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mercoledì 16 agosto 2017

Anakim - Monuments to Departed Worlds

#PER CHI AMA: Techno Death, Nile, Obscura, Atheist
Ci ha impiegato ben sei anni la band di Weymouth per rilasciare il famigerato album di debutto. Sei lunghissimi anni, in cui mi sembra che il combo inglese si sia dedicato piuttosto agli altri progetti di cui fanno parte i membri della band, Imperium, Guerrilla, Basement Torture Killings, Chainsaw Castration ed Oncology, giusto per fare qualche nome. E dai moniker di queste band si potrebbe anche evincere il sound che gli Anakim vanno a proporre. Ma infiliamo 'Monuments to Departed Worlds' nel lettore e vediamo di che pasta sono fatti questi cinque ragazzoni britannici, dediti ad un brutal techno death dalle tinte progressive. Lanciandoci all'ascolto di "Sands of Oblivion", la song che viene subito dopo l'intro, non si viene infatti assaliti da velocità supersoniche o da grotteschi attacchi di brutal death gorgogliato dalla classica fognatura dei sobborghi di una qualsiasi città disagiata del mondo, gli Anakim ci offrono infatti un death melodico che prende le distanze da un po' tutto quelle sonorità estreme che saturano la scena. I suoni sono ritmati, le voci ovviamente growl e fortunatamente riusciamo ad evitarci il pig squeal vocale che mi infastidisce non poco. Le chitarre tessono trame ricercate soprattutto a livello solistico, peccato solo che il suono rischi di risultare eccessivamente ovattato e non sia cosi semplici isolare, almeno mentalmente, ogni singolo strumento, con un risultato alla fine parecchio impastato. I nostri proseguono nel picchiare che è un piacere anche nella successiva "Xenognosis", che evidenzia la ricercatezza inseguita dai nostri con un misto di tribalità sorretto da mastodontiche bordate ritmiche (spaventoso a tal proposito, il lavoro di Ewan Ross alla batteria, anche se non mi convince al 100% il suono che ne viene fuori - e non per la tecnica - ma per una certa vicinanza a 'St. Anger' dei Metallica) e rasoiate chitarristiche. "Wraith" è un po' più diretta nel suo approccio, mostrando i muscoli del quintetto del Dorset, con un apparato ritmico bello robusto che vede anche nelle linee di basso del bravo Ant Ridout, un valido alleato a costruire un muro sonoro che ammicca agli Obscura come punto di riferimento per i nostri. La song, dopo un delizioso assolo di Joe Ryan, assume connotati più psichedelici con una spettacolare break centrale e un finale da applausi. Bravi, bravi davvero: non è facile proporre pezzi tostissimi e lunghi senza rischiare di sfiancare l'ascoltatore. Il macello sonoro prosegue con la più canonica "Born of the Serpent's Tongue", una song che a parte i repentini cambi di tempo, non ha altro con cui mettersi in luce, e allora meglio skippare a "Diluvian Wrath" e al riffing acuminato con cui apre, che lascia il posto ad un sound stritolatore frantuma ossa, che in questa song ha un che di ossessivo e ansiogeno. Fortuna nostra è la presenza di uno splendido break acustico che taglia quella tensione che stava dilaniando i miei ultimi neuroni superstiti, per lanciarsi ad un finale più rockeggiante, reso più brillante da uno splendido assolo heavy. Un sound che avvicina i nostri ai Melechesh, prende il sopravvento in "Before the Throne of Ereshkigal", una song che richiama palesemente la mitologia sumera e il mito di Ereshkigal, moglie di Nergal e dea degli Inferi, una canzone che si muove tra un arzigogolato techno death in stile Nile e velati riferimenti black. "The Ouroboros Cycle" strizza infine l'occhiolino al techno death di Atheist o dei primissimi Cynic, mantenendo comunque intatta la carica distruttiva degli Anakim, soprattutto nella seconda metà del pezzo. Si arriva con le ossa ormai maciullate alla conclusiva "Child of Chaos" e mi rendo sempre più conto che affrontare quasi un'ora di suoni cosi potenti, è impresa ardua. Ci pensa l'ultima traccia a lanciarsi in un ultimo arrembaggio a cavallo tra black e death, a sancire cosi la fine di un primo divertente (ma impegnativo) lavoro di debutto per questi interessantissimi musicisti inglesi. Ben fatto. (Francesco Scarci)

