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domenica 6 dicembre 2020

Astarium - Hyperborea

#PER CHI AMA: Symph Black
Dalle desolate lande della Siberia, facciamo la conoscenza degli Astarium, una one-man-band che in realtà esiste già dal 2005 e la sua discografia vede ben otto album all'attivo e 12 tra split ed EP. Io ignorantone non li conoscevo, quindi potrò fare pochi confronti con il passato ma dirvi piuttosto cosa ci ho sentito in questo 'Hyperborea'. Intanto partirei col dirvi che ci sono la bellezza di 16 tracce qui incluse ma non di grandi durate visto che il disco alla fine dura poco più di tre quarti d'ora. La musica del mastermind russo si muove nei paraggi di un black pesantemente infarcito di tastiere. "The Wild Hunt", "Doomed" e "Halls of Winter Gods" sono pezzi sicuramente interessanti, la seconda peraltro mi ha evocato un che dei Limbonic Art miscelati con il delirante approccio degli ungheresi Nagaarum, il tutto con l'apporto pesante delle keys che richiamano un che dei Bal Sagoth più pomposi e orchestrali. La cosa che salva Mr. Astarium è che i pezzi sono tutti di breve durata e quindi non si fa in tempo ad annoiarsi. "When the Proud Die" ha un incedere decisamente più cupo, quasi funereo, con la strana ma originale voce del frontman in primo piano, ma la song non arriva ai due minuti e quindi scivola via liscia che un piacere. Molto meglio la successiva "Snow Storm", molto più dinamica, che si mantiene sempre nei territori di un black estremamente melodico, dove le tastiere dominano la scena, creando ottime orchestrazioni su di un tappeto ritmico costantemente anomalo. Molto più veloce e caustica a tratti, "Sign of Cosmic Might", con la voce che ricorda la versione più pulita di Dani Filth. Il disco continua con tutta una serie di pezzi sulla stessa falsariga: la strumentale "Battle Glory" che gode di un'influenza dei Summoning. In "Daughter of Imir" compare la risata dolce e sensuale di una donna in apertura poi il pezzo riparte alla stregua dei precedenti. "Kill to Survive" ha un lungo incipit atmosferico per poi sfociare in una song più tirata, il che si riconferma anche in "Curse from the Past" o nella violenta lucida follia di "Lucky Bastard", 24 secondi di un sound infernale. Arrivato alla fine però, la sensazione è quella di avere ascoltato un album monumentale, tipo due ore di musica. Forse un disco cosi spezzettatto per qunato intrigante per contenuti, si rivela ostico non poco per quanto un genere alquanto accessibile. Ora potrò andare pure ad ascoltare i vecchi lavori e cercare di capirne di più di questi Astarium. (Francesco Scarci)

(GrimmDistribution/Gravações Tunguska - 2020)
Voto: 65

https://grimmdistribution.bandcamp.com/album/059gd-astarium-hyperborea-2020

domenica 15 novembre 2020

Griffon - ὸ θεός ὸ βασιλεύς

#PER CHI AMA: Black/Death, Windir
Devo ammettere che quel titolo in greco mi aveva tratto in inganno, pensando che i Griffon fossero originari appunto della Grecia. Mi sembrava effettivamente strano che la Les Acteurs de l'Ombre Productions andasse a pescare fuori dalle mura amiche, ma vedendo i più recenti precedenti, pensavo fosse l'ennesima eccezione. I Griffon arrivano invece da Parigi e sono un quintetto di personaggi noti nella scena, visto che tra le fila si annidano membri di Moonreich, Grind-O-Matic, Neptrecus e A/Oratos. Fatte le dovute presentazioni, sappiate che 'ὸ θεός ὸ βασιλεύς' rappresenta il loro secondo lavoro, un esempio di efferato ma melodico black death. Il disco si apre con le spoken word di "Damaskos" e da li decolla con il suo vorticoso black metal, interrotto solo da un break acustico ove voci declamatorie si prendono la scena. Il pathos è elevato e contribuisce a distrarci per una decina di secondi dall'acuminata ritmica dei nostri, in grado di regalare comunque una cavalcata davvero ferale da qui alla fine, dove vorrei sottolineare gli azzeccatissimi arrangiamenti. La tempesta sonora ovviamente non si placa qui, ma prosegue anche con la dinamitarda "L’Ost Capétien" che, a parte segnalarsi per un attacco frontale da paura, si lascia apprezzare soprattutto per una forta vena orchestrale, una buona linea melodica ed un altro bel break acustico. "Regicide" è decisamente più compassata, con un inquietante incipit che lascia il posto ad un'andatura più ritmata, spoken words in francese, inserti melodici di scuola Pensees Nocturnes e altre varie scorribande chitarristiche in un brano decisamente altalenante. Ma questi sono i Griffon, ho già imparato ad apprezzarli per quello che sono con la loro capacità di fare male con quelle chitarre taglienti, con uno screaming costantemente lancinante ed una violenza in genere tarpata nella sua efferatezza da intermezzi acustici, rallentamenti parossistici e riprese ancor più violente. Ne è un esempio lampante "Les Plaies Du Trône", un pezzo che cavalca sonorità post black devastanti nella sua seconda metà, la cui sgaloppata mi ha ricordato qualcosa dei Windir. Delicati tocchi di pianoforte aprono invece "Abomination" e per pochi istanti mi godo una splendida melodia classica che stempera quella violenza da cui siamo stati investiti fino a pochi secondi fa. Il pezzo è apparentemente più contenuto nella furia distensiva, ovviamente stiamo parlando di poco più di un paio di giri di orologio prima che i nostri tornino a macinare alla grande granitici riff sparati al fulmicotone. Ma credo avrete già imparato a conoscere l'imprevedibilità dei cinque parigini, ed ecco quindi tocchi di pianoforte, porzioni corali e ripartenze deraglianti. Interessante poi come "My Soul Is Among The Lions" spenda i suoi primi 60 secondi a giochicchiare con le chitarre prima di lanciarsi in un solenne pezzo di black sinfonico dotato di splendide linee melodiche, forse il mio pezzo preferito. Un intermezzo ambient ci conduce alla conclusiva "Apotheosis", gli ultimi cinque minuti di un album convincente e coinvolgente, che non fanno altro che confermare la qualità sopra la media dell'ennesima band proveniente dalla vicina Francia. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2020)
Voto: 76

