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sabato 4 luglio 2015

3 Days of Silence - Sodium/Sulfur

#PER CHI AMA: Black Industrial Sperimentale
Lo dico da un po’ di tempo che in Svizzera c’è un sottobosco che brulica e non poco, facendo emergere diverse band dai caratteri davvero interessanti. Complice la presenza di due etichette emergenti, la Hummus Records e la Czar of Crickets, ma anche grazie ad una sempre più fiorente scena metal. I 3 Days of Silence si formano nel 2012 nei dintorni di Ginevra, dopo una serie di pregresse esperienze con Xicon e The Nightshade, e solo a fine 2014 escono autoprodotti con questo intrigante ‘Sodium/Sulfur’. La spiegazione del mio “intrigante” la si ritrova immediatamente nei contorni industrial trip-hop della opening track del side A di ‘Sodium’, “Mortality/Normality”, che trova il solo punto di contatto col black, nello screaming ferino di AsCl3, che affianca quello di una soave fanciulla. Per il resto potrebbe essere tranquillamente una qualsiasi delle band della scena di Bristol a suonare, muovendosi tra elettronica e bassi trip-hop, in un ipotetico mix tra Portishead e Massive Attack. Elettronica che torna decisa anche nella successiva “Ask the Dust”, dove anche le vocals maschili vanno ad emulare quelle dei gods inglesi e in cui la definizione metal va quasi totalmente a estinguersi per abbracciare un sound più votato alla sperimentazione. Un pianoforte apre “Consolation”, un’altra traccia che travalica il concetto di metal: suadenti, melodici, visionari, sperimentali sono solo alcune tra le parole da spendere per descrivere il sound dei 3 Days of Silence. Giro lato, e il side B del vinile (‘Sulfur’ che verosimilmente dovrebbe evocarmi l’atmosfera sulfurea dell’inferno) mi presenta uno scenario alquanto inatteso, ossia la furia iconoclasta di “Na-tural S-tate” che prende nettamente le distanze da quanto ascoltato fino ad ora. Sinceramente frastornato da questo cambio di rotta, l’unico punto di contatto col side A è rappresentato dall’utilizzo di qualche sampling e da tastiere atmosferiche. “Verwüstung” è un ferale attacco black, sferrato a velocità disumana, che solo sul finire torna a rinverdire ipnotici fasti trip-hop. Ormai è chiaro, il secondo lato di questo disco si pone in netta contrapposizione alla verve sperimentale di ‘Sodium” e così anche “S.W. MMVII” si muove sul versante estremo, palesando comunque singolari melodie di sottofondo che confluiscono nell’esplosione finale di “White Birds”, song selvaggia ma comunque dai tratti cibernetici. I 3 Days of SIlence alla fine mi convincono appieno, qualunque sia la direzione dove il trio ginevrino si sta dirigendo. Aiutati poi da una folte schiera di amici (Blutmond, Near Death Condition e Code), ‘Sodium/Sulfur’ si presenta come un accattivante album d’esordio che mi obbliga fin d’ora a tenere monitorate le sorti di questo combo elvetico. (Francesco Scarci)