Face Down - The Will to Power

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Thrash, The Haunted
Il sound death/thrash o lo si fa bene o meglio lasciar perdere, il rischio è di cadere nell'anonimato, come capitato con il terzo lavoro del 2005 degli svedesi Face Down, riformatisi dopo l'ennesimo scioglimento (ora definitivo) della loro storia. I più preparati sapranno sicuramente chi si cela dietro il nome Face Down: Marc Aro ex-cantante dei The Haunted e altri membri più o meno famosi di band quali Constructdead, Afflicted e Terror 2000. Ed è proprio a queste band principalmente che i Face Down s'ispirano, macchiando il proprio sound con contaminazioni americane thrash-metalcore. Nonostante la presenza di ottimi musicisti della scena metal, 'The Will to Power' si dimostra un album privo di mordente, di sussulti interessanti e di quel quid in grado di farmi scalpitare. È un buon lavoro dal punto di vista tecnico, ma vuoto sotto il profilo emozionale. Il quartetto svedese è bravo nel generare il canonico macello sonoro, alzando una muraglia di riff belli pesanti, nel tentativo di essere il più violento e veloce possibile, troppo poco però per salvare questo lavoro dalla mannaia del recensore frustrato. Neppure la potente produzione a cura di Jocke Skog (Clawfinger) presso i Fear and Loathing studio (Meshuggah) sembra salvare la band svedese, ormai impantanata nell’immobilismo sonoro di un genere che ha ormai ben poco da aggiungere. Se avete bisogno della colonna sonora per la vostra serata di pogo assassino, per l’headbanging più sfrenato o se non avete grosse pretese e mirate a raggiungere il ragguardevole numero di 1000 dischi tutti uguali, allora questo disco potrebbe fare per voi, altrimenti se, come il sottoscritto, siete stanchi della solita routine, lasciate perdere, là fuori ci sono band molto più valide e innovative, che stanno solo aspettando qualcuno che li noti. Da segnalare in ultimo, che la versione digipack contiene due bonus track, nemmeno ce ne fosse stato bisogno. (Francesco Scarci)

(Black Lodge Records - 2005)
Voto: 50

https://www.facebook.com/Face-Down-115330208525992/

In Tormentata Quiete - Finestatico

#PER CHI AMA: Avantgarde/Folk/Prog
Ecco il disco che non ti aspetti, la bomba pronta ad esplodere in questa afosa estate 2017. Gli In Tormentata Quiete son tornati, li conosco bene, avendo tutti i loro album, e dico mai e poi mai, mi sarei aspettato un comeback di questo calibro, pur avendoci abituato da sempre a lavori di una certa portata. 'Finestatico' è un cd che divampa immediatamente in tutta la sua furia nella bolgia black iniziale di "Zero", song mutevole nel suo portamento, capace in poco più di quattro minuti di offrire suoni estremi, echi progressivi, voci eteree femminili, un cantato in italiano e chi più ne ha più ne metta. Una song che evolve nella successiva "Sole" che, fatto salvo per i suoi rari vocalizzi estremi, è pura poesia per le orecchie, grazie alle sue splendide melodie e voci, cosi come al concept filosofico-astrale insito nelle note di questo brillantissimo album. È però con "R136a1" che si toccano apici di esaltazione in una canzone da cui è stato estratto peraltro un video, che sembra tracciare nel suo incedere il movimento degli astri allo zenit. Epicità, insanità, magia e malvagità sono solo alcuni degli elementi che si possono riscontrare in questa song cantata interamente in italiano che vede un break vocale nel mezzo che sembra uscito da uno dei primi album degli Aborym che fa da contraltare alle notevolissime vocals femminili della brava Irene Petitto. La splendida "Eta Carinae" parte piano, evidenziando ancora una volta le enormi capacità vocali della cantante, vera punta di diamante dei nostri, sebbene in alcuni acuti strizzi un po' l'occhiolino alle frontwomen di Nightwish o Evanescence. Questo l'unico punto di contatto però con le band più mainstream menzionate sopra, perché poi è nuovamente la poetica della band bolognese ad emergere, miscelata ad un sound dalle tinte avanguardistiche, folk (per l'uso di alcuni strumenti tipici), mediterranee, prog, cantautorali (per il contenuto lirico davvero particolare), tutte peculiarità che alla fine rendono la proposta degli In Tormentata Quiete, unica nel suo genere. Il nostro viaggio intergalattico prosegue nella Costellazione del Cane Maggiore con la poetica siderale di "Sirio", che unisce ancora divagazioni folkloriche, grandiose melodie, stacchi psichedelici e la triade vocale che tra screaming vocals, voci pulite maschili e femminili, regala ancora momenti di elevatissimo lirismo e teatralità. “RR Lyrae” sembra un surreale dialogo tra due stelle dai connotati umani, due amanti che si sussurrano dolci parole di sconfinato amore, in una song sublime nuovamente a livello lirico, soprattutto per chi come il sottoscritto, è amante di astronomia. Siamo scivolati fino all'ultima ambientale "Demiurgo", dove delle liturgiche vocals, maschili e femminili, chiudono un album maestoso, elegante, suggestivo, sospinto da un'eccitante energia cosmica capace di renderlo incredibile ed imperdibile. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music - 2017)
Voto: 90

