Cerca nel blog

sabato 5 novembre 2016

Katana Bloom - Football Won't Save Your Children From Drugs

#PER CHI AMA: Punk Rock, Glam
Primo album, dopo l’EP 'Gosthing', per questo quartetto veneto a cui di certo non difetta l’energia e l’entusiasmo. Prima ancora della musica, i titoli dell’album e dei singoli brani, mettono bene in chiaro quali siano le coordinate a cui puntano i Katana Bloom: da pezzi chiamati "American Girls in Holidays (in Europe)" o "F.E.A.R." (che sta per Fuck Everything And Run) non è lecito aspettarsi nulla di più che puro divertimento cazzone e sguaiato all'insegna del disimpegno totale. La musica asseconda a meraviglia questo spirito con un approccio goliardico di stampo punk-rock, condito da affilati riff hard rock, melodie semplici ed efficaci, assoli veloci ed aggressivi, il tutto lanciato a rotta di collo lungo 10 tracce e poco più di mezz'ora. L’insieme appare come un mix tra hard, glam e street rock che ricorda tante cose sentite tra gli anni '80 e '90, sicuramente efficace e divertente pur senza essere particolarmente originale. Il punto è proprio che un po’ tutto qua dentro, suoni come già sentito e pure un tantino stantio, e le scelte di produzione non aiutano certo ad inquadrare nel migliore dei modi il suono del gruppo, indeciso se mantenersi aderente ai canoni dell’hard rock stile Def Leppard o sporcarsi fino in fondo sul modello dei primi Hellacopters, finendo per rimanere inevitabilmente a metà del guado. Sono sicuro che i Katana Bloom siano molto trascinanti e divertenti se visti dal vivo, ma questo album lascia un po’ l’amaro in bocca, come quei fuochi d’artificio che si comprano in edicola per la notte di capodanno, che immediatamente fanno una bella fiammata rossa, ma che si spengono proprio quando ti aspettavi che prendessero il volo. (Mauro Catena)

(Self - 2016)
Voto: 60

Banned from Hell - Fall of Humanity

#PER CHI AMA: Melo Death, Children of Bodom, Edenshade
"Buttati fuori dall'Inferno": fortunati questi metallers fiorentini che con 'Fall of Humanity' arrivano finalmente all'album d'esordio, dopo un EP ormai datato 2012. Le dieci canzoni contenute in questo platter, rilasciato dalla Sliptrick Records, hanno un che di affascinante, anche se ci sono ancora diverse cose da sistemare, ma andiamo pure con ordine. Partiamo innanzitutto identificando il genere che propongono i nostri e la cosa non è tra le più semplici da fare. Se si parte infatti da un approccio prettamente death thrash ("You are My Blood") con echi addirittura degli Alligator nel riffing torrenziale e destrutturato delle due asce, ciò che colpisce è il lavoro alle tastiere che provano a rendere il disco decisamente più vario e dinamico, a tratti orchestrale, facendo propendere l'ensemble toscano per una versione death metal dei Cradle of Filth. Le keys tuttavia fanno il buono e il cattivo tempo con una performance altalenante che mi ha lasciato un po' perplesso: mi convincono infatti nella fase di arrangiamento, molto meno quando vogliono prendersi la scena con assoli barocchi, dal suono retrò, quasi in stile pianola Bontempi. Il sound del sestetto toscano va giù bello diretto con ritmiche pesanti o altre più tese ("Hate"), che ovviamente non offrono nulla di originale, fatto salvo in quei frangenti in cui compaiono appunto parti più atmosferiche, quasi vampiresche ("Bleeding Digital") che rendono l'album più fruibile da un pubblico più vasto che non necessariamente deve essere quello estremo. Visto il virtuosismo proposto dalla sezione solistica (su alcune soluzioni però avrei un po' da discutere), aprirei spiragli anche per i defenders o per gli amanti del progressive più open mind. Le vocals ricordano per certi versi quelle dei già citati Alligator, muovendosi tra un growling comprendibilissimo e altre parti più urlate. "Nightmare" suona come dei Children of Bodom in salsa deathcore con pesanti atmosfere goticheggianti che ammiccano nuovamente a Dani Filth e soci, con le consuete tastiere che chiamano in causa anche i nostrani Edenshade, in un calderone non troppo omogeneo di musica pseudo estrema. Altre citazioni le meritano la psicotica "Murder Validation" o la più sperimentale "Amigdala", che garantisce ancor più spazio ai synth. 'Fall of Humanity' alla fine è un album che gode di una certa aura misterica ma che nell'esuberanza dei suoi membri, rischia di uscirne quasi penalizzato. Io fossi in questi ragazzi, dotati di indubbie qualità tecniche, metterei più a fuoco la proposta, evitando di voler strafare, affidandosi a suoni un po' più moderni e meno pirotecnici. La strada comunque è quella giusta. (Francesco Scarci)

