quanto insani e cervellotici. Di sicuro la band non si risparmia in fatto di ricerca di originalità, ma a volte la sensazione è quella di voler strafare, e ci sta anche, se solo poi si riesce a non deragliare del tutto dal seminato. Questo per dire che nel corso dell'ascolto delle altre tracce, tutte peraltro che si assestano tra i sei e gli otto minuti fatto salvo per la breve title track, i nostri giocano a rincorrersi con chitarre sghembe e al contempo virtuose (che mi hanno evocato peraltro i nostrani Laetitia in Holocaust), vocalizzi animaleschi tra il growl e lo scream, suoni glaciali dove la tecnica viene messa a servizio di una musicalità che fa del contorsionismo sonoro il proprio motto. E cosi una dopo l'altra - facile a dirsi ma non ad ascoltare - il trio canadese mette in fila la schizofrenica "L'Art de Pourrir", l'altrettanto spericolata "L'Inconnu" e la conclusiva e più controllata "Brûlure du Temps", che chiude un'opera ardimentosa, funambolica e complicata, che sottolinea quanto la band sia vogliosa di sorprendere i fan, prendendosi tutti i rischi del caso, di risultare alla fine ostici per la maggior parte degli ascoltatori. Detto questo, complimenti per il grande coraggio, non è da tutti. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/fracture

martedì 8 novembre 2022

Beware of Gods - Upon Whom The Last Light Descends

#PER CHI AMA: Sludge/Post Metal
Chicago, Illinois. Ecco da dove arrivano questi Beware of Gods, misterioso duo dedito ad un sludge/post metal dalle tinte fosche e stralunate. 'Upon Whom the Last Light Descends' è il loro biglietto da visita che ho iniziato ad ascoltare con un certo interesse un paio di mesi orsono e mi porta oggi alla scrittura di questa recensione. Cinque pezzi catartici che si aprono con "Invitation (I Am Named After Death)" ed un sound che lascia spazio a viaggi mentali in preda a sostanze psicotrope e visioni cosmiche che ben potrebbero conciliarsi con l'immagine di copertina del disco. Il sound è sicuramente originale, muovendosi a tratti nel noise, nella psichedelia, nel post metal o nello sludge, come si evince dalla ritmica rallentata della seconda metà del brano. Ma non mi fermerei a queste sole influenze, dato che l'abrasiva voce di The Archetype potrebbe richiamare lo screaming tipico del black, cosi come alcune derive soniche accostano la proposta del duo statunitense a suoni dronici. I vocalizzi del frontman assumono comunque molteplici sembianze, dallo screaming dicevamo dell'opener alle spoken words ma anche un pulito suggestivo ed intrigante. Convincenti, non c'è che dire. Anche se nella seconda "Nightmare in the Dreaming House" si potrebbe cogliere più di un accostamento ai Neurosis, ma la voglia di emergere dalla massa, fa si che i due enigmatici musicisti regalino sonorità astruse, disarmoniche e a tratti caotiche, sortendo un continuo effetto di imprevedibilità, soprattutto quando mi pare che i nostri flirtino con un sound vicino all'alternative dei Deftones, con dei chitarroni comunque frastornanti a fissarsi nelle orecchie. Con "It Sleeps", le sonorità si fanno più sonnecchiose, vuoi forse anche un titolo che richiama il sonno. Ma il sonno in cui ci faranno sprofondare non è certo quello ovattato, ma sembra più qualcosa di inquietante e disturbante, un incubo ad occhi aperti da cui fuggire sarà impresa ardua, anche laddove i nostri sembrano rinunciare a dar fuoco alle polveri e preferendo un versante più atmosferico. Diffidate gente, diffidate, con i Beware of Gods c'è poco per restare sereni e non guardarsi le spalle, la progressione ritmica pur rimanendo bloccata dietro l'angolo, questo pezzo più degli altri vede un approccio ritmico verso gli sperimentalismi dei Terra Tenebrosa o più indietro nel tempo, a riferimenti che ammiccano a Ved Buens Ende e Virus. Ipnotici, angoscianti, malati, il sound dei BoG prosegue in un pezzo apparentemente più affabile e abbordabile, "It Wakes (to Destroy Us)", dove a livello vocale, c'è un'alternanza tra il cantato pulito, lo screaming ed una terza modalità che, non so per quale astruso motivo, mi ha evocato i Soundgarden. Forse sono un visionario, forse inizio a sentire la mancanza di Chris Cornell, però ho percepito una forma primordiale della band di Seattle che sottolinea comunque ancora una volta, un certo ecletismo sonoro da parte dei due artisti. A chiudere questo primo capitolo, ci pensano le asfissianti e lisergiche note di "House of Locusts (Intravenous Sunshine)", che ci inghiottiscono definitivamente nel mondo malato dei Beware of Gods, che in questo loro debutto si sono peraltro ispirati al mito di Azathoth, l'onnipotente "The Blind Idiot God" descritto da HP Lovecraft nelle sue opere, a testimoniare quanto questi due stravaganti personaggi abbiano da raccontare attraverso la loro musica. (Francesco Scarci)

