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lunedì 14 luglio 2014

Shattered Hope – Waters Of Lethe

#PER CHI AMA: Death/Doom, My Dying Bride, Esoteric
Oramai mi sono fatto il callo alle uscite della Solitude Prod., tanto che è difficile essere obiettivi con una label che vanta ormai una lista infinita di band praticamente identiche nel loro approccio. Ma è solo con prolungati ascolti, intensi o meno che siano, si può giungere alla conclusione che l'elevato numero di gruppi, di interessante caratura, rischi di livellarne la qualità, piuttosto che esaltarne i punti di forza. I greci Shattered Hope tuttavia sanno il fatto loro e propongono, a distanza di quattro anni dal precedente album, una revisione stilistica improntata su atmosfere cavernose e funeree. Come il fiume Lete, che nell'Averno causava perdita di memoria a chi ne assaggiava le acque, il combo ellenico rende le proprie composizioni alla stregua del fiume dell'oblio, proponendo quasi ottanta minuti indefiniti e fugaci. La musica non manca certo di attrattiva, grazie sopratutto a riff stoppati e a vari mid-tempo, su cui spiccano "For the Night as Fallen" e "My Cure is Your Disease", due song che probabilmente ricordano maggiormente i gruppi gothic degli anni '90, ma alla fine questo disco non s'insedia ferocemente nella memoria di chi ascolta, pur lasciando una buona impressione almeno a livello di suoni, grazie alla sua eccellente produzione. Le frequenze sono bilanciate e le medie presentano l'ombra caratteristica degli Esoteric (probabilmente perché il frontman della band inglese si è occupato del mastering), rendendo alla fine il suono pacato e armonioso. Le conclusioni per 'Waters of Lethe' sono poi simili a quelle lette per altre band del rooster Solitude: poca emotività e molta atmosfera. Le intenzioni ci sono ma manca quell'essenza difficilmente riscontrabile nei gruppi contemporanei; c'è molta testa e poco cuore, o semplicemente (come sostengo da tempo) questo genere non ha più nulla da dire. (Kent)

(Solitude Productions - 2014) 
Voto: 65 

sabato 12 luglio 2014

Noble Beast - S/t

#PER CHI AMA: Power Heavy, Helloween, Blind Guardian 
Non sono propriamente la persona più indicata a recensire questo tipo di musica (lo facevo forse 15 anni fa), ma qualcuno questo sporco lavoro lo deve pur fare. Per gli amanti dell'heavy classic/power, ecco arrivare dal Minnesota una band che promette di sconquassare parecchio la scena, i Noble Beast e il loro debut album fuori per la Tridroid Records. Preparatevi dunque ad affrontare epiche cavalcate com'erano anni che non sentivo, di scuola palesemente Blind Guardian/Helloween, vocals e chorus che ammiccano a 'Keeper of the Seven Keys' fin dall'iniziale "Iron-Clad Angels", per non parlare degli intrecci di chitarre che si snodano e sbizzarriscono in splendidi assoli. Merito delle due asce, Sir Robert (anche voce) e Matt Hodsdon, che ci regalano un sound che, per quanto derivativo dai classici del passato, straborda di energia, e finisce di contagiare anche chi, come il sottoscritto, questo genere l'ha abbandonato diversi lustri or sono. Diavolo, la band di Saint Paul ci sa davvero fare e, combinando possenti riff e notevoli linee melodiche affiancate da una componente corale che si muove tra il viking e il power, finisce per esaltarmi. "Behold the Face of Your Enemy" promette di farvi divertire, non concedendovi un attimo di tregua causa un'infinita sequela di cambi di tempo. In alcuni casi mi sembra che emerga lo spirito vichingo degli esordi degli Einherjer, in altri frangenti ecco fuoriuscire gli insegnamenti di Judas Priest e Iron Maiden. Le influenze dei nostri non finiscono certo qui perché a fianco dei già pluricitati Helloween (echi più o meno forti in "We Burn" e la title track) finiscono per materializzarsi anche influssi nordici (Ensiferum). Mostruosi sotto un profilo tecnico con una menzione d'onore per il drummer, i Noble Beast confermano anche le loro doti compositive attraverso i dieci capitoli contenuti in questo ottimo esordio, che prelude al fatto che in un futuro prossimo, sentiremo parecchio parlare di questi ragazzi. Bravi!