(Sliptrick Records - 2016)
Voto: 65

venerdì 4 novembre 2016

Varego - Epoch

#PER CHI AMA: Sludge/Post Metal, Baroness, Voivod, Mastodon
I Varego sono una band centrata e convinta delle proprie idee, non scendono a compromessi se non a quelli di fare esattamente ciò che l’anima comanda. 'Epoch' trasuda passione e amore quasi paterno, un disco fortemente voluto e con alle spalle un grosso lavoro. La copertina parla chiaro, una maschera di pietra, probabilmente un idolo pagano, affiancato dalla dea dell’oscurità e dalla dea della luce con due mezzelune come orecchini. Un altare votivo, una nicchia a cui inginocchiarsi e invocare la grazia e la potenza del dio del metal, la cui forza scorre vigorosa nelle vene dei Varego. Non solo di misticismo vive 'Epoch', bensì anche di potenti assalti ferrosi e taglienti, come l’apertura di “Alpha Tauri” che rompe l’iniziale intro incantato, comunque dotato di una vena oscura. Si tratta di un impeto di una legione di guerrieri a cavallo contro un esercito di orchi sanguinari. Mentre la battaglia infuria tra fangosi riffoni sludge e ostili ambientazioni psichedeliche, una voce si staglia su tutti i combattenti enunciando formule magiche con voce piena, un’invocazione a dei pagani per propiziare la vittoria. A seguire, oltre ad una vallata piena di cadaveri di guerrieri, orchi e cavalli accatastati uno sopra l’altro, arriviamo al pezzo più rappresentativo del disco, “Phantasma”. Di nuovo la chitarra di Gero introduce con note maligne ad un’ambientazione dal sapore antico e macabro, come un assalto di un vascello pirata ad un mercantile pieno d’oro: coltelli tra i denti, vecchi archibugi e palle di cannone. La ciurma di bucanieri si lancia sulle vittime impotenti trucidando, saccheggiando e distruggendo. Dietro rimane solo una scia di sangue e l’eco delle grida di terrore. Una volta che il bottino è stato conquistato, si cancellano le prove incendiando quella che oramai è solo una grande pira funeraria destinata a vagare per gli oceani senza meta alcuna, per l'eternità. Fortunatamente noi invece possiamo veleggiare alla terza traccia “Flying King”, pezzo in cui l’influenza dei Mastodon e dei Baroness (e Voivod/ndr) si rende più evidente e completa piacevolmente gli scenari oscuri fin qui descritti. La distorsione esce dagli auricolari come onde dell’oceano che si infrangono sulla spiaggia, cadenzate ed inesorabili, accompagnate da una voce a tratti supplichevole, a tratti decisa e potente ma sempre con una presente aura mistica e sacrale. Una voce robotica affogata in un tappeto di noise drone ci trasporta alla seconda parte del disco, forse più sperimentale della prima parte. Dopo “Cosmic Dome” troviamo “Swarms”, personalmente il mio pezzo preferito del disco, una song originale e compatta, che può considerarsi come la summa del Varego pensiero, che ben rappresenta tutte le caratteristiche della band. La voce dello stregone continua imperterrita a lanciare anatemi, che si concretizzano in bordate sludge e ritmiche cadenzate adornate da arpeggi distorti e distrutti. Il culmine lo si raggiunge nell’ultimo minuto col rilascio di una tensione che cozza con il resto del pezzo dotato di un carattere visionario, etero e quasi rassicurante, da pelle d’oca. 'Epoch' termina con un commiato violentissimo, come se tutto il disco implodesse su quest'ultimo rabbioso “Dominion”. Quando il lettore si blocca la sensazione è quella di aver viaggiato nel tempo, partecipato ad eventi fantastici mai accaduti, aver battagliato, navigato per mare, aver impersonato divinità dimenticate e soprattutto essere tornati alla realtà sani e salvi, poter ricordare e trasmettere l’esperienza vissuta. (Matteo Baldi)

(Argonauta Records - 2016)
Voto: 80

https://varego.bandcamp.com/album/epoch

giovedì 3 novembre 2016

Drudkh/Grift - Betrayed by the Sun/Hägringar

#FOR FANS OF: Black/Epic, Agalloch
Metal is a vast, versatile, and global subculture of musicians and fans with enclaves, scenes, and subgroups hidden under nearly every culture's surface. This style of music, while abrasive, is a strong and touching medium where composers impart a vast array of emotions on each listener in increasingly inventive ways. As with any subjective form of art, each listener may glean his own meaning from the music, its imagery, and the outlook on the world that has birthed it. However, metal sets itself apart as a most precious style to its followers where fandom and fanaticism seem one and the same. Albeit precocious to outsiders, many metal fans don't just tune in through a phase in their lives. The music becomes internalized as a consistent catharsis in listeners lives. Bands like Drudkh play a very intimate version of such an audacious sub-genre as black metal heralding a deep divide between fans who don't see this band as true enough for them and fans who admire a humbler rumble that, despite its calmer demeanor, will still evoke a strong reaction. While Drudkh is a well-established black metal act that breaks the mold with its more positive and less percussive sound, Grift plays a lament closer to the heart that denotes a derided desperation in the mind's weaved wilderness.

