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domenica 28 giugno 2020

Tourettes Syndrome - Sicksense

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Crossover/Nu Metal, Korn
Dalla terra dei canguri arrivano da sempre mirabolanti creature in grado di sconquassare il mondo musicale con misture imprevedibili di musica. Per quanto concerne i Tourettes Syndrome, stiamo parlando più in specifico di hardcore, nu-metal e altri elementi (groove death in primis) a creare un sound apoplettico e bizzarro. Il quartetto di Sydney all'epoca del loro secondo disco, 'Sicksense' che è seguito cinque anni dopo il debutto omonimo del 2001, ci attacca con undici sciabordanti tracce (sono inoltre incluse tre bonus video tracks), in cui su una ruvida ritmica hardcore si staglia l’incredibile voce di tale Michele Madden (oltre che brava anche molto bella). Ho scritto incredibile, perché non avevo intuito, neppure lontanamente, che i profondi grugniti growl fossero i suoi, tanto meno le “grungeriane” clean vocals. L'album è un concentrato di chitarre possenti e aggressive in pieno stile Korn, su cui s’inseriscono elementi elettro-noise, punk e industriali; ciò che continua a stupire per l’intera durata dell’album è comunque l’eclettismo vocale di Michele, vera figura carismatica della band australiana, capace di passare in modo disinvolto dal growling a voci isteriche, da suadenti clean vocals al cantato grunge. Rabbia, frustrazione e depressione, sono contenuti in questo secondo capitolo di questa compagine originaria di Sydney. Anche se non totalmente originalissimi, i nostri sono carichi di energia e hanno creato un ottimo disco che potrà interessare chi non è troppo vincolato a generi o sottogeneri, al metallaro dalle visioni allargate a 360°. Sebbene io non rientri in questa classe, a me i Tourettes Syndrome sono piaciuti, peccato solo che dopo il successivo album del 2007 se ne siano completamente perse le tracce. (Francesco Scarci)

Comity - ...As Everything is a Tragedy

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Post Hardcore, Dillinger Escape Plan
Li abbiamo recensiti in occasione del loro ultimo lavoro, 'A Long, Eternal Fall', li ripeschiamo oggi con il vecchio '…As Everything is a Tragedy', quando ho potuto apprezzarli per la prima volta nella loro ossessiva e asfissiante veste musicale. I parigini Comity sono essere un interessante ibrido tra The Dillinger Escare Plan, Neurosis e Meshuggah, i primi per la loro follia di fondo, i secondi per la loro genialità, i terzi per la capacità di costruire ritmiche monolitiche ammorbanti, atmosfere rarefatte e oppressive. La struttura dei brani di questo lavoro si rivela infatti veramente delirante a causa della sua elevata complessità: i nostri sono dei maestri nel portarci al limite del baratro con dei momenti di frustrante ultra doom, per poi scaraventarci giù dalla rupe con la violenza profusa dalle schizoidi ritmiche. La musica dei Comity non è del tutto ortodossa e difficilmente potrà piacere ad un vasto pubblico, tuttavia chi ama questo genere di sonorità non potrà fare a meno di dare un ascolto alla spirale emozionale messa in atto da questi pazzi scalmanati autori di un’astratta musica brutale. Non posso segnalarvi un brano piuttosto di un altro perché il disco fra le mani consta di 99 schegge impazzite (suddivise in quattro suite), frapposte a momenti di inusuale calma e melodia che preludono al caos primordiale. Qui c’è da farsi male! (Francesco Scarci)

