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Visualizzazione post con etichetta Doom. Mostra tutti i post
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sabato 8 ottobre 2022

Nortt - Graven

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Funeral Doom
Questa è un’opera di inestimabile valore! Così grande è questo lavoro che è difficile trovare parole che riescano ad eguagliare la stupefacenza di questo 'Graven'. Abissale extreme doom con una chitarra dal grezzissimo suono black che crea immagini di immobilità eterna. Questa è musica che trasuda dolore e disperazione per cui non esiste via d’uscita, rimane solo il suicidio. Questo disco (peraltro uscito in versione demo nel 1999, picture disc nel 2002 e recentemente ristampato dalla nostrana Avantgarde Music) è semplicemente la fine.

(Maggot Records/Avantgarde Music - 2002/2020)
Voto: 88

https://avantgardemusic.bandcamp.com/album/graven

venerdì 30 settembre 2022

Body Void - Burn The Homes Of Those Who Seek To Control Our Bodies

#PER CHI AMA: Sludge/Doom
Nuovo EP per i californiani Body Void. Il trio, originario di San Francisco, rilascia una coppia di pezzi sotto questo lunghissimo titolo, 'Burn the Homes of Those Who Seek to Control Our Bodies' e lo fa, offrendo quello che da sempre i nostri sanno fare meglio, ossia un concentrato claustrofobico di sludge e noise rock. Il tutto è certificato dalle note introduttive della lunga "Burn" dove, tra riffoni a rallentatore e grida disumane, la band di Frisco srotola la propria disagiata forma musicale che verso il terzo minuto dell'opener, si materializza addirittura anche sotto forma di droniche divagazioni da fine del mondo, mentre il latrato vocale di Willow Ryan (in uno stile che francamente non amo) grida tutto la propria disperazione. Il brano prosegue in questo loop infernale fino al suo termine attraverso quella che sembra un'unica nota di chitarra protratta all'infinito. Con "Drown" si comincia invece da una forma più affine al noise miscelato qui ad un rifferama ossessivo tipicamente sludge doom. Ecco, volete avvicinarvi al mondo offuscato dei Body Void e allora, preparatevi ad atmosfere plumbee e angoscianti, lente e decadenti, dove alla luce non sarà permesso minimamente di affacciarvisi. Stagnanti. (Francesco Scarci)

lunedì 19 settembre 2022

Ablaze in Hatred - Deceptive Awareness

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Funeral Doom
Un po' di sano doooom per le nostre orecchie, di quello maggiormente orientato al funeral e l’apocalittico, di quello nordico e ben fatto. E i nostri esecutori sono i finlandesi Ablaze in Hatred, band lappone, formatasi nel 2004, che giunse al tanto sospirato debut in un paio d'anni grazie alla Firebox Records. 'Deceptive Awareness' raccoglie sette brani dal sound funesto, marziale e devoto alla pesantezza più totale. Sette lunghe track, che demoliranno i nostri padiglioni auricolari, con il loro incedere malinconico e mortale, che preannuncia inevitabilmente la fine dell’umanità. A differenza dei compagni di scuderia, i Doom:Vs, il quartetto di Helsinki è forse meno atmosferico, più diretto e brutale, pur proponendo un sound che comunque si avvicina al side project di Johan Ericson dei Draconian. 51 minuti di musica deprimente, caratterizzata dai riff lenti, mastodontici e al tempo stesso melodici delle due asce, dal growling cupo e minaccioso di Mika Ikonen e dalle ariose tastiere atte ad impreziosire il sound dei nostri. La band finlandese si rifà agli insegnamenti dei Katatonia (era 'Dance of December Souls'), per quel suo abbinare tragiche melodie al tetro death doom. “When The Blackened Candles Shine” è il brano meglio riuscito del lotto, con i suoi nove minuti e passa, capace di coniugare egregiamente la lezione impartita dai maestri del passato, My Dying Bride e gli stessi Katatonia, al sound di Swallow the Sun e Daylight Dies in primis. 'Deceptive Awareness' non mi fece sicuramente gridare al miracolo, ma lasciava ben sperare in un futuro prossimo, che dopo 'The Quietude Plains' nel 2009, ahimè non ha più visto i nostri affacciarsi sulla scena. Gli Ablaze in Hatred hanno concepito un lavoro intenso, energico e cupo di funeral doom che potrà soddisfare tutti gli amanti di questo genere di sonorità e non solo. Un ascolto consigliato a tutti. (Francesco Scarci)