venerdì 21 ottobre 2022

Anderes Holz - Continuo

#PER CHI AMA: Alternative/Kraut Rock
Il nuovo album del trio teutonico è un agglomerato di stili che sconvolge e appassiona al tempo stesso. Uscito via Tonzonen Records, 'Continuo' si presenta a meraviglia, con uno splendido artwork curato dall'artista kazako, Anton Semenov, ed al suo interno, come in uno scrigno magico, troviamo sonorità che gravitano attorno al mondo dell'avantgarde, dell'art rock e del progressive. Basta guardare il video di "Morgenwelt" per capire quanto gli Anderes Holz spingano il confine delle loro creazioni sonore sempre più in là, utilizzando i canoni della fantasia più sfrenata per orchestrare brani inconsueti, ipnotici, frenetici e folli. L'uso di voci femminili e maschili, una cetra elettrificata prende il posto della chitarra elettrica, il theremin, il gong a vento giapponese, registrazioni e rumori in ambiente, un basso pulsante e percussioni di scuola kraut-rock, le arie provenienti dall'irraggiungibile galassia degli Amon Duul deformano lo stile rock di questo stravagante trio. Tre musicisti eccentrici che riescono a coniugare spinte di classico metal (globus) e certa cultura hippy, con il folk, il german prog ed il prog d'avanguardia, e ancora con il futurismo di Nina Hagen e qualche attitudine punk vicine al Kalashnikov Collective, che in "Şıfr" arriva ad emulare un jingle che troviamo in "Walls (Fun in the Oven)", un brano nientepopodimeno che dei mitici Crass. Senza dimenticare poi gli istinti folk metallizzati dei Subway to Sally in sottofondo, il tutto poi riletto in salsa psichedelica ed ipercolorata, come i loro video frenetici che li ritraggono in rete. La sensazione è alla fine di essere davanti a dei menestrelli impazziti, dalle tinte raggianti ma anche dall'umore dark, che adorano l'estro camaleontico di Peter Gabriel e il classicismo esuberante di Ian Anderson, e che costruiscono, usando esclusivamente la loro lingua madre, un miscuglio musicale simile ai pezzi più moderati dei Die Apokalyptischen Reiter (epoca "Samurai") concepiti in una veste più acida, trasversale e ritmicamente fuori contesto, come nel caso di "Schwan", che in un riff dal taglio metal primordiale, si vede infiltrare una specie di rumba che lo annienta e lo smembra ritmicamente. La psichedelia drammatica di "Buto" è un vortice oscuro inaspettato ma alla fine tutto l'album lo troverete pieno di sorprese. L'alto tasso di teatralità mi rimanda a gruppi altamente allucinogeni e misteriosi, impossibili da categorizzare, come i Gong, anche se qui il free jazz è poco presente a discapito del concetto progressivo che risulta una costante compositiva. Comunque, ci troviamo di fronte ad un potenziale esplosivo di art/punk/rock progressivo e moderno, sicuramente circondato da nostalgie retrò, ma che si mostra perfettamente al passo con i tempi e che, senza pietà, arriva a spiazzare l'ascoltatore nota dopo nota. Un insieme di brani curati e ottimamente prodotti da Matt Korr, un suono pulsante e pieno, con numerose sfaccettature che lo accomunano a tante altre band di varie epoche ma che in realtà rendono l'identità della band tedesca inconfondibile e assai personale. Un disco da ascoltare più volte e a volume alto, per apprezzarne tutti i colori e i mille volti di una band che dire istrionica è dir poco. Ascolto fortemente consigliato. (Bob Stoner)