https://intormentataquiete.bandcamp.com/

Karne - Symposium of Torments

#PER CHI AMA: Black, Darkthrone, Dissection
Black metal dalla Francia quello dei Karne, giunti alla loro seconda tappa della carriera, quella necessaria a superare quanto fatto nell'album di debutto, 'Faith in Flesh'. 'Symposium of Torments' esce a tre anni di distanza da quel lavoro, sotto la guida della piccola ma attenta Epictural Production, che già avevamo avvicinato in passato per le uscite dei Malevolentia e degli Heimsgard. Il quartetto di Nancy propone un black diretto, senza tanti fronzoli arricchito però da una discreta componente melodica. Il tutto si palesa già dall'iniziale "False King Coronation", song che potrebbe essere tuttavia stata scritta da una qualche black metal svedese, per quella capacità innata di miscelare ritmiche serrate, screaming vocals fin troppo onnipresenti e linee melodiche che sembrano rievocare Dissection, Dispatched o Unanimated. Fortunatamente non sono solo sparatissimi riff "in your face" a popolare l'album, vista la presenza anche di qualche break che spezza un'eccessiva monoliticità di fondo della band della Lorena, che palesemente non inventa nulla ma intrattiene l'ascoltatore con ritmiche incalzanti, cambi di tempo e assoli talvolta non del tutto convincenti ("Pyre of Disloyalty"). Francamente già alla terza song, "Waltz in the Shade", si avverte già una leggera sensazione di già sentito e non basta un break di matrice tipicamente heavy a far passare quella sensazione di deja-vu che si acuisce man mano che si prosegue con l'ascolto del disco. Ed è un peccato, in quanto i quattro musicisti transalpini non suonano affatto male. Tuttavia, mi sembra già ravvisare una fase di stanca nella musica dei Karne a partire dalla feroce "Enlightenment of the Flayed", song ancora una volta all'insegna di ritmiche vertiginose che dopo un po' rischiano tuttavia di condurre allo sbadiglio. Di certo la prestazione del batterista è spaventosa, innegabile soprattutto nell'arrembante incipit di "Sempiternal Shackles of Savagery", però ancora una volta mi duole sottolineare una mancanza di idee che i nostri provano a supplire emulando gesta di artisti ben più famosi, compresi i Darkthrone di 'Transilvanian Hunger', con alcuni pezzi che ne sfiorano addirittura il plagio. Skippando tra un pezzo ed il successivo, è difficile distinguere un pezzo dall'altro, sebbene le sonorità siano discrete, le chitarre sempre taglienti, le vocals efferate; continua solo a mancare quel piglio di originalità o quell'imbeccata che possano rendere un disco come 'Symposium of Torments' un minimo interessante. Troppo monolitico, troppo canonico, il secondo disco dei Karne alla fine rimane indicato per i soli fan della band francese. (Francesco Scarci)

