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venerdì 29 marzo 2013

Buildings – Melt Cry Sleep


#PER CHI AMA: Noise Rock, Jesus Lizard, Shellac, Unsane
Mentre ascoltavo per la prima volta il secondo cd di questo trio di Minneapolis, mi sono per un attimo convinto di essere tornato nel 1993. Per una mezz’ora ho provato di nuovo la stessa rabbia repressa che il solo Kurt Cobain sembrava potesse capire, la stessa non-voglia di prepararmi al compito di matematica e lo stesso bisogno di giocare a pallone con gli amici fino a non sentire più la fatica. Tutta colpa (o merito) di quello che usciva dalle casse dello stereo. Quell’assalto all’arma bianca di noise, rock martoriato e punk blues belluino, che sembra il risultato di una creazione di laboratorio, per ottenere la quale si sono mescolati un 60% di Jesus Lizard epoca "Liar", un 30% di Shellac di "At Action Park", e spruzzate di Unsane e Melvins. Sezione ritmica sugli scudi, con tanto di basso caterpillar a demolire qualsiasi cosa gli capiti a tiro ("Wrong Cock"), chitarra tagliente come un bisturi maneggiato da un boscaiolo ubriaco ("I Don't Love My Dog Anymore") e voce filtrata che gratta e ferisce come una spazzola dalle setole di ferro arrugginito. E ancora scosse telluriche sostenute da un interplay basso-batteria come vorremmo sempre sentirne, code strumentali rallentate e quasi stoner e in generale una coesione tale da far di questo lavoro una gran bella botta in piena faccia. Il suono è dunque per forza di cose derivativo, ma non per questo poco convincente, anzi riesce ben presto a vincere la diffidenza e il sospetto iniziali di trovarsi di fronte a un qualcosa di studiato a tavolino. E’ un disco denso e rovente, "Melt Cry Sleep", dove tutta l’urgenza e la paranoia riversata vent’anni fa da David Yaw e compagni, non viene qui scimmiottata e riproposta come un copione mandato a memoria, ma piuttosto appare metabolizzata dai tre che ne sono interpreti sinceri e appassionati. Secondo centro per la Double + Good records, che dopo il magnifico lavoro dei Self-Evident, ci regala questo concentrato di potenza primordiale molto poco rassicurante. (Mauro Catena)

(Doubleplusgood Records)
Voto: 80

http://buildingsband.bandcamp.com/

Mud Angel - Introduction Promo 2011

#PER CHI AMA: Rock/Grunge
Inutile dirlo, a volte la vita riserva delle piacevoli sorprese. Concerto dopo concerto, decine di cd accatastati a casa e in macchina, svariati giga di musica, ma quello che ascolti continua a mancare di quella scintilla creativa che ti possa distogliere dallo stato di apatia musicale cronico. Eppoi, mentre sei al bancone della tua osteria di fiducia con la fida pinta di rossa in mano, senti provenire delle note suadenti dal fondo del locale. Chitarre ruvide, voce rauca, basso grosso e batteria nervosa, mi portano indietro nei '90s quando c'era una fervida scena grunge che proveniva dal lontano continente scoperto recentemente da noi europei. Ringraziato il mio dio per il fatto che non fosse il solito gruppo tributo, mi lascio trasportare dai riff e dalle voci. E ora ho tra le mani questo promo che contiene quattro brani discretamente registrati, che permettono di assaggiare un po' di fango angelico con il pericolo di diventarne dipendenti. "Devil's Daughter" apre le danze con un rifettino leggero di chitarra e wha wha che fa gli onori di casa ai quasi cinque minuti di puro rock del pezzo. Suoni vintage e arrangiamenti a tema creano l'atmosfera giusta, se poi ci mettiamo la grande voce del cantante e le back del batterista, stenti a rimanere lucido. A tre quarti del brano le ritmiche forsennate si smorzano per lasciare spazio ad un break che rasenta la psichedelia degli anni '70. "Believe in Me" è probabilmente il brano che maggiormente pesca a piene mani dalle sonorità di Seattle, ma le usa a suo piacimento con un uso intelligente degli arrangiamenti e della ritmica che si devono adoperare per non cadere nei soliti schemi. L'assolo di chitarra sembra uscito dalle magiche dita di Slash per come è concepito ed eseguito. Respect, niente da aggiungere. La terza traccia "It Seems" propone una ballad in cui il vocalist dei Mud Angel sembra il fratello di sangue di Brandon Boyd (Incubus) per le sfumature che le sue corde vocali regalano, soprattutto nella parte iniziale della traccia. Infatti in questi due minuti chitarra-basso-batteria si intrecciano ad arte. Solamente in questa canzone avrei lavorato un po' di più in mastering per correggere alcuni dettagli come il ride della batteria che nel ritornello risulta un pò troppo alto, ma queste sono solo seghe mentali. "Mario" è indubbiamente il mio pezzo preferito, veloce e irriverente come deve essere il buon rock, tanto gas e pochi freni come su una Charger del 1969. Aggiungo che i live dei Mud Angel sono godibili, sia in elettrico che in acustico, quindi non fateveli sfuggire. La sacra fiamma del rock arde nei nostri giovani e promettenti Mud Angel, che essa possa arrivare il più in alto possibile e incenerire ciò che di mediocre ci circonda. Fuoco cammina con loro, oserei dire. (Michele Montanari)