Khaossos - Kuolonkuu

#PER CHI AMA: Black Old School, Burzum
I Khaossos li abbiamo già incontrati sul finire del 2014, quando tra le nostre grinfie finì 'Eksistentialismi', EP dedito a un oscuro black old school che positivamente colpì il nostro Bob. Ora, a distanza di qualche mese, mi ritrovo fra le mani (ma solo virtualmente, vista la natura digitale della release) 'Kuolonkuu', il full length di debutto del combo di Uusimaa. Sei i brani a disposizione per provare a sedurre anche il sottoscritto, di manica decisamente più stretta rispetto al collega che precedentemente recensì la one man band finlandese. Dopo la spettrale overture, l'album si affida all'incedere ossessivo, tagliente e minimalista di "Sokeus", una lunga traccia, che nei suoi oltre nove minuti, mai accenna ad una accelerazione o a una sfuriata che ne modifichi la sua desolante dinamica esistenziale. Spoglio, diceva bene Bob; è difatti la parola che meglio si addice per delineare l'essenza tormentata di questo eremita del black metal. La terza "Harhainen" è un altro lungo brano in cui si scorge una vena folklorica che fino ad ora era rimasta nell'ombra della litanica proposta del factotum finnico. Difficile cogliere però il benchè minimo barlume di speranza dall'ascolto di questo disco, che tra le proprie influenze racchiude senza ombra di dubbio i Burzum più tetri ed essenziali, complice quella monotonia intrinseca racchiusa nelle linee di chitarra. Il registro non cambia poi di molto anche in "Polkuni Vailla Suuntaa", asfissiante e deprimente, il brano prova a cambiare registro ed inoltrarsi, con le sue ancestrali tastiere, nelle maglie di un black più atmosferico. Con la title track, il buon Kval prosegue la sua missione di saturazione di anima e mente, spingendo gli ascoltatori sull'orlo del precipizio del suicidal black, prima di dare la letale spallata finale; del lotto è la song che preferisco, forse anche la più varia, visto il break acustico centrale. 'Kuolonkuu' l'avrete intuito, non è tra gli album più semplici da digerire, quindi servirà tutta la vostra attenzione e ispirazione, per trarre giovamento dalle note informi di questo maledetto artista, che con la breve "Toisella Puolen" chiude definitivamente le porte dell'inferno. (Francesco Scarci)

Dustskill - Closing Circles

#FOR FANS OF: Melodic Death Metal, early In Flames and Dark Tranquillity
The debut EP from these German Melodic Death Metallers tends to go along pretty familiar routes here that can make this band appear pretty much stagnant and derivative. Whereas the majority of the bands of this style tend to play deep, heavy Death Metal bristling with melodic notes and accents, instead this group is more into the modern stance of the scene with plenty of mid-tempo or slower chugging patterns that offer breakdown-style riffing complete with twists between clean and growled vocals that suggest melody throughout but don’t really suggest a lot of actual Death Metal in their roots. This is due to the stripped-down, mechanical approach to the music here without much to really lay into the more aggressive side of their sound, which is without question the early-90s Gothenburg forbearers to this general scene. Those mid-tempo moments here are just too strongly rooted here to let that take hold, for while this does a more admirable job at establishing itself in the deathlier realms that the Metalcore crop that also emerged from said scene utilizing the same formulas, it just can’t get that solemn, melancholy feel to really let loose here which results in enjoyable if not exactly demanding work throughout here. Instrumental intro ‘The Circle Closes’ gets this started with a series of electronic bleeps and building tension that leads into proper first track ‘Here Comes the Fire’ really offers a lot of that great work with choppy drumming grooves, tight chugging and a gorgeous sense of melodic framework with the clean vocals mixed alongside the deep growls for an impressive first offering. ‘Restless Will’ offers a more traditional Death Metal assault here with the pounding kick-drumming, deep chugging and melodic surges that offer the best hints here of their overall future approach with a solid semblance of attack here, and sticks out as the best track accordingly, while ‘Broken Blockade’ features a slightly less up-tempo variation with far more frantic blasting drum-work amid the gorgeous melodic chugging intertwined throughout the final half for the album’s best two tracks. ‘Burning Dust’ goes for a more technical approach to the standard Gothenburg mindset throughout the vast majority here as the pounding drumming and charging riff patterns that are trying to eke out here are awash in melodic rhythms and tight chugging for an enjoyable if not exactly stand-out effort. ‘The Hundredth One’ turns towards mid-tempo chugging with a few scattered blastbeats among it’s more restrained and melodic moments are mixed alongside that slow, mid-tempo melodic chug that makes this another enjoyable if not spectacular offering. Lastly, ‘Rusty Skin’ again keeps the melodic mid-tempo chug at the forefront but not even at that previous one’s speeds which get close with a series of sharp rhythm-work throughout but the melodic keyboards and chug-based patterns keep this from really racing along and tends to end this on a down-note. Overall, this one isn’t all that bad but doesn’t really stand-out in the crowded scene as it is. (Don Anelli)