https://ladlo.bandcamp.com/album/--2

giovedì 12 novembre 2020

Helioss - Devenir Le Soleil

#PER CHI AMA: Symph Black/Death
Dalla Francia, ecco arriva gli Helioss, compagine nata originariamente come one-man-band di Nicolas Muller, ora invece accompagnato da tal DM (un altro di quelli che ha almeno 27 progetti paralleli) e da Mikko Koskinen (dei Proscription) alla batteria. Il connubio di questi tre artisti ha portato al qui presente 'Devenir Le Soleil', un lavoro straordinario di black death sinfonico. Francamente non conoscevo la band e dato che questo è il quinto album, credo che mi andrò a ripescare i precedenti lavori visti i contenuti davvero ragguardevoli di codesto. Forte di una ottima produzione che esalta i suoni bombastici di 'Devenir Le Soleil', il disco è un susseguirsi di bombe di un estremismo metallico fatto di eccellenti orchestrazioni che esaltano un tappeto ritmico davvero dinamico, fatto di cambi di tempo da urlo e riffoni belli violenti. I nove brani si infiammano che è un piacere dall'esplosiva apertura di "...Et Dieu Se Tut", alla successiva "A Wall of Certainty", un pezzo che nella sua parte pianistica mi ha evocato gli austriaci Angizia. Per me godimento puro soprattutto per la capacità di saper variare offrendo una tempesta sonora abbastanza originale (i contatti con i nostrani Fleshgod Apocalypse non sono cosi scontati), dato che nel sound del terzetto non compaiono solo sonorità estreme. Se penso alle linee di chitarra di "The End of the Empire", ci trovo infatti puro heavy metal classico anche se poi la song va a scavare in meandri più oscuri ma altrettanto melodici, lanciandosi poi in cavalcate arrembanti e arabeschi spettacolari. Il disco per me è una bomba, ve lo scrivo e sottoscrivo. Basti ancora dare un ascolto a random alla più tiepida e controllata (almeno all'inizio) "Let the World Forget Me" o alla schizofrenica "Singularity", dove compare il violoncello di Raphaël Verguin (uno che abbiamo già trovato negli In Cauda Venenum o negli Psygnosis) e il violino di Elisabeth Muller. Ma le ospitate non terminano qui, visto che la title track (oltre 24 minuti di durata) vede la comparsata di un elevato numero di ospiti (provenienti da altre band) che si alternano dietro al microfono (ma c'è anche un percussionista ad affiancare Mikko) in una suite davvero da applausi (per cui sarebbe quasi un delitto poterne sviscerare i molteplici dettagli e la ricercatezza dei suoni), in cui poter apprezzare tutte le qualità musicali di questo eterogeneo collettivo di artisti, in un brano che oltre a richiamare in generale i maggiori compositori classici, chiama inevitabilmente in causa anche i Ne Obliviscaris e un vecchio disco dei francesi Kalisia ('Cybion'), in un pezzo incredibile che da solo varrebbe l'acquisto di questo lavoro che si candida a questo punto ad essere nella mia personale top ten del 2020. Complimenti! (Francesco Scarci)

mercoledì 11 novembre 2020

Fovitron - Altar of Whispers

#PER CHI AMA: Thrash/Symph Black, Septicflesh
Rimango sempre stupefatto quando tutto il mondo recensisce un disco e in Italia manco ci accorgiamo della sua uscita. Per fortuna nel Pozzo gli occhi rimangono costantemente aperti e dalla scena greca ecco emergere i Fovitron. Con un'assonanza nel nome ai Varathron mi aspetto francamente anche di ritrovare una qualche similitudine a livello musicale. Con grande curiosità inserisco quindi il cd nel lettore per poter scoprire qualcosa di più di questo 'Altar of Whispers', debutto sulla lunga distanza per il quintetto ateniese, dopo l'EP omonimo del 2017. Ad accoglierci la classica intro tastieristico strumentale che prepara il campo a "Inner Demons" e al suo lungo incipit atmosferico che dopo 90 secondi ci mostra finalmente la reale faccia dei nostri, ossia un black sinfonico scuola anni '90. Perchè dico questo? Semplicemente perchè nelle linee di chitarra di Fovitrus ci sento Emperor e Limbonic Art, sebbene il massivo uso di synth e keyboards ne affievolisca l'irruenza, inutile però negare che la song al suo interno presenti echi di "I Am the Black Wizards". E questo non vuole essere certo un punto a sfavore dei nostri, semmai delinea con maggiore certezza, le fonti influenzali dei cinque greci. "Dreading the Night" sembra dirci qualcosa di più, ossia che le radici dei Fovitron affondano comunque nel thrash primordiale dei Rotting Christ. Mi sembrava strano che non emergessero echi di quell'hellenic sound che è percepibile in tutte le band greche. A fronte di un riffing thrash metal, i nostri ne arricchiscono gli arrangiamenti con un sound più oscuro, con una buona linea melodica che rende la proposta, se volete più ruffiana, ma semplicemente più abbordabile nell'ascolto. E cosi, se all'inizio di questa recensione ipotizzavo un qualche punto di contatto con i Varathron, dopo una manciata di brani posso anche ammettere di non pensar male viste le affinità a livello sinfonico che si possono riscontrare tra le due band. Molto meglio comunque un pezzo come "Wasteland of My Dreams", aggressivo al punto giusto, dotato di una buona dose di orchestrazioni che ammiccano ai Septicflesh, ma anche ai Dimmu Borgir e Carach Angren, per un risultato che francamente, i fan del genere non potranno non apprezzare. Io sono uno di quelli che peraltro pensava che il black sinfonico, fatto salvo per una manciata di band, ormai fosse un genere ormai morto. Eppure, realtà come quelle di oggi mi dimostrano fortunatamente il contrario, che è sempre bello e straordinario esplorare il mondo sotterraneo e imbattersi in realtà come i Fovitron. E allora continuiamo a godere delle sinfonie di "Endless Whispers", una song che vede la partecipazione alla voce di Nancy Mos, vocalist dei conterranei e sconosciuti Fortis Ventus, autori di un unico EP nel 2017, scuola Nightwish. Fortunatamente, l'apporto di Nancy non è cosi massivo da oscurare lo screaming del vocalist Nuntius Mortis, si affianca e neppure in modo troppo invasivo. Esperimento riuscito. "Remembrance" è un pezzo con un sinistro incipit atmosferico sulla cui coda irrompe una ritmica forsennata, tastiere allucinate ed uno screaming strinato. Tutte queste caratteristiche eleggono questa song quale mia preferita del cd, forse per qualche implicito contatto con gli Old Man's Child che emergerà anche nella successiva "When Darkness Falls", un pezzo epico e sinfonico. Un'ultima citazione prima della chiusura, va a "The Deathbringer" con quella sua pomposa parte iniziale ancora di scuola Septicflesh ed un finale in costante crescita, davvero avvincente in quanto dotato di una certa vena vichinga. In chiusura "The Minstrel of the Icy Keep", un altro pezzo di scuola Sakis & Co. che stabilisce l'approdo dalla mitologica Attica di una nuova ed interessante realtà musicale. (Francesco Scarci)