(Tridroid Records - 2014) 
Voto: 80 

Silence the Sky - Ancient

#PER CHI AMA: Hardcore, Metalcore, Djent 
Un po' di sano, crudo e ammiccante hardcore era da parecchio che non mi capitava tra le mani. Eccomi accontentato dai norvegesi Silence the Sky che con il loro 'Ancient' rompono gli schemi che vedono arrivare dalla Norvegia album prettamente black o death, proponendoci invece sonorità più alternative. Ci troviamo infatti di fronte a 15 tracce (forse troppe) che, partendo da una base estrema, vengono contaminate dal djent, dal metalcore e appunto dall'hardcore, senza tralasciare l'ambient e un pizzico di doom. A partire da "Atomos", non ci resta che farci investire dai riffoni quasi deathcore del quintetto nordico che ci scaraventa addosso una grandinata di riff distorti e ubriacanti che poco spazio concedono alle melodie, se non in quanto mai inattesi break centrali, in cui i vocalist si alternano tra l'acido/vetriolo all'emo, mentre le atmosfere piombano nella catarsi malinconica di riff melancolici. Tutto chiaro no? Va bene, provo a farmi capire meglio. "Ascendancy" è un pezzo di tre minuti e mezzo che attacca ringhiando sia a livello ritmico che vocale, con uno spazio risicatissimo concesso alla melodia; al minuto 1:30 ecco comparire le clean vocals di Magnus Granholt e le chitarre disegnano nell'etere splendide melodie. Si tratta di pochi attimi però perché i nostri tornano a ruggire, sebbene il flusso sonico si mantenga più vivace e ascoltabile. "Venomous" prosegue con il canovaccio già visto di furia-break-malinconia ma alla fine devo ammettere che il risultato che ne viene fuori non è affatto male. "Angel Rust" presenta una struttura invertita a quanto fin qui detto: l'inizio è malinconico e le ritmiche tendono piano piano ad ingrossarsi fino ad un break centrale che oserei dire al limite del doom, per poi proseguire tra schiamazzi nevrotici e delicati passaggi ambient. Il disco procede in questo modo mostrando il più delle volte i suoi muscoli senza dimenticare anche il suo lato più melodico e oscuro come proposto nella spettrale e piovosa parte centrale di "There is a Storm Coming" che aiuta certamente a non banalizzare i contenuti di 'Ancient'. Suoni cibernetici aprono "Nebula", la song più dinamica e che più si allontana dal resto del lotto. Qualche schitarrata potente e decido di soffermarmi su "The Dismemberment of Tellus", song intensa e dal forte, fortissimo impatto autunnale, complice l'egregio lavoro alle chitarre e alle brillanti vocals, con un duetto screamo/clean da brividi. Ultima citazione per la roboante "Jenova" in cui sembrano sovrapporsi 2 o 3 granitiche chitarre e l'ipnotica "Ion". 'Ancient' è pertanto servito, non vi serve sapere altro per far vostro questo concentrato pazzesco di musica carica di groove e melodie ruffiane. E bravi i Silence the Sky che testimoniano che oltre il black/death, in Norvegia c'è vita... (Francesco Scarci)

