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lunedì 22 marzo 2021

Farer - Nomad

#PER CHI AMA: Doom/Sludge/Post Core
Quattro brani per portarci all'Inferno senza ritorno. Ecco cosa ci propongono gli olandesi Farer con il loro debut 'Nomad'. Mi fa sorridere che si parli di EP, quando la lunghezza media dei brani viaggia sui 13 minuti fatti di un sound claustrofobico e malato, cosi come si presenta l'opener "Phanes", che con le sue urla stridenti e i suoi suoni glaciali, riesce a congelarci il sangue nelle vene. La musica che ci propone il trio dei Paesi Bassi, che vede in formazione due bassisti e nessun chitarrista, propone un causticissimo sound che miscela post metal, doom e hardcore, non disdegnando qualche divagazione in territori post rock. I suoni siderali, melmosi e angoscianti, potrebbero ricordare gli Amenra della prima ora, quelli più violenti ed ancorati alla tradizione hardcore, anche se verso il nono minuto del brano, emergono forti le influenze più recenti ed intimiste della band belga. La dronica cupezza sonora emerge palese nelle pulsanti note introduttive di "Asulon", che mostra come i nostri debbano sempre carburare per 2/3 giri di orologio prima di partire con la loro proposta sonora. E quindi ecco il classico minimalistico prologo in cui accanto a mezzo accordo ripetuto alla noia, esce finalmente una voce umana, calda e decadente. Lentamente la musica cresce e con essa ritornano le harsh vocals di uno dei due vocalist, mentre i bassi in sottofondo creano atmosfere intriganti al limite della psichedelia, con l'irruenza dello stoner e la profondità del doom, il tutto avvolto da un sound ai confini estremi della catarsi che ci accompagnerà fino alla conclusione di questo delirante pezzo. Con "Moros" le cose sembrano farsi un po' più abbordabili, proponendo i nostri un post metal dai tratti più commestibili e morbidi ma comunque assai particolari, che ci immergono in un nuovo trip dal quale sarà complicato uscirne immuni. La song scivola via tra sonorità molto delicate in cui ampio spazio viene concesso al lavoro delle percussioni e a strani effetti noise in background che serviranno a dare il via libera a violente deflagrazioni post hardcore, condite da una notevole linea melodica che a questo punto mi sorprende sapere costruita solo dai bassi. Fighi, non c'è che dire. Anche nella conclusiva "Elpis", dove i tre tulipani si concedono divagazioni shoegaze accanto a quelle inconfondibili note doom/noise/post core che delineano già con assoluta originalità, la spiccata personalità di questi tre stravaganti musicisti orange. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2020)
Voto: 75

https://farer.bandcamp.com/album/monad

lunedì 21 dicembre 2020

Cave Dweller - Walter Goodman (or the Empty Cabin in the Woods)

#PER CHI AMA: Neofolk/Psych
Sono dieci i brani che compaiono in quest'album di debutto in qualità di solista, del musicista americano Adam R. Bryant. Uscito con il nome di Cave Dweller (da non confondere con altri, omonimi progetti sparsi per il web), già mastermind e componente effettivo della band post industrial, Pando, Mr Bryant ne evolve il concetto musicale, spostandolo decisamente verso le terre sconfinate del neofolk. Dieci canzoni immerse nelle nebbie mattutine, notti insonni e spazi aperti di natura incontaminata tra i paesaggi del Massachusetts. Storie che parlano di solitudini e disordini mentali, malattie, affrontate con il tono solenne del folk apocalittico ("Ancestor"), dell'alternative country filtrato dalla più buia espressività del dark e dell'alternative più rumoroso ("Why He Kept the Car Running"). La ballata nello stile di David J, soffocata da rumori d'ambiente, cicale, uccelli, fruscii, registrazioni in finto low-fi, una sorta di Burzum in veste di menestrello folk, imbevuto nello shoegaze, che a suon di chitarre acustiche mescola la selvaggia libertà di 'Into the Wild' con certo noise minimale e sperimentale, tanto caro ai Death in June. 'Walter Goodman (or the Empty Cabin in the Woods)' è un disco intimo e frastagliato, che riporta alla mente proprio l'album del 2016, 'Negligible Senescence', degli stessi Pando, con una ricercata vena poetica di base che si snoda lungo tutte le tracce. A volte si sentono echi post rock ma il suono è scarno, acustico e pieno di interferenze, anche il folk psichedelico appare tra le fila, ma il buio lo anima e lo rende tragico, mai spensierato, spesso ipnotico, malinconico, a volte persino evanescente, quasi ad inseguire un suono fantasma che ammalia, rapisce e sconcerta ("Where Trees Whispers"). Parti recitate e rumori d'ambiente inquietanti, disseminate ovunque ("Upon These Tracks"), registrati con smartphone e qualche altro aggeggio anomalo. Allucinazione e un senso di angoscia che si trasforma nei quattro brani conclusivi, spostandosi verso una tenue luminosità quasi pastorale con il coro di "The Secret Self", la cavalcata, alla Hugo Race (tipo 'Caffeine Sessions 2010'), tra country e synth wave cosmico di "Your Feral Teeth", lo strumentale dal solitario e rallentato passo bluegrass con il sottofondo di gabbiani e mare di "Bliss" ed il finale (con l'inizio che ha la stessa intensità della splendida "October" degli U2) lasciato ai rintocchi di piano di "To Return", segnano il battito di un disco non convenzionale, pieno di paesaggi in chiaroscuro tutti da scoprire, un viaggio insolito nel mondo di un folk parallelo, assai personale, intimo e nero come la pece, votato alla pura espressività poetica, per certi aspetti coraggioso ed innovativo. Una nuova veste per il neofolk a stelle e strisce. (Bob Stoner)