(Firebox Music - 2006)
Voto: 66

https://www.facebook.com/ablazeinhatred

sabato 17 settembre 2022

1/2 Southern North - Narrations of a Fallen Soul

#PER CHI AMA: Occult Doom Rock
Della serie Les Acteurs de L’Ombre Productions colpisce ancora, ecco arrivare gli evocativi 1/2 Southern North con un esempio di dark doom occulto. ‘Narrations of a Fallen Soul’, primo capitolo della one woman band greca guidata dalla sacerdotessa IDVex Ifigeneia, si apre con la lunghissima “Alpha Sophia” che prova a darci le prime indicazioni della proposta dei nostri. Oltre dodici minuti di suoni oscuri, compassati, esoterici, psichedelici, deliziati dalle vocals della frontwoman ellenica. Il sound dei 1/2 Southern North mi ha evocato quello dei californiani Lotus Thief, abili miscelatori di psych rock, ambient, space, post e un non so che di black metal. Qui ci troviamo al cospetto di un’artista che si muove su coordinate similari e che fa sicuramente della propria voce l’elemento portante e distintivo che va poi a poggiare su atmosfere orrorifiche che vedono peraltro la presenza di una sgangherata partitura di violino nella title track a cura di Efraimia Giannakopoulou, una dei tanti ospiti che popolano questa release. “Hearts of Hades” affida la sua parte introduttiva ad una declamazione in greco che poggia su suoni di flauto e tamburo. L’effetto è sicuramente particolare, soprattutto quando la voce della cantante si fa più suadente, anche se otto minuti di questo tipo rischiano di frantumare i neuroni anche dei più stoici. E la ridondanza sonora è uno dei must di questo lavoro: ascoltatevi la parte introduttiva di “Breastfeed Your Delighful Sorrow” e ditemi se anche voi come il sottoscritto avete perso la pazienza dopo i primi 60 secondi. Poi il brano evolve in un crescendo melodico accattivante, tra parti atmosferiche, altre arpeggiate, ma che tuttavia rischia di stancare per la sua eccessiva durata, un’altra peculiarità di un disco che raggiunge I 67 minuti di durata con pezzi che si assestano tra gli 8 e i 12 minuti. L’unica eccezione è rappresentata da “Song to Hall Up High”, storica song dei Bathory dei tempi di ‘Hammerheart’, riletta completamente in chiave avanguardistica dai nostri, ma mantenendo intatta l’epicità dell’originale, “sporcandola” semmai di influenze noise/droniche. A completare il quadro delle canzoni incluse in questo disco, ci sono ancora l’inquietante “Elegy of Hecate”, forse il brano più sperimentale e progressivo del lotto che mi ha evocato peraltro anche un che dei Thee Maldoror Kollective di ‘Knownothingism’. Infine, gli oltre 12 minuti di “Remnants of Time”, un pezzo che ammicca addirittura al jazz e in cui a trovare posto sarà questa volta il sax di George Kastanos. Quello dei 1/2 Southern North è alla fine un lavoro davvero ambizioso, concettualmente interessante ma decisamente ostico musicalmente parlando, che pertanto necessiterà di svariati ascolti per essere assimilato. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions/Satanath Records/Fog Foundation - 2022)
Voto: 68

martedì 13 settembre 2022

Greyswan - Promo 2001

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Gothic/Dark
In che genere inquadrare i nostri Greyswan mi è abbastanza arduo. La definizione più giusta, secondo me, sarebbe quella di un gothic-doom metal molto malinconico, improntato su un buon lavoro della chitarre che incedono in riff ben articolati e in ritmiche semplici ed azzeccate. Discreta la voce che si esprime in un cantato pulito; nella seconda track noto una certa somiglianza con alcuni toni tipo Moonspell. Musica semplice ma ben articolata, dai toni soffusi ed allo stesso tempo depressi ed incazzati. Una nota particolare vorrei dedicarla ai testi, che con mio gran piacere ho trovato inclusi. Da notare la prima song, “Sleepless Night”, un manifesto al self-hateing, dove la solitudine la fa da padrone: un testo quasi degno del primo Nick Cave. Non posso dire che questo sia un masterpiece metal, ma la sua bella figura, tra le decadenti note di chi vive nella notte, la può fare benissimo.
(Self - 2001)
Voto: 68

lunedì 29 agosto 2022

Slimelord - Insurmountable Peril

#PER CHI AMA: Techno Death/Doom
Gli Slimelord sono in giro da tre anni e questo 'Insurmountable Peril' rappresenta il terzo EP dalla loro fondazione. La band britannica, originaria di Leeds, propone un death doom cavernoso che si muove lungo le sole due tracce di questo lavoretto. "Until We Feed Again" funge in realtà quasi da intro, con i suoi tre minuti all'insegna di un sound atmosferico e inquietante che sfocerà nella lunga "Death on the Bayou", un brano decisamente in controtendenza con il precedente, complici ritmiche più scompaginate e dissonanti che s'intersecano con un fare melodico e successivamente anche con chitarre che sembrano provenire dritte dalla Scandinavia. La batteria invece mi ha evocato i mitici Disembowelment con le vocals da cavernicolo a porsi sopra quella porzione orrorifica di chitarre che trova squarci di melodia e brutalità in una serie di ubriacanti assoli che dominano la seconda parte del brano per un lavoro comunque scarno e periglioso, che necessita sicuramente di ulteriori approfondimenti in una release decisamente più lunga e strutturata. Per ora, sembrano esserci buone basi, ma francamente vorrei molto di più. (Francesco Scarci)
 
(Sewer Rot Records - 2022)
Voto: 65

sabato 27 agosto 2022

Em Sinfonia - Intimate Portrait

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Doom
Nati come side project di Brian Griffin, songwriter/chitarrista/produttore dei più famosi Broken Hope, gli Em Sinfonia approdano a questo full length dopo un demo, diventato poi Mcd ('In Mourning Symphony' su Martyr Music Group), molto venduto. Dediti ad un symphonic doom/death metal con, come dicono, una grande varietà di vocals, i nostri sfornano in realtà un album non proprio decente che non ha niente a che fare con l’etichetta appioppata dalla casa discografica. Canzoni deboli, impersonali, che perdono anche dal punto di vista sonoro per la scarsa qualità di registrazione. Chitarre troppo chiuse, orchestrazioni e violini fiacchi, voci poi talmente varie che non si riconoscono più quelle portanti (tra queste le female vocals sono troppo su toni Festival di San Remo). I testi poi trattano sempre gli stessi argomenti triti e ritriti: "Tears Fall Like Rain", "In Erotic Rapture" e cosi via. Gli E.S. non mi hanno colpito per nulla. Pertanto, non saprei proprio a chi consigliarli.