sabato 27 giugno 2020

Words of Farewell - Inner Universe

#PER CHI AMA: Melo Death, Scar Symmetry
Da Marl, cittadina della Renania settentrionale-Vestfalia, ecco arrivare questi Words of Farewell, che i più attenti di voi se li ricorderanno in giro da almeno tre lustri e con tre album già in cascina. Il sestetto teutonico, in pausa dal 2016 quando uscì l'ultimo 'A Quiet World', ha pensato bene di dare un segno di vita ai propri fan, rilasciando questo 'Inner Universe', EP di quattro pezzi. Il lavoro si apre con la grandinata melodica di "Chronotopos" che mi permette di comparare immediatamente il sound dei nostri con quello degli svedesi Scar of Symmetry: chitarre fresche e frizzanti, tastierine stile Bontempi, growling vocals alternati a clean vocals, lampi progressive, begli assoli e signori, il gioco è servito per mostrarci lo stato di forma dei Words of Farewell. La band è tornata in sella e pian piano si rimetterà in sesto per offrire anche un nuovo full length, ma nel frattempo godiamoci questo lavoretto. "Whispering Deeps" è leggermente più cupa dell'opener, pur mantenendo intatti gli ingredienti sopra menzionati e con le melodie delle sei corde a giocare un ruolo fondamentale come guida per i fan nell'ascolto del disco. Ottima quindi la linea di chitarra che si concretizza ancora meglio nel confezionare un assolo davvero lungo e coinvolgente che da solo varebbe il cosiddetto prezzo del biglietto. Il trend melodico si conserva anche nelle successive "Offworld" e "Alter Memory": la prima dapprima caratterizzata da una forte componente malinconica, con le tastiere che costruiscono splendide atmosfere e in seconda battuta, la song sembra prima assumere toni orientaleggianti e poi di un melo death in formato Insomnium, il tutto in poco più di quattro minuti. L'ultima traccia invece è la più diretta, ruvida e veloce ma dotata di un bel break atmosferico ove compare una parte parlata, da quanto ho capito, estratta dal discorso conclusivo di Charlie Chaplin ne 'Il Grande Dittatore', che sancisce un comeback discografico davvero interessante. (Francesco Scarci)

Dark Divinity - Messianic

#PER CHI AMA: Death/Black
Mentre sulle piattaforme musicali in patria i Dark Divinity sono già seguitissimi, nel resto del mondo nessuno sembra essersi accorto della release di debutto della band di Wellington. Ci troviamo in Nuova Zelanda ovviamente e 'Messianic' è l'EP d'esordio dei nostri dopo una sfilza di singoli usciti dal 2017 in poi. Il dischetto consta infatti di alcuni di quegli stessi singoli più un paio di novità. Ah, dimenticavo, il genere proposto è un death black dalle tinte melodiche, ma questo è chiaro sin dalle oscure note iniziali di "Set in Stone", che ci dice come la band sia ispirata dai grandi classici svedesi, At the Gates e Dissection, in primis. Quello che sorprende a parte la tagliente ritmica, sono le vocals possenti della tatuatissima Jolene Tempest, il cui stile è un mix tra un growl e uno screaming comunque intellegìbile. Se la prima song mi ha conquistato subito per forza, melodia e brutalità, la seconda "Vertigo" (una delle due nuove) mi ha lasciato un po' più con l'amaro in bocca, senza trasmettermi nulla di che, se non investirmi con quel muro di chitarre che alla fine lasciano il tempo che trovano. "Cambion" sarebbe la seconda news ma dura solo 80 secondi e funge più da collegamento, nella sua interezza strumentale peraltro dotata di un'ottima melodia, con "Night of the Witches". La terza canzone continua a picchiare con quel suo piglio scandinavo, forse un po' troppo freddo e poco coinvolgente che palesa sicuramente un'ottima preparazione tecnica e poco altro. Il quintetto chiude la sua prima fatica con "Seasons of Dark" che in fatto di violenza death/black, probabilmente non è seconda a nessuno in questo loro lavoro d'esordio. Ora, bisogna guardarsi negli occhi e decidere che fare, continuare su questa scia ed essere i signori nessuno, oppure dotare i pezzi di un bel po' di personalità. Ai Dark Divinity l'ardua scelta... (Francesco Scarci)