(Tonzonen Records - 2022)
Voto: 82

https://anderesholz.bandcamp.com/album/continuo-2

mercoledì 19 ottobre 2022

The Mañana People - Song Cycle, Or Music For The End Of Our Times

#PER CHI AMA: Psych Folk/Indie
Rimango sempre sbalordito quando incontro band di questo tipo e scopro che la loro provenienza il più delle volte è la Germania. Certo, in questa terra è nato il krautrock direte voi, quindi la psichedelia è di casa, ma la diffusione del psych folk, rimodernato e aggiornato ai nostri giorni, è cosa più in disuso di questi tempi, quindi, voi giurereste sul fatto che il folk psichedelico oggi, abbia trovato casa a Bonn? Dopo aver ascoltato questo duo tedesco, me ne sono convinto, ed è innegabile che in Germania esista un'anima psichedelica molto radicata. Sono rimasto affascinato dal modo intrigante di intendere la musica in questione da parte di questi due giovani musicisti, una commistione di voci e modi di fare del passato, filtrate da sonorità fresche, ricercate e moderne. Partiamo dal fatto che i "Fab Four" e i The Moody Blues hanno lasciato un segno nell'infanzia dei due giovani artisti, che il Paul McCartney dell'album 'Ram' sia uno degli imputati assieme al suo psichedelico amico John, che i richiami ai The Flamming Lips più pop e moderati siano indiscutibili, la presenza lontana del buon Syd Barrett, l'influenza e la precedente collaborazione con Bonnie Prince Billy e un'arrangiamento molto spesso degno delle visioni migliori del grande Nick Drake, fanno di quest'album un'ottima espressione di come si possa suonare stralunati oggi, senza cadere nel plagio o nella ripetitività, in maniera del tutto naturale e originale, creando un disco coloratissimo e vitale, caldo e brillante, proprio come se l'anno in corso forse il 1968. Impossibile dare un premio al pezzo migliore, visto che il disco scivola deliziosamente canzone dopo canzone con una facilità d'ascolto impressionante, tanta è la quantità di suoni e arrangiamenti cosmici presenti al suo interno, la sua orecchiabilità, e l'equilibrio tra forme retrò e soluzioni moderne è attraente e dona alla band un'identità forte e chiara. Tutto è al posto giusto e nelle giuste percentuali si dividono il folk, il country, il pop, la psichedelia ed il lato elettronico minimalista, con una capacità di riesumazione e restaurazione dei canoni di un genere che non sentivo così costruttivo dai dischi degli Scott 4 di fine anni '90, ed in tempi recenti nell'album 'The Brave and the Told' dei Tortoise proprio con Bonnie Prince Billy. Non solo nel comporre ma anche nel canto, i The Mañana People, sono degli autori formidabili, che generano liriche ad effetto, che possono spaziare dagli echi di Arcade Fire ai già citati Fab Four o The Moody Blues, con una facilità ed un'eleganza non comuni. Un disco da ascoltare e riascoltare più volte, un disco che si presenta come semplice prodotto folk, ma che al suo interno nasconde molto molto di più, un vero bosco incantato di suoni e rimandi musicali, un album consigliato a chi ama farsi sorprendere e farsi trasportare in altri mondi a suon di musica allucinata. Imperdibile per gli estimatori del genere. (Bob Stoner)