domenica 22 novembre 2020

Megalith Levitation / Dekonstruktor - Split Album

#PER CHI AMA: Stoner/Doom/Drone
Chelyabinsk negli Urali e Mosca sono le città dalle quali arrivano queste due band, i Megalith Levitation dalla prima e i Dekonstruktor dalla seconda. Con dei moniker del genere, un artwork di copertina votato al bianco e nero ed un look piuttosto truce, mi sarei aspettato di ritrovarmi fra le mani uno split album votato al black più grezzo e ferale, invece, strano ma vero, questo 4-track mi conduce nei meandri di un doom sperimentale e ritualistico. E a proposito di rituali, si parte proprio con "Opium Ceremony", una traccia che sembra offrire un mantra sonico ad opera dei Megalith Levitation e a quella linea di basso in primo piano (accompagnata da distorsioni di chitarra e un coro quasi cerimoniale) che traccia una melodia ipnotica e lisergica che ci accompagnerà per tutti i suoi cinque minuti e più di musica. A seguire il chitarrismo stoner di "Despair" in un brano di oltre 13 minuti, ove questa volta in primo piano si pone un riffone nerissimo di chitarra plettrato a rallentatore, ancora con quel cantato liturgico in sovrapposizione che talvolta sfocia in uno screaming più efferato. Difficile dire altro vista la monoliticità di fondo che ha il sopravvento in un pezzo che purtroppo sembra proprio peccare in staticità per buona parte della sua durata, quando finalmente ad un certo punto i nostri ci sbattono una qualche variazione al tema, stile primi Cathedral. Un po' pochino, posso dirlo? Anche per i Dekonstruktor solo un paio i pezzi a disposizione per convincermi della bontà del loro sound. Anche in questo caso non si comincia proprio nel migliore dei modi, visto che "Beheaded Horizon" parte con un altro loop chitarristico che non fa altro che stordirmi e alienarmi, sebbene poi si sovrapponga un riffing granitico tipicamente stoner accompagnato questa volta da voci finalmente adatte al genere. Anche qui però il minimalismo ritmico ha il sopravvento e fatico ad arrivare al termine del brano e dirmi anche soddisfatto, sebbene nella seconda parte del pezzo, il terzetto moscovita provi a cambiare le carte in tavola con un mix di sonorità tra il doom e il drone, comunque non cosi semplici da digerire. In chiusura "Magma Pulse", un pezzo strumentale che ha il solo compito di darmi il definitivo KO con il suo incedere psych doom che puzza di una obsolescenza che si rifà ad un secolo differente dal nostro. Vetusti. (Francesco Scarci)
 
(Aesthetic Death - 2020)
Voto: 60

https://megalithlevitation.bandcamp.com/album/megalith-levitation-dekonstruktor

domenica 8 novembre 2020

Starless Domain - ALMA

#PER CHI AMA: Cosmic Black
Gli Starless Domain li abbiamo incontrati già un paio di volte lungo il nostro cammino e io li ho particolarmente apprezzati quanto lo scorso anno fecero uscire quasi in contemporanea, 'EOS' e 'ALMA', quest'ultimo però solo in formato digitale. La Aesthetic Death, presasi in carico dell'uscita in cd del primo lavoro, ha pensato bene di rilanciare in questo 2020, anche il secondo, che riparte dalle medesime coordinate sonore che avevo già apprezzato in 'EOS'. Stiamo parlando di un black cosmico che si palesa nei 44 minuti dell'unica traccia qui contenuta. Facile pertanto per il sottoscritto descrivere i contenuti di "Alma" che rispetto al precedente album, perde forse in imprevedibilità e ci consegna un lungo e reiterato black fatto di sonorità terrificanti. Questa è la prima parola che mi sovviene durante l'ascolto, in quanto quelle urla che si dipanano in sottofondo, mi fanno immaginare a quelle dei dannati imprigionati nell'Inferno dantesco o se vogliamo rifarci ad un paragone più attuale, a tutti coloro nel mondo che oggi sono bloccati nelle loro case dal lockdown. È pertanto pauroso quindi l'effetto che ne deriva, mi angoscia, mi attanaglia la gola, l'ansia cresce frenetica e non bastano francamente quei break atmosferici, a base di elevate dosi di synth, a stemperare il delirio che nel frattempo è esploso nei miei emisferi cerebrali. Ancora una volta la musicalità disturbante del trio dell'Oregon si rivela poderosa, ma non so francamente se a questo punto sono ancora cosi predisposto ad ascoltarla. Detto questo, confermo le ottime impressioni che avevo palesato ai tempi di 'EOS', certo è che l'ascolto diventa sempre più complicato in questi folli tempi di morte. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2020)
Voto: 75

https://starlessdomain.bandcamp.com/album/alma

lunedì 26 ottobre 2020

Nagaarum - Covid Diaries

#PER CHI AMA: Experimental Black, Fleurety
Il coronavirus non è stato solo fonte di dolore per la gente, ma anche di ispirazione. L'avevamo apprezzato qualche settimana fa con la triplice release dei Queen Elephantine, lo rivediamo oggi con questa uscita chiamata inequivocabilmente 'Covid Diaries', che arriva sei anni dopo quel 'Rabies Lyssa' che profetizzava l'arrivo di una pandemia nel 2019. A proporlo è un amico del Pozzo dei Dannati, ossia il musicista ungherese Nagaarum, uno che da queste parti ha bazzicato parecchio. Il nuovo disco, uscito per la Aesthetic Death, altra etichetta amica, consta di sei tracce. Si parte con l'inquietante epilogo di "Prelude for 2020", quasi a prepararci psicologicamente a questo funesto anno di morte. L'aria è pesantissima e rappresenta fedelmente, attraverso le sue nebulose atmosfere, questi folli mesi che stiamo vivendo. "The First Ingredients" sembra addirittura peggio, con un ambient noise davvero paranoico, quasi a descrivere quella sensazione di vuoto sperimentata durante il famigerato lockdown. Ecco, ho rivissuto quei terribili momenti di isolamento sociale patiti in primavera, quando la tempesta del malefico Covid si abbatteva sull'Europa. Fortunatamente, "Superstitious Remedy" somiglia maggiormente alla forma di una canzone, certo, di non facile digestione, ma pur sempre dotato di una musicalità ostica che trova comunque spiragli di melodia grazie anche all'apporto vocale di una gentil donzella, Betty V. "Competitors" è un dialogo surreale (ma interessante da seguire attraverso le liriche contenute nel cd) tra robotici vocalizzi di donna (e la voce narrante di un uomo) che in realtà rappresentano le voci dei personaggi Vera, Yersinia e Rosie, ossia la personificazione delle manifestazioni dell'epidemia. Più vicino alle passate produzioni di Nagaarum è invece un pezzo come "I Am Special", sospinto da un mix tra avantgarde, doom e depressive, in quanto di più orecchiabile si possa pretendere di ascoltare su questa release. L'ultimo pezzo è affidato alla lunghissima "Liquid Tomorrow", dove la voce narrante di Roland Szabó (amico del frontman magiaro) sembra chiudere in bellezza con un'ultima dose di positività e quelle nubi ancor più cupe che incombono sulla società. Musicalmente, la proposta del factotum ungherese ricalca qualcosa che apprezzai enormemente venticinque anni orsono, ossia il debut 'Min Tid Skal Komme' dei Fleurety, attraverso un black psichedelico davvero ispirato, ove ancora una volta, la voce di Betty V. dà il suo enorme contributo. Alla fine, 'Covid Diaries' è un album introverso, cupo, non certo un lavoro per tutti, ma lo consiglio di sicuro a chi ama la sperimentazione votata a esplorare i meandri più oscuri della psiche umana. (Francesco Scarci)

