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lunedì 25 aprile 2022

Graveyard - Innocence & Decadence

#PER CHI AMA: Hard Rock
Portentosamente legati al peston-rock di matrice doors/zeppeliniana, coadiuvati da qualche piccola astuzia (l'utilizzo john-bonz-esco dell'hi-hat e la saturazione lo-fi del segnale vocale, efficace ma a tratti fin troppo vintage), gli svedesi Graveyard pubblicano l'album finora più stondato e distante dal nostalgic-only alla Witchcraft o alla Rival Sons, giusto per dirne due a caso. Il suono galoppa ovunque, persino nei momenti gentilmente alley-soul di "Too Much is Not Enough" - ma i Vintage Trouble ad esempio percorrono gli stessi vicoli sonori con tutt'altra disinvoltura - nello psych-oyster-cult di "Can't Walk Out" con tanto di sospiri horror cari ai primi Pink Floyd, o nel motorsurf alla Lemmy Kilmister in braghette da bagno di "From a Hole in the Wall", persino nella autodissolvente "Stay for a Song", se avete fantasia. Tra il solido e il monolitico il lavoro della sezione ritmica, irresistibilmente soniche le chitarre, calda e graffiante la voce di un Joakim Nilsson che buttava giù blåbärshot fin dai tempi dell'asilo. Ma l'emozione? (Alberto Calorosi)

(Nuclear Blast - 2015)
Voto: 70

https://www.facebook.com/graveyardofficial

Arabs in Aspic - Victim of Your Father's Agony

#PER CHI AMA: Prog Rock
Profusione di lingue di allodola in salamoia e orde di elettroni in transito sulla cinghia di Van der Graaf ("God Requires Insanity" vs. "Killers"; l'incipit di "You Can Prove Them Wrong" e parecchio altro), come del resto era opportuno aspettarsi, il tutto rimpolpato da immancabili uriah-tastieroni (una straordinaria "One" con tanto di divagazioni psych + coretti senz'altro mutuati dagli ingombranti concittadini Motorpsycho). Altrove riferimenti più obliqui: embrioni dei Ruphus annidati in "Tv 3" e sensazioni prossime a certo space teutonico (gli Eloy borboglianti nella title track "Victim of Your Father's Agony" e quelli funkettoni di "The Turk and the Italian Restaurant"). Nel complesso, il quarto album degli Arabs in Aspic (in realtà il terzo degli Arabs in Aspic II), differisce dal precedente 'Pictures in a Dream' non nelle sonorità e nei riferimenti, entrambi ben consolidati dal giorno in cui fu deciso il nome della band, ma piuttosto per via di un songwriting forse più misurato e consapevole. Una caratteristica non sempre positiva all'interno dell'ipercromatico universo del progressive rock. (Alberto Calorosi)

(Black Widow - 2015)
Voto: 70

https://www.arabsinaspic.org/

sabato 23 aprile 2022

Spettri - 2973 La Nemica dei Ricordi

#PER CHI AMA: Horror Prog Rock
Nell'ambito della reviviscenza coraggiosamente perpetuata negli ultimi anni dall'etichetta di Genova, il recupero della band dalla storia più incredibilie (il nucleo storico della band germina dalla florescenza beat mid-60, transita attraverso l'esperienza horror-prog denominata Spettri, poi il piano bar e la retroguardia culturale nazional-chic marchio Renzo Arbore) tra le incredibilmente numerose band RPI dalla storia incredibile, permette la realizzazione di un album capace di ripercorrere con ossequio e leggerezza stilemi consolidati early-70: sludge-riff sabbatiani ("Il Lamento dei Gabbiani"), scorribande hammond viola carico, rutilianti arrembaggi easy-heep ("La Profezia") unitamente a elementi più marcatamente british-prog, vedi certi momenti di "Onda di Fuoco" e dalle parti di "Apocalypse in 9/8" e le numerose convoluzioni van-der-grafiche ("La Nemica dei Ricordi" vs. "Killer" o ancora "La Nave", aperta da una godibile intro goblin-vecchietta-cattiva-con-la-mela-velenosa, dominata da un riff strutturale da funerale elettrico sabbatiano e magnificamente chiusa da un finale spleen-prog). L'album, un concept straordinariamente vitale e consapevolmente suonato sull'apocalisse interiore in un ipotetico e distopicissimo 2973 intenderebbe essere una sorta di sequel dell'omonimo 'Spettri', ambientato nel 1972. Eppure, nonostante siano trascorsi la bellezza di 1001 anni, i mali del mondo sono davvero molto, troppo simili tra loro. (Alberto Calorosi)