(Epictural Production - 2017)
Voto: 60

https://www.facebook.com/karnebm

martedì 15 agosto 2017

Neo Noire - Element

#PER CHI AMA: Alternative/Grunge, Alice in Chains, Smashing Pumpkins
I Neo Noire (NN) sono un quartetto proveniente da Basilea, in Svizzera che qualche mese ha pubblicato 'Element', il loro album d'esordio. Dietro tutto ciò troviamo la Czar of Revelations Records e Raphael Bovey (GOJIRA) che hanno permesso l'uscita di questo lavoro in bilico tra l'alternative rock e il metal. La band stessa annovera tra le proprie influenze Smashing Pumpkins e Jane’s Addiction, ma diverse altre contaminazioni si percepiscono ascoltando le otto tracce del disco. "Save me" è una canzone che porta con sé il bagaglio grunge del quartetto, con l'atmosfera che richiama molto gli Alice in Chains e gli Stone Temple Pilots più oscuri e malinconici. Nei quasi sette minuti di esecuzione, l'esortazione a salvare il protagonista si poggia su riff potenti e penetranti che cercano una via di riscatto con le accelerazioni e il ritornello. Il break psichedelico ci mostra il lato lisergico della band e l'assolo di chitarra allunga il brano senza renderlo monotono e regalando una variazione sul tema. Cambiamo traccia e sound con "Shotgun Wedding", canzone più sostenuta con una sezione ritmica che pulsa, dove il basso è ben amalgamato nel mix sonoro e la batteria è registrata in modo eccellente. Una classica cavalcata hard rock/metal che si fa spazio con allunghi e stop&go per modulare al meglio il suo svolgimento, invece il ritornello è assai orecchiabile e raggiunge l'obiettivo di scavarsi una nicchia nel nostro cervello. Il vocalist/chitarrista convince su tutti i fronti, ha una timbrica grintosa e matura di chi persevera nel rock da sempre, nonostante stili e generi diversi si siano accavallati negli ultimi tempi, l'estrazione anni '90 è solida come il granito. A metà album troviamo "Element" e non si può che confermare l'influenza della band capitanata da Billy Corgan, quella del periodo 'Siamese Dream', per capirci. Questo si concretizza dal cambio di stile del cantato e dagli arrangiamenti più soffici ed eterei tipici delle ballate prodotte dalla band di Chicago. Un cambio che spiazza in principio, ma si amalgama abbastanza bene grazie ai giri di chitarra che si destreggiano bene in entrambi gli stili mantenendo una proprio identità. Un brano facile, che con il suo crescendo risulta piacevole e di più facile assorbimento, ottimo modo per accontentare anche ascoltatori dediti a melodie più soft. "Neo Noire" sposta l'ago della bilancia verso lo stile più graffiante e introspettivo dei NN, infatti il brano convince per la struttura alquanto semplice, ma con arrangiamenti studiati nel minimo dettaglio a confezionare una song che scorre fluida senza infamia. Un debut album solido, ben fatto e che porta tutto il bagaglio musicale di una band maturata in altri progetti e che si ritrova ancora ad amare il rock e volerlo suonare davanti ad un pubblico che condivide la loro stessa passione. Da prendere ed ascoltare senza controindicazioni. (Michele Montanari)