domenica 3 maggio 2020

Yaldabaoth - That Which Whets the Saccharine Palate

#PER CHI AMA: Grind/Experimental Black, Anaal Nathrakh
Quanto meno originale l'idea di far uscire il debut album di questa fantomatica band originaria dell'Alaska, il 29 febbraio 2020. Che gli Yaldabaoth siano peculiari, lo si deduce anche dal titolo culinario del lavoro, 'That Which Whets the Saccharine Palate', che nasconde in realtà un sound estremo e malato. Sei le tracce a disposizione dei nostri (anche se in realtà parrebbe trattarsi di una one-man-band) che irrompono con la delicata furia distruttiva di "Fecund Godhead Deconstruction". Mi rendo conto si tratti di un ossimoro, ma l'incipit cosi melodico viene spazzato via da un sound insano che va lentamente crescendo in schizofrenia e malvagità con linee di chitarra tracciate oltre la velocità del suono in modo dissonante, in quella che sembra essere una grandinata di suoni che annunciano la fine del mondo, in una tripudio di grind, black, noise e mathcore fuori di testa. Spero non vi spaventino queste mie parole, io l'ho trovato uno sprono ad andare avanti nell'ascolto curioso di questo lavoro, per capire come potrebbe evolversi in futuro l'approcio cosi violento dell'act di Anchorage. Influenzati dalla veemenza degli Anaal Nathrakh, dalle deliranti visioni degli Aevangelist e dalla dissonanza sonica dei Deathspell Omega, mi rendo subito conto che l'unica cosa da fare è stare fermi e lasciarsi trapassare dalle frenetiche vibrazioni impartite da questi terroristi sonori. Nel vorticoso arrembaggio sonico della lunga "Megas Archon 365", ci sento anche un che degli sperimentalismi spericolati dei Blut Aus Nord, giusto per darvi qualche altro riferimento e per cercare di inquadrare al meglio la pericolosa proposta degli Yaldabaoth e del caos sonoro da loro perpetrato, che quasi mi intimorisce nel muovermi anche ai successivi pezzi. Ma sono un tipo scafato, il pelo sullo stomaco non mi manca, mi attrezzo di corazza ed elmetto e mi lancio all'ascolto di "Gomorrahan Grave of the Sodomite". L'inizio è come al solito ingannevole, tra spettrali melodie di chitarra acustica e voci malefiche sussurrate, poi come lecito aspettarsi, è sufficiente uno spostamento di una lettera e da acustica ci si ritrova a caustica, anche se la band qui cerca quanto meno di smorzare i toni accesissimi con qualche rallentamento d'effetto e di grande atmosfera e per di più, qualche partitura jazzata, ove sottolineerei l'eccellente lavoro al basso. Non ho mai parlato di melodia per questo lavoro, in mezzo a questo macello non è proprio semplicissimo trovarne, eppure esiste un filo melodico e invisibile che collega le tracce lungo l'intera release, rendendola per questo ancor più interessante e digeribile. La title track è forse il pezzo più complicato da affrontare, cosi infarcito di riff destrutturati che mi scombinano le sinapsi dei miei pochi neuroni rimasti. Ciò non solo dimostra una vena creativa ma anche una preparazione tecnica di tutto rispetto. A degna conclusione di quest'incubo ad occhi spalancati, ecco la sgroppata finale di "Mock Divine Fury", un otre di ritmiche sincopate, riff ipercinetici, vocals maledette e qualche buona atmosfera angosciante, che vanno a sancire la validità di un lavoro che certamente rimarrà destinato a pochi fortunati adepti al male. (Francesco Scarci)

(Lycaean Triune/Aesthetic Death - 2020)
Voto: 76

https://yldbth.bandcamp.com/album/that-which-whets-the-saccharine-palate

mercoledì 22 aprile 2020

V:XII - Rom, Rune and Ruin: The Odium Disciplina

#PER CHI AMA: Industrial/Drone
Trattasi di una one-man-band quella dei V:XII, compagine dark industrial svedese creata da Daniel Jansson, uno che milita (o ha militato) in una serie di altri progetti, tra cui i Deadwood, la cui storia si è interrotta nel 2014 e per cui ora, il buon Daniel, ne vede la reincarnazione (ed evoluzione musicale) nei V:XII, nella fattispecie di questo 'Rom, Rune and Ruin: The Odium Disciplina'. Il lavoro si apre con le visioni oscure e angoscianti di "The New Black", sei minuti e più di suoni asfissianti che poggiano su un unico beat sintetico ripetuto allo sfinimento e sul quale s'installa il growling del factotum scandinavo. Sembra essere sin da subito questa la ricetta dei V:XII, visto che anche in "Maðr" ci vengono propinati suoni dronici alienanti su cui poggiano le vocals distorte del buon Daniel cosi come altre spoken words in sottofondo. I campionamenti si sprecano e cosi il drone paranoico di "Twining Rope" mi costringe a dondolarmi avvinghiato a me stesso, rintanato in un angolo della mia stanza. È un disco decisamente sconsigliato in periodi di quarantena questo 'Rom, Rune and Ruin: The Odium Disciplina' in quanto il rischio di subire effetti disturbanti o distruttivi per la psiche dell'ascoltatore, è assai elevato. Atmosfere lugubri e malsane contraddistinguono la sinistra "Djävulsögon - Deconstructing the Bloodwolf", un mix tra il suono proveniente dalla canna fumaria di una nave, delle catene di un castello infestato e il frastuono della sala macchine di una centrale nucleare, il tutto ovviamente corredato dalle onnipresenti vocals filtrate del mastermind svedese. Se non vi siete ancora suicidati o il cervello non vi è andato in pappa, c'è tutto il tempo di lasciarsi stordire dalle note marziali di "Ururz", o essere investiti dal nichilismo sonoro della spaventosa "B.A.H.F", la traccia che più ho preferito del disco o dalla conclusiva ed ambientale "Vánagandr", che segna, fortuna nostra, la fine di un percorso musical-dronico-rumoristico davvero complicato e consigliato a soli pochissimi eletti. (Francesco Scarci)

martedì 19 novembre 2019

Tome of the Unreplenished/Starless Domain - Epistolary of the Fall

#PER CHI AMA: Experimental Ambient Black
Se degli Starless Domain abbiamo parlato da poco del loro primo lavoro, 'EOS', dovete sapere che i Tome of the Unreplenished sono una band anglo-cipriota formata da membri tra gli altri di Voz de Nenhum e Spectral Lore, tutte band già conosciute qui all'interno del Pozzo. Ma porgiamo l'orecchio attento a questo interessante 'Epistolary of the Fall', split album rilasciato dalla Aesthetic Death. Due soli pezzi per quasi un'ora di musica a farvi capire che ci sarà parecchio da faticare per digerirne l'ascolto. Sono i ciprioti ad avere l'onore di aprire le danze con "Proskynesis", una song (se cosi vogliamo definirla) di quasi 19 minuti che si apre con un rumore in sottofondo, quasi si tratti dell'accensione dei razzi di un'astronave. Non ho idea se dobbiamo attenderci un qualche viaggio intergalattico, ma per non saper nè leggere nè scrivere, io mi allaccio le cinture, pronto ad un balzo temporale a velocità oltre a quelle della luce. La preparazione è di sicuro assai lunga, visto che almeno fino all'ottavo minuto sembra non accadere nulla se non essere circondati da un disturbante rumore. Potrebbe anche essere che questa sia la stravagante proposta della compagine cipriota che affianca al noise, flebili voci in sottofondo ed ipnotiche distorsioni sintetiche che ci accompagneranno da qui alla fine di questo primo capitolo, girovagando per mondi extraterrestri. Esauriti i primi venti minuti del cd, mi viene da pensare che le prospettive siano di un ascolto tutto in discesa, visto che verosimilmente la parte più complicata la dovremmo aver già superata. Questo perchè "CERES", il pezzo degli Starless Domain, ha tutta la forma di una canzone con capo e coda, cosa che mancava nel precedente brano. Chiaro che anche in questo caso, non abbiamo nelle orecchie una musicalità del tutto convenzionale, poichè la band statunitense è portatrice di un oscuro cosmic black metal che prosegue la linea musicale intrapresa con i precedenti 'EOS' e 'ALMA'. La song, come preventivato, è una lunga fuga di quasi 40 minuti tra ritmiche serrate, synth surreali quanto mai freddi e desolanti e demoniache vocals in sottofondo. A supporto di una simile situazione subentrano saltuariamente ampi momenti atmosferici che contribuisco a rendere il tutto ancor più onirico e visionario (soffermatevi al ventesimo minuto per capire di cosa stia parlando). Alla fine, 'Epistolary of the Fall' è un viaggio nel tempo e nello spazio, un'avventura spaziale per sole anime forti che abbiano la mente abbastanza aperta per nuovi interessanti incontri con forme aliene. (Francesco Scarci)

