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martedì 28 febbraio 2017

Vreid - Pitch Black Brigade

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black & Roll, Darkthrone, Satyricon, Motorhead
Prosegue lo spazio Back in Time nel Pozzo: questa volta andiamo a pescare il secondo album dei norvegesi Vreid, 'Pitch Black Brigade', uscito nel 2006 a distanza di un anno e mezzo dal debut 'Kraft'. Per chi non conoscesse la storia della band norvegese, sappia che è nata dalle ceneri dei mitici e sfortunati Windir, dopo la tragica morte del loro cantante Valgar nel gennaio 2004. E 'Pitch Black Brigade' continua il discorso iniziato con il precedente lavoro ossia un black metal old style sporcato da contaminazioni groove rock che hanno permesso alla band di essere etichettati come gruppo Black & Roll, insomma una sorta di Darkthrone mascherati da Motorhead. A questo stile rozzo e selvaggio, fatto di infernali riffs e grim vocals, si aggiungono momenti di riflessiva rilassatezza e altri di atmosferica quiete grazie ad intermezzi acustici assai efficaci. Brani come “Left to Hate” o la title track ci consegnano una band in ottima forma, capace di coniugare ottimamente la cattiveria del black metal con il rock’n’roll grazie a melodie molto catchy. “The Red Smell” inizia come una cavalcata in pieno Darkthrone style, poi rallenta per poi ridiventare feroce e sciorinare riffs sporchi dove lo screaming malvagio di Sture urla tutto il proprio dolore; il brano si chiude con un assolo di Strom, ex chitarrista dei Cor Scorpii, ospite in un paio di pezzi dell’album. “Hengebjǿrki” si apre con un’intro tastieristica di due minuti, poi scatena l’inferno nei restanti sette, alternando comunque emozionanti momenti acustici e cori epici; questa più di tutte, è la song che mi ha richiamato alla memoria i defunti Windir. Come al solito, le liriche si dividono fra testi in inglese e in norvegese, narranti eventi storici del ventesimo secolo. In sostanza, 'Pitch Black Brigade' conferma già dagli esordi (e che verrà confermata in futuro dagli altri album) la validità di un gruppo che ha saputo cambiare direzione nel momento giusto della propria carriera... convinti e convincenti! (Francesco Scarci)

(Tabu Recordings - 2006)
Voto: 75

https://www.facebook.com/vreidofficial

lunedì 27 febbraio 2017

Assent - We Are The New Black

#PER CHI AMA: Death/Metalcore/Nu Metal
Continua l'ondata di band provenienti dalla Francia, tant'è che si potrebbe parlare quasi di una vera e propria "New Wave of French Heavy Metal". Gli ultimi, cronologicamente parlando, che hanno bussato alla porta del Pozzo dei Dannati sono i parigini Assent, un duo arrivato al debutto a dicembre 2016 con questo 'We Are the New Black'. Il genere proposto dai nostri, lungo le sei tracce di questo EP, è una mistura di death e metalcore, tinto però di sonorità prog e nu metal, in un pout pourri che potrebbe inglobare anche gothic, punk e molto altro. Non sempre però convogliare decine di generi musicali in un album può risultare vincente. Qui le cose, dopo la solita intro strumentale, divengono già assai complicate col pastone affidato alla title track, dove in un inizio da ninna nanna, ecco collidere subito screaming vocals con voci pulite. Sghembe linee di chitarra melodica di natura progressive avanzano in un pezzo che soffre di una certa carenza di fluidità, sebbene si percepisca che ci siano buone idee di base, ma semplicemente mal assemblate. Proviamo ad andare oltre per provare a capire di più degli Assent: l'inizio di "Reaching Out" suona in stile Pantera, un cantato in screaming rappato converge successivamente il sound della band verso lidi nu metal che non mi fanno troppo sorridere, anche se l'utilizzo quasi tribale della batteria, devia la mia attenzione a livello dei singoli strumenti, perdendo per un attimo l'attenzione dal flusso sonoro che persiste nel balbettare. "A Part of Me" risente ancora di influssi americani in stile nu e metalcore, sebbene provi a percorrere territori alternativi che finiscono ahimè per creare sonorità a tratti confusionarie, che faticano a rimanere impresse nella testa. Un bel piano apre "Remain in Darkness", poi un cantato in growl prende possesso della scena e finalmente i nostri mi sembrano per la prima volta convincenti nel loro incedere da gothic metal opera, anche se la ripetuta alternanza vocale, non agevola l'esito conclusivo, ancora carente in fatto di fluidità. È forse con la conclusiva "Insomnia" che il duo riesce a strappare una sufficienza risicatissima, merito di una song più lineare, orecchiabile e carica di groove. Gli Assent non mi hanno convinto granché, conto di capirci qualcosa di più con la prossima release. (Francesco Scarci)