(Black Widow - 2015)
Voto: 69

https://www.facebook.com/spettri.official/

Mortad Hell - There's a Satanic Butcher in Everyone of Us

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Porno Gore Grind
Probabilmente state già sghignazzando non appena avete letto il nome della band e il titolo dell'album. Probabilmente starete sghignazzando ancor più forte perché avrete letto i titoli delle 15 tracce di questo 'There's a Satanic Butcher in Everyone of Us'. E pensare che le due tipologie di individui meno dotate di senso dell'umorismo di tutto il pianeta sono i francesi e i musicisti death metal. Eppure, questo mirabile distillato di blasfemia, doppio pedale e tanto catarro, vi farà sghignazzare interiormente almeno quanto il tizio che quella mattina ha pensato di andare al concerto di Ozzy con un pipistello morto in tasca. (Alberto Calorosi)

lunedì 18 aprile 2022

Slayer - Repentless

#PER CHI AMA: Thrash/Speed
Nonostante gli avvicendamenti significativi (la sostituzione di Lombardo con un oplita che prende il nome di Paul Bostpah; il decesso del chitarrista Jeff Hanneman, si dice, per le complicazioni conseguite al morso di un ragno; un nuovo produttore e infine pure una nuova label), i maniscalchi del chainsaw-metal riuscirono a mettere insieme il consueto crogiolo di apocalisse, disperazione, superominismo ("Inject the system with something new / A social terror to lead the few...") e randellate sul muso transitando con coraggio e disinvoltura dal thrash-con-parecchio-speed-e-un-po'-meno-sludge di "Repentless" al thrash-con-parecchio-sludge-e-un-po'-meno-speed di "When the Stilness Comes". L'obiettivo di quest'ultimo album era dichiaratamente quello di gettarsi dietro le spalle certe recenti ingiustificabili nu-merdate per tuffarsi di nuovo tra le ascelle pelose e discutibilmente nettate appartenenti a orde di patetici veterometalloni tutt'ora piagnucolanti sul vinile di 'Reign in Blood'. Strano che nessuno abbia avvistato Rick Rubin nei paraggi. Molto strano. (Alberto Calorosi)

(Nuclear Blast - 2015)
Voto: 72

https://www.slayer.net/

sabato 26 marzo 2022

Serj Tankian - Orca Symphony No. 1

#PER CHI AMA: Orchestral Symphonic Rock
Tankian sosteneva che l'orca, in quanto metà balena e metà delfino, rappresentasse meglio di qualunque altro animale la dicotomia insita nell'essere umano. In copertina vedrete due orche incastrate nel simbolo yin-yang cinese e tutt'intorno una cornice di note sul pentagramma: a questo punto vi rallegrerete che 'Orca' sia un lavoro interamente strumentale. E che lo spacciatore di Tankian non sia un minotauro. Sprovvista delle sofisticate architetture matematiche della sinfonia classica, la composizione evolve come una sorta di flusso di coscienza collettivo, scarsamente o affatto narrativo, ma comunque dotato di quella solenne forza descrittiva tipica di certe indovinate colonne sonore. C'è ancora (un po' dappertutto, ma specialmente in "Act I" e "Act III") quel piano irriverente e gigione che ricordate in 'Elect the Dead Symphony'. Mancano stavolta i tipici lallalla laralallà tankianeschi riempispazio, ma a occhio non mi sembrate così dispiaciuti. Peraltro, non vorrei dire, ma il tema di "Act III - Delphinus Capensis" è uguale sputato a Fra Martino Campanaro. (Alberto Calorosi)