sabato 9 novembre 2019

Reido - Anātman

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Era novembre di otto anni fa, quando su queste stesse pagine, parlavo del secondo lavoro dei biellorussi Reido, un disco che vedeva il terzetto di Minsk virare da un industrial funeral doom, ad un più arioso (se cosi si può dire) post-metal/sludge. I nostri si sono presi un'altra breve pausa, di circa otto anni, hanno cambiato etichetta, approdando alla Aesthetic Death e finalmente, hanno rilasciato un nuovo album, 'Anātman'. Ebbene, l'inizio non è dei più promettenti visto che con "Deathwave", il combo sembra di nuovo essersi perso negli anfratti di un angusto funeral sound. In realtà, l'opener funge più da lunga intro prima di lasciare posto alla plumbea cortina fumogena innalzata da "The Serpent's Mission", una song di oltre undici minuti, lenta e affannosa, portatrice di una discreta dose di angoscia a causa di quel suo indolente incedere che conferma il ritorno alle origini da parte dell'ensemble biellorusso, sebbene ora sia deprivato della componente industriale. Già sfiancato dalla prima vera traccia, mi avvio all'ascolto di "Dirt Fills My Mouth", un pezzo che inizia più in sordina, con una voce sussurrante accompagnata da una tiepida chitarra che a poco a poco, cresce d'intensità, ma non troppo in coinvolgimento, almeno fino a quando il suono della sei corde si tramuta in deprimente assolo, che dona finalmente un certo mordente ad una song fin qui troppo anonima; da questo punto in poi, grazie ad un migliore utilizzo della componente atmosferica, il brano assume una sua personalità e con esso la band stessa. E per fortuna, visto che c'è un baluardo imponente da assaltare, chiamato "Liminal": quasi 17 minuti di sonorità non troppo affabili, per non dire decadenti, sempre sorrette dalle growling vocals di Alexander Kachar e da un riffing in sottofondo che evoca un che dei My Dying Bride. C'è da dire che da metà brano poi, la band si concede un lunga pausa ambientale che spezza un po' quella lugubre e sfibrante andatura del pezzo. La title track è un pezzo strumentale fatto di campionamenti a sfondo sci-fi, che ci introducono all'ultimo scoglio del disco da superare, ossia i 14 minuti di "Vast Emptiness, No Holiness", un'altra non proprio banale passeggiata da affrontare in scioltezza. Ritmiche logoranti, voci ringhiate e tutti i consueti elementi che contraddistinguono il funeral, per chiudere in bellezza un lavoro di certo di non facile assimilazione, almeno per chi non è un fan sfegatato del genere. Speravo francamente in qualcosa di più, il disco non è male, ma mi aspettavo una qualche progressione a livello di songwriting che ahimè è venuta a mancare, complice un'astinenza dalle scene davvero lunga. Un peccato. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2019)
Voto: 67

https://reido0.bandcamp.com/releases

mercoledì 6 novembre 2019

Starless Domain - EOS

#PER CHI AMA: Cosmic Black, Mahr
Gli Starless Domain sono una band statunitense formatasi nel 2018 da membri di Stellar Descent e Twilight Falls, che ha pensato bene di rilasciare due lavori in questo 2019, 'EOS' e 'ALMA'. È il primo però che andiamo ad fronteggiare quest'oggi, un disco di quattro pezzi che sfiora l'ora di durata. Questo perchè abbiamo di fronte brani dalle lunghezze imponenti: si apre infatti con "EOS I", quasi 17 minuti di sonorità insane, glaciali e terrificanti. È puro black cosmico quello proposto del trio dell'Oregon che si avviluppa attorno a lunghe fughe strumentali contrappuntate da un utilizzo sagace dei synth, da vocals aliene in sottofondo, ma soprattutto dall'instaurarsi di un senso di vuoto e desolazione che caratterizza uscite di questo tipo. L'effetto è straordinariamente efficace, andando a provocare però (e per questo fate estremamente attenzione) pericolose alterazioni sensoriali. Il brano prosegue linearmente in un tutt'uno con il secondo capitolo ("EOS II") e pure con i successivi, proseguendo in quell'opera di annichilimento cerebrale, e accrescendo in tal modo un disagio interiore instillando nell'anima altre strane paure, a seconda che in sottofondo ci sia una chitarra dai suoni siderali o delle lunghe fughe ambient di derivazione extraterrestre ("EOS III"). Il risultato lo ribadisco è stupefacente, disturbante, orrorifico e, sebbene il rischio di scadere nella noia, vista la lunga durata del disco, sia piuttosto elevato, vi garantisco d'altro canto, che il turbinio sonoro in cui si sprofonda, è tale che se ne vorrebbe sempre di più. La proposta insana di questi Starless Domain alla fine mi ha estasiato nella loro singolare follia, ricordandomi peraltro uno stranito ibrido tra Aevangelist (band nella quale guarda caso il vocalist, nonchè bassista dei nostri, ha suonato) e Mahr, soprattutto nel capitolo finale di questo notevole lavoro di black metal astrale. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2019)
Voto: 80