Ukraine's stalwart black metal band, Drudkh has brought another EP out of the forest and in true form has given fire to lamenting riffs rather than cowing to despair. “His Twenty-Fourth Spring” walks you through the curves of a woodsy road into an open meadow bristling with spring flowers and grass as the clouds clear and the crisp air thickens with the bird songs and pollen of a new year. Layered with a cold lead guitar leaving a bite in the atmosphere, hot drums warming the soil, and a rhythm guitar that keeps the peace between them both, each progression brings new life into the song as the pacing shakes off the chains of winter and stretches itself out to embrace a world renewed. In response to the rebirth of “His Twenty-Fourth Spring” is “Autumn in Sepia”, a furious denial of the coming winter that refuses to be pummeled by the changing of the winds without pummeling back. The change in tone is deeply apparent as spring comes with ease and its arrival is relished while autumn's melancholy is met by preparation. The guitars launch themselves at the drums and vocals creating a blistering cacophony that burns itself against the coming cold. Autumn is far more focused and driven to survive the oncoming winter while spring was laid back and enjoying its time in the sun. Drudkh tells a timeless story in these songs signaling the producing and parting periods that the temperate zone is known for and the effect the climate has on its inhabitants.

Desperately crying for relief, Swedish one-man band Grift begs to be heard across the expanse that Eric Gardenfors' music creates, exacerbated by furious notes only to denote the anguish of this isolation. “The Source” yearns to be found by hopeless dreamers who have nothing left to give but need an outlet from this crippling melancholy melody. “The Source” drives this hopelessness home by guiding you from that destructive depression into a drowning defile of bitterness, one that Gardenfors describes with malice in lyrics that offer a scathing cross examination as the protagonist is prosecuted. Where Drudkh brought you sun, Grift brings rain and heartache, tempering anguish on a simmering scale of drum rhythm while the boisterous beauty of its music accentuates anguish and drives dread into your hankering heart. Sol gives you no heat in these cycles. Instead it is as lacking in drive as your own thoughts create mirages of doubt when indulging in foregone failures and wrests the hope from your hapless hands. The cycle is complete as you break down into the bottle again, beauty and misery forged into the melancholy that Grift called “The Circle”. Where Drudkh brought heat and harmony, Grift gave frigid anguish and doubt. These sets of songs compliment each other well in their juxtaposition. (Five_Nails)

mercoledì 2 novembre 2016

Lord Agheros - Nothing At All

#PER CHI AMA: Dark/Folk/Ambient
Era il 2008 quando recensii per la prima volta i Lord Agheros, in occasione del loro secondo cd, 'As a Sin', dove li indicai come band dal futuro assai promettente in territori black ambient. Oggi, a distanza di otto anni, mi ritrovo fra le mani il disco numero cinque della one-man-band catanese, sempre egregiamente guidata da Gerassimos Evangelou, che ha preso definitivamente le distanze da quegli epici esordi. 'Nothing at All' conferma comunque quanto di buono fatto dal polistrumentista siciliano in passato, proponendo un disco dalle oscure tinte gotiche, che mostra tuttavia qualche passaggio a vuoto che mi abbia lasciato un po' perplesso, anche se non si tratterà di nulla di cosi grave. L'album inizia come se si trattasse di una proiezione cinematografica, con tanto di rumore del proiettore e della pellicola che vi scorre dentro. Poi è il suono malinconico di un pianoforte a subentrare, pianoforte che sarà il vero protagonista di questa release. Dopo l'intro infatti sono ancora i tocchi di piano che aprono "Lake Water", qui accompagnati dalla voce suadente di Federica Catalano, vocalist dei Lenore S. Fingers, in una traccia decisamente autunnale, in un incedere dark ambient alquanto decedente. Un evocativo interludio di folk mediterraneo, corredato da voci corali e poi è lo strimpellio di una chitarra acustica ad introdurre "No More Rules", in cui forse per la prima volta, appare il riffing della chitarra elettrica, in una song interamente strumentale. In "Life and Death" è forte il rimando nelle sue linee melodiche, alla colonna sonora di Blade Runner, ma a stonare, e qui nasce la mia perplessità, è la scelta di utilizzare un riffing più corposo e pesante, che si discosta dai pezzi fin qui ascoltati, e che va a spezzare quell'aura magica e spirituale fin qui creatasi. La cosa si ripete anche nella successiva "The Day to Die", altra traccia che ho sentito scollegata dal resto delle composizioni, ancora una volta a causa di un rifferama particolarmente marcato che a mio avviso stona in un disco che aveva imboccato una strada completamente diversa. Qui risiedono i miei dubbi, non tanto per una qualità musicale scadente, piuttosto per l'idea di utilizzare un approccio musicale che sin qui e da qui in poi, trova meno punti di contatto con il flusso sonico creato dall'artista siculo. Tant'è che la pioggia e il pianoforte di "On the Shore" ripristinano quell'alone di misticismo e forte malinconia, nuovamente spezzati dai riffoni thrash metal di "Idiocracy", sulle cui marziali note si installeranno poi i discorsi di alcuni presidenti degli Stati Uniti ma anche le voci angoscianti di Hitler e Mussolini, in una song più provocante che piacevole d'ascoltare. Il suono degli elementi naturali torna ad aprire in "What We Deserve", con le onde del mare e il soffio del vento che, in compagnia di pianoforte e violoncello, regalano sofferenti attimi di tristezza. Ancora sonorità classiche con il lirismo di "Final Thoughts", traccia raffinatissima che col metal non ha nulla a che fare, cosi come la conclusiva title track che, nello spazio di un minuto e mezzo, suggella l'onorevole prestazione dei Lord Agheros, sulle parole del drammaturgo inglese William Congreve. Peccato solo per quegli episodi troppo metallici per un simile album, che rischiano di spiazzare e non poco l'ascoltatore. Rischieremo poi di essere qui a parlare di un capolavoro in pieno stile Dead Can Dance, ma direi che c'è ancora tempo per calibrare il tiro e raggiungere le vette del duo anglo australiano. (Francesco Scarci)