Frozen Ocean – Vanviddsanger

#PER CHI AMA: Black Ambient, Punk, Burzum, Venom
Dalla Russia arriva il nuovo album della one man band Frozen Ocean fatto uscire dalla tedesca Obscure Abhorrence Productions, intitolato "Vanviddsang", un cd di ben 8 tracce in appena 15 minuti. Già recensiti su questo blog con i lavori precedenti, i nostri non cambiano linea sonora e devoti al concetto musicale della Ildjarn Recorded Music di Vidar Vaaer ci offrono un intro rituale particolarmente ispirato, come per tanto l'outro finale intitolato semplicemente "VIII", entrambi pezzi d'ambiente dalla rarefazione strepitosa. Tutti i brani portano per titolo solo la sequenza numerica e dal secondo si cambia registro e si riparte da dove si erano fermati con il precedente lavoro. Ritmiche ossessive su drum patterns basilari e lineari all'inverosimile, niente inizi ne finali, niente assoli, pochissime o nessuna variazione, un suono compatto, monolitico e ipnotico, primordiale, reduce da retaggi punk ma volgare come il sound dei Venom, diretto e psichico, basilare come quello di Misfits e Ramones, nero come Burzum. L'artwork sempre ben curato, gelido e in grigio curato da AlEX (Mayhem Project). La traccia più lunga dura poco più di tre minuti e al primo ascolto le canzoni non sono di facile approccio, complice anche una composizione così scarna e rude che a tratti pesca a piene mani come già detto, dal primo punk/hardcore, fatto di quattro sputati e tesissimi accordi al vetriolo. Ascoltata per il giusto verso questa musica ha un enorme carattere e a guardar bene si capisce il perchè di certe scelte stilistiche, entrate nella traccia sei e capirete cosa voglio dire. Certo i Frozen Ocean o si amano o si odiano, vivono in mondo a se stante e si possono criticare per l'attaccamento ai canoni del genere a cui si rifanno ma non si può dire che non siano comunque una realtà molto interessante. La parte vocale è molto buona e questo spirito black metal punk, sinistro e freddo come le lande siberiane ci fa entrare in uno stato di allucinazione perversa irresistibile. Provare per credere! (Bob Stoner)