(Self - 2015)
Score: 65

https://www.facebook.com/dustskill

The Pit Tips

Kent

Mitochondrion - Archaeaon
Ad Nauseam - Nihil Quam Vacuitas Ordinatum Est
Samothrace - Life's Trade

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Larry Best

Dendera - Pillars of Creation
Luca Turilli's Rhapsody - Prometheus
Helloween - My God-Given Right

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Claudio Catena

Faith no More - Sol Invictus
Testament - Dark Roots of Thrash
Alice in Chains - Facelift

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Francesco Scarci

Dekadent - Veritas
Vola - Inmazes
Naïve - Altra

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Yener Ozturk

Amenra - Mass III
Crowbar - Symmetry in Black
Sodom - In War and Pieces

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Don Anelli

Chaos Synopsis - Seasons of Red
Reanimator - Horns Up
Dustskill - Closing Circles

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Roberto Alba

Amestigon - Thier
Abyssion - Luonnon Harmonia Ja Vihreä Liekki
Urfaust - Apparitions

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Stefano Bissoli

The Troggs - Wild Things
Beastie Boys - Check Your Head
C'mon Tigre - C'mon Tigre

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Stefano Torregrossa

Goatsnake: Black Age Blues
Stoned Jesus: First Communion
Glowsun: The Sundering

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Bob Stoner

It's Not Night: It's Space - Bowing Not Knowing to What
Shrine of the Serpent - Shrine of the Serpent
Paradise Lost - The Plague Within

RTC - So Close So Far

#PER CHI AMA: Hardcore/Metalcore
Gli RTC (acronimo per Ready to Crumble) nascono nel 2011 nella Svizzera italiana, raccogliendo membri da alcune formazioni hardcore ticinesi e debuttano con un EP nel 2013. Dall'EP al disco d'esordio il passo è breve e nel 2014 vede la luce questo 'So Close So Far', 31 minuti di musica divisi in 10 tracce comprendenti anche un “Intermezzo” strumentale (ed è proprio “Intermezzo” il titolo del brano). Come sempre sarò molto sincero, a costo di essere perfino greve nelle mie valutazioni; ho sempre odiato il genere proposto dal quartetto svizzero, ma tant'è...premetto che mi sono accostato all'ascolto senza preconcetti e cercando di ascoltare più volte il disco, anche se non sempre è stato facile arrivare alla fine dei 31 minuti. La band propone un metalcore (chiamamolo cosi', va tanto di moda...) miscelato con elementi che arrivano dritti dritti dall'HC più classico, una voce che a volte si cimenta nel growl di chiara estrazione death, chitarre saturate tipo swedish anni '90 ed una produzione molto grezza, quasi da demo. Le canzoni scorrono, i minuti passano, ma veramente poche cose risultano degne di nota. I ragazzi sono degli ottimi esecutori, suonano bene e picchiano duro, ma le canzoni lasciano a desiderare. Tutte molto simili, senza picchi, abbastanze “piatte” e per quanto riguarda quest'aspetto, la produzione scelta non li ha di certo aiutati: chitarre troppo piene di bassi, che vanno ad “impallare” gli altri strumenti. Una produzione di questo tipo me la aspetto dagli Entombed, dai Dismember...ma questi gruppi hanno scritto la storia dello swedish death e quindi rispetto assoluto. Sono sicuro che nel caso degli RTC, con dei suoni meglio centrati, le composizioni ne avrebbero goduto, anche oltre che le orecchie. Comunque, dopo diversi ascolti, se la situazione non migliora vuol dire che difficilmente questo lavoro uscirà dal guado dei “solo discreti” della mia discografia. Qualche riff in più, un po' di monoliticità in meno (figlia probabilmente del ricercare il “peso” a tutti i costi, porta quasi sempre a rendere monotono il tutto, ammazzando anche le più semplici variazioni melodiche). Essendo io stesso un musicista, so che sicuramente gli RTC ci avranno messo l'anima nel comporre e produrre questo CD, ed infatti qualcosa che mi è piaciuto l'ho trovato sul serio: “Hero” e la conclusiva “Again, Again” sono due bei pezzi, che riescono a strappare la sufficienza in extremis. Una volta venivano chiamati “esami di riparazione”, ecco, aspetterò gli RTC al varco col prossimo lavoro; quando durante l'appello chiamerò il loro nome, mi aspetto di trovarli pronti, impavidi e coscienti delle proprie capacità. Possibilmente con un ottimo CD da presentare. Per ora, purtroppo, un occasione persa. (Claudio Catena)