(Serjical Strike Records - 2013)
Voto: 65

https://serjtankian.com/

La Fabbrica dell'Assoluto - 1984: l'Ultimo Uomo d'Europa

#PER CHI AMA: Prog Rock
Tralasciando un'intro recitata che ha l'impatto di un Pholas Dactylus appena assunto in banca e chiusa da una coda strumentale che suona grosso modo come tutti i vostri vinili progressive suonati contemporaneamente, '1984: l'Ultimo Uomo d'Europa' prosegue trainato da un tastierismo-colonia-di-slippermen ("O'Brien", "Chi Controlla il Passato Controlla il Futuro Chi Controlla il Presente Controlla il Passato") che conferisce tonalità vampire-horror alla maniera, per esempio, dei Goblin più cinematografici, dei Museo Rosenbach e possibilmente qualcuno dei nordici anninovanta (Par Lindh Project o forse certi Anglagard), chitarrismi hard gentle-primotullici (l'incipit di "Chi Controlla il Passato...", sempre lei o la chiusura di "Bipensiero") o garybaldi/biglietto-infernali ("L'Occhio del Teleschermo") alternati a rarefatti sperimentalismi kraut-psych (tutto il resto di "Bispensiero") appositamente retrodatati. Sopra le righe il power-singing di Claudio Cassio, collocabile tra il migliore Gianni Leone (Il Balletto di Bronzo) e la Giuni Russo meno nervosa, godibilissime certe esagerazioni ipertastierose alla E-L-P che popolano soprattutto "Processo di Omologazione", l'inevitabile (ma notevole) compendio dell'intero album. Del tutto fuori bersaglio, nell'opinabile opinione del sottoscritto, la scelta di mettere in scena un romanzo scostante e freddo come '1984', profondendo semplificazioni e sensazionalismi: “passo il tempo a pensare quanto vale una vita” et al.. Et molti al.. (Alberto Calorosi)

giovedì 17 marzo 2022

Megadeth - Dystopia

#PER CHI AMA: Speed/Thrash
Un megariffing speed-thrash monocromatico e acefalo infarcito di scale originali quanto una barzelletta raccontata da Malmsteen; cetriolate di basso-batteria praticamente ogni volta che si può e, per incorniciare il tutto, la consueta perizia vocale degna di un camallo portuale scagazzato da un gabbiano. La formula, inspiegabilmente vincente da oltre trent'anni, è destinata stavolta a funzionare (invero egregiamente) per un periodo non superiore ai primi trenta secondi di "The Threat is Real". Il resto di questo scialbo 'Dystopia', verosimilmente assemblato ad esclusivo appannaggio dell'autore, ha l'unico scopo di rendere noti l'opinabilissimo concetto mustainiano di melodia ("Poisonous Shadows"), il discutibilissimo concetto mustainiano di classic rock ("Post American World") e l'eccepibilissimo concetto mustainiano di surf-punk ("The Emperor"). Un lavoro che vi suggerisco di mettere nel vostro lettore come soundtrack della prova finale dei campionati mondiali di sbadigli. (Alberto Calorosi)

(Tradecraft - 2016)
Voto: 50

https://www.facebook.com/Megadeth

Delirium - L'Era della Menzogna

#PER CHI AMA: Prog Rock
Sensibili oggi come allora a certe suggestioni contemporanee, i Delirium pubblicano un concept sui mali del mondo moderno tematicamente affine a 'Lo Scemo e il Villaggio', forse persino più sdegnoso, ma dal respiro decisamente più ampio e trasversale per stili musicali e riferimenti temporali. Chitarrismi rocciosi Thrak-crimsoniani flirtanti con certo prog-metal alla Tangent e Transatlantic ("L'Inganno del Potere"), trascinanti inni incazz-folk a metà tra la PFM in tour con De André e l'Eugenio Finardi più muscoloso ("Fuorilegge"), ma anche sciagurati scivoloni trip-pop in aroma di BMS anni ottanta ("L'Angelo del Fango"), poi ancora i Toto non-troppo-Lukateriani di "Basta", i Genesis dopo-che-sono-rimasti-in-tre de "La Voce dell'Anima", o la rabbiosa "L'Era della Menzogna" che dà il titolo al lavoro e che suona proprio come suonerebbe una "You Can Leave Your Hat On" eseguita dai King Crimson di 'Red'. Se avete fretta, potete cominciare con la conclusiva "Il Castello del Mago Merlino", che riassume mirabilmente tutto questo, con in più un pizzico di Porcupine Tree e l'immancabile chitarrismo "gilmouriano" a sfumare il maestoso finale. Oppure potete lasciare perdere: il prog italiano non fa per voi, se siete gente che ha fretta. (Alberto Calorosi)