Zora - Scream Your Hate

#PER CHI AMA: Brutal Death, Cannibal Corpse, Suffocation
Zora è il loro nome e da Vibo Valentia lanciano il loro urlo di totale disprezzo nei confronti di tutti quegli atteggiamenti e di tutte quelle persone che imbastardiscono giorno dopo giorno ogni sfera e aspetto della vita e della razza umana. Questa è la citazione presente in allegato al full length 'Scream Your Hate' uscito lo scorso autunno. I presupposti sembrano buonissimi, visto che la band calabrese, dedita ad un brutal death di stampo americano, è ormai in giro dal 2003, peraltro con un discreto numero di produzioni. Al primo ascolto sono però rimasto ammutolito, e sfortunatamente in negativo. La registrazione infatti è di scarsa qualità, o meglio non è una registrazione da giorni nostri; una cosa del genere l'avrei accettata forse nei primi anni 2000, non certo adesso. La batteria è fuori tempo in quasi tutti i blast beat; nei momenti di maggior impeto poi (e ce ne sono parecchi), non si capisce cosa stia combinando da quanto la registrazione sia ovattata. Uno o due riff cantilenanti monocordi per ogni canzone, rappresentano la proposta degli Zora con un sound che satura le orecchie di chi ascolta già dopo il primo minuto. La struttura dei brani suona un po' troppo banale, con un basso inesistente e un growl, che di primo acchito può ingannare sulla potenza del cantante, ma dopo poco si intuisce che questa performance la si può esercitare solo in fase di registrazione. Il punto più basso di tutto l'album si tocca nell'intro di "Refuse", con uno sketch preso da "Azione Mutante", film spagnolo del 1993, dove uno pseudo dittatore vaneggiava frasi tragicomiche. Dopo aver sentito quest'ultima perla, unita al flyer di accompagnamento e a quello che i nostri propongono, mi son detto: "questi vogliono essere come i Brujeria, ma non ne hanno azzeccata una". Forse il mio giudizio su quest'album sarà un po' troppo duro, qualche idea c'è, unita ad alcuni buoni riffs di matrice nineties, ma vista l'esperienza della band, francamente non è accettabile che si sia arrivati a tali livelli. Bocciati. (Zekimmortal)