Before the Common Era - Anthropologic

#PER CHI AMA: Prog Death/Groove
I Before the Common Era sono un quintetto originario di Londra che con questo 'Anthropologic' varano il loro debut assoluto nel mondo metallico. La proposta offerta dai cinque British in questo EP è all'insegna del death progressive. Questo si evince dal bombardamento ritmico di "Sol", il piccolo gioiellino posto in apertura che indica la via seguita dal quintetto, che si muove tra influenze di meshuggana memoria e rimandi a Devin Townsend e Tesseract, motivo questo per cui i nostri hanno avuto una immediata presa sul sottoscritto. Le melodie sono interessanti, la classica poliritmia di matrice svedese fa il resto con le vocals del frontman che si muovono tra il growl e il pitch pulito, stile ampiamente sfruttato soprattutto nella seconda "Hadeharia". Certo non siamo al cospetto di nessuna novità stilistica, però mi piace poter segnalare nuove band che approcciano da poco il mondo musicale, sperando un domani di aver avuto ragione nel sottolinearne le qualità. La band continua a macinare riff carichi di quel groove che gronda da tutti i pori e "Repudiation" è il manifesto di buoni propositi in termini di belligeranza, esposto dal rifferama caustico e serrato della band. A chiudere questo primo capitolo, ecco "The Tenth Dimension" un brano che miscela in modo bilanciato melodia e violenza in questo primo EP targato Before the Common Era, che meritano di una chance più lunga e strutturata per un giudizio finale meglio delineato. (Francesco Scarci)

Mother Island - Motel Rooms

#PER CHI AMA: Indie/Surf Rock
Uscito esclusivamente in vinile, "Motel Rooms" è il terzo album dei vicentini Mother Island, entità al sottoscritto completamente sconosciuta, complice un genere che non bazzico poi cosi di frequente. Stiamo parlando di un psych rock sensuale e dalle tinte western, che ha saputo conquistare anche la mia anima estrema. Mi sono messo comodo, rilassato, fatto partire il disco senza essere troppo prevenuto nei suoi suoni e via "Till The Morning Comes", con la voce femminile della frontwoman Anita Formilan a farmi da guida, le calde melodie avvolgenti e quelle atmosfere psichedeliche che ci riportano a fumosi party in terra statunitense di fine anni '60. Queste le immagini che mi sovvengono ascoltando l'apertura di questo lavoro dai suoni sicuramente vintage (la cui definizione stilistica orbita in realtà dalle parti del jangle pop), ma comunque traslati in un contesto attuale più ricercato e dal risultato sicuramente piacevole. Più movimentata la seconda "Eyes Of Shadow", che mantiene intatto quello spirito surf rock "made in USA", già ampiamente apprezzato nell'opening track che di sicuro mai mi farebbe collocare le origini di questa band nelle lande venete. Detto questo, proseguo nel mio ascolto del disco, facendomi sedurre dalle melodie di "And We’re Shining", cosi come dalla vena prettamente seventies di "Summer Glow", un brano un po' più deboluccio rispetto ai precenti episodi dell'album. "We All Seem To Fall To Pieces Alone" è una ballad country parecchio malinconica che mi ha evocato nell'utilizzo dei fiati, certe cose sperimentali degli *Shels (ma anche una certa vena morriconiana), riproposti in una chiave decisamente più soft. Ancora una manciata abbondante di brani, ove vi segnalerei l'inquieta "Santa Cruz" che nelle sue corde ha un che di proto-punk e la conclusiva e suadente "Lustful Lovers" che chiude con le sue note languide e lisergiche un disco che ascoltato cosi, d'emblée, senza conoscere i pregressi della band, me ne ha fatto apprezzare proposta e attitudine. Per ora lascio un giudizio su un disco senza conoscere la precedente discografia della band, spero solo di non dovermi rimangiare le parole in futuro. (Francesco Scarci)