(Jetglow Recordings - 2015)
Voto: 60

https://www.facebook.com/pages/RTC

venerdì 3 luglio 2015

Ossiyan - Hardrada

#FOR FANS OF: Heavy Doom
Receiving a pile of promo CDs to review is always a messy affair - lots of plastic sleeves strewn with prototype logos and not much else. However, in my most recent bundle, one beautifully packaged CD juts out from the rest. The artwork is utterly stunning, the band's logo is proudly adorned in a noble font, and the track-titles all sound elegant and grandiose. London's Ossiyan mean business, and their debut LP 'Hardrada' is nothing if not grandiose...and heavy as fuck. Describing themselves as 'valiant doom' was a smart move. Bearing this description in mind, and gazing at the truly fantastic cover art, will prepare the atmosphere appropriately for these up-and-coming doomsters to crush your skull. In a nutshell, the music on 'Hardrada' can be described as the Melvins receiving an informative lecture on vikings, led by Crowbar. The menacing whispers and dynamics of the former fuse happily with the down-tuned crushing sludge of the latter. Vocalist A. Wisbey even bears resemblance to King Buzzo at certain points; mainly during the quieter spoken sections - but even more so in the first verse of "Parting of the Seas". The concept behind this album is certainly unique, especially for an English band. Focusing on one particular historical event: the invasion of Stamford bridge by the vikings, led by Hardrada, who were crushed by the English - thus ending the reign of the vikings. The storytelling aspect of the music is well-executed through their use of contrasting dynamics and suitable lyrics. The introductory title-track is the perfect gateway to the rest of the album. Its gradual crescendo is expertly handled. The climax, where it finally explodes into pure doom metal goodness, is so satisfying! "Parting of the Seas" is a masterpiece, plain and simple. A. Wisbey's guttural, yet semi-melodic, growls are truly viking-esque, especially when his screams become desperate and emotive - magic stuff! O. Isaac's guitar tone is fat and meaty, and he certainly has no shortage of riffs! The opening riff to "Parting of the Seas" is grand and regal, and the closing riff of "War Weary" is my riff of the year so far - 'heavy' is too mild a word for it! J. Butler's bass carries some serious weight and is a delight to listen to. Unfortunately, M. Shankey's drums deflate the sound a little - the snare is far too dry and the whole kit is lacking reverb. A shame, considering his performance is more than admirable. Although the album tends to lose a sense of direction at its heart, the whole endeavour is refreshingly brief - letting it tell what it needs to and move on before any stagnation takes hold. The finale of "...And To Valhalla We Ride" is simultaneously melancholic and bombastic. Its closing chords seem to pound away with a sense of triumphant valour and mournful sorrow. I greatly anticipate more material from these newcomers, for if 'Hardrada' is any sign of things to come - it could signal the start of an English doom metal uprising. Much like Winterfylleth and their black metal cohorts. Make it happen, lads! (Larry Best)