domenica 26 febbraio 2017

Eyelids - Departure

#PER CHI AMA: Depressive Black, Blackgaze
Poche le informazioni trovate in rete a proposito di questa band nostrana: si tratta di un trio composto da M, F e D (facile, ma questo era già riportato all'interno del cd), le cui origini dovrebbero ricondurli alla Basilicata, fondati nel 2012 e che solo nel 2016 giungono alla pubblicazione di questo EP, grazie prima alla Masked Dead Records e poi alla Adimere Records. Tredici minuti di musica sono sempre pochi per giudicare appieno l'operato di una band, ma come si dice, chi si accontenta gode. E allora si prema il tasto play del lettore e ci si immerga nelle malinconiche atmosfere degli Eyelids e del loro 'Departure'. "Betrayed" rivela quanto i nostri siano dei cultori del blackgaze con una song mid-tempo, dotata dei classici ridondanti giri di chitarra a rallentatore che disegnano melodie strazianti (cosi come pure le vocals), di "burzumiana" memoria. Quello che apparirà subito chiaro è una produzione non propriamente cristallina, che ai cultori del bel suono magari farà storcere il naso, ma si sa che in questo genere, più si è sporchi e disperati, meglio è. La title track prosegue sull'onda emotiva dell'opener, evocando nelle sue linee di chitarra assai depresse, la primordialità che si riscontrava in 'Le Secret' degli Alcest. La lentezza si fa ancor più preponderante nella conclusiva "Disclosure", un pezzo che non aggiunge nulla di nuovo a quanto detto sinora, ma che offre un ulteriore spaccato della musica sofferente di questi ragazzi. Non è certo un disco che mi sento di consigliare a chiunque, ma coloro che sono fan di gente come Austere o Woods of Desolation, un orecchio lo porgano pure a questi Eyelids. (Francesco Scarci)

(Adimere Records - 2016)
Voto: 60

Harakiri for the Sky - III: Trauma

#FOR FANS OF: Post Black, Agalloch, Drudkh
Harakiri for the Sky is a post-black metal band from Vienna, Austria that bends the early Agalloch and later Drudkh template to their own will. This is a group that plays along the lines of Deafheaven, Fen, and Waldgefluster, a branch that has grown out from Ulver's influence and pushed a more artsy black metal direction. In a sound that intertwines the disquiet of lingering melodies with trappings of black metal's second wave intensity, Harakiri for the Sky hints at a monumental abomination in each song throughout 'III: Trauma' and sometimes leaves you high and dry with the post-black style taking the reigns. With high quality production, clean sounding guitars, and little grain to overpower the grandiose instrumentation, this is a far cry from the raw old days. Yet you can deeply inhale the palpable legacy of that earlier passion in the layers of morose melodies and fleeting furors when sorrow morphs into anger.

The Agalloch influence is most prominent in “Dry the River” where guitar notes from “The Melancholy Spirit” of Agalloch's 'Pale Folklore' play at a quick pace ringing in counterpoint to each other and bouncing harmonies off each high note in the lingering riff. In lyrics that describe a journey to unlock the mystic wisdom accumulated by personified natural phenomena, the slow build of this song impresses upon the listener. Harakiri for the Sky gives a deeply satisfying payoff of blasting through the enduring melody as the lyrics follow a metaphorical train of thought culminating in the protagonist's gunshot suicide. Feelings of melancholy and being lost turn to anger and single mindedness through the arc of this woeful mental evolution. “Dry the River” and the opening song, “Calling the Rain”, use this tempered approach to bookend a series of faster and more energetic songs. Of that middle group, “Thanatos” kicks off with an aggressive sound compared to the former languishing journeys and beefs up the vigor invoked by “Funeral Dreams” with another invasion of raw blasting. Where “Funeral Dreams” gave you a small payoff in the dynamite department, “Thanatos” rides its galloping rhythm straight into a guitar assault with blasts all around. Similar to Drudkh's later music, this sound carries forth a great exposition of the range of emotions you're bound to experience from this band with even a bit of a clean vocal delivery in the middle of the track's change-up. “Viaticum” is an anthemic piece similar to “Thanatos”. Both pieces bring in some very expressive drumming to join the simpler and catchier guitar melodies making for a memorable listen with sounds that will echo in your ears long after they are gone.