domenica 9 ottobre 2022

Orob - Aube Noir

#PER CHI AMA: Prog Black Sperimentale
Passati completamente inosservati al nostro paese (follia pura), i francesi Orob hanno gettato il guanto ai mostri sacri Deathspell Omega e Blut Aus Nord nel maligno mondo del black dissonante e sperimentale. Il quintetto originario dell'Occitania, ha rilasciato infatti a fine 2021 questo 'Aube Noir', album di debutto sulla lunga distanza, a distanza di ben otto e dieci anni dai precedenti EP, 'Into the Room of Perpetual Echoes' e 'Departure', rispettivamente. C'è da dire però che le song qui incluse sono state scritte tra il 2014 e il 2016. Comunque l'ensemble transalpino ci propone quasi un'ora di musica, attraverso un percorso di nove mefistofeliche tracce che si aprono con il black doom di "Spektraal", una song che, emulando il proprio titolo, si manifesta spettrale e compassata nella sua prima metà, per poi esplodere in un post black dalle tinte sperimentali, soprattutto a livello vocale, con le performance di Thomas Garcia e Andrea Tanzi-Albi a muoversi tra screaming, growl e pulito. È nella seconda "Astral" però che le sperimentazioni dei nostri si fanno più palesi, con chiari rimandi ai norvegesi Ved Buens Ende a livello atmosferico e scomodando anche facili paragoni con gli ultimi Enslaved o i Solefald. La sostanza è poi quella di dissonanti parti arpeggiate che si alternano a ritmiche costantemente sghembe con le vocals che, non mantenendo praticamente mai una coerenza di fondo, rendono il lavoro decisamente più affascinante e avvincente. E ancora, a livello solistico (si ci sono degli assoli) emergono le influenze più classiche dei nostri, quasi a mostrare tutto il ventaglio tecnico compositivo di cui sono dotati. E io approvo appieno, nonostante le sbavature riscontrabili durante l'ascolto, perchè ci sono anche quelle ed è giusto dirlo. Ma vorrei dare il beneficio del dubbio ad una band che è rimasta ferma quasi una decade ma che con la propria musica riesce a dare un tocco di eleganza e originalità al mondo musicale, e che vede nella terza "Breaking of the Bonds" un altro piccolo gioiellino. Qui poi la voce del frontman è per lo più pulita e assai espressiva. Ma il pezzo è in costante movimento, tra una marcetta estemporanea, un break acustico di malinconica melodia (top!) che chiama in causa Opeth e ultimi Katatonia. E io continuo ad approvare, non posso fare altro. Anche quando "Betula" trasforma la proposta degli Orob in un selvaggio black iniziale per poi mutare ancora verso territori controversi (leggasi l'ambient esoterico nel finale), con cambi di tempo, di genere e molto molto altro che potrebbero addirittura avere un effetto disorientante per chi ascolta, ma che per il sottoscritto rivela invece la grande voglia di osare da parte dell'act di Tolosa. Bene, bene anche nelle spettrali melodie di una traccia come "The Wanderer", lenta e sinuosa nel suo incedere che, attraverso l'elettronica strumentale e minimalista di "Noir", ci conduce fino a "Aube", un violento pugno nello stomaco che mi ha catapultato in altri mondi che ormai si erano persi nella mia memoria, e penso ad un ipotetico ibrido tra Voivod, gli australiani Alchemist e gli inglesi Akercocke. C'è tanto nelle note di questo 'Aube Noir', forse non sarò stato nemmeno in grado di cogliere tutte le influenze che convogliano in questo disco, ma vi garantisco che di carne al fuoco ne troverete parecchia, soprattutto nella lunghissima coda affidata alla sinistra "Ethereal", che di etereo ha ben poco (fatto salvo quella che sembra essere una voce femminile in sottofondo) e alla conclusiva "The Great Fall", oltre dieci minuti di sonorità che miscelano depressive black, progressive, thrash, gothic doom (con tanto di soavi vocalizzi di una gentil donzella) e perchè no, anche una vena di post rock, quasi a sancire l'ordinaria follia di cui sono dotati questi interessantissimi francesi. Una sfida ai mostri del black sperimentale? Non direi, questo è un duello sferrato al mondo intero. E se questi erano i suoni di sette anni fa, ora mi aspetterò grandi cose dagli Orob. (Francesco Scarci)