(Martyr Music Group - 2001)
Voto: 50

https://www.metal-archives.com/bands/Em_Sinfonia

In Grief - An Eternity of Misery

#FOR FANS OF: Death/Doom
The Italian trio In Grief was founded just two years ago, but the newcomers have been able to present a promising demo and EP prior to the arrival of the always decisive debut, where a new project must show all the cards. This didn’t seem to be a problem as the three musicians are already involved in several other projects, and the experience is always a secure value.
 
'An Eternity of Misery' is the name of the baby and, as you may guess, the music behind this title suits the title perfectly well. What In Grief dues is a 100% classic death/doom metal, absolutely devoted to what the genre has offered since its inception. So, don’t expect any great surprise, although I am quite sure that In Grief doesn’t want to please with you with surprises, but with the quality of its stuff, what fortunately happens. The album begins with an awesome starter entitled "Beyond the Dark Veil", which includes all the elements you want to hear in this genre. Robust growls accompanied by a solid yet classic rhythmic base and quite heavy guitars, this time accompanied by a beautiful violin, an instrument that always shines every time is used in the death/doom genre. In the subsequent track "Ярна", the guitars make a step forward in terms of addictive and memorable melodies which stuck in your mind as the song advances. The composition itself is a bit more upbeat in its peace, which is always a good aspect as the band tries to add some variety in a genre, where the pace is not always so heterogeneous, to say at least. The violin has another nice yet small appearance in the also quite enjoyable track "Queen of Babylon", where it performs another delicate melody accompanied by the guitars, which is the best moment of this composition. The guitar performance is excellent through the whole album with a good dose of excellent heavy riffs, but also some great harmonies and very enjoyable solos. It seems pretty clear to me that there is a good amount of work behind to make sound the guitars enough varied in each song. "Demons" is the real outsider of this album with a different approach and pace. Initially the song is quite soft and has some clean vocals, but it slowly evolves to a heavier section, where the aggressive vocals have a higher pitch than usual. The violin makes another appearance, which unsurprisingly is exquisite once again. The album has a great ending thanks to a trio of excellent songs. Here,the band shows the most excellent aspects of its music with a mixture of great riffs and memorable melodies (those guitars in the middle of "Close to Insanity", accompanied by some fantastic atmospheric arrangements are top-notch), more breathtaking violin additions and a great craftsmanship. Realizing how good are the atmospheric keys, I only hope that they will use them more often in future releases, as they are hypnotizing and enrich In Grief’s compositions in a very appropriate way.

In conclusion, In Grief’s 'An Eternity of Misery' is an excellent debut of pure death/doom metal with a great work in the compositions. I do hope they will explore more their most atmospheric and melancholic side in their future releases, as the violin and the keys are a more than welcoming addition to the already excellence, we can find in the guitar work. (Alain González Artola)

(Iron Bonehead Productions - 2022)
Score: 82

martedì 2 agosto 2022

Bestialord - Bless Them With Pain

#PER CHI AMA: Thrash/Death/Doom
Dagli US ecco arrivare un mefistofelico mostro che risponde al nome di Bestialord, un moniker che pensavo mi potesse portare nei paraggi di un death black senza compromessi e invece mi consegna in questa terza release intitolata 'Bless Them With Pain', un disco devoto ad un thrash death doom ritmato e chiaramente super old school. Le influenze che si riscontrano infatti sin dall'iniziale title track sono riferibili a band quali Celtic Frost o primi Cathedral anche se poi a livello solistico, il terzetto originario di Wichita, si lancia in suoni più heavy metal che estremi, sebbene il growling possa semmai evocare Death o Obituary. Insomma un bel minestrone avrete capito, ma tutto concentrato comunque in sonorità estreme di fine anni '80 inizi '90. Tutto questo è sottolineato anche dalla celerità di un brano come "Face Your Sin", thrash death nella più marcata tradizione americana, con un riffing che richiama i primi Over Kill. Con "Upon the Altar" si rimane nei paraggi di un death doom (cosi come "Are We Not Gods") che puzza proprio di sulfurei suoni infernali; ci pensa fortunatamente una buonissima chitarra solistica (ottima anche in "So It Shall Be" e in "Starless Seas", cosi vicina ai Nocturnus) a dare una certa verve ad un pezzo che altrimenti non mi farebbe certo gridare al miracolo. E il problema permane anche nelle successive tracce, a mio avviso rimangono troppo legate ad un passato di cui dovremmo rassegnarci al fatto che non ci siano più degni eredi. Le otto song qui incluse alla fine faranno la gioia di vecchi nostalgici del thrash death di tre decadi fa, gli altri per favore si astengano o si vadano a recuperare gli originali. (Francesco Scarci)