Harakiri for the Sky is quite an entertaining band and 'III: Trauma' is definitely worth a listen. Don't let the phrase post-black turn you back too quickly because even with the extra emotional parts in this album and palpable depression the band can still bring out some rage. There's a good range to this band's style with plenty of Agalloch influence in songs like “Bury Me” and “Dry the River” checking and balancing with the unfettered aggression of “Thanatos” and “Viaticum”. The desiccated petals of the new school's notes cover over the rot and decay of the older underground and are shaping an eternal burial mound. (Five_Nails)

(Art of Propaganda - 2016)
Score: 80

The Pit Tips

Zekimmortal

The Kovenant - Animatronic

The Trip - The Trip
Cathedral - Statik Majik

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Francesco Scarci

Unreqvited - Disquiet
Acrosome - Narrator and Remains
Giraffe Tongue Orchestra - Broken Lines

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Michele Montanari

Föllakzoid - III
Iron Reagan - Crossover Ministry
Red Fang - Only Ghosts

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Don Anelli

Immolation - Atonement
Victorius - Heart of the Phoenix
Skeletal - Dreadful Life

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Eric Moreau

Horacle - Dead Eyes Revelations
Liege Lord - Master Control
Ancient Empire - When Empires Fall

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Kent

Antaeus - Condemnation
Andris Nelson (Boston Symphony Orchestra) - Shostakovic: Under Stalin's Shadow - Symphony N. 10
Subheim - Trails

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Five_Nails

Harakiri for the Sky - III: Trauma
Thrice - Vheissu
An Autumn for Crippled Children - Eternal


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Caspian Yurisich

Eternal Champion - Armor of Fire
Conan - Revengeance
Glass Shrine - Lapidary

 

sabato 25 febbraio 2017

Sparkle in Grey - Brahim Izdag

#PER CHI AMA: Experimental Post Rock
Sempre difficile definire una band come i milanesi Sparkle in Grey, al secolo Matteo Uggeri, Alberto Carozzi, Franz Krostopovic e Cristiano Lupo, anche perché, disco dopo disco, cambiano pelle e vestito rimanendo sempre però estremamente vivi e interessanti nella loro proposta musicale, che qui per brevità, potremmo definire come una sorta di post rock che sposa sonorità mediterranee e mediorientali. Quello che senz'altro caratterizza questo 'Brahim Izdag' (oltre alla solita, magnifica e certosina cura per tutti gli aspetti produttivi, non ultimo quello del packaging) è la sua connotazione di disco in qualche modo “politico”, a partire dal titolo, tributo allo sciatore marocchino che riuscì a partecipare all'olimpiade invernale di Albertville, nel 1992. Perché Izdag, oltre ad essere divenuto famoso per la sua disastrosa performance, rappresenta quel desiderio, anzi, quel diritto all'integrazione che è un tema piú che mai caldo nell'Europa contemporanea. E così le 14 tracce che compongono l'album vanno a tracciare un affresco che è un inno al meticciato sonoro, all'incontro e all'integrazione, attraverso rock muscolari, melodie popolari uzbeche e ucraine, classici di Clash (una "White Riot" che diventa “Grey Riot”, parla cinese e suona come i Chumbawamba), Linton Kwesi Johnson (una versione attualizzata di “Inglan is a Bitch”, rinominata “Iurop is a Madness”) e Sly and the Family Stone ("There’s a Riot Goin’on") affiancati a brani originali estremamente efficaci nel loro declinare un tema in varie sfumature esasperandone ora il lato piú drammatico, ora quello piú giocoso, con un linguaggio musicale sempre in equilibrio tra rock, elettronica e profumi di spezie di mercati lontani. Ottimo lavoro. (Mauro Catena)