(Alcyone Records - 2020)
Voto: 73

https://altarofwhispers.bandcamp.com/

lunedì 12 ottobre 2020

Vesania - God the Lux

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Black, Emperor
I Vesania sono nati nel 1997 come side project di Orion (Behemoth), Heinrich (ex Decapitated) e Daray (ex Vader) a cui si aggiunsero poi Annahvahr e Hatrah (poi fatti fuori) e infine nel 2000, Siegmar (ex Hesperus). Un po’ di cronistoria per dire che di gavetta i nostri ne hanno fatta, tra promo e diversi concerti in giro per la Polonia, dai quali scaturisce nel 2003, il loro debutto 'Firefrost Arcanum', un black metal tastieristico sulla scia dei primi lavori degli Emperor, mentre nel 2005 esce questo 'God the Lux'. L’album non è male, muovendosi come in passato, su coordinate stilistiche vicine a Samoth e soci, ma con una forte componente death aggiuntiva. Le atmosferiche tastiere si miscelano infatti alla perfezione con la furia death metal di “americana” derivazione: “Synchroscheme” e la successiva “Phosphorror”, forse i brani migliori dell’album, possono ricordare vagamente quanto proposto dai Dimmu Borgir; si tratta infatti, di un feroce symphonic black/death metal sulla scia di quanto fatto da Shagrath e compagni. A me 'God the Lux' piace per quel suo feeling maligno, per quel suo alternare death metal con partiture sinfoniche, mi piace per l’alone di mistero e inquietudine che le sue tastiere riescono a infondere. Le liriche poi, messe insieme da Orion, trattano citazioni di R. Bach, A. Crowley e alcuni anonimi autori medioevali. Alla fine i Vesania non aggiungono nulla di nuovo all’orizzonte, ma suonano bene e con passione, quindi perchè non dargli un ascolto, secondo me non ne resterete scontenti. (Francesco Scarci)

(Empire Records - 2005)
Voto: 70

https://www.facebook.com/VesaniaOfficial

domenica 27 settembre 2020

In Cauda Venenum - G.O.H.E.

#PER CHI AMA: Symph/Post Black
Incontrati già in occasione del loro omonimo debut album e nello split in compagnia di Heir e Spectrale, fanno il loro ritorno sulle scene gli In Cauda Venenum con il secondo lavoro, 'G.O.H.E.', il cui acronimo non mi è ancora dato di sapere. La nuova release del trio transalpino evolve ulteriormente, attraverso le sue due tracce, in un flusso profondo di post black dalle forti venature post rock. Questo quanto si evince dal flyer informativo della label, un po' meno dalle note iniziali della deflagrante "Malédiction", che apre il disco con i suoi 22 minuti di musica possente, tonante poi per quelle sue inequivocabili ascendenze sinfonico-orchestrali che rappresentano verosimilmente la vera novità dei nostri in questo 2020. La traccia è davvero notevole proprio per i suoi traccianti black permeati di grande melodia e poi da quelle sublimi atmosfere che ne ammorbidiscono una ritmica impastata e comunque furiosa, spezzettata qua e là da ottimi passaggi tastieristici, rallentamenti improvvisi e giri di violoncello, come quello che si registra al minuto 13.40, che ci catapulta immediatamente in una lounge room. Tutto questo sottolinea una rinnovata vena sperimentale da parte di Ictus, N.K.L.S. e Raphaël Verguin, i tre musicisti che compongono la line-up degli In Cauda Venenum. La seconda parte della song viaggia su questi binari più sperimentali (fatto salvo lo screaming onnipresente) in una sorta di sound che potrebbe essere accostabile a quello degli ucraini White Ward. La seconda traccia si affida ai quasi 22 minuti di musica di "Délivrance", un pezzo che costitutisce la naturale prosecuzione del primo brano tra ritmiche strutturate, break acustici in cui compaiono spoken words, frangenti ambient, pomposi momenti sinfonici, solenni momenti affidati agli archi (stile Ne Obliviscaris - ascoltate anche qui il fatidico tredicesimo minuto) in un turbillon emotivo davvero entusiasmante, che non concede comunque adito a pensare ad un ammorbidimento del sound dei nostri (viste le arrembanti ritmiche post-black che popolano anche questo secondo gioiello). Penso piuttosto che al solito, la Les Acteurse de l'Ombre Productions ci abbia visto giusto nel mettere a suo tempo sotto contratto questi estrosi musicisti, per cui vi invito caldamente a dargli un'occasione, non ci sarà nulla di cui pentirsi. (Francesco Scarci)