(Negative Vibe Records - 2014) 
Voto: 75 

Xerion - Nocturnal Misantropia

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black Folk 

Dopo numerose difficoltà, con la lettura del supporto riuscita solamente dopo la scoperta della sua natura di dvd, riesco finalmente a rivelare ai miei sensi la musica proposta dagli Xerion, ovvero un classicissimo ed elementare black metal dalle tinte symphonic folk. Le tracce si basano principalmente su una manciata di riff ripetuti per tutta la durata del lavoro, il che non è molto diverso dalle svariate band che affliggono il panorama musicale con la loro patetica proposta, non fosse altro per la loro stretta somiglianza melodica, la mancata chiave ipnotica della ripetizione, i pattern di batteria statici e scarni, e soprattutto per l'eccessiva durata dei brani. Il tutto è peggiorato poi da due song stand-alone, ovvero "Akelarre" che manca completamente il suo scopo introduttivo e l'insensata "Ate a Morte...". Nonostante ciò, la band si adopera scolasticamente nell'impresa, assemblando un'opera che oltre a basilari speed songs concede spazio a delle costruzioni doom oriented come "Aqueles Que Nos Deixan Atris". Il verdetto finale è però unanime e feroce: nonostante 'Nocturnal Misantropia' vada in cerca di particolari effetti come nella title-track, c'è ancora molto, molto lavoro da fare. (Kent)

(Schwarzdorn Production - 2008)
Voto: 45

Warfather - Orchestrating the Apocalypse

#FOR FANS OF: Death/Black Metal, Morbid Angel, Deicide 
Lead by one of the genre’s figureheads in the legendary Steve Tucker, the debut offering from his new band, the Death/Black Metal act Warfather, 'Orchestrating the Apocalypse,' offers up a competent feel that is decent enough but fails to really make a lasting mark. Being much more than a typical Blackened Death Metal act, this group carries it back a little further in time to mix the two styles in a rather old-school manner. This is best demonstrated in the riff-work which builds upon the original thrashing style of the earliest genre practitioners with a series of rather intense, tight chugging patterns for the more extreme segments while a more traditional approach to black metal emerges while a generous amount of tremolo-picked melodies gives it a dab of both extreme musical styles quite frequently that flows throughout the whole album. Backed by a similar drumming dynamic to the earliest Floridian bands that unleashes a ravenous swarm of brutal blasts, hyper-speed rhythms and a total onslaught of vicious fills and tones that are far more intense and vicious than expected this is old-school worship with touches of modernity to the proceeds. It’s tight, brutal and definitely would’ve been worthwhile had this not been similar in their construction. The songs are given a rather similar feel throughout that makes it next to impossible to determine where you are in the running order, beyond the inclusion of three forgettable and utterly unneeded intro tracks that could’ve been melded into the preceding track as they serve as perfect segues for the next track anyway that in essence drops the album into nine traditional tracks with the three breaks. While it’s not an impossible feat dealing with the songs as they are now, trying to find where you are with nine similar tracks makes for a more manageable task without dealing with those extra interludes which barely crack thirty seconds anyway. However, beyond the lack of musical variation, the biggest problem on the album is the fact that there’s just such an utterly abysmal production job that it really hinders everything more than the actual musical content. The production on this one is so bad the music itself is delivered with an inept and weak-sounding vibe that can’t escape its overall blandness, as the guitars are wafer-thin and lack any sense of bite to them as they sound off with their rather flat tones. The drumming as a whole sounds like it was recorded in a garbage can with an equally thin mix that really forfeits the pounding and intense vibes associated with both genres in favor of a practice-room demo-sound recording that is utterly awful on a full-length release from a major-label band, especially one with this pedigree behind it. On top of it all, the bass is so buried in the album it might not have been recorded anyway such is the lack of presence on this effort. For the most part, the songs here are pretty similar and rarely deviate too much. Opener "XII" is a pretty common focus-point for the songs within, offering blasting drumming and tight, frenzied mid-tempo riff-work along the chaotic pace with extended solo sections, offering up plenty to like as the trend continues into "Legions," only with far tighter, brutal rhythms there. While on the second half that usually doesn’t follow such examples, both "Ageless Merciless" and "Ashes and Runes" also follow this trend with tight, frantic riffing against pounding double-bass lines and intense blasting against slight technically-proficient rhythms and solid performances for some good overall efforts. "My Queen Shall Not Be Mourned" is the start of the usage of atmospheric keyboards thrust into the mix, which continue in "The Shifting Poles," "Waltz of the Solstice" and "Gods and Machines" as they all weave the delicate lines into the thrashing music within. Frankly, the best track is closer "We are the Wolves," as the tight, furious and technical riffing against pounding drumming and up-tempo pace with stuttering tremolo-picked rhythms creates a true rager of a track that shows the band has enough juice when it can muster them and offers the best glimpse for their future. While this album is still undone by its woeful production that really hampers just about everything, it has moments where it could’ve been something approaching competent as this effort that can be strangely enjoyable at times. The potent mixture of old-school and more modern death metal elements weaved together with minor touches of black metal could’ve been something but instead comes off as nothing more than repetitive and rather unoriginal completed by that woeful mix, leaving this one to really only be worthwhile for the hardcore fans of the bands’ lineup as we wait for them to fix their mistakes on album number two. (Don Anelli)