https://starlessdomain.bandcamp.com/album/eos

mercoledì 7 agosto 2019

Allone - S/t

#PER CHI AMA: Death/Doom/Black/Viking, Bathory
Gli Allone sono una band inglese almeno sulla carta, perchè poi vai a sfrucugliare sul web e scopri che uno dei due membri, Andrzej Komarek, altri non è che il bassista e chitarrista dei polacchi Praesepe ed ex-chitarrista dei Diachronia, una band di cui non sentivo parlare da oltre un decennio. Gli Allone, che includono nelle proprie fila anche l'inglese P.K. ed una infinita serie di guest star polacche tra cui l'ex chitarrista dei Vader, il chitarrista dei Macabre Omen ed un altro ex questa volta dei Themgoroth, hanno avuto la buona sorte di firmare per la Aesthetic Death, che li supporta in questo loro debut album omonimo. Che non siano degli sprovveduti e che il loro background affondi nel death doom, lo si evince dall'opener "Alone with Everybody I", una traccia monolitica di otto minuti, dotata di un riffing solenne su cui si stagliano le vocals pulite e disperate di P.K., in pieno stile Quorthon, in una song che richiama incredibilmente e in più occasioni, 'Twilight of the Gods' dei compianti Bathory. Epici, non c'è che dire soprattutto per aver risvegliato in me sentori che avevo completamente perso dai tempi di 'Nordland I e II'. E allora abbandoniamoci agli arpeggi del duo anglo-polacco, alle suggestive ambientazioni al limite del viking, ma non solo, visto che l'incipit della lunga ed ispirata "A Challenge to the Dark", strizza l'occhiolino anche agli Shining (quelli svedesi mi raccomando) cosi come pure ad una versione più edulcorata dei Praesepe stessi. Un lungo entusiasmante prologo acustico che ci prepara all'arrivo di grim vocals che ci mostrano una versione degli Allone decisamente più virata al black metal, ma niente paura, la band sa come mantenere salda l'attenzione sulla propria proposta e lo fa propinando una serie di eccellenti cambi di tempo, ottime melodie e litanici chorus di sottofondo che rendono il tutto ancor più interessante, aggiungendo peraltro alle proprie influenze un che dell'avanguardismo degli ultimi Obtained Enslavement, un pizzico di insania alla God Seed ed una vena progressiva alla Enslaved. Niente male davvero, anche se con "Alone with Everybody II" si va a pestare il pedale di un ibrido black death assai melodico, ma che poche migliorie apporta al suono fin qui goduto; forse la song meno riuscita delle quattro, ma che si eleva tranqullamente oltre la sufficienza, soprattutto grazie ad un finale più avvincente. Si arriva alla fine con la strumentale "Ruins", oltre 11 minuti di melodie raffinate (e spoken words) che suppliscono all'assenza della voce che fino a qui aveva fatto bene, in ogni sua forma espressiva. Ottimo debutto, band assolutamente da tenere nei radar. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2019)
Voto: 76

https://allone2018.bandcamp.com/album/allone

giovedì 25 luglio 2019

Pando - Negligible Senescence

#FOR FANS OF: Dark/Industrial/Black
'Negligible Senescence' is the 2016 debut release from Industrial Alternative Progressive Rock outfit Pando, recently re-released by Aesthetic Death. On the opening track "Residue", the first strum of the guitar sounds like 1997's "Kiss The Rain" by Billie Myers but doesn't continue as so, leading into a mariachi riff with borderline satanic growling vocals which seem out of place (a common theme throughout the first half the album). Following on from the opener is "Runt", which leads with a funky Rock n Roll riff that the Black Keys would be proud of, however, the vocals again seem like they are disjointed from the music. "Trek Through Utah Desert" has a pleasant sound (in comparison), but throughout the album, there is the inclusion of voice and sound samples that are a mostly meaningless contribution to the sound serving only to elongate the track times in an attempt to make the music seem progressive. Midway into the album, the sound transitions into Industrial Doom Rock, and for the first time the vocal style actually complements the sound. "Allisandrina" is one of the calmer moments of the album, making you feel as if you are stranded at sea whilst your deck hand is uneasily serenading you because of the lack of fish you have caught. The closing track "Ohm" is uninspired atmospheric tosh, that makes you feel like you're sitting in a damp cave, which I'm sorry to say is where this album belongs. Overall, it seems Pando had a bold idea to deliver an album (as the album name suggests) that has no signs of ageing as time goes on, however it fails in it's pursuit, leaving you with a disjointed feeling of dissatisfaction. (Stuart Barber)

lunedì 22 luglio 2019

Epitaphe - I

#PER CHI AMA: Death/Doom, Morbid Angel
Non solo black sperimentale dalla Francia, questa volta abbiamo infatti a che fare con gli Epitaphe e il loro oscuro death doom. Editi dalla Aesthetic Death, la band di Claix, minuscolo paesino alle porte di Grenoble, ci propone il proprio debut album, intitolato semplicemente 'I'. Cinque lunghi vagiti che cominciano dal caliginoso sound di "Smouldering Darkness", l'opener che per quasi venti minuti si prende cure delle nostre paturnie con lugubri atmosfere funeral e ben più aspri riffoni di scuola Morbid Angel, che irrompono come carta vetrata nell'incedere angosciante dei quattro transalpini. Il risultato finale ha sicuramente il suo fascino proprio per la varietà della proposta dell'act francese, abile sia nelle porzioni a rallentatore che in quelle più demolenti e death oriented, oltre che in arrangiamenti disarmonici che fungono da legante tra le due componenti della compagine. Martoriati dalla violenza del rifferama degli Epitaphe, ci avviamo all'ascolto della seconda "Embers", una song di più breve durata (ben dieci minuti!) caratterizzata da una pericoloso e orrorifico blackened death che enfatizza l'ansiolitico, oppressivo e nevrotico mood dei nostri. "Rêverie" funge invece da intermezzo acustico tra la prima e la seconda parte del cd, offrendoci 224 secondi di rilassanti e melodici arpeggi che ci preparano alla furia iconoclasta di "The Downward Stream", un'altra sassaiola di quasi dieci minuti all'insegna di un malvagio death sound di scuola floridiana. La song ci spara in faccia riff ferali accompagnati da un basso pulsante e da una voce che si prodiga tra il growl catacombale ed un cantato più comprensibile, in un avanzare che ha modo di offrire anche qualche richiamo agli Absu, oltre che le classiche frenate doom che irrompono qua e là lungo tutto il lavoro. Un lavoro diciamolo subito, che per molti rischierà di risultare a dir poco indigesto; non è infatti per nulla semplice avvicinarsi all'act francese, la cui proposta necessita di svariati ascolti, soprattutto quando ti trovi davanti ai venti insormontabili minuti di "Monolithe", che a questo punto risultano come una vera e propria parete dell'Everest da scalare. Non lasciatevi infatti ingannare dal tiepido inizio ambient del brano, perchè da li a breve, emergerà nuovamente tutta l'essenza malvagia del combo francese. Ancora isterismi estremi saranno infatti lì a dispensare riffoni spaventosi, ritmiche sghembe e vocals diaboliche prima di un break centrale quanto mai inatteso, all'insegna di sprazzi post rock acustici, e di una roboante conclusione death che sancisce la fine delle ostilità targate Epitaphe. Prestate assolutamente attenzione! (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2019)
Voto: 75