(LADLO Prod - 2020)
Voto: 82

https://www.facebook.com/incdvnnm/

lunedì 31 agosto 2020

Bal-Sagoth - The Chthonic Chronicles

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Symph Black Metal
"Once upon a time..." Inizia così la sesta fatica targata Bal-Sagoth, act di cui seguo le gesta dal lontano 1994, quando i nostri muovevano i loro primi passi nel sotteraneo mondo di 'A Black Moon Broods Over Lemuria', solleticando notevolmente il mio interesse per quel loro nome epico e fantastico. Da allora acquistai tutti i lavori della compagine guidata da Lord Byron, anche se alcuni episodi mi lasciarono con l’amaro in bocca e con grossi dubbi sulla validità effettiva della loro proposta musicale. Dal precedente 'Atlantis Ascendant', l’offerta artistica della band non si è scostata poi di molto, proponendo quel tipico black metal sorretto dalle sempre barocche tastiere di Jonny Maudling. Dodici brani, per un totale di oltre un’ora di musica, in cui la formula della band inglese rimane costante ormai dagli esordi: trattasi infatti, di un black metal infarcito di elementi sinfonici ed epici, che portano l’ascoltatore in terre e tempi lontani fatti di battaglie fra prodi guerrieri, il fragore delle armi ed antichi miti. Atmosfere pagane, oscure litanie, maestose e strabordanti melodie, rendono l'album del quintetto britannico la colonna sonora ideale per film come “Braveheart” o “Il Signore degli Anelli”. Nonostante le pompose ma ottime orchestrazioni della band, in questo cd la band sembra voler fare il verso a se stessa e alla fine, il tutto risulta un po’ scontato e prevedibile. Tuttavia, la bravura e la coerenza di idee portata avanti da Byron e soci (nonché l’affetto che mi lega a loro), mi induce a premiarli con mezzo punto in più. Con 'The Chthonian Chronicles' si chiude, dopo 12 anni, l’epica esologia della band inglese e il destino stesso dei nostri che dopo qualche anno si sono sciolti, dando vita ai Kull che privati di Mr Byron alla voce, alla fine propongono fondamentalmente la stessa cosa. (Francesco Scarci)

(Nuclear Blast - 2006)
Voto: 69

https://www.facebook.com/Official.Bal.Sagoth

domenica 30 agosto 2020

Orfvs - Ceremony of Darkness

#PER CHI AMA: Symph Black, Gehenna
Formatisi in quel di Jyväskylä nel 2010, gli Orfvs giungono al debut nell'anno seguente con il 7" 'The Greatest Sacrifice', contenente però due soli brani. Poi solo silenzio fino a quest'anno quando i nostri sono riapparsi con il rilascio di un secondo lavoro, 'Ceremony of Darkness'. Quello di oggi è un 4-track che tuttavia ci dà modo di valutare la proposta del duo finlandese più approfonditamente. "Son of Morning Sky", l'opening track, ci catapulta immediatamente indietro nel tempo di oltre 25 anni quando in Scandinavia spuntavano come funghi le prime realtà dedite ad un black sinfonico. Penso agli anni dei primissimi Dimmu Borgir, ai Gehenna di 'First Spell' o agli Emperor degli esordi. Quello degli Orfvs è di fatto un sound che chiama in causa quei nomi con un black mid-tempo guidato dalle spettrali tastiere di Profundiis, responsabile anche dell'urticante voce di questo dischetto. "Cruor MCMXCVIII" ha un inizio ben più irruento ma poi assesta il proprio flusso sonoro su di una proposta decisamente ritmata sebbene le sfuriate non manchino anche lungo i suoi sei minuti che ancora una volta evocano fantasmi norvegesi (Emperor docet) che pensavo ormai scomparsi. Con "The Void Around Anima Mundi" si ritorna a velocità moderate, in cui lo screaming del vocalist poggia su una ritmica scarna ma sempre arricchita da una interessante componente atmosferica. Niente per cui gridare al miracolo, ma comunque qualcosa che si può tranquillamente ascoltare. In chiusura per i neri cultori del black, arriva "My Heart of Perdition" e il suo sound gelido pur sempre melodico, grazie alle tetre atmosfere costruite dai synth e ad un tremolo picking conclusivo che regala attimi di puro godimento e che rivaluta la performance di un disco che brilla davvero poco di luce propria. Meglio togliersi un po' di ruggine per arrivare in forma all'atteso full length. (Francesco Scarci)

(Spread Evil Productions - 2020)
Voto: 64

https://spreadevil.bandcamp.com/album/ceremony-of-darkness

lunedì 3 agosto 2020

The Bishop of Hexen - The Death Masquerade

#PER CHI AMA: Symph Black, Cradle of Filth, Carach Angren
Un silenzio durato otto lunghi anni, rotto solamente dall'incantesimo di un singolo rilasciato a inizio 2020. Eravamo rimasti infatti al 2012 quando uscì l'EP 'A Ceremony at the Edge of a Burning Page', che sembrava una sorta di canto del cigno per la band israeliana. Poi la svolta, una vera e propria sorpresa, i Bishop of Hexen firmano per la nostrana Dusktone Records ed è storia di oggi l'uscita di 'The Death Masquerade'. Otto nuovi pezzi, di cui il primo è in realtà una intro, che ci restituiscono una band che non ha perso lo smalto dei tempi migliori, continuando ad essere alfieri di un black sinfonico che si rifà ai classici del passato, penso a Cradle of Filth e Dimmu Borgir su tutti. E "A Witch King Reborn" è li a testimoniarlo, proprio con una fortissima influenza proveniente da Dani e soci, con quella capacità di fondere un black bombastico dal sound orchestrale, a tratti vampiresco e goticheggiante, ricco di melodie, vocals malignee (ma non mancano pure i vocalizzi puliti) e ottimi arrangiamenti. Mi fa piacere che il quartetto di Tel Aviv sia tornato, è un'altra arma a favore dello sterile black sinfonico che ha popolato la scena in questi anni. "Of Shuttering Harps & Shadow Hounds" ha un inizio in stile cinematografico come amano tanto sfoggiare i Dimmu Borgir, conferendo grande spazio a pompose orchestrazioni e grottesche atmosfere (stile Arcturus), senza rinunciare comunque a graffianti linee di chitarra, per un risultato alla fine di assoluto impatto, che anche a livello solistico non si sottrae dal proporre interessanti soluzioni. Anche la successiva "Death Masks" si muove sugli stessi paradigmi sonori non rinunciando all'utilizzo (talvolta oserei dire abuso) di tastiere che costruiscono l'architettura di un sound che poggia proprio su un black mid-tempo cinematico che non disdegna sporadiche accelerazioni o un drumming forsennato. Il disco prosegue su questi stessi binari, offrendo incipit che sembrano derivare da soundtrack di colossal cinematografici ("All Sins Lead to Glory" ne è un altro esempio lampante) o riportando suoni e voci che descrivono ancora una volta scene di film ("The Jester's Demise"). L'evoluzione è poi sistematica verso lidi musicali che evocano un altro grande nome della scena degli ultimi anni, i Carach Angren, anche se forse in 'The Death Masquerade' l'utilizzo delle keys è assai più corposo rispetto agli olandesi. A chiudere il cd, dopo la penultima e più aggressiva "A Thousand Shades of Slaughter", ecco i sinistri tocchi di "Sine Nomine", l'ultimo operistico atto di un graditissimo comeback discografico di una band che davamo ormai morta da anni. I Bishop of Hexen sono tornati, con loro si riapre la possibilità di dar più voce ad un genere relegato a vera e propria nicchia musicale. (Francesco Scarci)