martedì 1 novembre 2016

Skox - Years of Legions

#FOR FANS OF: Thrash Metal, Torrefy, BattleX
Toiling in the underground since 2003, French thrashers Skox have had very little output since their creation, spawning only a demo and an EP release five-years later before another six-year gap in releases until now. From the beginning this generates the kind of short, sharpened bursts of thrash which becomes quite frantic and generally far more vicious than expected as there’s a series of tight, vicious rhythms with wildly-chaotic leads that are feverishly played over the whole effort. Likewise, the shorter rhythms work well here in making for a routinely enjoyable mid-tempo chug to dominate the majority of the album, and generally works quite well here by keeping the material up-beat and charging along with the bouncy tempos off-setting the raging rhythms into a solid whole. There’s a feeling here that the album could deal with a more pronounced set of intense tracks here, as though those are where the band really scores quite well the fact that it’s drowned out by the tighter-yet-less-energetic mid-tempo sections causes this to drop off in intensity throughout the album which is slightly troubling. Still, this one is a debut offering and does get a slight pass on that front as the band should get experience to even it out, and for the most part there’s a lot to like here in the tracks. The instrumental intro ‘Entering the Battlefield’ uses it’s militaristic marching to great effect leading into the title track as the swirling, ravenous drumming and vicious stuttering thrashing rhythms carrying this along into a solid series of chugging riff-work that brings along some vicious rhythms along through the final half for a solid and engaging effort. ‘Cell Swelling’ continues the solid mid-tempo chugging patterns with some solid and enjoyable mid-tempo rhythms with plenty of rattling drumming and vicious riff-work throughout the final half for another enjoyable effort. ‘Running Out of Time’ gradually builds into a strong stylistic chug series of rhythms that settle into a solid mid-tempo groove that runs throughout the main rhythms with several slight tempo changes along the way leading into the chugging finale for a solid effort. ‘Thrashtastik’ features some bouncier riff-work and some lively rhythms that carry out through the first half only to get turned into more mid-tempo patterns and thumping chugging riff-work through the final half for a decent if overall unspectacular effort. The bland ‘Engine of Death’ employs chunkier chug-riffs with a steady, solid stream of mid-tempo paces that march singlemindedly along with the vicious chugging carrying the rhythms along into the blistering finale for a fantastic finish to an overall bland offering otherwise. ‘Road 666’ gets this back on track with some decent chugging rhythms and stuttering riff-work that bring the more vicious patterns into the wild and frenetic rhythms of the charging finale for another solid and enjoyable effort. ‘March of the Dead’ is back to the straightforward and simplistic chugging rhythms here which manages to add a slightly more intense charge along through the stuttering rhythms featured throughout the plodding final half for a bland finish that doesn’t detract from the enjoyable first half. ‘Smash Your Enemy’ offers simplistic, plodding chugging rhythms into a series of ravenous swirling patterns with plenty of fiery, energetic patterns and plenty of furious patterns that carry on through the final half for a stellar, standout effort. Finally, album-closer ‘Leaving the Killing Field’ offers a simple series of swirling melodic rhythms and rather simplistic patterns that loop over into a relaxing tempo for a somewhat lackluster and bland final impression here. Still, this here is decent enough when it really matters. (Don Anelli)