The Moon Mistress - Silent Voice Inside

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
Mi fa un po' specie notare che l'Addicted Label mi ha inviato un album del 2012 (ristampato nel 2020) di una band che nel frattempo ha cambiato anche moniker. Sto parlando dei moscoviti The Moon Distress che dal 2014 si chiamano Dekonstruktor e di cui questo 'Silent Voice Inside', ne rappresenta l'unico Lp della carriera, accanto ad un paio di split e un EP. A parte questo, quanto ascoltato in questa nuova versione di 'Silent Voice Inside', che include peraltro un paio di bonus track rispetto all'originale, il trio ci propina uno stoner doom lento e ossessivo, magnetico nella sua componente vocale, che sin da "Cremation Meditation", la seconda traccia dopo l'intro, colpisce per quel suo incedere lisergico e al contempo pachidermico, ammiccando qua e là ai nostrani Ufomammut, con i testi votati ad una certa forma di occultismo che rendono il tutto alquanto accattivante. Al pari di quel basso che apre la lunga "The Wicker Man", una sfiancante ed ipnotica traccia che ci terrà incollati allo stereo per oltre 10 minuti, tra litaniche vocals e chitarre roboanti che evocano i Black Sabbath degli esordi. "Cease to Exist" ci offre invece un brano dall'incipit dai toni piuttosto vintage, ma quell'aura settantiana direi che circonda un po' tutti i pezzi di questo disco, anche quelli di più recente concepimento, come ""Heavy Sun" e "Mindlock". Diciamo che quello che penalizza il lavoro è forse una registrazione non propriamente all'altezza, cosi come pure brani forse un po' troppo monolitici e privi di verve, come potrebbe essere "Invocation to Hecate", che ci attanaglia con la sua melodica linea sludge doom rock per ben 11.40. Non male, ma se si fosse ridotta la durata qua e là di un disco che sfonda la barriera dei 70 minuti di durata, forse il terzetto ne avrebbe tratto maggior beneficio. A tal proposito, perchè non sottolineare anche i 16 minuti e mezzo della title track che ci danno il definitivo colpo del ko con un rifferama troppo ripetitivo che non fa altro che invogliarmi a skippare la song per mantenere la mia sanità mentale e arrivare al termine di un lungo viaggio nei meandri di un certo doom d'annata, che sicuramente verrà apprezzato dai fan di Ozzy e soci ma anche da chi amato gli esordi dei Cathedral o chi segue gli Electric Wizard. (Francesco Scarci)

(Pestis Insaniae/Addicted Labels - 2012/2020)
Voto: 66

https://themoonmistress.bandcamp.com/album/silent-voice-inside

Dirtpill - Oil Tank Blues

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore
'Oil Tank Blues' resta a oggi ancora l'unico full length nella discografia dei russi Dirtpill, nonostante la fondazione dei siberiani risalga addirittura al 2008 e questo lavoro sia datato ormai 2011. Da allora, il terzetto di Krasnoyarsk si è rifatto sentire solo con lo split in compagnia dei Fire to Fields, l'anno seguente. Poi solo silenzio, nonostante Metal Archives li consideri ancora attivi. Parlando di questo cd, francamente non posso spendere proprio belle parole: si tratta di 13 anni tracce, tra cui anche "Johnny Reverb" cover dei Messer Chups, un gruppo sperimentale di San Pietroburgo, dedite ad un punk hardcore di bassa lega. Tredici schegge impazzite che irrompono nel nostro stereo con la graffiante "Mites Doctrine" fino a chiudere con la già citata cover track. In mezzo una poltiglia di suoni, con una produzione peraltro imbarazzante, che guardano anche allo sludge (e penso a "Uxmal" o "Tommy") o al grind ("Parambulator" che vanta anche un frangente doom), che sembrano non essere suonate con il giusto piglio o con il cuore di chi crede realmente in quello che fa. Se state pertanto cercando qualcosa di interessante, mi verrebbe da dirvi di stare a distanza da questo disco. Se invece avete voglia di qualche scarica di adrenalina (tipo la devastante "Newshit", quasi di scuola Nihilist, la creatura precedente agli Entombed), magari qui ci trovate qualcosa per soddisfare i vostri appettiti. Per me sappiate che è un no a braccia incrociate. (Francesco Scarci)