(Greyhaze Records - 2014) 
Score: 60 

giovedì 10 luglio 2014

I Miss My Death – In Memories

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi Theatre of Tragedy, Therion, Lacrimosa, Epica
Gli I Miss My Death sono una giovane band, formatasi nel 2007 proveniente dall'Ucraina che ci offre il loro primo full lenght, 'In Memories', dal sapore classico, carico di venature gotiche e vampiresche, uscito per la Metal Scrap Records in questo 2014. La produzione è cristallina, fin troppo simile a certe vecchie cose dei Theatre of Tragedy ('Velvet Darkness They Fear') o degli Epica in forma meno power, più romantica e oscura. Il suono è buono ma troppo nitido che non riesce a pungere come dovrebbe; le chitarre sono spesso sovrastate dalla presenza di tastiere sempre in primo piano e tutto ruota sul duo canoro dei fratelli Krivovyaz, Elena e Sergey, che oltre a prestare il suo possente growl, è anche chitarrista della band. Per Elena una super nota di colore (senza nulla togliere al fratello) poiché intona note soavi esaltanti, con la sua splendida voce (e non solo) di stampo lirico - operistico dosata divinamente in tutti i brani (ascoltate la title track, "Earl Pale" o "Trail into the Past" e toccherete con mano il canto di Elena semplicemente vicino alla divinità!). Il cd è molto lungo e supera i settanta minuti: nelle sue dodici tracce troviamo spunti dal doom dei primi Paradise Lost (quelli di 'Gothic') e dei Tiamat (quelli di 'A Deeper Kind of Slumber' anche se il suono qui è meno sperimentale e più classico), troviamo il gusto cinematografico vampiresco di certe intro a la Cradle of Filth ("Midnight in the Labyrinth"), oltre ad alcune trame musicali prese a prestito dai Therion (quelli di 'Vovin') e per chiudere immancabilmente il riferimento ai Lacrimosa. Il sestetto va tenuto d'occhio seriamente poiché ci sono gli estremi per creare qualcosa di delizioso che in questo cd non sempre riesce a emergere, ma solo perché a volte risulta fin troppo patinato e il sound troppo pulito perde il suo slancio, divenendo eccessivamente derivativo, sempre bello ma in alcuni casi dall'originalità incerta. Siamo nettamente al di sopra della media e se pubblicizzato bene, 'In Memories' potrebbe anche sbaragliare certa concorrenza più blasonata che sforna nel genere, sterili album a ripetizione. La band ucraina ha le carte in regola e un asso speciale nella manica da giocare a suo vantaggio, una voce solista femminile magica e ipnotica che supportata a dovere potrebbe portare gli I Miss My Death a vette altissime nel doom, ovvero, diventare i nuovi 3rd and the Mortals... e scusate se è poco! Consigliato l'ascolto! (Bob Stoner)