https://epitaphe.bandcamp.com/album/i-2

giovedì 4 luglio 2019

Arcane Voidsplitter - Voice of the Stars

#PER CHI AMA: Drone
Oltre un'ora di musica in tre brani strumentali, una super scalata da affrontare con i belgi Arcane Voidsplitter e la loro ostica proposta all'insegna di un drone dalle tinte funeral. 'Voice of the Stars' è il titolo del secondo album della one-man-band fiamminga, capitana da Stijn van Cauter, uno che suona, tra gli altri, in Until Death Overtakes Me, The NULL Collective e The Ethereal, tutte band che conosciamo bene qui nel Pozzo dei Dannati. Le danze si aprono con le tastiere cosmiche di "Arcturus", un brano che ci porta inevitabilmente verso l'infinito astrale, immersi in mille pensieri esistenzialisti e a quel concetto di finitezza umana di fronte all'immensità dell'Universo. Le melodie soffuse quasi ipnotiche dell'opener m'inducono a questo, a scollegarmi dal mero materialismo e collegarmi di contro ad una spiritualità superiore in un enigmatico flusso dronico che mi spinge a riflettere anche su un altro quesito della scienza "siamo davvero soli nell'Universo?". No, non lo credo, mi piace pensare che ci sia cosi tanto spazio a disposizione là fuori da contenere cosi tante forme di vita che nemmeno immaginiamo. Pensieri, mille quesiti, poche certezze si dipanano nella mia testa mentre scorrono le melodie droniche ancestrali dell'opening track e della successiva "Betelgeuse" che ci catapulta immediatamente sulla stella supergigante rossa che brilla nella costellazione di Orione. Le pulsazioni sonico ambientali che si scorgono in questo angolo della galassia sono piuttosto simili a quelle ascoltate sino ad ora, ma questi quasi 35 minuti di suoni stellari, che somigliano a quelle gigantesche ma minuscole esplosioni che punteggiano le stelle, servono piuttosto a raccogliere altri pensieri e suggestioni, alla ricerca di una pace interiore che sbricioli inutili paure interiori. È musica zen quella contenuta in 'Voice of the Stars', non certo metal, e nemmeno forse vuole esserlo. "Aldebaran" è l'ultimo atto di questo viaggio interstellare, una stella considerata fortunata, apportatrice di ricchezze e onori, ma che qui ci lascia avvolti in un senso di vuoto assoluto, privo di ritmi e d'intemperanze cosmiche, un senso che induce a sognare mondi paralleli, distanti solamente qualche milione di anni luce. (Francesco Scarci)

lunedì 17 giugno 2019

Zatemno - В петле

#PER CHI AMA: Black/Death/Folk, Moonsorrow
Dalla Russia con amore, ecco arrivare i moscoviti Zatemno con il loro full length di debutto, 'В петле', fuori per la sempre attenta Aesthetic Death. Un disco che include quattro soli pezzi di black/death metal melodico contaminato da influenze popolari. Per giustificare questa mia affermazione, vi basti dare un ascolto all'opener "Вступление", dove compare l'utilizzo di una fisarmonica, ma sia chiaro che non abbiamo a che fare (almeno in questa circostanza) con nulla di etno-folk in stile Eluveitie, visto che il duo picchia davvero duro con linee di chitarra iper tirate, relegando solo a pochi frangenti l'utilizzo dell'inimitabile strumento aerofono che torna nell'incipit acustico di "Лишь только ветер". Qui ad accompagnarla c'è un pezzo parlato (ovviamente in russo), poi la song prende una strana piega visto che si avvicina maggiormente ad uno di quei brani suonati dagli artisti di strada in una qualche fiera di provincia, con uno screaming (unica forma di musica estrema) che si sovrappone ad un cantato artistico-teatrale, in una sorta di rivisitazione dei Pensées Nocturnes. Sono un po' disorientato in effetti, ma la title track ripristina le cose con un sound più estremo, pur sempre contaminato da influenze popolari, in un incedere di violenza, folklore e follia che miscela i Pensées Nocturnes con i Moonsorrow. L'ultimo pezzo, "Копотью солнца", si muove tra un black stralunato, punk, linee melodiche death metal, folk e infine anche drone, affrontando poi a livello lirico, tematiche legate ai meccanismi distorti di alienazione e conflitto della mente umana, fino al suicidio. Insomma, 'В петле', il cui significato è "sulla forca" (o con il cappio al collo), è un album abbastanza eterogeneo e particolare che forse non demarca esattamente alcun limite imposto dal duo russo nella visione musicale che hanno in mente. Il mio consiglio è quello di dargli un ascolto attento, perché alcune cose lasciano intravedere una vena assai originale dei nostri. Bene, ma si può e deve fare ancora meglio. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2019)
Voto: 69

https://deathknellprod.bandcamp.com/album/-

domenica 9 giugno 2019

Voz De Nenhum - Sublimation

#PER CHI AMA: Black Sperimentale, Deathspell Omega, Aborym
L'Aesthetic Death da sempre mostra una capacità superiore di scovare le più stralunate band del pianeta per inserirle nel proprio roaster. Il progetto di oggi nasce da musicisti provenienti dalla scena cipriota e da quella inglese, inglobando in questi strani Voz De Nenhum, gente che arriva da esperienze precedenti in Bestia Arcana, Frozen Winds o Tome of the Unreplenished, tanto per fare alcuni nomi. Il quintetto internazionale propina in 'Sublimation' un black sound che sembra già maturo e "Ia'Iaxa" ne è la dimostrazione, grazie ad una proposta tortuosa, esoterica, selvaggia ed ispirata. Non che i nostri stiano inventando chissà che, ma quello che suonano alla fine si dimostra assai affascinante, un po' come sentire un improbabile mix tra Mayhem, Aborym e Deathspell Omega, con suoni sbilenchi, voci catramose (e non solo) alla Attila Csihar, scorribande selvagge (forse ancor più enfatizzate nella seconda doomish "Hornbearer"), oscuri break sperimentali dal vago sapore noisy ed una buona dose di melodia che permea l'intero lavoro. Le canzoni poi non mostrando durate impossibili, si fissano nella testa già dopo il primo ascolto e pur essendo 'Sublimation' un lavoro collocabile in ambito estremo, alla fine finisce per risultare ben più accessibile di altre proposte apparentemente più morbide. "Nails" ad esempio ha un attacco morbido, acustico, con tanto di voci pulite, mentre in sottofondo sembrano rombare i motori di un macello pronto ad esplodere da li a breve, ma che in realtà rimarrà strozzato nelle sole urla del vocalist e nulla di più, quasi un peccato. Suggestivo, ancor di più con l'ascolto della compassata industrial/cibernetica, "Chains", un pezzo dall'andamento quasi marziale, accompagnato dai vocalizzi urticanti del frontman e poi da una schizofrenica ritmica che sfocia in un caos primordiale che mi ha evocato il famigerato finale di "Raining Blood". Nient'affatto male. E il finale ha ancora alcune carte da giocarsi. "They" ad esempio, nel suo chitarrismo noise a rallentatore, successivamente accompagnato da un drumming quasi tribale e da una dose di synth che costruiscono atmosfere siderali, mostra un'altra faccia, più ponderata sicuramente, dei Voz De Nenhum. L'ultimo atto è affidato al bisbetico incedere di "Voidsworn" e alle sue sghembe melodie di derivazione francese, che viaggiano a braccetto con i caustici vocalizzi dei due cantanti. In definitiva, 'Sublimation' è un lavoro interessante, soprattutto in chiave futura se i nostri terroristi sonori sapranno meglio miscelare le loro influenze con la loro personalità non indifferente. Bravi. (Francesco Scarci)