(Czar of Revelations - 2017)
Voto: 75

https://neonoire.bandcamp.com/album/element

The Wake - Death-a-Holic

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Swedish Death, Dark Tranquillity
Il secondo album dei finlandesi The Wake non è proprio quel che si dice un gran bel lavoro, sebbene il discreto esordio del 2003, 'Ode to My Misery', che sancì l’ingresso nella scena metal, di questo quartetto dedito ad un death doom malinconico. In due anni le cose sono però cambiate e forse a causa dell’ottimo riscontro economico e critico ricevuto dai Dark Tranquillity, il combo nordico ha pensato di aggiustare un po’ la mira e dedicarsi a tempo pieno nel clonare il colosso svedese. Il risultato che ne esce fuori, sfiora più volte il plagio, con i ragazzi provenienti dalla piccola cittadina di Karjaa a fare il verso alla band di Mikael Stanne e compagni. Dal punto di vista tecnico, la band è indubbiamente ineccepibile, però poi la somiglianza e i frequenti richiami ai ben più famosi colleghi svedesi assume connotati al limite dell'imbarazzante. Gli spunti interessanti ci sono pure, ad esempio la seconda parte di ”Downward Groove” ha un ottimo assolo che squarcia un brano che potrebbe stare tranquillamente su 'Damage Done' dei già citati Dark Tranquillity; o la successiva “Instrumental” si sforza di uscire dal torpore dei ghiacci polari, ma il risultato ahimè, non è alla fine dei migliori. Mi stupisce il fatto di dover porre l’accento su questa marcata somiglianza tra la band finlandese e i Dark Tranquillity, anche perché solitamente i gruppi provenienti dalla Finlandia nel 90% dei casi lavorano per crearsi un stile musicale proprio, dotato di una propria personalità. Non è certamente il caso dei The Wake, che rientrano in quel 10% di band che scopiazzano a destra e a manca per poter cercare di emergere dal pentolone di gruppi metal mediocri. Peccato, perché i numeri a proprio favore, la band lappone li avrebbe, eccome. Evidentemente alla band non interessava più di tanto venire a galla visto lo split di qualche tempo più avanti. (Francesco Scarci)

(Spinefarm - 2005)
Voto: 50

https://myspace.com/thewakeofficial

Naildown - World Domination

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Power, Children of Bodom
Se soffrite la mancanza di qualche band clone dei Children of Bodom, e vi siete persi questi Naildown, ecco un buon motivo per dare un ascolto ad un'altra band proveniente dalla Finlandia. La Spinefarm ne ha fiutato l’affare, era il 2005, pensando bene di metterli sotto contratto e far uscire questo debut di discreta fattura. Il genere proposto? Beh, niente di più semplice: il sound è, infatti, molto vicino a quello dei “Figli di Bodom”, anche se risulta maggiormente ispirato da influenze classiche e mostra un appeal molto più soft rock rispetto alle band loro conterranee, Kalmah e Norther. I Naildown suonano un fresco e melodico death-power con parecchi chorus ruffiani, metal riffs, stacchetti scontati, tastiere tipiche, momenti di rabbia e quanto altro sia in grado di offrire questo genere musicale. Emergono poi ulteriori influenze derivanti dai lavori più “Nu Metal” degli In Flames, che arricchiscono la proposta dei nostri. La produzione è ottima, cristallina, l’unico problema è che i Naildown non sembrano altro che i Children of Bodom e direi che questo è un bel limite per la band, abile nel maneggiare i propri strumenti, ma che manca ancora totalmente di personalità. Il voto positivo è un incoraggiamento a migliorarsi, anche perché il quartetto finlandese ha (o forse aveva visto che se ne sono perse le tracce nel 2007) tutte le carte in regola per fare bene. (Francesco Scarci)