(GoDown Records - 2020)
Voto: 69

https://www.facebook.com/Motherisland/

Seims - 3 + 3.1

#PER CHI AMA: Math/Post Rock/Avantgarde
Quello dei Seims è il tipico lavoro di casa Bird's Robe Records, un'etichetta che seguiamo ed apprezziamo da anni qui nel Pozzo dei Dannati. E cosi, un po' come tutte le band della label australiana, anche la compagine di Sydney propone un sound (semi)strumentale, all'insegna di un ibrido sperimentale tra post rock e math. Peraltro, come il titolo suggerisce, '3 + 3.1' include l'album '3' uscito nel 2017 e l'appendice successiva, '3.1' appunto, rilasciata lo scorso anno, qui ora raccolte in un'unica release. Sette pezzi quindi da ascoltare, cominciando dall'opener "Cyan", una song che inizia a fare chiarezza sul concept relativo ai colori e alla scelta ora più sensata dell'artwork di copertina. Una traccia che parte come avvolta in un nero velo che sembra lentamente in grado di dischiudere colori via via più brillanti, muovendosi da un post rock chiuso e riflessivo verso lidi western (splendide le trombe e gli archi a tal proposito) e poi sul finale, follemente più math rock oriented, con un risultato piacevole e originale, che non manca di robustezza e divagazioni electro jazz avanguardiste. Il secondo colore è "Magenta", e sfavillante quanto la sua tonalità, anche il brano sembra lanciarsi in sonorità dirompenti, che tuttavia non raggiungono la medesima qualità emozionale dell'opener, ma palesano piuttosto una difficoltà nella costruzione di un'architettura sonora altrettanto convincente. "Yellow", il giallo, è la terza tappa nel mondo dei colori dei Seims, e anche qui la proposta del quartetto capitanato da Simeon Bartholomew (supportato da una marea di ospiti) sembra trovare qualche difficoltà in termini di fluidità sonora, sebbene i nostri vaghino in stralunati ed asfissianti mondi noise, math, prog, psichedelicamente ondivaghi come il suono delle chitarre qui contenute. Il pezzo dura oltre 12 minuti e vi garantisco che non è cosi semplice da affrontare senza rischiare la follia mentale (soprattutto nella seconda parte), complice anche l'utilizzo di vocalizzi che sembrano provenire da un gruppo di amici completamente ubriachi ed un finale affidato ad un ambient etereo che stravolge completamente quanto ascoltato fino ad ora. L'unione dei primi tre colori genera il nero imperfetto che dà il nome alla quarta "Imperfect Black", ove ad evidenziarsi è la voce femminile di Louise Nutting su di una linea melodica completamente dissonante che ci conduce ad "Absolute Black", primo pezzo di '3.1' che mostra nuovamente quella verve splendente che avevo apprezzato nella traccia d'apertura e che anche qui risuona in un'ingovernabile struttura matematica davvero imprevedibile soprattutto quando imbeccata da viola, violoncello, tromba e trombone che rendono il tutto decisamente più godibile. Fiati ed archi non mancano nemmeno in "Translucence" (che dovrebbe essere la trasparenza), un pezzo che fatica un pochino a decollare ma che nella sua seconda metà mette in mostra comunque qualche ulteriore buona cosa dell'act australiano. A chiudere il disco ci pensa la roboante e melodica "Clarity", il brano probabilmente più immediato del cd e più semplice se si vuole avvicinarsi alla band. La melodia è davvero coinvolgente e funge da colonna sonora al video estratto dal disco, una sorta di mini documentario sull'esperienza della band in tour in Giappone che ci racconta qualcosina in più di questi meritevoli Seims. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2020)
Voto: 74

https://store.seims.net/album/3-31

The Pit Tips

Francesco Scarci

A Light in the Dark - Insomnia
Postvorta - Porrima
Clouds - Durere

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Shadowsofthesun

Paradise Lost - Obsidian
Wake - Devouring Ruin
Regarde Les Hommes Tomber - Ascension