(Metal Scrap Records - 2014)
Voto: 70

Elbow Strike - Planning Great Adventures

#PER CHI AMA: Hard Rock/Stoner
Ti arriva un cd con una copertina che mostra uno scenario futuristico popolato da alieni grigio-verdi e senti affiorare un sorriso sulla bocca. Ok, non sono l'unico che è cresciuto con film di fantascienza e serie TV come X-Files! Bene, dopo aver realizzato che risparmierò un sacco di soldi per farmi psicanalizzare visto che non sono l'unico ad avere la fissa per l'ignoto, andiamo a conoscere gli Elbow Strike. Letteralmente si chiamano "colpo di gomito" e il sorprendente quartetto vanta una line-up di tutto rispetto, tra cui il metamorfico Chris T. Bradley, frontman dall'indubbio talento e dalla vita artistica divisa tra USA, Europa e Asia. Il loro ultimo lavoro è un concept album a tema spaziale, ovvero tratta argomenti come alieni e cospirazioni, un classico del folclore americano, ma non solo. In questi undici brani ottimamente registrati, si attraversano sonorità hard rock/grunge/southern che ricordano grandi band come Alice in Chains, Stone Temple Pilots e Raging Slab (questi non li conoscevo, li ho presi dal loro sito). "Monster" è la quarta traccia di 'Planning Great Adventures' e si presenta come una semiballad, né veloce né lenta, ma carica di riff e assoli alla vecchia maniera.Tutto arrangiato molto bene e con i suoni giusti per il genere. Unico appunto da farsi è il fatto che fino a tre quarti del brano non lasci un segno a chi ascolta. Dopo questo punto il brano si ingrossa e comincia finalmente ad essere interessante, fino a scorgere la vena ipnotica e oscura degli Elbow Strike. Feedback oppressivi, ritmica ansiogena e bagliori nel buio, come un grido di paura che nasce nel profondo della gola in attesa di scorgere l'ignoto. Salto a piè pari e vado a "U.F.O.", stessa pasta di "Monster", ma con più cattiveria e grondante di groove. Finalmente la band trova la sua identità e vomita riff pesanti, ma piacevoli grazie a suoni non esasperati. Anche un vecchio biker ancora legato a Lemmy e Bruce può apprezzare un brano così, dopotutto le sonorità anni novanta ci sono tutte. La band macina peggio di un bulldozer, spazzando via qualsiasi dubbio sulla genuinità dei nostri. "Waiting 4 the Sun" è una ballata moderna caratterizzata da voce e cori con effetti vari, ritmo lento e la mancanza di un'esplosione finale. Questo non pregiudica certo il risultato, ma avrebbe permesso una resa più dinamica del brano. Un bell' lbum, non c'è che dire, il mix di stili e sonorità non appesantisce l'ascolto, ma deve piacere. Ascoltatelo guardando il cielo, vediamo se siamo veramente soli in questo universo. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2013)
Voto: 75

lunedì 7 luglio 2014

Doctor Cyclops – The Doctor Cyclops

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Hard Rock, Psychedelic Rock, Stoner
I Doctor Cyclops sono una band lombarda dedita a un heavy rock di chiara matrice seventies e in questa prima loro pubblicazione autoprodotta dimostrano di avere tutte le caratteristiche e capacità per fregiarsi di questa etichetta. Dal suono fortemente ispirato dal revival heavy psych e stoner degli ultimi anni, la loro musica presenta delle composizioni energiche dove si insinuano simpatici plagi che richiamano i mostri sacri del genere. Le tracce più interessanti sono quelle più prolisse, "Angel Saviour in the C.H.", la song d'apertura dotata di un ritmo coinvolgente che scopre brutalmente le intenzioni del gruppo e che si evolve in una curiosa componente psych con tanto di organo. In "My Revolution" troviamo il più limpido tra i vari richiami stilistici disseminati dalla band nei vari brani, cioè il movimento iniziale che sfiora "Paranoid" dei Black Sabbath e una piacevole chitarra acustica dal suono che mi ha rievocato la mia gioventù musicale. La conclusiva "Silver Serpent" nei suoi otto minuti abbondanti accarezza varie sezioni compositive non riuscendo però ad essere abbastanza coesa. In sostanza, questo lavoro presenta delle parti interessanti che a mio parere dovrebbero essere sviluppate maggiormente, per il resto il terzetto italico sembra essere più che rodato per un full length più impegnativo. (Kent)