sabato 29 ottobre 2016

This Burning Day - Elemental

#PER CHI AMA: Metalcore/Djent, Tesseract
La scena rock/metal bulgara, questa sconosciuta: non riesco nemmeno a citare glorie passate e presenti del fiero paese dell'est Europa (chiedo venia per questo), quindi nella mia valutazione, mi sono basato più in generale sulla scena mondiale che ha influenzato la band di Sofia. I This Burning Day (TBD) nascono nell'inverno del 2011 nella capitale bulgara e hanno alle spalle la produzione di diverse tracce, ma solo dopo svariati live e festival, decidono di ritirarsi in studio per date alla luce il loro primo EP, 'Elemental'. I tempi lunghi di gestazione sono stati probabilmente investiti per affinare i suoni, gli arrangiamenti e riallineare gli obiettivi quando qualche elemento della band ha deciso di lasciare il progetto. I risultati sono sicuramente ottimi, a livello di sound i TBD raggiungono livelli professionali, non avendo nulla da invidiare a grandi nomi come Bring Me the Horizon, Tesseract e tutta la scena metalcore e djent da cui traggono ispirazione. Il quintetto è infatti cazzutissimo, con chitarre veloci e aggressive accompagnate da un basso che ricalca le linee melodiche, ma che insieme alla furente sezione ritmica, regalano brani incisivi e variegati. Il vocalist supera perfettamente la prova, districandosi tra un cantato melodico, growl e scream senza battere ciglio, aiutato da seconde voci che, messe nei punti giusti, aumentano l'impatto sonoro delle tracce. "A Former Life" è il concentrato di quanto appena detto, con i suoi quasi cinque minuti ben sviluppati con un'ottima contrapposizione tra sezioni ad alto contenuto di tensione ed oscurità che si risolvono in allunghi ariosi e distesi con ottima sinergia delle parti. Gli spunti elettronici aiutano nel complesso, anche se non sono determinanti, necessiterebbero di più spazio per esprimersi al meglio. Questo succede in "If You Feel the Same", in particolare verso la fine quando una timida tastiera tesse un semplice rintocco di note che, ricche di riverbero, evocano un suono astrale ed etereo. Gli assoli e i riff di chitarra sono come ci si aspetta, ma non diamo per scontato cotanta tecnica e varietà, anche se il livello generale degli ultimi anni è in netta crescita. Registrazione, mix e mastering sono da manuale, sarei curioso di ascoltare un live e vedere se tutto ciò è almeno in parte sostenibile fuori dall'ambiente ovattato e sicuro dello studio di registrazione. Dopo aver ascoltato i video della band sul tubo, sembra essere proprio cosi, e allora il quintetto può dirsi maturo anche in questa parte. Ben fatto il digipack e leggendo anche i testi, si nota la cura nel ricreare atmosfere oscure dove, tra ambientazioni urbane e opprimenti, lo spirito cerca una via di fuga e un modo per riscattare un'esistenza apparentemente circondata da sofferenza. Una band che dopo aver fatto i compiti per casa, ovvero aver studiato per bene la scena metalcore/djent attuale, ora è pronta a contribuire con la propria creatività. Speriamo sia così, sarebbe una gran bella sorpresa per il full length che arriverà, prima o poi. (Michele Montanari)