venerdì 7 giugno 2019

Of Spire & Throne – Penance

#PER CHI AMA: Funeral Doom/Sludge, Esoteric
Gli Of Spire & Throne sono un nome probabilmente già noto agli appassionati del doom metal più tenebroso: attivi fin dal 2009, si sono rimboccati le maniche producendo una serie di demo, EP e split, guadagnandosi le attenzioni della Aesthetic Death, etichetta da sempre molto attenta alle novità dell’underground estremo, e con questa, nel 2015 hanno rilasciato il primo LP 'Sanctum In The Light'. Ora è il turno di 'Penance', nuovo imponente monolite sludge\doom che non devia di molto da ciò che ci è stato presentato in precedenza, semmai calca la mano portando la musica della band ad un nuovo livello di oppressione. Il terzetto scozzese qui danza tra la lentezza esasperante del funeral doom e i riff granitici propri dello sludge, mantenendo una sorta di sofferente equilibrio tra le due correnti acuendo la sensazione di precarietà e malessere: ogni mortifero drone sembra in procinto di ricomporsi in riff grondanti cattiveria, così come ogni struttura ritmica dà l’impressione di poter franare da un momento all’altro in caotiche destrutturazioni. La musica emerge dagli abissi nella strumentale “From Dust” e si spande come una torbida marea, tra i rallentamenti da capogiro di “Their Shadow Cast” e le devastazioni soniche di “Sorcerer”, celebrando così l’incontro tra il sound decadente dei loro “cuigini” Esoteric e i Sumac più nevrotici. Muoversi tra le sei tracce che compongono il disco, significa trascinarsi in una distesa desolata subendo ogni sorta di privazione, al punto che mai titolo fu più azzeccato: i freddi effetti di tastiera, i ruggiti del basso, i solenni riff di chitarra e le cadenze lisergiche della batteria, ci accompagnano come inquisitori, in questi 63 minuti di espiazione, mortificando con improvvisi scoppi di violenza l’ascoltatore inerme. Con queste coordinate è chiaro che non stiamo parlando di un album per tutte le stagioni e come chi non sia particolarmente attratto dalle esasperazioni del funeral-doom potrebbe patire una certa stanchezza, visto anche il minutaggio generoso dei brani. Tuttavia, le sfuriate più incattivite e vicine allo sludge e allo stoner, aiuteranno anche i profani a reggerne l’impatto fino alla fine. Inoltre, associare l’ascolto alla visione di uno di quei film horror dove i protagonisti non trovano alcuno scampo, o alla lettura del romanzo di Umberto Eco “Il Nome della Rosa”, dove nemmeno l’impegno e gli sforzi di Guglielmo e Adso, riescono ad evitare la catastrofe finale, potrebbe risultare un’esperienza impressionante. In 'Penance' l’unica luce che illumina il percorso è quella di fiamme rabbiose che covano sotto una coltre di cenere, ossia quella di una forza distruttiva e che non lascia scampo. La salvezza non è prevista, dunque, come ripeteva stolidamente Salvatore nel romanzo di Eco, “Penitenziagite!”. (Shadowsofthesun)

lunedì 20 maggio 2019

Haiku Funeral - Decadent Luminosity

#PER CHI AMA: Industrial/Dark/Ambient, Esoteric, Godflesh, Samael
In un mondo dominato dal conformismo, dove ogni forma d’arte e d'intrattenimento tende sempre più ad appiattirsi allo scopo di compiacere la maggioranza del pubblico e sulla spinta di logiche di mercato, è naturale che le voci fuori dal coro esplorino sentieri totalmente opposti, puntando su proposte singolari ed estreme, per porsi come alfieri di coloro che non accettano di essere omologati e incatenati alla deriva generale. Nobile scopo senza dubbio, ma da perseguire con accortezza, perché il confine tra provocazione e forzatura è molto breve. Prendiamo l’ultimo lavoro degli Haiku Funeral, duo francese (in realtà un americano e un bulgaro trapiantati chissà come a Marsiglia) che nel 2016 si era fatto notare con ‘Hallucinations’, album dalle coordinate nettamente metal, per quanto ricco di contaminazioni elettroniche e sonorità a cavallo tra l’industrial e le melodie orientaleggianti dei Septicflesh. Questo ‘Decadent Luminosity’ si libera invece di ogni elemento tradizionale, dando preminenza alla componente elettronica e danzando ipnoticamente tra la pesantezza apocalittica dei Godflesh, i tribalismi meditativi alla OM, e l’esasperante lentezza degli Esoteric. Il tentativo di diluire tutti questi elementi ha ovviamente influito sulla durata di questo mastodonte musicale, che si presenta come un doppio album di un’ora e mezza: da un lato ‘Decadent’, dove dominano la freddezza marziale della drum-machine e i rabbiosi giri del basso di William Kopecky, dall'altro ‘Luminosity’, che invece si muove in malsane paludi dark ambient in cui di luminoso troviamo ben poco. Sempre presente invece l’elemento vocale, con Dimitar Dimitrov che ci accompagna in questa specie di discesa negli inferi come un blasfemo Virgilio, alternando il cantato cadenzato in stile Blixa Bargeld allo scream black metal, a cui si aggiungono poi svariati effetti orchestrali, sax, violini, voci femminili e mormorii indistinti che non fanno altro che aumentare la sensazione di trovarsi in gita sulle rive del Flegetonte. È dunque la debordante ricchezza di elementi ed influenze, più che il minutaggio, a rendere quest'album molto ostico: delle due parti è sicuramente ‘Decadent’ a risultare più accessibile, caratterizzata da pezzi in cui la forma canzone è più definita e dove risaltano la marziale e meccanica "The Crown Of His Glory", le grandiose atmosfere sinfoniche di "The Dreams Of Celestial Beings" (in cui è avvertibile l’influenza degli ultimi Samael) e l’allucinante orgia ritualistica di “Dreaming Kali In The Temple Of Fire”, dove si combinano elementi orientali con la teatralità dei Kilimanjaro Darkjazz Ensemble. I richiami al collettivo olandese fanno capolino anche nella seconda parte dell’album ("Vision Pit"), ma qui basso e drum-machine ci abbandonano per dare spazio a stridenti feedback ed oscuri effetti elettronici, mentre si compie la metamorfosi del cantante da guida dantesca a vero e proprio sacerdote demoniaco, apparentemente impegnato nell’evocazione di creature non euclidee. Bisogna ammettere che la scelta di dedicare interamente metà dell’opera alla componente ambient rende faticoso anche per l’ascoltatore più eterodosso arrivare alla fine senza skippare qualcosa, questo perché il passaggio tra le pulsanti dinamiche di ‘Decadent’ all’esasperante lentezza di ‘Luminosity’, è forse troppo brusco (un po’ come passare da 'Pretty Hate Machine' dei Nine Inch Nails ad un disco dei Raison d'Être) e le due parti finiscono per avere ognuna vita propria. Il risultato finale è un esperimento affascinante ed ambizioso, ma poco equilibrato, talmente trasgressivo da rischiare di non essere preso del tutto seriamente. Una maggior sintesi delle varie tendenze della band e un minutaggio più contenuto avrebbe permesso a ‘Decadent Luminosity’ di risaltare maggiormente tra le uscite estreme di questi ultimi 12 mesi, ma forse gli Haiku Funeral preferiscono muoversi nella buia desolazione dei gironi infernali più profondi. (Shadowsofthesun)