(Greysparkle/Old Bicycle Records - 2016)
Voto: 80

Acrosome - Narrator and Remains

#PER CHI AMA: Black Progressive, Arcturus, Mesarthim, Darkspace
Li avevo recensiti sul finire nel 2014 in occasione del loro come back discografico 'Non-pourable Lines', sottolineando una buona capacità nell'alternare tormenti post black con inframezzi al limite del lounge. Ritornano in sella i turchi Acrosome (ma dovrei dire il polistrumentista turco DA, trattandosi di una one man band) con un album nuovo di zecca, fuori sempre per la nostrana Dusktone Records, che ha da offrire sette tempestose tracce, che si muovono stilisticamente tra un coriaceo black metal (vi basti ascoltare l'intenso incipit di "First Step on to the World"), e rasserenanti (ma altrettanto inquieti) momenti d'atmosfera. Dicevamo dell'opening track, quasi nove minuti costituiti da irrefrenabili cavalcate black (almeno per i primi 240 secondi) su cui si stagliano i vocalizzi recitanti del frontman, che lasciano poi il posto a più meditativi e metafisici attimi d'atmosfera in grado di regalare spunti di elevatissimo interesse musicale. Diciamo subito che il fatto di non avere solo screaming vocals aiuta non poco per ottenere un risultato più che soddisfacente, cosi come pure la scelta di utilizzare una variante alle classiche forsennate ritmiche post black, rafforza la posizione degli Acrosome. Un fischiettare finale in stile colonna sonora western di Ennio Morricone, contribuisce poi ad esaltare l'eccellente risultato della prima traccia. Si sprofonda invece nelle tenebre con la seguente "Crossbreed Rising", song dal taglio più black doom oriented e pertanto più standard nel suo effetto finale. Con "Cognitive Contact" emergono forti epici richiami vocali agli Arcturus, il tutto però disposto su di un tappeto ritmico più efferato, anche se nel giro di poco meno di un minuto, la musica cambia, si fa più malinconica (grazie al tremolo picking), sofferente, anche se cederà almeno un altro paio di volte a violente scariche black. La registrazione avvolgente fa il resto e mi proietta verso sonorità cosmiche, che chiamano in causa Darkspace o qualcosa dei più recenti Mesarthim, cosa che si renderà ancor più evidente in "Accomodate". Nel frattempo si scorre attraverso la breve strumentale "Sight" e ad un secondo pezzo strumentale, "In the Wake of Foot Traces", tiratissima song di poco più di quattro minuti, fatta di vorticose accelerate in stile Dissection e spettrali strali ambient. Citavamo poc'anzi "Accomodate", un brano diverso dagli altri, vuoi per quell'ipnotico elettro-beat iniziale ma anche per un'andatura più controllata rispetto alle tracce precedenti, che la rendono semplicemente meno estrema e più rock e che potrebbe indicare una nuova direzione per DA e i suoi Acrosome. La traccia comunque non si lascia sfuggire l'occasione di abbandonarsi in un'altra travolgente sgroppata in territori black, ma ancora una volta, il tutto viene suonato con classe cristallina che ergono 'Narrator and Remains' ad elevati livelli di maturità artistica. Ben fatto DA! (Francesco Scarci)