martedì 28 giugno 2022

Epitaphe - II

#PER CHI AMA: Death/Doom
Li avevo recensiti nel 2019 in occasione del loro primo atto. Tornano oggi i francesi Epitaphe con il secondo capitolo della loro discografia, intitolato semplicemente 'II', ed altri cinque pezzi che coniugano quel death doom corrosivo degli esordi con divagazioni funeral e aperture decisamente più melodiche. Si parte dall'introspettiva e strumentale intro "Sycomore" e si capisce che già qualcosa è cambiato in seno al quartetto di Claix. E infatti quando irrompono le ritmiche dissonanti della seconda "Celestial" e quell'intrigante ricerca sonora, ecco che capisco di avere fra le mani un piccolo gioiellino. Si perchè i 19 minuti del brano si muovono tra partiture death, altre decisamente più brutali e ampi frangenti acustici, il tutto corredato peraltro da voci sia in formato growl che pulito (forse la novità più ecclatante di questa seconda release). Poi la song, in tutta la sua infinita durata, vive di sussulti death devastanti (citavo i Morbid Angel nella precedente recensione e non posso che confermare) di nuovo interrotti da rallentamenti più claustrofobici, escalation black e nuove bordate death, prima del più tranquillo finale arpeggiato. "Melancholia" e altri 19 minuti davanti, introdotti da una furibonda ritmica techno death che trovo davvero spiazzante. L'avevo appreso già da 'I' che i nostri non sono davvero quello che sembrano, lo confermo in questo nuovo lavoro, che si palesa nuovamente ostico da esser digerito ma si arricchisce per lo meno di arrangiamenti death progressive e break acustici che in più di un'occasione mi hanno evocato gli Opeth dei primi album. Colpiscono le eteree clean vocals, i momenti più ambient, le derive post rock e per questo non possono che esserci grandi applausi. Ora, poi dopo tutto questo ben di dio, essere preso a cinghiate da altre raffiche death, si potrebbe rivelare esperienza sempre più destabilizzante e per questo stimolante. "Insignificant" apre con un arpeggio di opethiana memoria, con tanto di crescendo incluso che per oltre tre minuti (dei quasi 19 complessivi), ci prepareranno all'incombente sassaiola death che mi aspetto da lì a poco. In realtà, i giri del motore rimangono per un po' a basso regime, ma le emozioni non mancano, non temete. La band ha infatti modo di esibire un bridge melodico, un intercalare doomish, per poi lentamente spingere sull'acceleratore con una natura percussiva alquanto originale che prenderà il sopravvento nella seconda parte del brano e che troverà ancora modo di proporre qualche rallentamente decisamente più bilanciato prima di un finale davvero significativo. Altro pezzo strumentale a chiusura del disco che mostra le progressioni musicali dei quattro francesi e tutte le potenzialità che la band potrà sviluppare nelle prossime uscite. Se potessi migliorare qualcosa, smusserei del tutto gli isterismi estremi del sound dei nostri per una ricerca più progressiva del suono perfetto. Per ora bene cosi, ma ho aspettative parecchio elevate per il futuro degli Epitaphe. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2022)
Voto: 76

https://epitaphe.bandcamp.com/album/ii

martedì 24 maggio 2022

Nechochwen - Kanawha Black

#FOR FANS OF: Black/Dark/Death
West Virginia-based duo Nechochwen returns with the long-awaited album as its predecessor saw the light of the day seven years ago. It’s a lot of time, though the band remained active, releasing a couple of splits and some other stuff. But as you know, a long length is always the best indicator of how a project is evolving and I was curious to see what Nechochwen could offer with this new opus, titled 'Kanawha Black'. The new work has been released again by Bindrune Recording and Nordvis, which is always a sign of confidence in what a project has composed. Founded back in 2005 Nechochwen has fused black metal with some folk and neofolk influences, and lyrically they have been strongly influenced by the Appalachian lands. Their interest in the Native American traditions is always a plus for me, so it is undeniable that this project is trying to create something personal.

'Kanawha Black' is a quite different album, particularly in terms of pace and general tone that the band tried to give to each song, aiming at creating pieces with a distinctive touch. The album is opened by the vigorous and powerful song "Kanawha Black". It’s a straightforward song with an excellent work in the guitars and a fast pace, that in any case has its ups and downs that make it very entertaining. The main aggressive vocals are combined with some clean ones, which makes a strong contrast with the first ones, I personally prefer the aggressive ones in this case, but I guess it’s a matter of feeling as they clean vocals are well executed and have nothing particularly negative to mention. The aforementioned neofolk and folk influences appear more clearly in the next songs, for example "The Murky Deep" and "I Can Die but Once", with these characteristic acoustic guitars. As it is typical in this genre, its influence gives a much more melancholic touch to the songs. The pace is also slower, and the songs have in general a sombre tone. This dark touch and slower pace reach its momentum with the song "A Cure for the Winter Plagues". This is for sure, the most different song as it is particularly slow and dark. I even describe it as a doom/death song, especially due to the main vocals with their deeper tone and the trademark growls of the death metal genre. The background vocals and arrangements give a quite ethereal touch to this composition, even though it remains to be a quite dark song. From this point the album clearly speeds up with faster songs more similar to the album opener. "Visions, Dreams, and Sings" is maybe my favourite track of this second half and one of the highlights of the whole album. It is a punch in your face thanks to its aggressive vocals and faster pace. The guitar work is again excellent, and the riffing remains in your mind after the end of the track. Being a faster song doesn’t mean that it’s a monotonous one, none of that, mid-temp and slower sections can be found too, and the acoustic guitars make its appearance to enrich the track. The last two songs have similar patterns as they intelligently combine some of the heaviest sections with the acoustic and darker ones, making them a merry-go-round of intensity with their changes of pace and tone. Vocally, the effort to include some variety is also there. Not only with the combination of aggressive and clean vocals, but also mixing black metal and death metal influenced voices, which are appropriately placed in the different songs.