(Aesthetic Death Records - 2018)
Voto: 66

https://haikufuneral.bandcamp.com/album/decadent-luminosity

lunedì 3 settembre 2018

Nagaarum - Apples

#PER CHI AMA: Avantgarde Metal, Thy Catafalque, Fleurety
Nagaarum atto diciassette: tanti infatti sono gli album del mastermind ungherese in soli sette anni. Dagli esordi ambient elettronici di 'Űrerdő', passando per pulsioni sperimentali più orientate al versante black con album quali 'D.I.M.' o 'Homo Maleficus' che mi hanno fatto avvicinare a questo ecclettico musicista, fino ad arrivare a quest'ultimo 'Apples' (un concept sugli aspetti spirituali della scienza dalla mela caduta in testa a Isaac Newton a qualcosa di assai più profondo), una sorta di compendio di tutti i generi musicali concepiti da Mr. Nagaarum. E l'inizio noise della prima parte del disco ("Middle Age" che apre la sezione identificata come "Spiritual Birth") lo dimostra. Si sprofonda successivamente in territori doom sperimentali con "Isaac", ove fa la sua comparsa la voce assai convincente (in versione pulita) del factotum originario di Veszprém, coadiuvato anche dalla narrazione di Roland Szabó, in una song che ha da offrire una seconda metà maestosa, tra stacchi black e fughe sinfoniche che possono ricordare un'altra realtà ungherese, i Thy Catafalque. Suoni dronico celestiali con "Celestial Mechanism", ma con un titolo del genere, cosa pretendevate? Altri sperimentalismi sonori forse? Beh, "Prism" vi potrà sicuramente accontentare con soluzioni delirante tra bordate in stile ultimi Fleurety, linee di chitarra sghembe, suoni psichedelici, vocalizzi urticanti che si intrecciano a voci lisergiche, in un pastone sonoro di difficile catalogazione. Che goduria per le mie orecchie, visto anche un imprevedibile finale ambient. Folgorazioni estreme per "Robert", dove le chitarre si avvitano su se stesse in deflagaranti esplosioni sonore che ci conducono in territori quasi brutal death, qui il caos regna sovrano, dove il growl e il clean si sovrappongono in modo bizzarro prima di disinnescarsi a vicenda e riprogrammarsi in territori electro-post rock. Chi è in cerca di emozioni forti, qui ne troverà a bizzeffe. Giusto il tempo di riposare le membra con un altro fuori programma sintetico ("Hermit") ed entriamo nella seconda parte del disco ("Become a Savant") con la narrazione in apertura di "Nullius in Verba" e le ambientazioni lugubri e decadenti del brano che ci accompagnano fino a quando una soave voce femminile (quella di Betty V.) si prende la scena in "Edmond", una song che potrebbe evocare i Green Carnation più delicati che si miscelano con i The 3rd and the Mortal o i Tristania degli esordi, ancora i Within Temptation o i Trial of Tears, in una song che mi ha davvero conquistato, cosi come tutto il resto del disco d'altra parte, che ha ancora voglia di inglobarci nelle maglie ambientali e cibernetiche di "Revelations" (attenzione che anche qui le sorprese sono sempre dietro l'angolo) o nella tumultuosa tempesta cinematografica di "New Tone". Difficile catalogare questo disco con un genere, visto il suo essere un caleidoscopio di suoni più unici che rari. Fatto sta che 'Apples', nel suo essere lungo e complicato, affascina non poco e il prog rock di "Modern History" è lì a dimostrare che nulla è scontato al suo interno, nemmeno l'oscuro epilogo ambient di "Royal Society". Nagaarum atto diciassette: approvato alla grande! (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2018)
Voto: 80

https://ngcprod.bandcamp.com/album/apples

lunedì 28 maggio 2018

Doomster Reich - Drug Magick

#PER CHI AMA: Psych/Stoner, Electric Wizard, Pentagram
I Doomster Reich sono un combo di navigati musicisti provenienti da Łódź, carichi di esperienza che si fa notare ormai in tutti i loro lavori, un gruppo che merita tutta la vostra attenzione considerato che dalla loro prima uscita discografica, i nostri sono cresciuti moltissimo. Devo ammettere che ci ho messo un bel po' di ascolti per convincermi che la nuova release della band polacca, uscita per la Aesthetic Death l'anno scorso, fosse stata registrata in una session live presso i Radio Lodz concert studio, tanto è buona la produzione quanto alto il valore della musica espressa. Prodotti da Kamil Bobrukiewicz in maniera ottimale fin dall'iniziale "Gimme Skelter", song peraltro irresistibile, 'Drug Magick' riesce a mantenere sia la tensione live che la qualità di un album doom/stoner/vintage hard rock di egregia fattura per tutta la sua durata. Brano dopo brano ci si immerge in una totalità cosmica e psichedelica acidissima (ascoltare "Rites of Drug Magick" per credere) , figlia dei Pentagram quanto degli ultimi Electric Wizard, con un sound ribassato ma molto frizzante, allucinato e con un calorosissimo pathos nelle parti più colorate. Ci sono poi esplosioni di memoria 70's come riuscivano ai migliori Nebula, suoni dilatati, assoli space oriented ideali per esplorare il cosmo, e una voce che sembra arrivare da una galassia ignota, pronta a salmodiare prediche politicamente scorrette condite di funghi allucinogeni ("Round the Band Satan"). L'attitudine doom emerge in "Meet the Dead" con un incidere blues e una chitarra che sputa note lisergiche come fossero lava ardente, e con i fantasmi di Hendrix e co. che si riaffacciano al mondo delle sette note con nuove colorazioni e rivisitazioni, in quasi nove minuti di sbornia psichedelica lasciata libera di creare effetti stupefacenti di ogni tipo. "Chemical Funeral" omaggia a suo modo gli insuperabili Cathedral, nel suo essere così vintage e nuova allo stesso tempo. Per chiudere, la più sperimentale e lunghissima "Black Earth, Red Sun", dove la band assume un'anima oscura, sinistra, desertica e mantrica di tutto rispetto, mostrando che di psichedelia non ci si stancherà mai e che le sue strade sono infinite, l'ennesimo viaggio ai confini della concezione psichica umana. Album sorprendente, non fatevelo scappare! (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2017)
Voto: 80

https://doomster-reich.bandcamp.com/