(Dusktone Records - 2017)
Voto: 80

giovedì 23 febbraio 2017

Aleska - S/t

#PER CHI AMA: Post Hardcore
Gli Aleska arrivano dalla Francia, precisamente da Metz e sono un quartetto di post hardcorer di alta qualità. Dopo due EP costituiti da tre brani ciascuno, si cimentano in questo primo omonimo LP autoprodotto. La prima cosa che mi colpisce positivamente è l’artwork, raramente mi sono imbattuto in un progetto dove la musica e l’estetica riescono a fondersi in modo così convincente. Azzeccata la scelta della tonalità azzurro e ruggine e dei soggetti vagamente religiosi fanno pensare ad un tesoro inestimabile ritrovato nella stiva di una nave affondata migliaia di anni fa. Per di più le opere rinvenute sembra siano state create da una popolazione dimenticata che abitava la terra molto prima delle civiltà che conosciamo dai libri di storia. La musica inizia con quello che potrebbe essere il suono di una cascata, ma più probabilmente è il rumore dell’acqua che scende dalla bocca di un’antica statua ora sommersa nelle profondità dell’oceano e che non sarà mai più ritrovata da anima viva. Alcuni armonici di chitarre ed una spedita linea di basso completano l’immaginario, tracciando l’orizzonte di gloriosi paesaggi civilizzati scomparsi da tempo immemore. L’intro termina con una serie di scream dal suono naturale ma disperato, l’effetto finale del pezzo ricorda la musica dei Trap Them, con un’inclinazione forse più narrativa. Il primo pezzo “Du Gris au Noir” contiene molte delle caratteristiche che troveremo nei brani successivi, uno scream rauco e tagliente che lacera le orecchie e trame melodiche ora piene di atmosfera ora ritmiche e claustrofobiche, fino ad arrivare a momenti di stallo dove la voce si riduce ad un parlato che esprime la stessa rabbia delle parti sporche ma in maniera soffocata, come se fosse sott’acqua. Il francese poi, lingua notoriamente musicale, in questo caso riesce ad essere aspra e cinica quanto il più dissonante degli idiomi del nord Europa. Il pezzo che preferisco del disco è “Que Reste-t-il?”, un’arringa piena di rabbia e profondo sconforto con un’attitudine schizofrenica e totalmente fuori dalle righe nella quale riecheggia l’influenza dei Converge. La song mi fa pensare al momento in cui le civiltà millenarie di un tempo videro il proprio continente sgretolarsi sotto i loro piedi e lentamente sprofondare nelle immensità dell’oceano. Non c’è modo di contrastare la forza della natura, cosi come non si riesce a contrastare la furia degli Aleska, non c’è modo di scappare o nascondersi, si può solo arrendersi. Le persone vedono montagne creparsi e crollare mentre svuotano i polmoni lacerandosi la gola con grida di disperazione. La civiltà è finita, tutti gli sforzi fatti sono stati vanificati e la natura, ancora una volta, ha trionfato sulla specie umana. (Matteo Baldi)

(Self - 2016)
Voto: 75

https://aleska.bandcamp.com/

An Autumn for Crippled Children - Eternal

#FOR FANS OF: Post Black/Post Punk
Guitar grain creates a wide ranging dreamlike atmosphere, distant screams call out in anguish, and a mixture of organic and computerized rhythms fluctuate within the winds as notes create fleeting familiar sounds only to wash away moments later. An Autumn for Crippled Children inhabits a desolate plane creating the soundtrack to your suicide. A band with a name as edgy as the blade opening your veins, this Dutch trio indulges in similar distant reverberations to Altar of Plagues without the rising intensity, the vocal delivery is screamed from the background of shoegazing guitars, and keyboards bring in synthetic ambiances reminiscent of The Cure in some places and Alcest in others. Some stylistic choices on this album will leave you scratching your head as you wonder how such mainstream moments fit in with an underground moniker like post-black. Ambient moments in “I Will Never Let You Die” bridge on the psychedelic where “Farewell” and “On Fire” take the post part of their designation so far that it rounds the wrong corner and walks into pop-punk territory. 'Eternal' is awash with unusual directions that are easy to listen to and tough to interpret. This is catchy music, surface dwelling, and has just enough elements in it to dip a toe into extreme metal waters. An album like this is sure to be a guilty pleasure, something to wash yourself in while guzzling alcohol and thinking about where it all went wrong. As black metal/ post-black/ blackgaze or whatever label you want to affix to this obscure arrangement, it doesn't hit me as hard as Lifelover.