(Black Widow Records - 2015)
Voto: 63

https://www.facebook.com/DELIRIUM-IPG-654167274667891/

venerdì 4 marzo 2022

Monolithic - Frantic Calm

#PER CHI AMA: Death/Hardcore
Se l'idea di una traiettoria musicale che scaturisce dagli sbaciucchiamenti death grind dei Napalm Death di 'Scum' (ad esempio in "Nemesis") per giungere al deathcore peace-n-love dei Converge (udibile in "Payback") con tanto di doom-lentone da slinguazzata sul divanetto mentre il doppelganger di Chuck Palahniuk mastica i vostri intestini ("No Way Out"?), magari transitando attraverso metanfetamiche cavalcate analog-hardcore (i quasi 200 bpm di "Into Dust") e ipervoltaiche tempeste psych-jam stile tool-divorati-da-un-branco-di-cinghiali-klingoniani (la sorprendente "Cry Out"), possa stimolare a dovere i vostri nauseabondi gangli necrotici, allora questo secondo album pubblicato dalla band composta da due jötunn al basso e alla chitarra e un kråken alla batteria, potrebbe avere su di voi lo stesso effetto piacevolmente anestetizzante del gigantesco Uomo della pubblicità di Marshmallow sulla mente di Ray Stantz. Ascoltate questo disco violentissimo, increduli del fatto che due membri della band su tre, abbiano conseguito una laurea in musica classica e jazz presso il conservatorio di Trondheim. Un posto dove a questo punto vi sconsiglio di mettere piede. (Alberto Calorosi)

(Stickman Records - 2015)
Voto: 70

http://kennethkapstad.no/

giovedì 3 marzo 2022

Warpaint - Heads Up

#PER CHI AMA: Psych/Art Rock
Un'avveduta riproposizione degli acclamati languori sonici già sobillati nel lavoro precedente ma opportunamente (forse troppo/rtunamente) arricchiti di trame e substrati elettronici, vedi per esempio la kraut-bossa medialista di "Don't Wanna" o le distanze fatton-danzerecce di "So Good" o "Don't Let Go" e ancora la Bristol/izzazione diffusa un po' ovunque, ma soprattutto in apertura ("By Your Side" e "Whiteout"). Oppostamente, due elementi di continuità conducono l'ascoltatore nei paraggi del precedente, omonimo 'Warpaint': la progressiva riverberanza (leggi: sonnolenza) dei suoni e la (stra)ordinaria voce di Theresa Wayman, sempre (in)consapevolmente carica di sensualità ipnotica post-fattanza (in "Whiteout" soprattutto). Spregiudicatamente dream-poppy e save-a-prayeristico invece il singolo "New Song", soltanto apparentemente avulso dal contesto sonoro di quest'album dedito ad un psych art rock tutto al femminile. Un album che fareste bene ad ascoltare in cuffia mentre aspettate l'alba strafatti di mescalina, gambe penzoloni, seduti su un molo di legno proteso nell'Oceano Pacifico. (Alberto Calorosi)

(Rough Trade - 2016)
Voto: 68

https://www.facebook.com/warpaintwarpaint

lunedì 28 febbraio 2022

Cherry Five - Il Pozzo dei Giganti

#PER CHI AMA: Psych/Prog Rock
La suite che apre e domina il secondo album dei "nuovi" Cherry Five (del nucleo originario sopravvivono infatti soltanto i non-Goblin Tartarini e Bordini) recupera il pathos pianistico ma soprattutto la durata autocelebrativa di certe suite tardo E-L-P, in combinazione con passaggi aromaticamente psych e un inopinato chitarrismo rock-metal alla, uh, diciamo Brian May? Sul lato B, una seconda suite alifaticamente prog-pop che mescola la Premiata folkeria Marconi, i New Trolls melodici di "Signore, Io Sono Irish", Notre Dame de Paris, i Rush e un poltergeist dispettoso travestito da Rocky che saltella sulla tastiera di un pianoforte. La galoppante "Dentro la Cerchia Antica" rivela invece una spiccata devozione, specialmente da parte del cantante, nei confronti di 'Nuda' dei Garybaldi, ma con una chiusura crimson-perentoria. L'immobilismo protervo della politica, la guerra, la morte: un concept sui mali moderni come allegoria della Commedia dantesca, che a dire il vero sarebbe già abbastanza allegorica per i fatti suoi. Niente di assolutamente originale, beninteso, ma un po' meglio del qualunquismo sdegnoso del coevo 'L'Era della Menzogna' firmato Delirium. (Alberto Calorosi)