(Self - 2016)
Voto: 75

Martin Nonstatic – Nebulae Live at the Planetarium

#PER CHI AMA: Ambient/Electro/IDM
In un contesto particolare quale può essere il planetario Zeus A Bochum in Germania, la Ultimae Records ha proposto ai suoi artisti di suonare live, un'occasione ghiotta di vedere questi illuminati dal vivo, in una situazione almeno in parte non consona al mondo musicale. Nel febbraio di quest'anno, Martin Nonstatic, supportato dalle proiezioni di Tobias Wiethoff, ha portato la sua musica visionaria in sintonia con l'ambiente circostante, creando un legame psicofisico con l'illusione spettacolare che può creare un planetario, geniale invenzione, che tra le tante proprietà, è in grado di riprodurre i principali movimenti dei corpi celesti e gli spostamenti apparenti dei pianeti e della Luna sulla sfera celeste. Così tra una costellazione e l'altra, nasce 'Nebulae', con il suo artwork di copertina esemplare, curatissimo e raffinatissimo, come spesso accade con l'etichetta di Lyon. La registrazione live della performance è di alta qualità e di sicuro effetto estatico. Martin centra perfettamente la sintonia con il viaggio interstellare, creando rumori e suoni ipertecnologici e futuristi, inflazionati da un concetto di infinito e spazio aperto senza confine, ammaliato da spettacolari corpi celesti. Una musica d'ambiente che vira profondamente verso la colonna sonora di un film di fantascienza, per un'ora di suoni elettronici hi-fi che comunicano con Kraftwerk e robot vari, che trasformano l'ambient di Brian Eno in un sogno cyborg, senza dimenticare l'elettronica anarchica degli Autrechre, rivista in una forma rallentata e rarefatta a dismisura, e dotata di una venatura chill-out da outsider, rifiutante le mode, rendendo alla fine il tutto attraente e affascinante. Le capacità dell'artista austriaco sono indubbie e la sua sensibilità compositiva merita apprezzamento e rispetto. La sua volontà di ricerca è assai propositiva e rivolta ad un pubblico che ama un ambient impegnativo ma anche coinvolgente, una sorta di rigenerazione sonora fatta di grappoli sonici minimali, rumori e ritmi profondi, ancestrali, ipnotici e cinematici. Una lunga colonna sonora eseguita dal vivo che testimonia una serata di grazia creativa e una maturazione raggiunta che può accompagnare il musicista di Linz ovunque nell'universo sonico. Martin Nonstatic sta scrivendo pagine interessantissime della musica ambient sperimentale, pagine che non possono passare inosservate. 'Nebulae' è un ottimo lavoro d'introspezione sonora, di esplorazione ambientale con un tocco di elettronica raffinata e intelligente, un'altra pietra miliare aggiunta alla discografia di un talento tutto da scoprire ed apprezzare. (Bob Stoner)

(Ultimae Records - 2016)
Voto: 80

venerdì 28 ottobre 2016

Ekstasis – The Adversary

#PER CHI AMA: Neofolk acustico
L'universo della musica folk è talmente inconsueto e trascendentale che se si evita il tradizionale e quindi omologato, per ovvi motivi, standard d'esecuzione, si hanno sempre nuove e ottime sorprese. La super band in questione viene da Olympia, Washington (anche se il loro sound non ha nulla di americano) e suona come una sorta di neofolk dalle tinte color pastello molto calde e avvolgenti, con una componente mistica di elevata intensità e, cosa che li contraddistingue dalla grande massa, è un confine labile tra classicismo barocco e folk acustico di rara bellezza e forte emotività. Al secondo album, uscito in collaborazione con la Pest Productions via Invisible Oranges, Johnny DeLacy alla chitarra e voce (Faun, Threnos, Fearthainne), coadiuvato alla seconda chitarra da Ray Hawes (Skagos, Iskra), e con Mara Winter ai flauti, Mae Kessler al violino, Marit Schmidt alla viola (Sangre De Muerdago, Vradiazei, Memory boys) e Michael Korchonnoff (Alda, Fiume, e Novemthree) alle percussioni e voce, i nostri Ekstasis sfornano un disco decisamente di alto livello riuscendo a compiere quel salto finale che li colloca tra le migliori uscite in ambito neofolk degli ultimi tempi. Già nell'album precedente, il paesaggio acustico era portato ad una bellezza senza tempo mentre in questo secondo lavoro la bellezza diviene infinita con picchi di qualità che sfiorano la divinità. In primis, il gusto espresso per un sound colto e rurale (passatemi il termine), una produzione egregia, e un suono talmente naturale che sembra di entrare in un paesaggio medievale immerso nella natura fin dalle prime note d'ascolto; poi, il legame con album epocali come 'Beautiful Twisted' di Sharron Kraus, 'Quaternity' dei Sabbath Assembly o le alchimie ancestrali dei bretoni Triptyque e del folk senza tempo dei mitici Sedmina, è indissolubile e inevitabile per una comune capacità di reinterpretare il folk in termini futuristi senza mai tagliare il cordone ombelicale che lo lega alle radici più oltranziste del genere. Nei sei brani spettacolari contenuti in 'The Adversary' troviamo diverse provenienze musicali riprese da mondi diversi, tutte attinenti al folk più radicale, ma sia chiaro, nessuna parentela con il folk metal o affini, qui c'è un totale isolamento dalla musica di routine ed un'enfasi estatica memorabile tradotta in influenze celtiche, musiche dell'est Europa e tanto altro. Non vi è un brano meno splendido dell'altro, tutti insieme formano una sorta di lungo pellegrinaggio verso una terra di nuova speranza, sofferta e cercata, passando da un impatto epico, sognante e malinconico. Musicisti navigati ed esperti gli Ekstasis, si mostrano oggi desiderosi di creare nuove pagine di una tipologia di folk concettuale, legata saldamente al passato ma lanciata più che mai nel costruire nuovi territori sonori acustici, affascinanti, intimi e barocchi. Senza tempo né origine geografica, universali connessi alle visioni eteree di band quali Ataraxia, Dead Can Dance e The Moon and the Nightspirit. Se il mondo si affidasse alle musiche di artisti come questi, la vita spirituale di tutti sarebbe di uno spessore decisamente più elevato. Capolavoro tutto da scoprire! (Bob Stoner)