venerdì 30 settembre 2022

Brennensthul – No

#PER CHI AMA: Jazz/Kraut Rock
Esce via Tonzonen Records/ Headape Records il nuovo album dei Brennensthul, ed è intitolato semplicemente 'No'. In realtà questo titolo si attiene molto al corso musicale del disco, poiché individuare con esattezza quale genere stia suonando il quartetto tedesco, è cosa assai ardua, e a chi li vorrebbe più sulla sponda acid jazz o più sul versante sperimentale del kraut rock, la risposta sarebbe appunto in sintonia con il titolo, un secco "No", per uno stile come per l'altro. La giusta definizione li comprenderebbe infatti contemporaneamente all'interno delle due scene musicali e non solo. La musica di questo quartetto di Amburgo è sofisticata come il jazz, contiene una grossa ma mai pesante componente sperimentale vicina al kraut rock, un piglio funk, una buona dose di psichedelia e sfumature pop, che la rendono accessibile anche a chi non è abitudinario delle esplorazioni musicali più libere e stravaganti. Vi si trova anche della soul music, come nel singolo "Xpress Yourself", ed il collegamento con l'acid jazz, come nel primo omonimo album, è meno marcato che in passato. La componente sperimentale è più evidente, portando notevole qualità in più alle composizioni, che risultano sempre sofisticate e molto variegate. A volte il suono delle chitarre è acido, ruvido, e risulta un po' strano per lo stile in questione, ma nelle parti più in evidenza dona un tocco caldo e molto free rock ai brani. Nota importante è per la bella voce di Eva Welz, che con il canto ed il suono del suo magico sax, trascina la band nei territori più variegati, dalle atmosfere jazz più classiche all'avanguardia, come in "Turtledrive", oppure nella eterea psichedelia della strumentale "Common Slider". Questo disco ha un altro fattore che gioca a proprio vantaggio in maniera strategica, ovvero che la stupenda voce in questione canta in lingua madre quasi tutti i brani, unendo la sua grazia vocale all'aspra pronuncia del tedesco, e devo ammettere che è proprio un bel connubio, che trovo più originale dei pochi brani cantati in inglese. L'intro psichedelico ed il brano "Ja Ja", valgono da soli il disco, mentre la title track s'illumina di un fascino proprio. Non possiamo dimenticare poi come una ritmica profonda e suoni molto intensi e caldi riescano a mettere in evidenza anche un lato sperimentale della band, che trova il suo punto di partenza dai pochi secondi del minimale crescendo rumoroso di "Urknall", passando per la splendida coda finale, progressiva e psicotica di scuola Zorn, di "Machine Gun Mammut", un brano che nei suoi sette minuti circa, racchiude tutti gli stili compositivi della band. Il disco si chiude con "Drei", che inaspettatamente s'immerge in un clima da balera folk all'interno di una festa popolare di paese, mostrando un lato alquanto eclettico del quartetto, naturale e marcato. Decisamente questo nuovo disco dei Brennensthul unisce ed evolve le anime espresse dalla band nei suoi precedenti lavori, un netto salto in avanti, un album di carattere, un'opera matura. Da ascoltare con molto interesse verso i particolari e alle sue evoluzioni sonore. (Bob Stoner)

(Tonzonen Records/Headape Records - 2022)
Voto: 82

https://brennenstuhl.bandcamp.com/album/no

martedì 13 settembre 2022

Hyrgal - S/t

#PER CHI AMA: Black Old School
E sono tre i lavori da me recensiti degli Hyrgal: dopo ‘Serpentine’ nel 2018 e ‘Fin de Règne’ lo scorso anno, eccomi alle prese con il terzo capitolo della loro discografia, questa volta un album omonimo. La proposta del quartetto provenzale continua a mietere vittime in territori estremi, miscelando quanto prodotto nei primi due lavori, ossia un black nudo e crudo con divagazioni atmosferiche e sghembe, degne dei migliori Deathspell Omega. “Diablerie” tuttavia apre il disco con fare black old school, scuola Gorgoroth, e un riffing mid-tempo acuminato, oscuro e orrorifico che si affida comunque ad un barlume di melodia per costruire l’architettura complessa del brano in cui la voce di F.C prosegue (in compagnia di N.M) a terrorizzare con quel suo screaming paralizzante. Da sottolineare l’epico assolo a metà brano. Si prosegue con “Légende Noire”, un pezzo dalle ritmiche serrate, sinistre e distorte, con le vocals aberranti del frontman a farla da padrona. La bellezza del pezzo risiede nei suoi continui cambi di tempo e per la presenza di una splendida ed epica chitarra in sottofondo a guidare l’ascolto del brano tra sfuriate velenose e parti atmosferiche. “La Foudre Puis La Nuit” è il pezzo che forse più ho apprezzato durante un primo e più distratto ascolto del disco, forse perchè è quella che mi si è piantata nella testa e da li non si è più mossa. L’apertura è violentissima con chitarra e basso che frustano che è un piacere. Quando entra in scena la seconda chitarra è solo piacere per le mie orecchie e la divagazione della timbrica vocale, qui in territori più evocativi/pagani, vale veramente l’ascolto del pezzo, prima di un dronico ed inquietante break che ci accompagnerà per un tratto prima del diabolico e deturpante finale. Ancora mid-tempo per “Vermines”, ma l’impressione che si cela in queste note è quella della classica quiete prima della tempesta. Detto fatto. Il brano si scatena infatti in un terremotante assalto all’arma bianca, destinato a non fare prigionieri, sebbene mantenga una certa parvenza di linea melodica di fondo prima degli ultimi 60 secondi all’insegna di partiture ambient. “Serment de Sang” ha un approccio ancora una volta sbilenco nel suo lento e fluttuante incedere sonoro tra spettrali giri di chitarra, accelerazioni improvise e caustiche vocals. Si continua a martellare come fabbri anche con “Fureur Funeste”, altro brano davvero tagliente che trova la sua normale evoluzione in un epilogo più compassato in cui anche la voce del cantante diventa molto più comprensibile. Esperimento ben riuscito considerato che a chiudere il disco troviamo “Au Gouffre”, la giusta risposta su come conciliare black norvegese con quello francese per un’ottima e riuscitissima release estrema. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 75