(Self - 2010)
Voto: 65

Demonic Slaughter – Downfall

#PER CHI AMA: Black/Thrash, 1349, Pest, Belphegor, Mayhem
Per la Pagan Records è consuetudine portare alla luce band estreme sia nel suono che nel concetto musicale, quindi, non stupisce affatto la presenza di questo combo polacco (di Lublin) assoldato tra le proprie fila con un album durissimo e carico di tensione dal titolo 'Downfall', ultimo parto dei Demonic Slaughter attivi dal 2006 e arrivati nel 2013 con questo lavoro, al quarto full leght. Dicono di ispirarsi al black puro di Norvegia e nonostante la distanza che li separa geograficamente, nulla li discosta dai colleghi scandinavi per drammaticità sonora e interpretativa alla scuola. Di fatto stiamo parlando di un intenso black metal classico con belle aperture al thrash e una voce roca, malata e lacera salmodiante litanie nere che spopola per apparizione nei brani e che li rende omogenei e ipnotici. Certo, non stiamo parlando di psichedelia, ma di una forma narrativa particolare che induce con il contorno musicale, cavalcato per altro da chitarre molto interessanti, ad una sorta di catarsi nichilista atta a far emergere tutti i nostri lati più oscuri, un po' come alcuni brani dei Mayhem. Forse i brani nel totale risulteranno alquanto ripetitivi ma in 'Downfall' nulla è lasciato al caso e per assorbirlo meglio è chiaro che bisogna immergersi a fondo e magari riuscire nell'intento di ascoltarlo tutto in un sol boccone. "Martwa Cizsa" e "Darkness" sono due brani attraenti con quel tocco di rock gotico e d'atmosfera che si rifà ai migliori Forgotten Tomb e quella variazione al pulito epico molto ispirata del canto li rende i due migliori pezzi della raccolta. Così a tutti gli effetti, li potremmo raccomandare ai fans di Mayhem, 1349, Pest e Belphegor, sicuri di regalare un' ottima boccata di nero ossigeno color inferno. Da ascoltare. (Bob Stoner)