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Bob Stoner

Krakov - Minus
Buckethead - Worms From the Garden
John Zorn - Salem 1692

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Alain González Artola


Ancient Boreal Forest - A Relic From the Sands of Time
Ygg - The Last Scald
Fellahin Fall - Tar a-Kan

giovedì 25 giugno 2020

Harms Way - Oxytocin

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Heavy/Doom
Un inizio in crescendo apre questo lavoro degli svedesi Harms Way, ormai datato 2006: una chitarra travolgente mi fa ben sperare per un gruppo di cui non ho mai sentito parlare, poi stop. Un Ozzy Osbourne dei poveri mi fa capire che il disco che ho fra le mani è una reinterpretazione dei Black Sabbath scoperta dalla Black Lodge Rec. che ha pensato bene di produrre questo quartetto scandinavo e di darlo in pasto agli avidi ascoltatori. Il risultato non è malaccio, trattandosi appunto di una versione, riletta in chiave più attuale, dei vecchi insegnamenti di Ozzy e soci, e non solo. Si capisce subito dalle ritmiche pachidermiche e ossessive prodotte dalle due asce, con quel loro incedere asfissiante, e quei giri di chitarra che ricamano montagne di riffs a sostegno di una batteria bella potente, che gli Harms Way amano il glorioso passato heavy doom ove si collocano non certo come degli sprovveduti tecnicamente. In alcuni momenti si respira proprio l’aria degli anni ’70; in altri, dove è il basso di Dim a dominare la scena, i ricordi si fanno relativamente più recenti, ad 'Heaven and Hell' degli stessi Black Sabbath, ma anche ad alcune cose dei primi Iron Maiden e al fantastico basso di Steve Harris. Altri giri di chitarra mi rievocano le cavalcate di Adrian Smith ai tempi di 'Killers'. Poi inevitabilmente c'è sempre qualcosa che fatico a digerire e qui è la voce dello stesso Dim, poco potente ed inespressiva; peccato, sarebbe stata l’arma in più, per ottenere un responso critico più positivo. (Francesco Scarci)

(Black Lodge Records - 2006)
Voto: 66

https://blacklodgerecords.bandcamp.com/album/oxytocin

Shaman Elephant – Wide Awake but Still Asleep

#PER CHI AMA: Stoner/Psych/Prog
Tornano sulla scena in grande stile i norvegesi Shaman Elephant, con un secondo splendido album che vede la luce attraverso i canali della Karisma Records, la creativa etichetta che ci ha fatto godere negli ultimi anni diversi ottimi artisti. Il sound del trio di Bergen, mantiene i canoni del precedente album, evolvendosi in maniera esponenziale nella composizione e nella qualità esecutiva. Brani elaborati, lunghe performance acide, melodie e parti vocali ricercate, suoni caldi e vintage, musica impegnata, eseguita e costruita con intelligenza e dedizione (mi piacerebbe sapere perchè un brano si intitola "Steely Dan", proprio come il gruppo statunitense degli anni '70). L'introduttiva "Wide Awake but Still Asleep", che porta il titolo dell'intero box, ci mostra come la band riesca a mescolare varie influenze stilistiche senza mostrare affanni, rendendo anzi la trama fresca e originale, piena di spunti interessanti. Quindi, in un calderone magico, lo sciamano con la proboscide, impasta suoni psichedelici di rock progressivo e alternativo, space rock contaminato da una sezione ritmica molto vivace che scivola felicemente, spesso e volentieri, dalle parti degli Stone Roses, epoca 'Second Coming'. La voce del chitarrista Eirik Sejersted Vognstølen, evoca magia e in alcuni momenti arriva a toccare vertici da brivido, molto vicini al primo Chris Cornell dei Soundgarden, gruppo fondamentale che ritorna alla mente ascoltando questo album (periodo 'Ultramega Ok'), assieme all'energia dei Motorpsycho di 'Demon Box'. Il disco è variopinto, si snoda tra passaggi lisergici vicini allo stoner/acid/prog rock più europeo alla the Spacious Mind/Anekdoten, accostato al progressive tipico di estrose e raffinate band di culto dal forte carattere psichedelico, come Camel o Egg. Rimango stupefatto all'ascolto di "Ease of Mind", una morbida ballata ai confini tra il Jeff Buckley di 'Grace' (impressionante la somiglianza vocale con il compianto cantautore americano) e un certo jazz/folk progressivo, arioso e sognante. La coda del disco, con il penultimo "Traveller", un pezzo di oltre 11 minuti di lunghezza (diviso in tre parti), sintetizza la mia impressione che ci sia un'anima, all'interno della band, devota alla libertà lisergica di interpretare il rock a la Motorpsycho, con le armonie, la spinta degli accordi e il tiro della ritmica che portano proprio sulle loro coordinate soniche. Si chiude definitivamente con la psichedelica "Strange Illusions" e con una magistrale prova vocale, un ottimo album. Un disco denso di emozioni e rimandi musicali che hanno fatto epoca, rimessi in corsa con bravura e conoscenza storica, una band piacevolissima, ottimi musicisti e una produzione ben fatta che mette in linea temporale i suoni di 'Shades of Deep Purple' del 1968 con il nostro tempo. Tanta originalità nel mischiare le carte di un modo di fare rock che ha fatto storia, un disco da ascoltare a fondo e perdersi in un vortice di coloratissime sonorità.