domenica 30 luglio 2017

Viridanse - Hansel & Gretel e la Strega Cannibale

#PER CHI AMA: Post Punk/Psych/Stoner
I Viridanse sono una storica band italiana nata durante il movimento post-punk di primi anni '80: il 1983 è l'anno della loro fondazione e oggi, dopo 34 anni, costellati di luci e tantissima ombra legata più che altro all'interruzione del progetto dal 1987 al 2014, tornano con un un secondo lavoro post reunion dal titolo meravigliosamente suggestivo, 'Hansel & Gretel e la Strega Cannibale'. Supportati ancora una volta dall’etichetta Fonoarte – Danze Moderne, cosi come era stato per l'album omonimo di due anni fa, il quintetto piemontese pensa ad un concept fiabesco per il nuovo album, per dipingere il declino in cui la società di oggi sta sprofondando. E quale genere migliore di un post-punk dalle tinte apocalittiche per sceneggiare questa voragine di perdizione a cui stiamo andando incontro? L'apertura affidata alla title track (per cui è stato anche girato un video), è per il sottoscritto un lungo salto nel passato e per quanto le ritmiche siano decisamente più tirate e pesanti, il primo nome che mi viene da accostare al disco di oggi, è quello dei Litfiba di "Istanbul". Dark, new wave e punk di quei tempi si fondono oggi con psichedelia, heavy metal e stoner, il tutto annaffiato da un prog di scuola italiana, in un connubio musicale avvincente e caratterizzato da un cantato in lingua madre che lo renderà di certo più appetibile ad un pubblico nostrano, anche per una certa complessità a livello lirico che non le renderà forse cosi interessante ad un pubblico straniero. "ArKham" è il secondo pezzo del disco, decisamente frastagliato a livello ritmico, con un riffing ruvido ma al contempo caleidoscopico che si abbina alle vocals di Gianluca Piscitello che ricordano per certi versi quelle del Pelù degli esordi quando non faceva ancora tutti quei fastidiosi versetti che l'hanno poi reso famoso. Il sound della band è comunque avvincente, muovendosi da atmosfere agghiaccianti e paurose verso deviazioni psych, il tutto perennemente ammantato da una vena progressiva che si esplica attraverso il suono di un synth senza tempo. "Alle Montagne della Follia" è un pezzo più pacato, almeno apparentemente, visto che parte delicato e poi vive successivamente di un'alternanza ritmica tra esplosioni burrascose, complice una ritmica costantemente nevrotica e dolci note musicali, sorrette da una voce che sembra narrare una fiaba all'ascoltatore. Si arriva ai dieci minuti di "Scomunica", la mia song preferita per arrangiamenti, musicalità, espressività vocale ed epicità, peccato solo pecchi in prolissità (come l'intero album, del resto), dieci minuti e passa di suoni non proprio semplici da digerire in un sol boccone, anche se le sinistre ambientazioni create, le scorribande sonore sul finale, e in generale una performance vocale del frontman, contribuiscano comunque a renderla la song più complessa ed intrigante del lotto. C'è da superare un altro muro, quello di "Aria" e i suoi quasi 11 minuti, in una traccia che non si capisce se sia stata scritta in quest'ultimo periodo o a cavallo tra gli anni '70-80, strizzando l'occhiolino a The Cure, ai The Cult di 'Dreamtime' o ancora ai primissimissimi Litfiba. Il risultato, anche dopo aver ascoltato la tribale "Il Grande Freddo" e la spettacolarità lisergica e mortifera di "Madre Terra", ci dice che 'Hansel & Gretel e la Strega Cannibale' è alla fine un disco senza tempo, che farà la gioia tanto di chi ama sonorità attuali che virano all'alternative e allo stoner, quanto agli amanti della vecchia new wave, del post-punk e del progressive. Giusto un paio di notizie per chiudere la recensione: la produzione live, ricercata dalla band per donare un certo sound retrò al disco, è opera di Lorenzo Stecconi (Zu e Ufomammut), mentre l'azzeccatissimo artwork di copertina (nonché le splendide illustrazioni all'interno del booklet) sono opera di Antonio De Nardis, a completamento di un disco davvero assai piacevole. (Francesco Scarci)

(Fonoarte/Danze Moderne - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Viridanse/