(Dusktone Records - 2020)
Voto: 75

martedì 23 giugno 2020

Halo of Shadows - Manifesto

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Melo Black, Children of Bodom, Dimmu Borgir
La Finlandia da sempre sforna gruppi a ripetizione: il rischio era che prima o poi la qualità musicale tendesse ad abbassarsi, un vero peccato per una nazione che ha dato i natali a band veramente uniche e importanti nel panorama metal internazionale. Questi Halo of Shadows (il cui nome deriva da un noto videogame) propongono un sound a cavallo tra il death tastieristico dei Children of Bodom e un black melodico, in linea con il materiale più soft dei Dimmu Borgir. Non posso dire che la band sia malvagia perché le carte in regola per fare bene ci sono tutte, l’unico problema è che si tratta di un sound già sentito centinaia di volte: cavalcate maideniane (anche se non mi piace assolutamente il suono assai retrò utilizzato per le chitarre) segnano la ritmica delle dieci tracce che compongono questo 'Manifesto', su cui s'inseriscono le classiche tastiere alla “Figli di Bodom”, la pessima voce black del vocalist (nè screaming nè growling in sostanza), dei piacevoli assoli (in pieno heavy metal style) a cura dei due axemen (da brividi peraltro quello di “Drowned in Ashes”) e momenti sinfonici vicini a quanto fatto da Shagrath e soci. Ecco quindi che il gioco è presto fatto: se vi piace questo genere di musica, recuperate questo loro unico vagito, ormai datato 2006, altrimenti gli originali restano sempre i migliori da ascoltare!!! (Francesco Scarci)

venerdì 27 marzo 2020

Candles and Wraiths - Candelabia

#PER CHI AMA: Symph Black, Angizia, Cradle of Filth
Arrivano da Vienna i musicisti di quest'oggi, i Candles and Wraiths con un sound che, coniugando un black e death sinfonico con venature goticheggianti, ammicca non poco ai Cradle of Filth. Poco male, visto che di band di questo tipo non ce ne sono poi molte e allora, in attesa di ascoltare gli originali con una nuova release, perchè non distrarsi con una band di questo tipo, che dopo tutto, qualche idea niente male ce l'ha pure. Parliamo quindi del debut album del trio austriaco, intitolato 'Candelabia', un lavoro che si apre con la classica intro sinistra ed inquietante ch funge da apripista ad "After Midnight", una song che accosta immediatamente i nostri a Dani Filth e soci ma in cui trovo anche un che dei nostrani Ecnephias. Ecco quindi come prende forma il sound dei Candles and Wraiths, tra scorribande black, orchestrazioni pompose e screaming vocals. Un cantato quasi operistico sembra aprire "Nightmares on Forsaken Soil", ma è qualcosa di impercettibile lasciato proprio ad una frazione di secondo, visto che poi si riparte con delle accelerazioni infuocate, i consueti cambi di tempo tipici del sound dei nostri, il tutto corredato da ottime melodie di supporto. Una spinetta apre "Fire Amidst the Crashing Waves", un altro brano in cui sono sempre le ingarbugliate partiture chitarristiche a farla da padrona, con il cantato abrasivo (e nevrotico) di Prabhin Velankanny in primo piano che ben si adatta allo scorrimento instabile del disco. Un brano più convincente è "All Hallows Eve" che, partendo sempre da reminiscenze a la Cradle of Filth, si lancia in saliscendi tortuosi con un riffing nervoso ed una dirompente sezione di blast beat che configura il suono della band a quello di una sassaiola allo stadio. "Melpomene" è un pezzo strumentale, stile colonna sonora da film. Con "The Stranger" le ostilità riprendono come un flusso letale contraddistinto da ritmiche sincopate che trovano comunque un break centrale più meditato a concedere giusto quella manciata di secondi sufficienti per prender fiato e ripartire con un rifferama perennemente contorto e aggrovigliato su se stesso attraverso estenuanti giri di chitarra. Un altro brano che ho particolarmente apprezzato è "Wartorn Lovelorn", per quel suo approccio militaresco ma anche per l'utilizzo di clean vocals che arricchiscono ulteriormente la proposta della band viennese, che in certi tratti mi ha rievocato un che di un'altra band austriaca, gli Angizia, li ricordate? Alla fine, 'Candelabia' è un disco che sottolinea già la marcata personalità e professionalità dei nostri, e che pone le basi per una crescita futura, giusto per prendere le distanze da quelle che sono le influenze dell'ensemble austriaco. Per ora direi un buon punto di partenza, in futuro mi aspetto qualcosa di più spettacolare, visto che le potenzialità ci sono tutte. (Francesco Scarci)

lunedì 27 gennaio 2020

Trail of Tears - Free Fall Into Fear

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic/Symph Black, Dimmu Borgir, Tristania
"Che fine ha fatto Catherine Paulsen, ma soprattutto che ci fa Kjetil Nordhus, cantante dei Green Carnation, nei Trail of Tears", questo è ciò che pensai al tempo dell'uscita di questo 'Free Fall Into Fear', quarto album per i norvegesi. Queste anche le novità sostanziali della band che, scaricata la bella e brava cantante per le solite divergenze stilistiche, pensò bene di assoldare, per le clean vocals, il vocalist della band di Tchort e soci. La musica dei nostri ha quindi subito una notevole sterzata stilistica, prendendo le distanze da quel filone death/gothic che vedeva in Tristania e Within Temptation i maggiori esecutori, e proiettando i nsotri verso lidi leggermente più black metal. Rispetto al precedente e ottimo 'A New Dimension of Might' si può infatti notare una leggera diminuzione della melodia, causata anche dall’assenza della bellissima voce di Catherine, e un incremento della cattiveria, sorretta da un feeling maligno spesso presente ma ben bilanciato da break tastieristici ed inserti melodici. Da sempre sono un fan della band, li ho seguiti dai tempi del primo 'Disclosure in Red', quindi devo essere sincero su una cosa: al primo ascolto di questo lavoro sono rimasto spiazzato e un po’ deluso. Tuttavia ai successivi passaggi, ho potuto apprezzare il nuovo taglio dei sette norvegesi, coadiuvati peraltro dalle ottime vocals di Kjetil che entrò in pianta stabile nelle file della band. 'Free Fall Into Fear' alla fine è un album che si avvicina, se mi passate il paragone, al tanto contestato 'Spiritual Black Dimension' dei Dimmu Borgir, anche se qui la voce di Ronny Thorsen è più gutturale rispetto a quella del suo collega Shagrath, la base ritmica è potente, veloce e melodica. Ascoltandolo e riascoltandolo mi è venuto in mente anche il bellissimo e sottovalutato 'The Shepherd and the Hounds of Hell' degli ottimi Obtained Enslavement, e anche qualcosina degli Arcturus. Sì insomma, a me quest’album è piaciuto perché riesce a coniugare violenza sonora e melodia. Il voto non è più alto solo per un paio di pezzi non all’altezza. (Francesco Scarci)