(Karisma/Dark Essence Records - 2020)
Voto: 80

https://shamanelephant.bandcamp.com/album/wide-awake-but-still-asleep

martedì 23 giugno 2020

Halo of Shadows - Manifesto

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Melo Black, Children of Bodom, Dimmu Borgir
La Finlandia da sempre sforna gruppi a ripetizione: il rischio era che prima o poi la qualità musicale tendesse ad abbassarsi, un vero peccato per una nazione che ha dato i natali a band veramente uniche e importanti nel panorama metal internazionale. Questi Halo of Shadows (il cui nome deriva da un noto videogame) propongono un sound a cavallo tra il death tastieristico dei Children of Bodom e un black melodico, in linea con il materiale più soft dei Dimmu Borgir. Non posso dire che la band sia malvagia perché le carte in regola per fare bene ci sono tutte, l’unico problema è che si tratta di un sound già sentito centinaia di volte: cavalcate maideniane (anche se non mi piace assolutamente il suono assai retrò utilizzato per le chitarre) segnano la ritmica delle dieci tracce che compongono questo 'Manifesto', su cui s'inseriscono le classiche tastiere alla “Figli di Bodom”, la pessima voce black del vocalist (nè screaming nè growling in sostanza), dei piacevoli assoli (in pieno heavy metal style) a cura dei due axemen (da brividi peraltro quello di “Drowned in Ashes”) e momenti sinfonici vicini a quanto fatto da Shagrath e soci. Ecco quindi che il gioco è presto fatto: se vi piace questo genere di musica, recuperate questo loro unico vagito, ormai datato 2006, altrimenti gli originali restano sempre i migliori da ascoltare!!! (Francesco Scarci)

Visceral Evisceration - Incessant Desire for Palatable Flesh

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Doom
Nonostante il nome Visceral Evisceration accenni a riferimenti grind-splatter gore, questa band austriaca, con il loro unico album, 'Incessant Desire for Palatable Flesh', ci regalarono nel 1994 (remixato e rimasterizzato poi nei primi anni '90) un intrigante connubio grind-death-doom, dalle tinte grigio scure. Testi anatomo-patologici, accompagnano eccellenti e sofisticate linee melodiche di chitarra; le voci si alternano tra il growl e il pulito, e fa la sua prima comparsa in un genere cosi estremo, la voce operistica di un uomo e di un soprano donna. Musica bizzarra, intensa e mai banale che vi saprà sorprendere con le sue continue geniali trovate. La band ahimè si sciolse dopo quest’unico album per riformarsi nel 1995 sotto il nome di As I Lay Dying da non confondere però con gli omonimi metallers statunitensi. Il neo formato combo austriaco rilasciò un promo e poi sparì del tutto dalla faccia della terra. Un vero peccato, perchè suoni del genere in futuro, non se ne sono più risentiti. (Francesco Scarci)