sabato 29 luglio 2017

Apneica - Vulnerabile Risalita

#PER CHI AMA: Post Metal/Death Doom, Novembre
Dopo aver ben impressionato la critica (ma pure il sottoscritto) nel 2014 con l'EP 'Pulsazioni... Conversione', i sardi Apneica tornano con un nuovo lavoro sulla lunga distanza, il secondo della loro carriera. 'Vulnerabile Risalita' è un album che segna, per certi versi, un'evoluzione di quanto avevamo recentemente ascoltato dell'act di Sassari. L'opener, "Sul Fondo (Angoli Remoti)" mostra una compagine che sembra aver virato il proprio sound verso lidi post rock/metal assai malinconici, abbandonando quasi completamente qui quell'approccio death doom che contraddistingueva il precedente lavoro. Alcuni lettori forse termineranno la loro lettura su questa mia affermazione, ma vi prego di proseguire, evitando di sentirvi traditi da un cambio apparentemente cosi drastico, sebbene la band isolana mostrasse già le sue forti influenze post anche nelle quattro song che costituivano il vecchio EP. Il ricordo di tinte fosche ed autunnali, con qualche growling soffocato, lo si avverte già in modo impercettibile nella prima song. Siate però fiduciosi, gli Apneica non si sono rincretiniti, hanno semplicemente educato la loro musica, smussato un attimino i loro spigoli e cercato di trovare la quadratura del cerchio, tant'è che nella seconda "Acqua su Acqua" torna il growling possente ad affiancare le clean vocals e quel cantato in italiano, peraltro assai ricercato a livello di liriche, che potrebbe, per stile vocale, richiamare quello di altre band italiche come Afterhours, Verdena o dei Marlene Kuntz che suonano "Impressioni di Settembre" della PFM. Proprio influenze della prog band italiana più famosa al mondo, si ritrovano nel corso della seconda lunga song degli Apneica, che si muove tra echi progressive e digressioni death doom. Un approccio più estremo ma dal piglio sperimentale, emerge durante l'ascolto di "Inserimento Dati Vitali", song che inizia assai delicatamente, per poi lanciarsi in un death doom psichedelico spezzato da un break acustico in cui a venir chiamato in causa questa volta è il vocalist dei Novembre nella sua forma pulita. Suoni raffinati, corroborati dal cantato di Ignazio Simula e da ritmiche che divengono man mano più graffianti, caratterizzano "Programmazione Sentimenti", un'altra song che vede la band spezzettare la propria proposta tra momenti prog, break ambientali e frangiflutti death doom che si propagheranno anche nella seguente "Elemento", traccia interessante ma che manca forse di una certa fluidità musicale, pur strizzando l'occhiolino ancora una volta ai Novembre. Lentamente si arriva a "Modalità Percettiva" (adoro questi titoli cosi ricercati), un brano dalle tipiche suggestioni post rock che lasceranno però il posto alle deviazioni death doom dei nostri, che caratterizzeranno anche "Sognando Nuove Colonne", altro brano affascinante ma che alla fine risulterà comunque ostico nell'ascolto. Probabilmente proprio il voler proporre un sound che manca in linearità o che abbina l'approccio sognante del post rock con l'irruenza apocalittica del death doom, rischia di diminuire il grado di fruizione di un disco che sarebbe a dire il vero assai buono, ma che con i suoi sperimentalismi, disorienta o fa addirittura storcere il naso in quanto gli accostamenti in taluni casi, sembrano davvero forzati. Rimango tuttavia dell'idea che gli Apneica abbiano una personalità ben delineata (confermata anche dall'ultima "In Risalita") ma che debbano affinare ulteriormente la propria proposta musicale, facilitando l'ascolto della propria stralunata proposta. (Francesco Scarci)

(Mizar Elektric Waves - 2017)
Voto: 70

https://apneica.bandcamp.com/album/vulnerabile-risalita

The Pit Tips

Francesco Scarci

Cold Insight - Further Nowhere
In Tormentata Quiete - Finestatico
Apneica - Vulnerabile Risalita

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Don Anelli

Stormhaven - Exodus
Agresiva - Decibel Ritual
Pathology - Pathology

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Kent

Philip Glass - Glassworks
Kehlvin/Rorcal - Ascension
Ryuichi Sakamoto - Async

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Michele Montanari

Novembre - Ursa
Throes of Dawn - Our Voices Shall Remain
Vokonis - The Sunken Djinn