In general terms, 'Kanawha Black' is a quite good album. It seems clear to me that there is a decent amount of work behind these compositions. The duo really tries to make songs with a particular tone and sound, mixing different influences and introducing arrangements to enrich them. (Alain González Artola)


(Bindrune Recordings - 2022)
Score: 78

domenica 8 maggio 2022

Remote - The Great Bong of Buchenwald

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
Buchenwald fu uno dei più importanti campi di concentramento e sterminio durante la Seconda Guerra Mondiale, argomento non proprio simpatico in questo periodo storico. Tuttavia, la presente uscita si riferisce ad un album, 'The Great Bong of Buchenwald', rilasciato in realtà nel 2014 dalla Bad Road Records e ripreso lo scorso anno dall'Addicted Label per promuoverlo ad un pubblico ben più ampio, non ha nulla a che fare con il nazismo essendo focalizzato sull'uso delle droghe. Quello dei Remote, band originaria di Kaluga che da poco abbiamo recensito anche con la loro release 'The Gift', è infatti un altro disco rimasto nascosto nel cassetto e che propone, come già raccontato in precedenza, un mix ostico e corrosivo di sludge, psych e doom, che trova nel death l'unico punto di contatto grazie ad un growling vetriolico. Il trio comunque si diletta nel muoversi tra i generi sopraccitati con spunti più o meno interessanti che vedono nelle esplosioni chitarristiche o in assoli lisergici ("150"), forme più o meno indovinate della loro espressione musicale. Non mi avevano entusiasmato con 'The Gift', non lo fanno certo oggi, anche se devo ammettere che alla fine, ho apprezzato maggiormente questo lavoro rispetto a quello che sarà il successivo. Complice una serie di brani che i nostri mettono in fila con maggior convinzione, ossia l'allucinata "Doped" tra stoner e psichedelia, la successiva "Pandemonium", entrambe nel loro incedere, evocano un che degli americani Bongzilla e ovviamente degli Eyehategod che già avevo evidenziato in 'The Gift'. Per il resto, i nostri sono buoni mestieranti, che non hanno certo inventato l'acqua calda, ma che comunque sanno come mettere in fila tre note sensate, soprattutto nella conclusiva "Ashes to Ashes", ubriacante emblema desert stoner doom dei Remote. Ultima mezione con plauso, alle sempre meravigliose copertine dei dischi, oniriche. (Francesco Scarci)

(Bad Road Records/Addicted Label - 2014/2021)
Voto: 65

https://remote-band.bandcamp.com/album/the-great-bong-of-buchenwald

Transnadežnost' - Monomyth

#PER CHI AMA: Kraut Psych Rock
Visioni cosmico stroboscopiche per i Transnadežnost', band originaria di San Pietroburgo e dotata del nome verosimilmente più impronunciabile al mondo. Fatte le dovute premesse, perchè non domandatemi domani come si chiama questa band, non saprò rispondervi, andiamo a dare un ascolto a 'Monomyth', album di debutto uscito nel 2018 e dedito a sonorità space prog rock strumentali. Questo almeno quanto certificato dall'opener "Pacha Mama". La successiva "Ladoga" sembra infatti portarci in altri mondi, dilatati e lisergici, oscuri e magnetici, suonati peraltro con un certo spessore tecnico compositivo. Chiaro, poi manca una voce a guidarci nei meandri di questa release e per me spesso questo costituisce un problema, ma mi lascio comunque ammaliare dalle sonorità a tratti anche arrembanti che i nostri hanno da offrire nel loro sperimentalismo sonoro. Intanto si prosegue nella conoscenza della band russa e in "Kailash" si sconfina in suoni orientaleggianti che sembrano condurci a meditazioni mantriche di natura buddista, comunque inserite in un robusto contesto rock sofisticato dotato di una bella cavalcata finale. Quando accennavo agli sperimentalismi, ecco che "Star Child" mi viene in aiuto con un assolo di sax (che ritornerà anche nel finale) inserito in un atmosferico e seducente contesto musicale jazz/blues. "Huldra" sembra invece proseguire quel percorso psichedelico-meditativo-desertico messo in scena in "Kailash", con la sola deroga che qui troviamo finalmente una voce a prendersi la meritata scena. Certo, non proprio una performance memorabile, ma comunque accresce il tenore della proposta dei nostri. "Chewbacca" è un breve ma suggestivo pezzo prog rock (che mi ha peraltro evocato i Porcupine Tree) pronto ad introdurci a "Day/Night", il brano più lungo ma anche strutturato di 'Monomyth', quello in grado di combinare tutte le sfaccettature del quartetto russo, addizionate di una componente doom che ben s'incastra nelle allucinate derive stoner, kraut, tribal, prog, space, jazzy rock dei Transnadežnost' che vi ingloberanno in quest'ultimo ipnotico e delirante viaggio. (Francesco Scarci)

Ketamine - 25​.​807²

#PER CHI AMA: Sludgecore, Eyehategod
Avete idea di cosa faccia 25​.​807²? 666.001.249. Che sia un caso che i primi tre numeri siano il numero del diavolo? Mah, ragionateci sopra. Nel frattempo, andiamo a scoprire quello che è stato l'unico lavoro dei californiani Ketamine e di un disco che è stato concepito molto indietro nel tempo (1996, dopo di che la band si è sciolta), con '25​.​807²' a rappresentare il testamento della band americana, rilasciato però solo nel 2017. Che quello che abbiamo tra le mani sia un sound datato, lo si evince dalle note iniziali dell'opener "Chameleon", un brano che sembra identificare in Eyehategod e primi Neurosis, le principale fonti di influenza del quartetto di San Francisco. Suoni sporchi e melmosi quindi, vocals al vetriolo, un rifferama che farà la gioia di chi ama sludge/doom e per chi avrà la voglia e la pazienza di riscoprire un qualcosa che forse 25 anni fa poteva sembrare anche originale ma che, dopo una svalangata di release nel medesimo ambito, lo fanno sembrare ahimè soltanto assai vetusto. Non vorrei sembrare quello che giunge a conclusioni affrettate, però i pezzi sciorinati uno dietro l'altro, non mi hanno entusiasmato più di tanto. "Food Chain" è ridondante nei suoi suoni quanto basta, "Golden Boy" mi evoca i fantasmi di Scott Kelly e compagnia, "Apocrypha" è una ruvida ed ostica scheggia strumentale, mentre "Blood Money" mette a dura prova i nostri sensi con oltre otto minuti di suoni sempre più difficili da digerire (lo stesso dicasi dei nove minuti e mezzo della noisy "Hurricane Head") all'insegna di un doom angosciante e paranoico. "Half Ass" è un pezzo spacca (mezzi) culi mentre "Quitter" ci riporta nei meandri di uno sludge claustrofobico. In chiusura "Kid Fuck", quella che dovrebbe essere l'esclusiva bonus track del cd, ma che appare piuttosto uno scherzo di cattivo gusto, di cui avrei fatto volentieri a meno. Sembra infatti registrata nello scantinato di casa mia con una qualità sonora che dire imbarazzante è quasi farle un complimento. Mah, ai posteri l'ardua sentenza mi sembra il commento conclusivo più appropriato per una release come questa. (Francesco Scarci)