(Napalm Records - 1994)
Voto: 90

https://www.facebook.com/visceralevisceration/

Minus the Bear - Voids

#PER CHI AMA: Indie Pop Rock
Obnubilate esemplificazioni nu-new-wave: la red-hot-chili-pippettosa "Last Kiss" in apertura potrebbe rammentarvi i Fitz and the Tantrum oppure, per mero nostalgismo, i concittadini Pearl Jam; il mood di "Give & Take" potrebbe al contrario rapportarvi ai Coldplay più assertivi, quelli di 'X&Y', giusto per dirne una a cazzotto. Fate attenzione. La lumacosa "What About the Boat?" fa stuzzichevolemente l'occhiolino a certo noios-pop folkellettuale alla Fleet Foxes mentre "Call the Cops" potrebbe essere una brutta canzone di 'Genesis' (l'omonimo dell'ottantatre), vale a dire una qualunque del lato B. Poi arriva "Silver", una specie di "Child in Time" in chiave 2010s pop, featuring i toni semiepici dei Muse di stocZZ, o quelli di Peter Gabriel III di stamYY, non vi pare? No, non vi pare. Poi il nulla, il quasinulla a essere più benevolenti (l'indiepercui di "Tame Beasts", l'alt-facciocagarismo riempiminuti di "Erase"). Quasinulla perché la molecolare "Lighthouse" in chiusura, oltre a giustificare blandamente la terrificante definizione math-pop affibbiata da certuni, vi ricorderà i The Cure daqualchepartisti di 'Wish' assediati da una catartica, sofferente loudness war. E vafffanculo a Rick Rubin. (Alberto Calorosi)

(Suicide Squeeze Records - 2017)
Voto: 50

https://minusthebear.bandcamp.com/album/voids

High On Fire - Blessed Black Wings

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Stoner/Doom
La terza release degli statunitensi High On Fire, creatura di Matt Pike ex frontman dei mitici Sleep, qui accompagnato dal basso di Gorge Rise e dalla batteria di Des Kensel, è uscita nel 2005 per la Relapse Records. Una copertina con un inquietante gargoyle preannuncia la fine del mondo e anche i titoli dei brani non sono del tutto rassicuranti. Nove pezzi suddivisi in 90 frammenti impazziti per un totale di 53 minuti di montagne di riff apocalittici degni dei Black Sabbath degli esordi, costituiscono 'Blessed Black Wings'. Un album che va oltre, non si ferma qui, cerca di unire la furia degli Slayer con il rozzo rock dei Motorhead. La voce di Pike, oscura e lamentosa come sempre, ricorda vagamente quella di Lars Goran Petrov, ex leader degli Entombed. Anche a livello musicale la proposta dei nostri, pur mantenendo come principale influenza la band di Ozzy Osbourne e compagni e il doom/stoner che ha contraddistinto gli Sleep, ha forti rimandi ai lavori più rock oriented della band svedese, pur mostrando, rispetto al precedente 'Surrounded by Thieves', un appesantimento del sound. La sezione ritmica oscilla tra momenti di pesantissima ma controllata violenza ad altri con vivaci richiami squisitamente seventies, dove comunque a farla da padrone è il continuo e macchinoso lavoro delle chitarre a tessere trame monolitiche e tenebrose, squarciate da ottimi assoli. Devo ammettere che pur non essendo questo il mio genere preferito, ho potuto apprezzare gli improvvisi cambi di tempo, la devastante combinazione di chitarre catacombali e ipnotiche, i melodici assoli, i lamentosi ululati di Pike e le fantastiche storie di bestie sovrannaturali, dimenticate battaglie e fiumi di sangue, tutte cose che mi hanno comunque tenuto incollato allo stereo, a godere di questa entità oscura e malata capace di annientare qualsiasi cosa si presenti sul suo cammino. Matt e soci hanno colpito, anzi direi proprio affondato. (Francesco Scarci)

(Relapse Records - 2005)
Voto: 78

http://highonfire.net/