(Self - 2015)
Score: 85

Die Like Gentlemen - Five Easy Lies

#PER CHI AMA: Sludge Doom/Stoner
Che stoner e sludge siano generi particolarmente di moda (almeno da quando gli ultimi Queens Of The Stoneage e Mastodon li hanno fatti conoscere al mondo, facendo inorridire i puristi) è un dato di fatto: per questo motivo sono sempre scettico di fronte a nuovi lavori di questo tipo. Scetticismo che però scompare al primo ascolto di questo secondo lavoro del quartetto di Portland dei Die Like Gentlemen, capaci di prendere il meglio del genere e mescolarlo in modo inedito e davvero figo. Poco più di mezz’ora di ascolto per cinque brani: 'Five Easy Lies' è un lavoro veloce ma sempre tirato, potente, denso di idee, riff spaccacollo e un’attitudine per il groove davvero invidiabile. Dentro ci sono tutti i migliori riferimenti del genere: il songwriting dei Black Sabbath, i suoni e le idee folli dei Melvins; ma ci sono anche atmosfere più progressive, sonorità doom e, in generale, quella sensazione da costante pugno-in-faccia a volume esagerato che, ne sono certo, farà dei Die Like Gentlemen una macchina da guerra in sede live. Se la opening “Unstoppable”, tolta la veloce intro iniziale, è giocata in continua tensione tra la violenza tirata delle chitarre e una parte di basso-batteria che ricorda certi Tool, “Ahriss The Wizard” alza il tiro per portarsi su atmosfere più doom rette dall’ottimo lavoro di basso e chitarre, a sfornare un riff portante che difficilmente dimenticherete. In “Animals of Romance” la tensione aumenta: c’è meno rabbia si, ma molta più inquietudine grazie al tempo sincopato e la voce cantilenante, che presto evolvono in un’architettura doom-prog, fino a chiudere con una curatissima ninna-nanna semi-acustica. “Stray Demon” è il capitolo più stoner-rock di 'Five Easy Lies' – se non fate headbanging sul riff di apertura, non avete capito niente di musica: solido, diretto, senza fronzoli, è il brano più corto e immediato del disco. Chiude “Hidden Switch” che, dopo il lento crescendo iniziale, si sposta su coordinate sludge-metal più classiche, con lunghi assoli ed epici passaggi sui timpani della batteria. 'Five Easy Lies' alla fine è un disco che lascia molto spazio agli strumenti, pur potendo contare su una voce di grandissimo spessore e pregio. Adam Alexander fa infatti un lavoro eccellente dietro al microfono: ricorda a tratti il miglior Neil Fellon dei Clutch, ma con una capacità di destreggiarsi tra limpide voci urlate e potenti ruggiti gutturali metal che danno colore e profondità ad ogni brano. Un piccolo capolavoro, supportato da una produzione più che egregia (erano mesi che non sentivo un basso così pesante, presente e distorto), una sola cosa non capisco, ossia perché i Die Like Gentlemen non abbiano già un’etichetta a promuoverli in tutto il mondo. Nell’attesa, però, non fatevi scappare questo ottimo lavoro. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2015)
Voto: 80

mercoledì 1 luglio 2015

Walk Through Fire – Hope is Misery

#PER CHI AMA: Sludge/Doom, Worship, Grief, Abandon
Immense distese oscure si espandono allo scorrere di quest'ultimo lavoro degli svedesi Walk Through Fire, in cui ogni minuto sgorga estrema sofferenza e malessere. L'album sfiora gli ottanta minuti di durata, e si erge su riff incredibilmente prolissi, sostenuti da ritmiche ossessive e prepotenti, nelle quali a tratti, compare una voce urlata, rigida ed incisiva. La preponderanza compositiva e la possanza sonora potrebbero mettere a dura prova il nostro ascolto, ma chi propende per le tetre emozioni, sacrificando la musicalità, troverà in quest'opera una perfetta dose di dolore - “Hope is Misery” e “Another Dream Turned Nightmare” vincono su tutte. A rendere il tutto più viv(id)o (anche se sarebbe più adatto dire “morto” in quest'occasione) è la performance del quartetto di Gotheborg che ha registrato live in studio tutto l'album, fatta eccezione per l'ultima “Laid in Earth”, una prova questa dell'intrinseca angoscia palesata dai nostri, privi della necessità di programmare o aggiustare le registrazioni in modo da ricercare la miglior resa. Angoscia resa perfettamente anche tramite l'utilizzo delle opere del pittore turco Cihat Aral, opere che compongono il booklet, espressione di una plumbea e soffocante atmosfera. Tirando le somme, questa terza uscita dei nostri è un pieno centro: anche se non si tratta certamente di musica per tutti o d'intrattenimento, 'Hope is Misery' riesce pienamente nel suo intento di annichilire animi e speranze. (Kent)

(Aesthetic Death/Wolves And Vibrancy Records - 2014)
Voto: 70