When you strip away the grain and screams An Autumn for Crippled Children sounds more as though they're playing depressive electronica, punk, and even 80s new wave in this album. Songs like “You Have Been In The Shadows For So Long” and “Swallowed by Night's Despair” launch into positive notes from the get-go and sink into sadness as more layers wash themselves over the bouncing structures. Clinical in their depressive direction, each song refuses to indulge the positive notes without reminding you that there is always something sinister and sad to hold down every up beat. The band's shoegaze sound is best demonstrated in “This Small Space You Occupied Is So Empty Now”. This song may as well be a My Bloody Valentine track with a wave of guitar noise driving the catchy drum sound. Synth organs accompany the breakdown halfway through the track creating a trippy electronica feel. Some points of the album feel like listening to the B-52's in an emo phase, others are like Blink-182's self-titled album. This band takes influence from a myriad of sounds and creates an atmosphere that is a far cry from black metal other than the expected aesthetics in guitar grain and screaming vocals. There's nary a blastbeat to be heard, tremolos are short like in “Matters of the Heart”, but double bass kicking is at a near constant in the juxtaposing rhythms. “On Fire” is very catchy with a morose piano caught in a web of guitars tightly seizing the melancholy of the quiet melody before ripping it away and offering a hard-nosed examination of the structure. An Autumn for Crippled Children works well together. This is a cohesive band with a good handle on how to design standout songs using very familiar sounds. There are many entertaining moments throughout this album and the range from catchy melancholy to the sappiest of sounds like in “Cloud Mood” all exude that dreamlike, ethereal aesthetic common to washing waves of treble across a shoegaze soundscape.

An Autumn for Crippled Children has an unusual take on post-black metal style. Greatly distancing itself from the norm, the band incorporates many influences into a unique approach that fashions the abrasive aesthetic into a desperate and dulcet product. Bending their sound this far has taken them in a direction that's worth a listen and easily accessible despite the sophomoric band name and some of the sappiest song titles I've ever seen. This band has a good handle on their direction and come together more harmoniously than expected. (Five_Nails)

martedì 21 febbraio 2017

Beyond Chronicles - Human Nation

#FOR FANS OF: Melodic Death Metal, Across the Burning Sky, Enchridrion
In existence since 2012, Paris-based Melodic Death Metallers Beyond Chronicles have steadily risen to the point of allowing their influences to take place in bringing out the groups’ finest official release yet following their continuous stretch of live dates to hone their skills. Built around short, stuttering rhythms and a crunchy mid-tempo attack, there’s a generally solid attack featured throughout here that makes the generally one-dimensional material come to life. With the infusion of swirling melodic rhythms throughout the vast majority of the tracks as well as the inclusion of a stellar dynamic mixing together the hoarse shouts with the clean crooning it all comes off with a fine light melodic touch that’s quite nicely in keeping with the general feel of the album. There’s little to be done, though, for how much of an impact the flaws have on this one as the material is quite light and one-dimensional which makes for a fine if much too familiar experience where the album really loses steam in second half. Still, for the most part the tracks themselves aren’t that bad. Following intro "Ground Zero," efforts like "Cold Vengeance," "Last Transmission" and "Powerless" feature plenty of enjoyable fiery rhythms and tight patterns to be solid highlight offerings, while slower mid-tempo elements like "Upon Them" and "The Best at Everything" all show up as the best of the rest. It’s certainly decent enough for the genre, but it does have its problems. (Don Anelli)