giovedì 27 ottobre 2016

Trust Your Heart - Not by the Sword But by the Cross

#PER CHI AMA: Dark/Christian Black Metal, Sine Macula
Erano i primi anni '90 quando sentii parlare per la prima volta di Christian death metal, in particolare di una band australiana, i Mortification, che inneggiavano alla cristianità e alla lotta al maligno. Da li in poi il fenomeno del metal cristiano (o anche white metal), ha visto qualche paladino elevarsi più di altri, e penso ad esempio ai Saviour Machine. Quest'oggi mi trovo fra le mani una one-man-band italiana dedita al medesimo genere, più che altro a livello di contenuti lirici. Si tratta dei Trust Your Heart, band capitanata da Cesare Sannino, mente per un decennio fra gli altri, degli Anima Capronii. 'Not by the Sword But by the Cross' è il sesto album nel giro di poco più di un anno per l'atipico mastermind italico. E ahimè, credo fosse meglio concentrarsi maggiormente sull'uscita di un singolo lavoro piuttosto che rilasciarne addirittura sei, quasi un record. Questo perché l'album, rilasciato in formato cd-r, suona terribile già a livello di produzione, proponendo poi un (un)black metal contaminato da litanici sermoni cristiani. Alla pessima registrazione si aggiunge poi l'orribile suono della drum machine, che dal primo tocco nella opening track, fino alla conclusione del cd, non cela le lacune tecniche del musicista di Sondrio. Il suggerimento in primis che mi sento di dare è quindi di assoldare un batterista in carne ed ossa e dare un'anima più viva al progetto, ne beneficerebbe fin da subito la musica, in cui peraltro il buon Cesare prova ad inserire qualche richiamo folk o addirittura rievocare il sound dei Sine Macula, band electro-dark-metal, che trovò un po' di visibilità all'inizio del 2001. Il disco alla fine contiene sei brani, in cui il musicista lombardo imbastisce dei semplici riff di chitarra, certamente non memorabili, su cui poi alterna uno screaming arcigno poco convincente e un cantato pulito scadente e in cui le parti più acute, risultano davvero stonate. I tentativi da parte di Cesare nel rendere vivace il proprio sound ci sono tutti, ad esempio l'utilizzo di caterve di synth elementari e atmosfere che verosimilmente potevano andare bene 30 anni fa; penso alla conclusiva "Victory Belongs to Jesus Christ" con i suoi richiami dark alla The Cure. Oggi, con tutta la tecnologia che si ha a disposizione, non è plausibile avere come risultato un lavoro di questo tipo. Bisogna fermarsi a riflettere quali siano i reali obiettivi nel rilasciare un lavoro come questo, se quello di catturare l'attenzione dei metalheads (fallito), se destare scandalo tra le 'zine (centrato in pieno) o semplicemente per divertirsi a far musica pur tenendo in considerazione gli scarsi risultati. Chiuderei pertanto la mia recensione con un celebre aforisma di Oscar Wilde, "Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli”, che forse alla fine è il reale scopo dei Trust Your Heart. (Francesco Scarci)