https://ladlo.bandcamp.com/album/--3

venerdì 2 settembre 2022

Peurbleue – La Ciguë

#PER CHI AMA: Black/Drone
La perlustrazione del sottosuolo francese prosegue senza sosta da parte della Les Acteurs de L’Ombre Productions, un’opera incessante volta a identificare i migliori talenti in terra transalpina. Quello dei Peurbleue è un progetto che fa capo a tal JC EX, un musicista legato all’underground drone ambient. Questo background diventa estremamente chiaro con l’incipit “Fecondation” che ci propina tre minuti di inquietanti suoni industriali. Auspicando che l’intero lavoro non segua la stessa piega, mi accingo all’ascolto della successiva “A la Gloire!”, ma anche qui accanto ad una voce quasi declamatoria, sono sonorità spettrali, fluttuanti e angoscianti a palesarsi, almeno fino al terzo minuto, quando la proposta destrutturata del duo, sembra finalmente prendere una forma più delineata ai confini di un suicidal black. Questo sound inizia a prender forma con la terza “Rosee Eternelle”, un brano orrorifico per componente vocale, atmosfere totalmente sghembe che richiamano quelle di film in cui l’immagine della realtà sembra distorcersi nella rappresentazione dello spazio, quasi fossimo in pieno hangover e non ci reggessimo nemmeno in piedi. I suoni sembrano frutto di una pura improvvisazione tra pazzi psicotici rinchiusi da decenni entro quattro mura di una stanza dalle pareti bianche imbottite. Questo per dire che quanto incluso in ‘La Ciguë’ non è qualcosa di cosi semplice da assimilare viste le influenze derivanti da band come gli Xasthur e vari epigoni o da ambiti musicali che fanno della distorsione, della follia e della sperimentazione il proprio mantra. Penso alla breve “Survie” e alle sue alterazioni sensoriali all’insegna di drone e ambient, cosi come alle stralunate atmosfere della successiva “Caniveau”. Quello dei Peurbleu, sia ben chiaro, non può essere definito un disco di cui possa apprezzare in toto i suoi contenuti, cosi schivi, tormentati e demoniaci, ma non posso nemmeno schiantarne la voglia esagerata di seguire nuove strade di ricerca, un qualcosa a cui ambisco ogni qualvolta mi metto ad ascoltare e recensire un disco. Insomma, ben vengano dischi di tali contenuti, anche se non apprezzabili tout court. Per ora va bene cosi, ma in futuro mi aspetto un pizzico di accessibilità in più altrimenti il rischio è che album di questo tipo sia riservato solo ad un pubblico di pochi eletti. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 68