(Pagan Records - 2013)
Voto: 70

Abyssal - Novit Enim Dominus Qui Sunt Eius

#FOR FANS OF: Death/Black/Doom Metal, Mitochondrion, Impetuous Ritual
An emerging name in the recent Black Metal underground, the UK outfit bearing the name Abyssal is quickly growing in stature no thanks in part to albums like this one, one of the more impressive outings in the genre lately. Forging an obscure mixture of Death and Black Metal just at a pace more akin to Doom Metal, this sets up a rather curious mix since all three can be mixed together in small doses yet here they come together quite well as the main focus is on Blackened Death Metal. Dark passages, intense patterns and tremolo-picked rhythms flow freely throughout the album, and when mixed with the intense rhythm section full of relentless blastbeats, dramatic fills and a loud, thumping bass-line that adds a heaviness to the whole ordeal, this becomes an insanely chaotic framework to work with. At times utilizing more of a chugging riff-work that sounds right at homes with the more traditional Doom riffing that produces massive, churning patterns of dark, plodding paces with plenty of blasting drum-beats and furious riffing that all combine into a rather impressive and dark sound-scape. Other times, this seems content to offer up more straightforward pieces that meld a truer blackened Death Metal stamp on the proceedings, whipping whirlwind drumming and scorching, up-tempo riffing together for an extended run that offers plenty of enjoyment through the rather calculated mixture between the sprawling Doom chugs and incessant buzzing that helps make this release more atmospheric and dark than most traditional elements would ever offer. After a mere minute-long intro of discordant noise, proper first-song "The Tongue of the Demagogue" blasts through with intense drumming and vicious riffing that sets a high standard immediately against the sprawling pace, obscure instrumentation and unrelenting darkness that sweeps through the epic piece, setting the stage incredibly well for the onslaught to come. The more intense blasting of "Under the Wretched Sun of Hattin" gives more of a Death Metal feel before the churning Doom riffs come sprawling in to slow it down to a crawl before blasting back into action in the later half, effectively making this a big stand-out track as well. The wailing sounds of "Elegy of Ruin" lead right into the blasting fury of "The Headless Serpent," the best track here as the sudden change-over into the Doom riffing sets up a series of chaotic and memorable riffing that sets this one apart from the others here for its’ darkness and speed. "A Sheath of Deceit" comes close to matching the intensity and fury of the previous track and really stays up-tempo enough to work in some insane blasts and relentless leads following plenty of hellish, discordant riffing patterns which gives this two stand-out superb tracks in a row. That they’re the shorter tracks on this does offer up some pretty sharp clues about the band. One more pointless noise-collage interlude, "A Malthusian Epoch" begins sporting it’s Doom influences with some sprawling patterns and incessant buzzing riff-work before speeding into some tight, furious blasting that tries to lift the pace up but gets swallowed whole in the churning, heavy chugging that carries on throughout, leaving it a solid if unspectacular effort. Thankfully, "As Paupers Safeguard Magnates" brings about more energetic patterns and vicious riff-work even though it’s still in the league of featuring incredibly heavy, droning riffs, plodding Doom sections that actually border close to Sludge and a variety of organic, crushing tempo changes throughout the epic length, again being an album highlights. Ten-plus minute instrumental "Created Sick, Commanded to be Well" offers over-the-top progression, plenty of devastating drumming and a variety of riffing patterns from epically slow, droning marches to dry, atmospheric lulls to frantic buzzing to dynamic thrashing that gets a lot right but still ends up as not that enjoyable due to the extreme length. Finale "The Last King" returns to the darkened, blasting Doom with some frantic guitar rhythms and crushing patterns that keeps this a furious blast and sending it off on a high note. Really, all that really seems wrong with this darkened opus is the extreme lengths which can lead to places where it just drones on and on that can lead to boredom, but this is still a top-notch, quality release. (Don Anelli)

(Self - 2013)
Score: 85

This is not a Brothel - S/t

#PER CHI AMA: Stoner/Rock, Kyuss, Queens of the Stone Age
I This is not a Brothel (TINAB) nascono a Caserta nel 2011 e si buttano nella mischia lavorando su materiale e suoni, riuscendo a lanciare questo debut album all'inizio del 2014. Oltre ai soliti sacrifici, il tutto è frutto del "sacro graal" del moderno musicista, il crowdfunding. Infatti la band si è portata a casa un discreto gruzzoletto che gli ha permesso di produrre un buon cd dalla qualità audio più che discreta. Registrazione e mixaggio sono stati fatti nel bel paese, mentre per il mastering hanno preferito spostarsi negli USA, valida alternativa per avere un sound che possa richiamare le band a cui si inspirano i nostri. Tra la lista dei loro preferiti si trovano band stoner per definizione (QOTSA, Kyuss), grunge (Pearl Jam) e alternative/post punk (Artic Monkey), ma di fatto le influenze e i suoni sono più morbidi. Infatti, brani come "Zany Zoo" si basano su riff carichi ma mai arroganti, lo stesso cantato è quasi fin troppo educato per i palati più esigenti. La canzone prende una buona piega verso la fine dove chitarra/basso e batteria cavalcano in sintonia, aumentando la carica sonora, ma ormai siamo alla fine e dobbiamo sperare in un brano successivo. "Domino Falls" inizia con un riff di chitarra quasi brit con un assolo molto flebile ad accompagnarlo. L'entrata della voce in stile Deftones, spazza via le apparenze e richiama invece un gruppo svedese a me e a Franz molto caro (i Lingua), portando quindi le sonorità dei TINAB lontane dallo stoner classico. Anche il break a metà brano risulta soft e strizza l'occhio alle ballate rock classiche. Poi tutto riprende con un po' più di carica, ma quello che continua a non convincere sono proprio i suoni di chitarra. Avrei optato per un suono più potente e compatto, tipo quello del brano successivo "Immaculate". Infatti la traccia viaggia veloce e potente, facendoci dimenticare alcune imperfezioni sentite in precedenza e regalandoci cinque minuti di buon sound. Basso e batteria sgomitano e determinano la buona riuscita della canzone, mettendoci anima e corpo per riuscire a trascinare l'ascoltatore e portarlo a saltare sotto il palco. Quest'album è una discreta prova delle capacità tecniche e artistiche dei TINAB che dimostrato comunque una certa maturità e mostrano la grinta giusta per lavorare bene. Con qualche aggiornamento possono sicuramente produrre del buon materiale che li distingua e li renda un gruppo e non solo un numero nel mare infinito delle produzioni underground. (Michele Montanari)