mercoledì 26 ottobre 2016

Eterna Rovina - Metamorfosi

#PER CHI AMA: Black Depressive, Movimento d'Avanguardia Ermetico
Le one-man-band rischiano di essere fin troppo inflazionate ultimamente; l'ultima arriva da Urbino, gli Eterna Rovina, ed è opera di tal F., membro peraltro di Batrakos e Sonnenrad. Il giovanissimo musicista marchigiano (21 anni), ci presenta 'Metamorfosi', disco uscito per diverse etichette, tra cui la messicana Silentium in Foresta Records, che ha dato alle stampe la prima release di 'Metamorfosi' e la nostrana Adimere Records, che ha ristampato un cd che era andato velocissimamente sold-out. Questo potrebbe lasciar presagire le ottime qualità del mastermind italico, ma andiamo con ordine e cerchiamo di analizzare pregi e difetti di questo lavoro d'esordio. Intro rumoristica e poi il suono del mare ci conduce a "Decadendo nel Flusso", traccia di black mid-tempo, che sottolinea la vena atmosferica degli Eterna Rovina e di un sound che a più riprese, apparirà ispirato dalla natura e dalla cosmologia filosofica, ma che in termini di suoni, risulterà invece penalizzato da una registrazione a tratti imbarazzante. Peccato, perché la traccia d'apertura (che ritroveremo anche ne "Il Respiro del Silenzio") mette in luce un sound ancestrale, primigenio, condito da serratissime ritmiche su cui si stagliano gli aspri vocalizzi di F., ma che aprono anche a desolati paesaggi evocanti lo spirito del maestro Varg Vikernes. A questo aggiungete poi una diffusa vena malinconica che permea e dona una aurea di mistero all'intero lavoro, contribuendo anche ad una certa alternanza ritmica che si sposa egregiamente con la proposta degli Eterna Rovina. "Memorie del Caos" è un brano più ritmato, che dall'inizio alla fine non ha da offrire grossi sussulti se non una coerente linearità ritmica sovrastata dall'arcigna performance vocale di F. che ci accompagna fino al secondo intermezzo noise "Eco Astrale II". "Ombre di Cenere" non si discosta poi molto dalle precedenti, garantendo sonorità adombrate (quasi funeral doom) di cui sottolineerei il cantato in italiano facilmente intellegibile e uno spaccato di musica lirica da brividi, che eleva qualitativamente, anche se per pochi secondi, la proposta dell'oscuro individuo che si cela dietro al moniker Eterna Rovina, che si avvia verso un epico finale. Ancora una manciata di secondi all'insegna di suoni misteriosi e tocca a "Il Respiro del Silenzio" regalarci squarci di musica emozionale che si muovono tra depressive e post black (in un finale pazzesco), evocando a più riprese la proposta dei piemontesi Movimento d'Avanguardia Ermetico. Quel che stona però nella proposta del musicista italiano è una certa artificiosità nei suoni di batteria (ah, maledette one-man-band con la drum machine!!) e poi il grossolano errore a livello di volumi a fine brano (e inizio successivo) in cui sembra ci sia qualcuno che si diverta a fare su e giù con la leva dei volumi, un vero peccato, che comunque non pregiudica la prova dignitosa di un giovane musicista che ha davanti a sé tutto il tempo per migliorare, imparando dagli errori passati. Alla fine 'Metamorfosi' è un disco per certi versi interessante, ma che necessità di una maggior cura nei dettagli per evitare quei grossolani errori che rischiano di oscurare la buona riuscita di un album. (Francesco Scarci)

martedì 25 ottobre 2016

The Pit Tips

Francesco Scarci

Chiral - Gazing Light Eternity
Fjord - Portrait for a Reflection
They Seem Like Owls - Strangers

---
Don Anelli

Untimely Demise - Black Widow
Brutally Deceased - Satanic Curse
Sin of God - Aenigmata

---
Kent

16 Horsepower - Sackcloth 'N' Ashes
Nudist - See The Light Beyond The Spiral
Zippo - Maktub
 

---
Stefano Torregrossa

Meshuggah - The Violent Sleep Of Reason
Brain Tentacles - Brain Tentacles
Monolord - Lord Of Suffering / Die in Haze
 

Except One - Haunted Humanity

#FOR FANS OF: Melo Death/Metalcore, Eths, The Agonist
Emerging from the French underground, the new EP from Melodic Death Metal/Metalcore hybrid Except One have quickly become a vibrant part of the scene with the five-piece honing into a fine mixture of aggression and beauty. As is the case for most modern female-fronted efforts in the style, the main crux of the band is the ability to shift between the deep, heavy churning riff-work with the accompanied gruff, violent vocals while still maintaining a clear balance of lighter, groove-centered work throughout here that gives this a strong overall variety between the aggressive rhythms and relaxed melodies. While it’s somewhat of a one-note approach without really bringing any kind of differentiatly throughout here, for the most part there’s not a lot to dislike here with the consistency ringing true throughout here. Intro ‘Rise’ whips along through a series of tight chugging breakdowns and stylish mid-tempo groove-centered riffing that carries along nicely through the rather charged final half for a solid, impressive opening highlight. ‘Lost’ offers along a slightly more up-tempo and energetic variation with a greater emphasis on deep, heavy chugging and twisting metalcore-styled rhythms while ramping up the breakdowns and sprawling patterns into the finale for another strong highlight. ‘Schizofriend’ takes on slightly more melodic swirling riffing alongside some ferocious and strong grooves wrapping around the sprawling massive rhythms that chugs along into the final half for a fine if solid enough effort. ‘Revenge’ returns to the strong and tightly-wound chugging patterns found here with plenty of fine breakdowns amongst the groove-filled chugging into the finale for a much stronger effort. ‘Elm Street’ features a strong plodding chug rhythm and swirling breakdowns alongside the slower pace while bringing in the stronger and less intensive charging rhythms leading into the grinding finish. ‘Disease’ brings forth plenty of strong and straightforward grooves among the swirling riff-work offering ferocious and charging blasts of strong swirling melodies into the final half for another fine highlight. Lastly, album-closer ‘7even’ moves past a trinkling opener into another strong, swirling blast of grooves and churning riffing to a fine, melodic whole offering the charging breakdowns and grooves heading into the finale for another nice effort and a good lasting impression. On the whole there’s quite a lot to like here. (Don Anelli)