(Napalm Records - 2005)
Voto: 74

https://www.facebook.com/trailoftearsofficial/

mercoledì 18 dicembre 2019

Chthonic - Seediq Bale

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Symph Black, Cradle of Filth, Sad Legend
Quando si legge “Made in Taiwan”, si tende spesso a pensare a tutti gli oggetti tecnologici prodotti in quella piccola isola dell’Estremo Oriente, ma non solo. Io la ricordo pure come la patria dei Chthonic, band in giro dal 1995 e per cui vale la pena parlarvi di 'Seediq Bale', album numero quattro. I nostri propongono un black sinfonico selvaggio e assai melodico, che gode di un’ottima produzione, in grado di accrescere notevolmente la qualità delle orchestrazioni inserite. Quando uscì il disco, sinceramente non li conoscevo, e ricordo di essere rimasto favorevolmente impressionato dalla dinamicità del combo asiatico. La fonte d’ispirazione dei Chthonic di quegli anni era chiaramente il black vampiresco dei Cradle of Filth, ma devo ammettere che l’act orientale si dimostrava già abile nel creare soluzioni alternative alla band di Dani Filth e soci, con l’impiego di strumenti tradizionali asiatici, ad esempio l’er-hu, una sorta di violino a due corde, capace di donare un’aura funerea al proprio sound. La produzione bombastica conferisce poi, una certa potenza alla musica dei nostri; in alcuni frangenti il richiamo alle tradizioni del proprio paese è cosi forte, che le sonorità si avvicinano ad un mix tra i coreani Sad Legend e i giapponesi Tyrant. In alcuni brani si respirano atmosfere gotiche, in altri si captano quelle tipiche melodie orientali (ascoltate attentamente “Bloody Gaia Fulfilled”) sentite spesso nei film cinesi. Il cd è una cascata di emozioni, note selvagge che non lasciano scampo all’ascoltatore nel rifiatare un attimo, una scarica adrenalinica che ci accompagna lungo le nove tracce contenute. I chitarristi elaborano intricate linee di chitarra, mentre il vocalist Freddy, segue le orme di Dani, tra screaming e growling vocals. Da segnalare l’ottima performance operistica della singer femminile, Doris. A livello lirico 'Seediq Bale' narra la tragica storia di Manarudao che ha portato il suo popolo alla guerra d’indipendenza contro Cina e Giappone, un inno alla libertà che i nostri hanno raggiunto, dopo il distacco del loro paese, dalla legge marziale cinese. Nel cd sono inoltre contenuti diversi video, sia in studio che live. Grande band, che ho supportato da quel giorno in avanti lungo tutti i loro album, anche quelli più controversi, per cui mi sento di consigliare il cd a tutti gli amanti di sonorità sinfoniche siano esse estreme oppure no. (Francesco Scarci)

(Down Port Music - 2006)
Voto: 77

https://chthonic.tw/

martedì 17 dicembre 2019

Black Messiah - Oath of a Warrior

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Epic Black
Un temporale lontano accompagnato da ariose tastiere apre 'Oath of a Warrior', album di debutto dei tedeschi Black Messiah. Segue “A New Messiah” che ci mostra subito la sostanza di questi sei vichinghi tedeschi, il cui sound è inquadrabile in un viking symphonic black vicino alle produzioni dei connazionali Mephistopheles, ma anche con rimandi allo swedish death degli Ablaze My Sorrow, il tutto rigorosamente cantato in lingua madre e in inglese. L’album non è affatto male, anche se come al solito, io non sopporto il cantato in tedesco, che poco si adatta, per la sua ruvidità, alla musica in genere. Le chitarre imbastiscono trame che prendono a piene mani dalla musica classica: è sufficiente, infatti, ascoltare la terza traccia “Blutsbruder”, caratterizzata da un riffing violentissimo su cui s’inseriscono ottime melodie, per udire forti reminiscenze “Wagneriane”. Il pezzo finisce con l’utilizzo di strumenti non del tutto convenzionali (mi sembra un liuto), che mi catapultano con la mente sulle spiagge bianche della Grecia. Si prosegue e il registro è più o meno sempre lo stesso: motivi vichinghi d’altri tempi, con la musica che passa da momenti di estrema epicità ad altri in cui è il black sinfonico a dominare. I brani risultano ben strutturati, vari e assai melodici, capaci di alternare le tipiche cavalcate epic a momenti di più saggia atmosfera. Le vocals poi, non sono ne esageratamente growl, neppure pulite a dire il vero, ma ben bilanciate nella loro estensione. Questo album non è sicuramente un must, tuttavia l’ho trovato assai interessante e complesso nella sua concezione. Direi che un ascolto è il minimo che si possa fare per essere proiettati in una dimensione lontana dove le spade erano levate per celebrare la vittoria. (Francesco Scarci)