(Produzioni dal Basso - 2014)
Voto: 70

The Pit Tips

Don Anelli

Alterbeast - Immortal
Warfather - Orchestrating the Apocalypse
Mistress - Brains and Bruises

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Francesco "Franz" Scarci

Anathema - Distant Satellites
Hercyn - Magda
Ifing - Against This Weald
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Kent

Pallbearer - Sorrow And Extinction
Conan - Blood Eagle
Altar Of Plagues - Teethed Glory and Injury
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Claudio Catena

Mastodon - Once More Round the Sun
Explain - Just the Tip
Turbonegro - Retox
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Bob Stoner

The Bellerophon Project - Mental Abscess
Cephalic Carnage - Lucid Interval
Agalloch - The Serpent and the Sphere
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Filippo Zanotti

Aeons Confer – Symphonies of Saturnus
Ea - A Etilla
Opeth - Still Life
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Mauro Catena

Hawkmoth - Calamitas
Estoner - The Stump Wil Rise
Afghan Whigs - Do to the Beast

mercoledì 2 luglio 2014

Aphonic Threnody – First Funeral

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Mournful Congregation, Skepticism, Mono
La band italo-inglese ci porge il loro primo full lenght, uscito sotto le ali protettrici della Avantgarde Music nel 2013, e ci accompagna nella zona più buia del funeral doom, in maniera originale e determinata. Debitrice nel sound dei maestri del genere, 'First Funeral' si distingue per un sound ferale, maligno e glaciale. Il contesto è arcano, infangato nelle paludi del destino più tetro e geneticamente occulto e depressivo, proprio come da canoni preimpostati dal genere. La prova è di elevata maturità e trova nelle parti più lente e atmosferiche la giusta causa per un lavoro tutto da amare. Non prevalentemente drammatico, essenzialmente votato ad un romanticismo sonico e noise che lo estrae dal solito profilo di doom band. Le chitarre creano mantra sonori malinconici ed ipnotici che legati al rallentare delle ritmiche e ai drone inseriti con discrezione, lasciano forme sognanti di oscuri presagi, raccontati da una voce sgraziata e gutturale quanto basta per entrare nella coltre di nebbia più densa. Tutto il lavoro esalta le doti del genere, che fa contrarre lo stomaco e mordere le labbra come se qualcosa o qualcuno fosse venuto a mancare inspiegabilmente ed è proprio qui che la forza della band esprime tutto il suo carattere musicale. Le composizioni sono sulfuree e magiche con una componente marcatamente mistica, create per forzare il bisogno di occulto nell'ascoltatore. Un suono sofferto e ricercato, molto rock, malato, con una matrice quasi cinematografica, come se vi fosse un ponte che collega il funeral al post rock, composizioni geniali che intrecciano le forme più cristalline e classiche del genere con un suono più moderno e noisy, rendendo il tutto catartico e spettrale. Il perfetto punto d'incontro tra i mitici Skepticism, i Mono di 'Hymn of the Immortal Wind' e i Mournful Congregation. Ascoltate gente, ascoltate! (Bob Stoner)

(Avantgarde Music - 2013)
Voto: 75