sabato 26 febbraio 2022

Godspeed You! Black Emperor - Asunder, Sweet and Other Distress

#PER CHI AMA: Post Rock
L'incedere epico dei pezzi anziché apocalitticamente ascetico, una minore emozionalità più rock-oriented, la scomparsa di tutti quegli ammenicoli sonori funzionali all'esperienza live ma fastidiosi in cuffia: nel quinto album dei terroristi del borborig-metal attraverserete il deserto del Maghreb seduti sul parafango di un carro armato in un tardo pomeriggio autunnale col cielo scuro di petrolio bruciato (vi basti ascoltare "Peasantry" o "Light! Inside of Light!"); darete la caccia a un fastidioso calabrone di mare coi piedi attaccati alla carcassa di un sommergibile a testata nucleare arenata sul fondo dell'oceano ("Lambs’ Breath"); attraverserete il Nunavut (non sapete cosa diavolo è? andatevelo a cercare su Wikipedia) attrezzati esclusivamente con un thermos di punch e un paio di racchette da tennis ai piedi ("Asunder, Sweet"). Dopodichè, manderete a cagare questo album, i Godspeed e l'autore di questa cialtronata di recensione e vi andrete a sedere in balcone con una moretti ghiacciata, una paglia, 'Slippery When Wet' dei Bon Jovi a palla nel giradischi e vaffanculo al secchio ("Piss Crowns are Trebled"). (Alberto Calorosi)

venerdì 25 febbraio 2022

Sólstafir - Ótta

#PER CHI AMA: Experimental Metal
La sottile linea adamantina che avvicina gli elementi Ragnarǫk del viking black metal islandese al post metal metereocratico con tinte nebbiolin-folk, non può non transitare attraverso i suoni nu-sludge-ambient dei Sólstafir e la voce geyser-grohl dello spudorato Aðalbjörn Tryggvason. Collocabile grosso modo a metà strada tra Lars Von Trier che ascolta in cuffia 'Alternative 4' degli Anathema e Michael Gira che sbraita la frase “Sigur rós 'sti maròn”, rompendo un banjo sulla zucca del casellante di Reggio Emilia, questo album nei fatti è affascinante almeno quanto l'immagine di un branco di lupi che sbrana il cantante degli Ulver durante una maestosa aurora boreale. Vi ho incuriosito, dite la verità. (Alberto Calorosi)

(Season of Mist - 2014)
Voto: 85

https://solstafir.bandcamp.com/album/tta

martedì 15 febbraio 2022

Árstíðir - Hvel

#PER CHI AMA: Folk Rock
L'introduttiva "Himinhvel" è una specie di requiem celtico come lo suonerebbero dei Solstafir che affondano al largo delle Fær Øer maledicendo Odino (ma a differenza del conterraneo Aðalbjörn Tryggvason, questo Daníel Auðunsson è capace di cantare), mentre "Things You Said" è un rassicurante folk cameristico turbato da repentine pennellate emozionali, qualcosa, se possibile, a metà tra i Mostly Autumn più primaverili e i Fleet Foxes meno anticoncezionali. Nella sfolgorante tensione emotiva generata dalla giustapposizione delle due tracce introduttive dell'album è individuabile l'intero weltanschauung musicale di questo album e più in generale degli Árstíðir medesimi. Armatevi di fazzoletti. Da una parte i C-S-N-Y intirizziti di "Someone Who Cares" e i Kings of Convenience dal radiologo di "Moonlight", forse anche gli Inti tecnoillimani (ommadonna) di "Vetur Að Vori". Dall'altra le tonalità bistrate e intimamente atmosferiche dello strumentale "Ró", ma anche "Shine", "Unfold" e di quella straordinaria bossa nordica intitolata "Friðþægingin", qualcosa che St(ronz)ing donerebbe uno dei suoi una-volta-tantricissimi testicoli pur di saper (nuovamente) scrivere. (Alberto Calorosi)

(Beste! Unterhaltung - 2015)
Voto: 80

https://arstidirsom.bandcamp.com/album/hvel

domenica 30 gennaio 2022

The Mummies - Death by Unga Bunga!!