(Einheit Produktionen - 2005)
Voto: 70

https://www.facebook.com/BlackMessiah666/

mercoledì 11 dicembre 2019

Raven Legacy - Sol Invictus

#PER CHI AMA: Symph Black/Death
I Raven Legacy sono un progetto capitanato da Wassim Amdouni (in arte Invictus) e Hugo Spezzacatene, originariamente nato in Tunisia nel 2003 col moniker Lord of Terror e poi trasferitosi in quel di Roma nel 2016. 'Sol Invictus' è il risultato di questa collaborazione, un EP di debutto contenente sei pezzi che si aprono con "Cleaving the Bones of Your God", un brano che caratterizza immediatamente le peculiarità del combo capitolino, ossia un death/black metal dotato di pesanti elementi sinfonico-orchestrali. L'assalto è a dir poco spaventoso con velocità iper tirate, un'alternanza tra screaming e growling vocals, ed una forte dose di tastiere. Un bel chorus contraddistingue invece la seconda song, "The Infernal Herald", che mostra dapprima una ritmica detonante per poi assestarsi su velocità più pacate, comunque davvero affascinanti, che avvicinano la band ai nostrani Ade. "As I'm Born in Hell" è un brano meno ricercato che mantiene comunque intatta la sua valenza sinfonica, ma che mette semmai in evidenza (finalmente) un bell'assolo di matrice classica, susseguito da un attacco ritmico davvero invasato. Si prosegue con lo strisciante black sinfonico di "The Abyssal Portrait", un altro esempio di come si possano combinare elementi di musica estrema con ottime orchestrazioni, il tutto ovviamente supportato da una produzione potente e cristallina che ne esalta il risultato finale. Queste in breve le caratteristiche dei nostri che anche nei conclusivi pezzi si adoperano per intrattenere i fan con tutte le armi in loro possesso. Se proprio devo trovare il pelo nell'uovo, direi che c'è una certa mancanza a livello solistico che rischia di appesantire la proposta dei nostri e indurre qualche sbadiglio di troppo già a livello della quarta song. E allora visto che le potenzialità tecnico-strumentali ci sono, vediamo per lo meno di sfruttarle fino in fondo. (Francesco Scarci)

domenica 1 dicembre 2019

Pènitence Onirique - Vestige

#PER CHI AMA: Symph Black
Della serie a volte ritornano nel Pozzo dei Dannati, ecco arrivare il tanto atteso comeback discografico dei francesi Pènitence Onirique, intitolato 'Vestige'. Detto che l'uomo fotografato in copertina somiglia a Jeff Bridges nei panni del Grande Lebowski, del combo della Valle della Loira avevo parlato già molto positivamente in occasione del loro debutto. Sempre supportati dalla Les Acteurs de l'Ombre Productions, la band transalpina sembra qui far addirittura meglio rispetto al passato, senza peraltro stravolgere di una virgola il proprio sound. Sempre di black sinfonico infatti stiamo parlando, un black però di alta qualità che dall'infima e malefica "Le Corps Gelé de Lyse" si giunge alla conclusiva ed epica title track. Detto che l'opener ci dice dell'attuale eccellente stato di forma dell'act di Chartres, "La Cité des Larmes" sottolinea ancora una volta la bravura con cui i nostri riescono a produrre un black metal elaborato, dinamico, atmosferico ma soprattutto estremamente convincente. Il tutto sostenuto da ottime trame ritmiche accompagnate da una grande performance vocale del nuovo arrivato Ebrietas e da un sontuoso lavoro alle tastiere che, per quanto non invasive, contribuiscono ad elevare la qualità dell'opera, che ancora una volta partendo dai vecchi insegnamenti dei Limbonic Art, li fa propri, e anzi li arricchisce di una propria personalità che si esprime appunto attraverso i pezzi già menzionati, ma soprattutto attraverso l'inquieta spettralità di "Les Sirènes Misérables", e di un suono che trasuda spaventosi incubi ad occhi aperti, in particolare nella sua debordante seconda parte. A calmare i tormenti dell'anima, ci pensa fortunatamente la strumentale "Hespéros" che ci regala quasi 180 secondi di delicate melodie mortali, prima che la pura devastazione prenda il sopravvento nelle rimanenti tracce del disco. Si perchè con "Extase Exquise" e a seguire con quello che è stato il singolo apripista, "Souveraineté Suprême", ma anche con la devastante title track, c'è solo da prepararsi al peggio, visto che il quintetto non scherza assolutamente. Ci attendono infatti gli ultimi 20 minuti di melodie malinconiche, blast beat furenti, screaming vocals e splendide atmosfere, che fanno di questo 'Vestige' finalmente un lavoro black di interessanti prospettive. (Francesco Scarci)
 
(LADLO Productions - 2019)
Voto: 77

https://ladlo.bandcamp.com/album/vestige

lunedì 18 novembre 2019

Scintillescent - Dread

#PER CHI AMA: Symph Black, Mesarthim
Di questi Scintillescent non sono riuscito a recuperare praticamente nulla dal web se non la loro origine, la Nuova Zelanda, poi altre informazioni sono totalmente irreperibili. Non so nemmeno se 'Dread' sia il loro debut EP o cos'altro, quindi portate pazienza se sono qui a scrivere un mare di cazzate. Fatto sta che l'ensemble neo zelandese mi ha colpito per quel suo sound fresco capace di miscelare l'elettronica con il black, in una versione più fruibile dei Mesarthim. Qui infatti non ci troviamo di fronte song dalle durate oceaniche, ma quattro brani diretti, efficaci e melodici, che si aprono con la title track e le sue ariose melodie su cui si staglia lo screaming non cosi efferato del frontman. "Breakneck" continua positivamente su questa linea, con un brano breve (quasi quattro minuti), essenziale, che va al nocciolo della questione senza stancare. Le melodie si confermano piacevoli, e il lavoro alle tastiere si conferma di grande valore, dando maggior rilevanza alle atmosfere piuttosto che alle chitarre. Qualcuno storcerà il naso per questa mia affermazione, eppure francamente trovo 'Dread' un validissimo EP, anche laddove la band decide di riproporre le due song in versione strumentale e (ancor più) sinfonica, qualora ce ne fosse stato bisogno. Avrei evitato quest'esperimento un po' banalotto e riempipista per proporre un paio di song in più. Comunque attendiamo fiduciosi le prossime evoluzioni di questi misteriosi Scintillescent. (Francesco Scarci)