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Five_Nails

Dying Fetus - Wrong One to Fuck With
Burzum - Fallen
Decapitated - Anticult

Sahhar - Kliem It-Tmiem

#PER CHI AMA: Black Metal
Proveniente da Malta, Sahhar è una one man band attiva dal 2006, che ama identificarsi nel "cold realm of black metal", sebbene l'ascolto di questo lavoro non s'identifichi realmente in questo genere, seppur si trovino numerose tendenze a riguardo. Si potrebbe discutere a lungo e in largo riguardo le caratteristiche fondamentali del black metal e si potrebbero fare diverse deroghe ad esse, ma tenderei a definirlo più black che ad inquadrare l'opera verso un metal cosiddetto sinfonico. Le tracce sono assai numerose (anche se il mastermind dichiara che l'album è assai lungo è per commemorare una decade di black metal), gli spunti diversi, e contrastanti sfumature si possono cogliere nel corso dell'ascolto di 'Kliem It-Tmiem'. L'impressione è quella di una musica che vuol essere epica, mistica, a tratti rabbiosa e veloce, senza i tipici toni diminuiti scandinavi che darebbero quella patina di malvagità al disco. Non sfuggono ahimè all'udito alcune sfortunate peculiarità di questa release: una drum machine opaca e dal suono ovattato fa sentire quasi esclusivamente i battiti di grancassa e il crash; la chitarra elegantemente distorta e compressa - per quanto in queste condizioni musicali possa essere preferibile un suono non troppo invadente e pulito - è magra, non eccessivamente incisiva e dai tratti innaturali. Si percepisce l'utilizzo delle tastiere che tentano di trasmettere una qualche aria peculiare ("Zliega" ne è un esempio) mentre un minimo di varietà è creato dai cori, dagli archi e da varie atmosfere, ma alla fine faccio fatica a capire se l'utilizzo di questi orpelli riescono a migliorare la performance dei brani. Una delle note sorprendenti del cd è la tecnica vocale, mutevole e potente, del frontman che trascina e sorregge la più discutibile base musicale. I testi in maltese risultano piacevoli, la fonetica semitica è particolarmente apprezzabile nei momenti più cadenzati e atmosferici. Alla fine però, ribadisco che l'eccessivo numero di song presenti rischi di rendere un po' pesante e noioso l'ascolto, a causa di una durata a dir poco estenuante per il genere proposto, complice anche un sound un po' troppo sintetico che priva di mordente l'intera opera. Non si discute la varietà delle composizioni, magari suggerirei al buon Sahhar di aumentare la creatività a scapito di un disco un po' più breve e fruibile. (Kent)

Kyle Morrison - Pianometal

#FOR FANS OF: Instrumental Progressive Metal; Mindflowers, OSV
Hailing from Atlanta, Georgia, multi-talented instrumentalist Kyle Morrison has assembled quite a profound and dynamic debut full-length effort taking influence from a variety of disparate elements that takes part in a unique and stylish offering. The skill-set is obvious from the very beginning with a rapid-fire slew of twisting, challenging progressive rhythms that bring about plenty of engaging work. Littered with tight groove-based rhythms, rattling drumming and sparkling piano-focused melodies that add a great touch to the blasting rhythms, keeping a stellar base for the album to work around throughout here. The multitude of guests here makes for a strong collection of talent as well, giving stellar performances to a great mixture of progressive touches and stiff grooves. 'Centrifuge,' 'Hymn of Blasphemy' and 'Mammoth' exemplify this style the most, while the three-part Cosmos trilogy, 'Martian Dusk,' 'Orion's Curse' and 'Interstellar Survival' all give a different look to the material at hand with stand-out progressive leanings and complex riff-work alongside the marvelous piano melodies that take center-stage for those tracks. There are maybe a few too many bonus tracks here which does make for a slightly overlong feeling here, but this is still a great overall release in this style. (Don Anelli)

Thalos - Event Horizon

#PER CHI AMA: Post Rock strumentale, Mogway
Curiosa fusione tra post-rock strumentale, gusto tedesco per l’elettronica ed esperienza visiva (c’è un videomaker fisso nella squadra, che trasforma in esperienze visive la musica), in questo debutto dei veneziani Thalos. 'Event Horizon' è un lavoro compatto, completamente coerente dal primo all’ultimo minuto. Nove tracce mature ed emotive, costruite sostanzialmente sul continuo gioco melodico tra chitarra e synth — sotto il quale s'incastrano basso e batteria, precisi e costanti —, che si inseguono, si sostengono e si rispondono in continuazione. Le coordinate sono quelle del post-rock colorato di elettronica: niente di nuovo, quindi, anche se i Thalos sanno gestire il tutto con un gusto etereo, impalpabile — mancano i forte/piano tipici, per dire, di certi Mogwai. Meglio: le accelerazioni e i cambi di dinamica ci sono, ma sono pacati, educati, eleganti. Nessuna sorpresa, nessun sobbalzo, nessuna emozione improvvisa. 'Event Horizon' scorre languido, alternando con equilibrio e dolcezza episodi più ritmici ("Berlin", "Progress", "Union") a momenti più onirici ("Quantum", "Limbo"), prediligendo in generale l’atmosfera alla novità, il bel suono al volume, l’intimità al trasporto. Il rischio, purtroppo, è che questo disco passi senza lasciare traccia: delicato e sommesso, non sembra richiedere un ascolto troppo concentrato. Finirà, purtroppo, a suonare in sottofondo mentre fate qualcos’altro. (Stefano Torregrossa)