(Bad Road Records - 1996/2017)
Voto: 60

https://badroad.bandcamp.com/album/25-807

Strange Horizon - Beyond the Strange Horizon

#PER CHI AMA: Stoner/Doom, Saint Vitus
Gli Strange Horizon devono il loro moniker ad un brano dei Reverend Bizarre incluso nell'EP del 2003, 'Harbinger of Metal'. Questo riferimento vi deve sin da subito portare a riflettere quale genere possa offrire il trio norvegese di quest'oggi, che con 'Beyond the Strange Horizon', arriva al tanto agognato debutto. "Tower of Stone" apre le danze con un riffone doomish che ingloba nel suo sound anche una buona dose di stoner, psichedelia e proto-hard rock, che vi catapulterà indietro nel tempo di oltre 40 anni. Penso infatti a gente del calibro di Pentagram, Count Raven e ovviamente gli immancabili Black Sabbath. Certo, a differenza di quest'ultimi, la band di oggi prova ad azzardare un filo di più, inserendo sul classico robusto rifferama, anche una voce femminile. Più paranoica e originale, almeno da un punto di vista vocale, la successiva "Fake Templar", con un incedere lento e lisergico che chiama in causa i Saint Vitus, mentre uno straordinario assolo si mette in mostra a metà del brano, punto da cui ripartirà poi un riffone super fuzzato. Decisamente più ordinaria "The Final Vision", un pezzo che non aggiunge granchè al sound proposto, fatto salvo un bell'assolo bluesy nel finale. Attacco doomish per "Divine Fear", e al suo ampio spazio introduttivo concesso alle chitarre su cui si inseriranno le vocals di Qvillio, qui non particolarmente convincenti nelle parti più acute. Rullata di tamburi ed è tempo di "They Never Knew", un brano di cui ho apprezzato maggiormente il lavoro al basso di Lindesteg, con le parti strumentali che si confermano sempre di buon livello, anche se in certi casi risultano non troppo ispirate. È il caso della successiva "Chains of Society", song un po' troppo impastata e ancora un po' carente a livello vocale. Per sentire qualcosa di convincente, dobbiamo arrivare alla conclusiva "Death in Ice Valley": doom di scuola britannica per quello che è il pezzo più lungo del lavoro (oltre nove minuti), eteree voci femminili, ampi spazzi concessi al basso e un po' tutte le cose migliori degli Strange Horizon (assoli inclusi) che confluiscono in quest'ultimo brano che evidenzia pregi e difetti della band originaria di Bergen. Un ascolto è quanto meno dovuto se il doom rientra tra le vostre passioni. (Francesco Scarci)

lunedì 25 aprile 2022

Remote - The Gift

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
Sentivo la mancanza di un po' di doom, quello claustrofobico, un po' psichedelico e un po' acido, quasi quanto tutto quel regno vegetale dipinto nell'artwork del cd dei russi Remote. I tre musicisti, orignari della semisconosciuta città di Kaluga, ci accompagnano in 'The Gift' proponendoci un concentrato di doom, sludge, psych e death (quest'ultimo più che altro solo per il growling). Sei lunghe tracce di pura distorsione chitarristica, che dall'iniziale "Ouroboros" arrivano fino alla conclusiva, lunghissima (16 minuti) e sfiancante "Tseni", attraverso un viaggio complicato che vede i nostri muoversi tra ondivaghe ritmiche e quel carattere fuzz delle chitarre, mentre la voce tignosa di Eugene racconta di uso di droghe e alcol. Il lavoro si muove senza grossi tentennamenti lungo la title track, ma anche senza troppe trovate stilistiche che possano far gridare al miracolo. "Veisalgia" prosegue sullo stesso pattern evocando in modo randomico, i primi Electric Wizard e i primi Cathedral, gli Eyehategod e via dicendo. La traccia comunque mostra un interessante break atmosferico centrale che probabilmente la differenzia dalle altre canzoni, cosi come quel timido assolo conclusivo. "Prototrip", pur avendo un titolo cosi evocativo, non riflette quello che mi sarei aspettato di ascoltare, ossia un sound decisamente lisergico ma è forse il pezzo più stoner doom del lotto, e quello che vanta anche il miglior assolo del disco. Si prosegue con "Viy", un brano un po' più ostico in fatto di melodie cosi discordanti, però forse è quello che alla fine risulta anche il più riuscito e mi ha suscitato meno perplessità. (Francesco Scarci)