sabato 2 novembre 2019

Lunatii - Eternal Return

#PER CHI AMA: Symph Black
Mi domando come mai le one-man band siano sempre cosi ispirate, a tal punto da riuscire a rilasciare anche un paio di release l'anno? Non è immune nemmeno il musicista russo Ilya Kuftyrev (nome di battaglia Blakie White) che con questi Lunatii, in poco meno di cinque anni, ha fatto uscire quattro Lp, altrettanti EP, un paio di split album e tre demo. Insomma idee ne deve aver da vendere questo musicista e allora anzichè tenersele in testa, meglio metterle immediatamente in musica. Ecco da dove nasce quindi 'Eternal Return', un EP di due pezzi, dediti ad un black atmosferico che a quanto pare funge da apripista ad una nuova release sulla lunga distanza. L'opener del dischetto è un discreto esempio di black sinfonico che si muove tra chitarre ronzanti, screaming caotici ed una buona dose di tastiere che fungono da driver per l'intera impalcatura del brano. La song vanta anche una certa variabilità musicale che sembra tuttavia nuocere all'economia del brano visto che genera non poca confusione. La seconda song, "The Great Sea of Quiet", sembra inizialmente una ninnananna, cantata dalla dolce (si fa per dire) cantante rumena dei Psychalgia, Black Illness. Il pezzo, nonostante l'apporto della giovane cantante, si muove alla stregua del primo brano con chitarre in tremolo picking e comunque un bel quantitativo di melodie disegnate dalle keys del buon Blakie White, uno che si diverte anche con un altro paio di band, gli Aghory e i Salvation, per il sottoscritto realtà totalmente sconosciute. 'Eternal Return' rimane un discreto antipasto, che mi mette sicuramente addosso una certa curiosità per quel che concerne il rilascio dell'imminente 'Diskonformism: Anhedonia in Utopia', di cui presto dovremmo avere notizie. (Francesco Scarci)

venerdì 9 agosto 2019

Trail of Tears - Existentia

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic/Symphonic, Tristania
Era il 2007 quando a distanza di due anni dal sorprendente 'Free Fall into Fear', i Trail of Tears, con il solo membro fondatore, Ronny Thorsen, tornavano sul mercato con la registrazione di 'Existentia'. Il sound della band norvegese non sembrava discostarsi più di tanto dai precedenti lavori, mantenendo quel feeling oscuro di fondo, costituito da riffoni di chitarra di chiara estrazione black sinfonica e da maestose tastiere di ispirazione Therion. Il dualismo tra le growling vocals di Ronny e le sempre brillanti e melodiche clean vocals di Kjetil (singer dei Green Carnation), completavano il quadro, contribuendo a fare da collante tra queste caratteristiche. Una dolce voce femminile, quella di Emmanuelle Zoldan, dava poi il suo contributo aggiuntivo, per un esito finale dell’album davvero convincente. 'Existentia', cosi come il suo predecessore, andava ascoltato e riascoltato per essere apprezzato fino in fondo; non fu un album così diretto, semplice da percepire, perchè parecchie erano le sfumature che si palesavano nella musica del combo scandinavo: si ritrovano infatti certe influenze provenienti da una corrente avantgarde che approdano come essenziale novità nel sound dei nostri. Echi riconducibili ai The Provenance, o ancora, ai Green Carnation, erano udibili nei solchi di questo notevole 'Existentia', un capitolo che ha preceduto una vera e propria rivoluzione in seno alla band. Si trovano peraltro anche reminiscenze power ed una bella dose di death goticheggiante che confluivano nel sound compatto dei nostri. Dal punto di vista strumentale poi, la band si presentava come sempre ineccepibile: ottima la prova dei singoli, anche se devo sottolineare la performance del tastierista, davvero bravo, cosi come l’inimitabile ugola di Kjetil, vero e proprio strumento musicale dall’enorme talento. Una produzione bombastica chiudeva un disco e forse un’era in casa Trail of Tears, visti gli scarsi successi ottenuti con i successivi due album che hanno condotto la band allo scioglimento nel 2013. Un peccato. (Francesco Scarci)

(Napalm Records - 2007)
Voto: 76

https://www.facebook.com/trailoftearsofficial/

venerdì 12 luglio 2019

Ordinul Negru - Nostalgia of the Full Moon Nights

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Norwegian Black Metal, Emperor, Immortal
Uscito originariamente nel 2011 per la Banatian Records, ma andato assai presto sold-out, 'Nostalgia of the Full Moon Nights' dei rumeni Ordinul Negru, viene a grande richiesta, riproposto dalla Loud Rage Music, in contemporanea con un'altra release dei nostri uscita nel 2008, 'Lifeless'. Per chi ancora non conoscesse la band di Timişoara, sappia che i nostri sono fautori di un acidissimo black metal, nelle ultime release corredato da aperture atmosferiche, ma che in questi primi episodi fanno in realtà capolino molto di rado. "In the Fullmoon Nights", l'opener del disco, è infatti una rasoiata che richiama i selvaggi anni '90 in Norvegia, un sound all'insegna di ritmiche tiratissime in blast beat e grim vocals. Echi di Dimmu Borgir (era 'For All Tid') affiorano in alcuni millisecondi sinfonici della seconda "Steps Over Time", che delinea accuratamente dove affondano le influenze dei quattro musicisti rumeni. La cosa si ripropone con più ardore nella terza "Crepuscul și Blestem", una traccia che oltre a mostrare ampi segni di sinfonicità, enfatizza con le classiche chitarre in tremolo picking, anche una certa vena malinconica, spezzata poi dalla tumultuosa veemenza black dei nostri. Il disco prosegue su questa falsa riga, infarcendo più o meno copiosamente, la violenta architettura ritmica dei nostri con spettrali inserti tastieristici che mitigano le intemperanze rabbiose offerte dal sound degli Ordinul Negru. I richiami al black anni '90 rimangono comunque molteplici: dai Burzum nella partitura iniziale di "Dark Realm" ai primi Ancient in "Forgotten in Apathy" ma pure echi di Gehenna, primi Immortal, Emperor e compagnia bella, sono più o meno udibili a 360 gradi in tutto il disco, anche quando emergono delle inattese clean vocals in "Beyond Twilight". Il disco alla fine è discreto, considerata peraltro una produzione non certo raffinata, un lavoro che deve stare assolutamente nella collezione dei fan della band rumena. Per gli altri, dò per scontato che nella loro collezione ci sianoin primis i grandi classici del passato, se poi rimane un po' di spazio, beh magari si potrebbe dare anche una chance agli Ordinul Negru. (Francesco Scarci)