(Dooweet Records - 2016)
Score: 65

https://www.facebook.com/beyondchronicles

lunedì 20 febbraio 2017

Houstones - S/t

#PER CHI AMA: Post Grunge/Alternative Rock
'Houstones' inizia con il frammento di una telefonata che potrebbe essere una comunicazione da oltreoceano, fosse il prefisso di Seattle non ci meraviglieremmo. L’attacco del primo brano, "Smile", dall’omonimo disco degli Houstones, suona proprio come quelle band che fecero irruzione nella scena musicale a partire dai primi anni novanta: chitarra-basso-batteria ad accompagnare testi cantati con piglio rabbioso. Gli Houstones sono un trio italo-svizzero che suona come una band americana degli anni novanta. Che lo sappiano fare anche bene lo si capisce subito e nel secondo brano, "7 Seconds to 8", i semi del grunge germogliano in una canzone che potrebbe essere davvero stata scritta da qualche gruppo della costa nord-ovest degli States. L’urgenza e la rabbia del disco sono caricate nelle prime tre canzoni e servono sicuramente a scuotere l’ascoltatore per portarlo in territori più meditativi a partire dal quarto pezzo, intitolato "Popular Star (A Popstar is A)" per proseguire con "Monster", introdotto da interferenze elettriche che aprono gli spazi a chitarre slide. La sesta traccia, "Room" parte lenta, appoggiandosi ad un riff di chitarra suonata con l’effetto phaser, crescendo poi nella sua esecuzione carica di rabbia e noise. Se ci fermassimo dopo l’ascolto dei primi sei pezzi, l’ironica dicitura “Best Before 1999” riportata all’interno del digipack, sarebbe pienamente rispettata. Il disco invece prosegue e nelle ultime due tracce, le coordinate musicali cambiano decisamente, con il risultato di spiazzare i puristi del genere alternative-grunge-stoner. L’intro di "Apode" rivela un certo mood orchestrale mentre la conclusiva "Coming to Save the World as Bill Murray Does" è un bel brano dal piglio cantautorale accompagnato da un sax. Sarà interessante scoprire se questi sono elementi di novità nel percorso musicale della band oppure esperimenti più simili a delle outtake. (Massimiliano Paganini)

(DreaminGorilla Rec/Old Bicycle Rec - 2016)
Voto: 70

https://houstones.bandcamp.com/album/houstones

domenica 19 febbraio 2017

Chanvre - Valkyrie Mécanique

#PER CHI AMA: Alternative Rock
L'underground, questo sconosciuto e un imprevedibile mondo sonoro che nasconde sorprese buone e cattive in costante evoluzione. Avreste dovuto vedere la mia faccia quando mi è arrivato questo cd tra le mani, quel senso strano che mi impediva di concepirlo, di farmi un'idea prima di ascoltarlo; la figura nera in copertina raffinata ed oscura contrastava troppo con lo sfondo bianco per ricondurlo ad un genere gothic, metal o altro. Mancava anche il tocco sintetico nei titoli per ricondurlo all'EBM. Il titolo epico e modernista mi ha incuriosito fin da subito, quindi, messo il cd nel lettore, mi sono trovato di fronte un album colmo di influenze alternative rock in modalità transalpina. Rinverdire in chiave attuale le intuizioni che sono state il cavallo di battaglia degli indimenticabili Noir Désir non è certo un punto di originalità, ma dopo un paio di ascolti si può notare che i Chanvre sono da considerare i veri e legittimi nipoti della band di Bertrand Cantat, e tanto di cappello verso un album ben fatto. Il cantato interamente in lingua madre ricorda Cantat per forza di cose ma è stupendo rilevarne lo spettro che in "Le Mothership" è presente più che mai, con lo stesso affiatamento polemico, il verso drammatico e il predicare ammaliante. Musicalmente ci avviciniamo a '666.667 Club' degli stessi Noir Désir ma con una verve più sbarazzina in alcuni frammenti e continui innesti strani, come l'ottimo ritornello di deriva niente meno che dai Pixies della conclusiva "Sour Krypt". Il mini album autoprodotto in maniera ottimale si divide in cinque brani per un totale di uno striminzito quarto d'ora di musica che però mostra molte buone credenziali e idee, dal rumoroso e sospeso post grunge transalpino di "Dètritus Town" che apre le danze dopo l'intro sognante di "Chaconne d'Inertia", si passa al pop obliquo del brano "Mechanical Walkyroìd", sbilenco e malato di curiosa veste da chansonnier vecchio stile, mescolato ad una ritmica memore del "Mr Brightside" dei The Killers e chitarre rumorose e nervose a ricordare i mitici Girls Against Boys e in parte i recenti Muse. Dunque un quarto d'ora di puro rock alternativo con propensione verso gli anni novanta e mi piace sottolineare transalpino perché solo in questo paese s'intende il rock in questa maniera, potrà non piacere e non scalerà le classifiche ma a chi saprà apprezzarlo farà molto piacere avvicinarsi a questo album. (Bob Stoner)