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Punk/Garage Rock
Un'acufenica e praticamente inascoltabile discarica di singoli e ritagli assortiti buttata giù a passeggiata di cane da parte della più ortodossa, fracassona e strafottente band della intera ultraortodossa, iperfracassona e strastrafottente scena garage/surf/revival californiana fineottanta/inizio'novanta. Produzioni eterogenee, barattolose, meteoritiche, sguaiate. Tantissimo garage (tipo "I'm Gonna Kill My Baby Tonight"), tantissimo surf (tipo "A Girl Like You" e "Die!") e una conclamata, rivendicata, ostentata inettitudine nei confronti di qualunque forma di armonia, intesa nell'accezione più ampia del termine. I musicisti sono ignare mummie, i costumi di scena sono bende di tela, gli strumenti solo scomodi sarcofagi musicali. Tutti i vinili pubblicati a suo tempo, vale a dire nei primi novanta, dai Mummies riportavano la scritta "fuck cd", ciò che apparirebbe hipsterosamente snob oggigiorno, eppure nel booklet di questa compilation postuma avrete il piacere di individuare una iconoclastica "fuck vinyl ha haa". Non è sufficiente per affezionarsi al progetto, ma è un inizio migliore di altri. (Alberto Calorosi)

(Estrus Records - 2003)
Voto: 58

http://www.themummies.com/

lunedì 27 dicembre 2021

Yes - Heaven & Earth

#PER CHI AMA: Prog Rock
A nulla servirà l'idro-pop di derivazione anninovantesca-alla-Talk ("The Game") o anniottantesca-alla-90125-ma-che-dico-magari-90125-qui-al-massimo-siamo-dalle-parti-di-big-generator ("It Was All We Knew"), o le risibili orchestrazioni finto-soundtrack in apertura di "Subway Walks", non servirà individuare (se non con certosina motivazione) qualche levigato etno-barocchismo alla Anderson Bruford Wakeman Howe ("Light of Ages", ma per non più di un paio di minuti) né certe fotocopiose architetture mid '70s (le scalette finali di "Believe Again" – dove oltretutto potete apprezzare una sfacciata clonazione del Top Gun anthem di Moroder, proprio nelle note iniziali; il botta-funky-risposta basso/tastiera di "Subway Walls"), né infine, la conclamata consapevolezza che gli episodi migliori di questo 'Heaven & Earth' sembrino, alla meglio, outtakes dei peggiori Yes ("Tormato"? "Big Generator"? "Open Your Eyes"? Ce ne sarebbero a volontà). Il fatto è che se la musica della band composta dai membri umanamente più disgustosi della sovente umanamente disgustosa storia del rock non ha ancora inspiegabilmente cominciato a farvi schifo allora lasciate stare, perché questo album è talmente scialbo e sciatto e insignificante che non riuscirà a farvi cambiare idea nemmeno su questo. (Alberto Calorosi)

(Frontiers Records - 2014)
Voto: 50

http://www.yesworld.com/

giovedì 23 dicembre 2021

District Unknown - Anatomy of a 24 Hour Lifetime

#PER CHI AMA: Prog/Groove Metal
Al di là degli ineludibili significati (affatto) sovrastrutturali, l'album d'esordio della prima e forse unica metal band afghana fornisce inedite topologie musicali, specialmente negli episodi più lisergici/desertici ("Whisper in a Dream," lo strumentale introduttivo "Modern Nature", caotico quanto una tempesta di sabbia e a tratti quasi groove, oppure i panorami psych/esplosivi di "Two Seconds After the Blast", approssimabili a certe cose lunghe dei The Doors, o anche il doom stupefatto di "Struggle" con tanto di stupefacente(mente lunga) intro elettronica) o psych/prog ("Portraits", lo strumentale "A Cancer by Design" ha forse qualcosa dei Genesis di 'Foxtrot'? O dei Beatles di 'Abbey Road'?). Eclettico e funzionale il sound, conseguenza di una produzione per niente amatoriale, ma decisamente debole il cantato in pulito ("Joy Versus Sorrow" e ancora in "Portraits"). Costituiti in piena era taliban, per un certo numero di anni i District Unknown si sono esibiti in patria clandestinamente e col volto coperto così da sfuggire alle persecuzioni. Poi pensi a quei cretini di fascistelli svedesi provvisti di chitarre-mitra e batterie-carrarmato che giocano a fare la guerra sul palco, sì, ma sempre restando ben fuori tiro. O a quegli altri idioti metallari multimiliardari dei miei coglioni spelacchiati provenienti dall'Iowa che giocano a fare i serial killer di questa beneamatissima fava. Gente che a Kabul non durerebbe più di dieci minuti cronometrati. (Alberto Calorosi)