https://ladlo.bandcamp.com/album/la-cigu

martedì 30 agosto 2022

Spider God - Ett Främmande Språk / A Foreign Tongue

#PER CHI AMA: Melo Black/Death
Questo 'Ett Främmande Språk / A Foreign Tongue') completa la trilogia 'The Faith Trilogy' della one man band britannica Spider God, dopo i precedenti episodi 'Den Inre Borgen / The Interior Castle' e 'Skugglösa Ljuset / Shadowless Light'. Avevo ascoltato qualcosina in passato dei nostri ma non mi avevano colpito quanto invece durante l'ascolto di questo nuovo EP, che consta di quattro tracce più intro e outro. Ecco, dall'ambientale introduzione ci muoviamo verso quella che è la traccia migliore del disco, "Hemska krafter / Horrible Forces", un pezzo di black melodico che per certi versi mi ha ricordato i Windir per quelle sue scorribande chitarristiche cosi epiche che fanno da contraltare ad aperture ariose e assai melodiche e la voce del frontman cosi caustica ma perfetta per questo genere. La traccia scivola via che è una bellezza grazie anche ad un finale travolgente che mi infetta con la sua forza enorme emotiva. "Överskuggad av Blod / Eclipsed by Blood" esplode con tutta la sua rabbia cieca tra black old school, qualche reminiscenza post punk e qualche scintilla folklorica che si ripete tale e quale anche nella più spietata traccia successiva, "Främlingar och Tårar / Strangers and Tears" per un'altra tiratissima song guidata dalle lanciatissime chitarre del mastermind inglese. Con "Omfamna Förtvivlan / Embrace Despair" ci muoviamo in territori rock metal relativamente più convenzionali tra melodie accattivanti e scream vocals per una proposta che alla fine suonerà in realtà anche come la più sperimentale, se inserita in questo contesto. A chiudere l'EP, ci pensa un outro di voci femminili e synth che in 45 secondi sancisce il degno finale per questo interessante lavoro. (Francesco Scarci)

(Repose Records/Death Prayer Records/Phantom Lure - 2022)
Voto: 74

https://spider-god.bandcamp.com/album/ett-fr-mmande-spr-k-a-foreign-tongue

domenica 17 luglio 2022

Svin - Introducing Svin

#PER CHI AMA: Experimental Sounds
La scena danese sta crescendo che è un piacere, anche grazie ad entità come gli Svin, che con questo 'Introducing Svin', giungono al settimo capitolo della loro ultradecennale carriera. Sebbene un titolo ingannevole, quasi atto ad introdurci per la prima volta al mondo del trio avantgarde di Copenaghen, i nostri ci prendono per mano per condurci nel loro visionario cosmo musicale, fatto di rock sperimentale proposto davvero ad alti livelli. E lo confermano immediatamente i suoni cinematici dell'introduttiva "Obelisk", che sciorinano landscape sonici davvero suggestivi, complice verosimilmente l'utilizzo del sax (a cura di Henrik Pultz Melbye) e di un uso fantasioso di chitarra e batterista, grazie alle performance di Lars Bech Pilgaard e Thomas Eiler. Non sarà il mio genere, ma il primo brano mi ha steso per intensità emotiva, coinvolgimento, durezza e per quell'uso stralunato delle voci campionate. Con "From Within" si entra invece in una sorta di incubo a occhi aperti, con sonorità minimal al limite del glaciale nella prima metà, e paranoico-jazzistiche nella seconda parte. Questo evidenzia come 'Introducing Svin' non sia un disco semplice da affrontare, ma sicuramente ha un certo spessore tecnico, confermato dalla terza "Bøn", dove appare la voce di Thorbjørn Radisch Bredkjær, in una song dai tratti obliqui che non ho realmente ben capito e per questo ho apprezzato enormemente per le sue storture musicali. Storture che proseguiranno nel resto del lavoro, dalla jazzata e psicotica "Snake" passando per la dronica "Herbalism", fino ad arrivare all'imprevedibile "Årring", che vede Kasper Tranbjerg dilettarsi egregiamente alla tromba (il quale tornerà anche nella schizoide e John "zorniana" "Punklort"). "Deadweight" è un lungo brano di oltre nove minuti di angoscianti sonorità drone, mentre la conclusiva "Dødsenangst" è un esempio di scomposti suoni elettronici contaminati dal noise, che vedono alla voce la robotica ugola di Marie Eline Hansen, a completare un disco che dire sperimentale potrebbe apparire addirittura eufemistico. (Francesco Scarci)