mercoledì 6 aprile 2022

Taumel - Now We Stay Forever Lost in Space Together

#PER CHI AMA: Dark/Jazz
Il buon Bob si era divertito a recensire il debut album dei teutonici Taumel, sempre in bilico tra doom, dark e psych jazz. E cosi ero curioso anch'io di mettermi alla prova con la stravagante creatura di Jakob Diehl, lo "Sconosciuto" della serie Dark, che torna con la seconda parte del ciclo musicale chiamato 'TRAUM'. Questo secondo capitolo, dal breve titolo 'Now We Stay Forever Lost in Space Together', racchiude cinque nuove oscure e psichedeliche visioni del poliedrico artista tedesco. L'album si apre con "Now" che nei suoi suggestivi giochi di chitarra mi evoca immediatamente i Pink Floyd. Le analogie con la band inglese e tutto il seguito che si è portato dietro nel tempo, sono tangibili nei chiaroscuri del quartetto di Rheda Wiedenbrück, con sonorità che potrebbero essere accostabili anche alle colonne sonore prodotte dagli Ulver, quelle di 'Lyckantropen Themes' e 'Svidd Neger', tanto per capirci, anche se quanto composto dai Taumel suona decisamente più pensato ed articolato nella sua stravagante forma musicale. "We Stay", la seconda song, ha un piglio decisamente più improvvisato anche se la sua prima parte potrebbe essere usata come colonna sonora per il mio funerale. Dal terzo minuto in poi, le atmosfere si fanno più stralunate, e quanto messo in scena sembra più frutto di una jam session che altro, un incontro tra artisti jazz, kraut, doom, blues, psych e chi più ne ha più ne metta, visto che non sarà cosi semplice accostarsi a tali sonorità. E non importa che il tutto sia esclusivamente strumentale, i vari strumenti esplicano qui il ruolo di mille voci differenti. Con "Forever", l'atmosfera si fa ancora più noir: mi immagino uno di quei locali fumosi anni '60, con un sassofonista che suona minimaliste melodie di un altro tempo, mentre la gente attorno non si accorge di quell'omuncolo che in realtà è un artista fenomenale che ahimè nessuno comprende. E quel senso di vuoto che risiede nella sua anima si manifesta attraverso suoni glaciali e al contempo caldi, difficile da spiegare, ancor di più da capire. È con "Lost in Space" che si parte invece per galassie lontane, dove il propellente è rappresentato da strambe melodie aliene espletate da inaspettati strumenti musicali in mondi surreali che sembrano dipinti da Salvador Dalí, De Chirico o più recentemente da Willem den Broeder. Il disco chiude con "Together", l'ultima stravagante espressione musicale di 'Now We Stay Forever Lost in Space Together' (l'avevate notato vero che il titolo del disco non sono altro che i titoli dei brani?), in un viatico triste e deprimente di sonorità surrealistiche tra il suono di una tromba ed effetti vari che sanciscono la genialità di un ensemble quasi unico nel suo genere. (Francesco Scarci)

Crust - Stoic

#PER CHI AMA: Black/Doom/Sludge/Post
Con un moniker del genere che cosa vi aspettavate, dite la verità? La band originaria di Veliky Novgorod ci spara in faccia otto pezzi che dall'iniziale title track giungono alla conclusiva "Desert", attraversando le paludi fangose dello sludge, le inquietanti atmosfere doomish, il tutto senza disdegnare brutali scorribande post black e death. Eccovi presentato in poche righe quanto ritroverete durante l'ascolto di questo terzo lavoro dei russi Crust, intitolato 'Stoic'. Se l'opener è un connubio di un po' tutti i generi sopraccitati, la seconda "Watching Emptiness" ha un piglio decisamente più atmosferico e introspettivo, muovendosi nei paraggi di un death doom emozionale, in grado di richiamare i primi Paradise Lost, attraverso un sound cupo ma costantemente accattivante, nonostante gli oltre dieci minuti di durata (anche se gli ultimi due sono piuttosto inutili). Con "A Blind Man in Darkness" si torna a galoppare alla grande con un riffing più teso, articolato, a tratti anche decisamente più ostico da digerire, sebbene numerosi tentativi volti a rasserenare gli animi, con parti più atmosferiche. Per un ripristino delle funzioni cerebrali, arriva però l'acustica di "Willow Forest", un breve intermezzo in grado di metterci in pace col mondo. Da qui si riparte con la seconda parte del cd e un trittico formato da "Plague", "Darkness Becomes Us" e "Anhedonia" che sembrano restituirci una band più tonica ed ispirata tra le dirompenti e melodiche ritmiche post black della prima, il black dissonante della seconda (uno dei pezzi forti del disco) e il doomish black della terza (un altro brano davvero interessante), che ci accompagnerà fino al finale affidato alla strumentale e più pacata "Desert", un pezzo che per il suo ipnotico impianto ritmico, potrebbe addirittura evocare "Angel" dei Massive Attack. Alla fine 'Stoic' è un disco che lascia qualcosa dentro che mi ha spinto più volte ad un ascolto più attento dei Crust. (Francesco Scarci)

(Addicted Label - 2021)
Voto: 74

https://crustband.bandcamp.com/album/stoic