martedì 21 dicembre 2021

Procol Harum - Novum

#PER CHI AMA: Prog Rock
Patinati claptonismi bluesrocchettari finesettanta ronzanti dalle parti di 'Backless' ("Image of the Beast") oppure iperpatinati claptonismi poprocchettari iniziottanta bighellonanti dalle parti di 'Money and Cigarettes' ("I Told on You"). Accomodatevi. Nel prosieguo, l'attitudine rock/80's/pop di 'Soldier' ("Runaway Train" vs. "Wonderful Tonight") e quella Eltonbattabernie-Johnbarrataupin di "Don't Get Caught" non mutano un registro narrativo già consolidato almeno dai primi '90, vale a dire da 'Prodigal Stranger' in poi, movimentato (quasi esclusivamente) dalle (a dir poco) bizzarre liriche composte dall'attempato e senilmente disinibito Gary Booker ("Last Chance Motel" è una efferata murder ballad, l'avreste mai detto? "I Told on You" una furente invettiva nei confronti di un collega musicista, l'avreste mai ridetto?) e cineticamente convergenti nei medesimi modi metereologici nei quali in un mondo ideale, un uragano di classe cinque convergerebbe verso l'abitazione di Paperostarnazzante Trump, convergenti, dicevo, inesorabilmente verso "Sunday Morning", singolo designato, pretestuoso zenit creativo di questo pasticciato album nonché pallida scimmiottatura (là c'era l'Aria sulla quarta corda di Giannino Bach e due tonnellate di Hammond, qui l'altrettanto celebre Canone in Mi di Giannino Pachelbel e due tonnellate e tre quintali di Hammond) di quella celeberrima hit sull'impallidimento improvviso della ragazza mentre ascolta la storia del mugnaio scritta cinquant'anni addietro che troverete menzionata in qualunque stramaledetto articolo musicale sui Procol Harum dal sessantotto a oggi tranne che in questo. Trattasi d'altronde dell'unico debole trait d'union tra lo stiracchiato presente e l'hammondosissimo, sinfonicissimo (e comunque acclamatissimo) passato. Non vi pare sufficiente? (Alberto Calorosi)

(Eagle Records - 2017)
Voto: 55

https://www.facebook.com/procolharummusic

The Mavericks - Brand New Day

#PER CHI AMA: Country Rock
Spiazzati e contemporaneamente rincuorati da quella specie di polka bluegrass mariachi-style in apertura ("Rolling Along") che non riuscirete a fare a meno di immaginare interpretata da un sosia di colore di Elvis con tanto di lederhosen, pettorali, sombrero e baffoni da borgomastro messicano. Proseguirete l'ascolto tra un folk/mambo ("Easy as it Seems) ed una country/rumba vagamente Kelly-familiare ("I Will be Yours"), tra un valzer sonnolento ("Goodnight Waltz" per l'appunto), un inneggiante pop early-80 dalle parti, pensate, dei Jefferson Starship ("Brand New Day"), un crooning elvis/iano grondante passionalità (ovunque, ma soprattutto nella conclusiva, ottima "For the Ages") e certo chewing-pop tipo soundtrack di Peggy Sue si è sposata ("I Think of You" e forse pure "Ride With Me" se non fosse per quell'hammond acidissimo in chiusura - o chissà, magari proprio per quello), pervasi da quell'indolente entusiasmo che sprigionerebbe una ipotetica Oktoberfest balneare riscaldata dal sole pigramente tramontante di Varadero. Rispetto ai 90's, Raul Malo approfitta maggiormente degli archetipi musicali di riferimento, eppure scongiura il rischio band-da-sezione-intrattenimento-di-un-busker-festival-di-provincia mettendo in campo il consueto limpidissimo songwriting. (Alberto Calorosi)

(Mono Mundo Recordings - 2017)
Voto: 75

https://www.themavericksband.com/