(Tonzonen Records - 2022)
Voto: 75

https://svin.bandcamp.com/album/introducing-svin

domenica 10 luglio 2022

Datadyr - Woolgathering

#PER CHI AMA: Jazz Rock
Disco d'esordio per questo giovane trio norvegese, fresco d'accademia, che ancora una volta mostra come nella città di Bergen, la musica sia una componente essenziale nell'esistenza stessa della città e dei suoi abitanti. I tre giovani musicisti gravitano attorno al mondo del jazz, ripercorrendo colorate partiture strumentali figlie dei grandi nomi del passato, quanto a correnti più innovative, spolverando aperture più sperimentali, accoppiate a classiche atmosfere da jazz club. Le danze si aprono con "Tier", che vedrei bene legata alle funamboliche gesta di Medeski, Martin & Wood, la finta vena classica di "Krystalldans", brano decisamente affascinante, che nasconde nervature tese e cupe tra le sue trame di calma apparente, suonato da una formazione composta da chitarra, contrabbasso e batteria che non disdegna ventate di leggero free rock di moderna concezione e perchè no, a sentire 'Woolgathering', anche gli echi rallentati di quello che fu il suono slide e particolarmente caldo dei The Flying Norwegians. Anche la seguente e frizzante "Daybreaking", dove troviamo peraltro l'innesto dei fiati, alterna classicismo e innovazione, come da stile musicale riconoscibile della band, che trae molta forza e originalità da questo dualismo compositivo che, unito ad un sound curato e ad alta fedeltà, aiuta a mantenere alta la concentrazione e l'ascolto di questo lavoro. In "Fastup" vediamo ritmica e bassi profondi in gran spolvero e chitarra dai toni più freddi, con un suono più orientato verso l'alternative rock, pur senza tradire la perfetta e piena vocazione jazz. Per "Datadyr", il brano che prende il nome di battesimo della band, tutto è al posto giusto, con una partenza da night club a taglio misterioso, l'atmosfera sale come il fumo dei vecchi locali jazz visti nei film in bianco e nero, senza spostare mai il tiro in una direzione diversa. Forse l'accostamento a certa musica di John Scofield è sbagliato ma la conclusiva "Low Hanging Moon" compie il suo dovere, complice quel tratto di solitudine e malinconia che l'accompagna dalla prima all'ultima nota. Nel ribadire che il brano "Krystalldans" è il brano che mostra nella sua completezza la pasta di cui è fatto questo trio norvegese, invito tutti, appassionati di jazz e non solo, ad ascoltare questa giovane proposta, perchè ne vale proprio la pena. (Bob Stoner)

(Is it Jazz? Records - 2022)
Voto: 78

https://datadyr.bandcamp.com/releases

lunedì 27 giugno 2022

Primus - Conspiranoid

#PER CHI AMA: Funk Blues Rock
Ci hanno impiegato cinque anni i Primus per tornare a farsi sentire. Dopo il discreto 'The Desaturating Seven', ecco riaffacciarsi sulle scene il trio nella sua veste originale che comprende l'onnipresente Les Claypol e i suoi fidi scudieri, Larry LaLonde e Tim Alexander. Il nuovo EP è intitolato 'Conspiranoid' e spero sia un antipasto per un nuovo full length pronto a venire. Tre pezzi che iniziano con gli undici minuti e mezzo della squilibrata "Conspiranoia" che ci restituiscono l'insana follia della band californiana con una serie di giochi di chitarra (e basso psicotico annesso) che faranno la gioia dei fan dei nostri. L'inconfondibile e unica voce di Les completano poi un quadro di suoni che si muovono su una marcetta slow-tempo, resa intrigante dal chorus "Conspiranoia". Il rincorrersi psichedelico poi di chitarra e basso fanno il resto come da oltre trent'anni i tre marziani ci hanno abituato. Inutile pensare di prevedere le mosse dei nostri, anche qui sembra di assistere ad una jam session tra amici che hanno pensato di arricchire il proprio sound con funkeggianti fughe blues space rock e inserimenti di spoken words che propongono un lirismo legato alle più disparate teorie cospirazioniste del nostro tempo. Un banalissimo basso alla ZZ Top (chi ha detto '"La Grange"?) apre la seconda (sempre più funky) "Follow the Fool", un brano che sembra evocare addirittura lo spettro di Elvis "the Pelvis". La terza "Erin on the Side of Caution", con quella sua verve di zappiana memoria, si affida sempre alla sghemba tecnica dei tre musicisti statunitensi unita ad una ricerca musicale che conferma quanto i tre pazzoidi americani non siano ancora sul punto di abdicare. (Francesco Scarci)