(Obscure Abhorrence Productions)
Voto: 70

http://frozen-ocean.net/

martedì 26 marzo 2013

Schattenbrandung - Apophänie

#PER CHI AMA: Black Doom, Ihsahn, Opeth, Peccatum, Satyricon
La band di Stoccarda ci delizia con questo primo lavoro, molto complesso, diviso in sette atti e che mostra l'aria di un concept sulla parola apofania, “ossia l'esperienza di vera e propria rivelazione nella quale tutto diventa improvvisamene chiaro, tutto trova un nuovo significato e riacquista un ordine”... e visto sotto questo aspetto il cd è un vero capolavoro. La band rifiuta a quanto sembra il mercato discografico rendendosi completamente autonoma e autogestita, auto producendosi in grande stile questo album che merita a tutti gli effetti i più grandi onori. Loro si definiscono black doom metal ma la definizione sta molto stretta perché l'album lascia trasparire altre venature come il post rock e la psichedelia evoluta fino al drone/ ambient e seppur mantenendo una base fondata seriamente sul black metal, screaming compresi, dovremmo parlare della loro opera in questo stile musicale rivedendola in senso evoluto a tutti gli effetti, moderno e agile, con l'ottica di un futuristico, oscuro rock progressivo pieno di variazioni e atmosfere e ricco di sonorità di nuova generazione che pescano anche da altre forme metallifere come i Cynic o Peccatum o gli Opeth. La magnificenza di questo cd sta nella sua forma irregolare e nella sua ricerca continua di evoluzione. Il suono, sempre di grande qualità, si snoda agile in variegate direzioni, a volte più estreme a volte più rarefatte e atmosferiche e cosa ancor più sorprendente con composizioni mai clonate da altre band. Infatti l'ascolto totale dell'album, che ha bisogno di esser fatto ripetutamente per comprenderne a fondo il valore, risulta molto originale ed è ideale per menti veramente aperte a 360 gradi di sperimentazione in campo black sia che si esplorino territori cari a Ihsahn, agli Oranssi Pazuzu che Katatonia ma con un tocco più esoterico e occulto e un approccio a tratti vicino al grunge/new metal o alla psichedelia Floydiana, sempre con stile e cantato tutto in tedesco . La costruzione dell'intero lavoro è un viaggio dalle tracce molto lunghe e impegnative, una catarsi da vivere intensamente, un'immersione non immediata ma di sicuro effetto! Ripetiamo che l'album è veramente bello ma non è per tutti, potremmo esagerare descrivendolo come un black metal album suonato dai Cynic , con la visione progressiva dei Rush, un velo di post rock e Pink Floyd, la malinconia dei Katatonia e il lato tagliente dei migliori Therapy?, uniti alla veste cosmica dei Voivod e al nero dei Satyricon. L'album a conferma dell'impegno e dei buoni intenti della band tedesca è l'inizio di una trilogia formata da altri due album che usciranno in un prossimo futuro intitolati “Apostasie” e “Apotheose”. Tutto questo per sottolineare la versatilità e il grande sforzo compositivo con cui è stato concepito questo primo lavoro che dell'underground metal è un vero e proprio diamante. Ascolto obbligato. (Bob Stoner)

Obsidian Kingdom - Mantiis

#PER CHI AMA:  Post-metal, Progressive, Porcupine Tree, Opeth, The Gathering,
Il quintetto spagnolo corre un bel rischio con questo "Mantiis": poco più di 45 minuti in cui generi e atmosfere diversissimi si fondono in un continuum senza interruzioni. Da qui a creare un insipido collage di stili il passo è brevissimo: ma gli Obsidian Kingdom restano sempre in equilibrio sul filo, senza cadere mai nell'eccessiva giustapposizione di parti separate ma, d'altra parte, senza mai brillare di esplosiva originalità. Già dal digipack curatissimo graficamente emerge comunque una notevole attenzione ai dettagli: se sulla copertina cartonata campeggia una mostruosa mantide antropomorfa, l'interno ricorda invece vecchi trattati di entomologia e botanica, con illustrazioni in bianco e nero, foto oscure e, ovviamente, tutti i testi dell'album. Il concept è in realtà un'unica canzone, divisa in quattordici tracce – o quattordici "morsi", come spiega bene il sottotitolo – che esplorano altrettante diverse emozioni: si va dalle atmosfere rarefatte e oniriche di "Not Yet Five" e "Fingers in Anguish" alla serenità oscura di "The Nurse" o "Genteel to Mention" (con chiari riferimenti agli ultimi Opeth, soprattutto negli utilizzi delle tastiere e delle chitarre acustiche), dalla violenza distorta di "Cinnamon Balls", "Endless Wall" e "Ball Room" fino alle sperimentazioni pseudo-jazz di "Last of the Light" o della parte conclusiva di "Awake until Dawn". Il gran finale, "And Then It Was", si arrampica su atmosfere strumentali death per poi chiudere con oltre un minuto di disturbanti suoni elettrici. I brani scorrono fluidamente uno dopo l'altro, trascinando l'ascoltatore in territori sempre nuovi ma costruiti senza banalità. Ogni canzone è di fatto un episodio a sé stante, dotato di propria dignità se ascoltato separatamente: ma è inserito nel continuum dell'album che acquista forza e vigore, come una tappa consapevole e mai forzata di un viaggio negli istinti, nelle emozioni e nei ricordi. Dal punto di vista tecnico la band non è sempre convincente: ho trovato appena discreta la sezione ritmica, con basso e batteria poco propositivi e originali. Migliori invece le chitarre e le tastiere – soprattutto per l'attenzione ai suoni –, e più che buona la voce di Rider G. Omega (i nomi d'arte dei cinque spagnoli sono straordinari, per inciso), capace di melodie interessanti e ben interpretate così come di growl oscuri e violenti. La scarsa originalità della ritmica, combinata con un riffing purtroppo non sempre convincente, sono l'unico neo di questo album: i brani più duri e distorti, paradossalmente, risultano meno efficaci rispetto a quelli melodici e d'atmosfera, costruiti su chitarre acustiche e tastiere, che sono la vera chicca del disco. (Stefano Torregrossa)

lunedì 25 marzo 2013

Öxxö Xööx - Rëvëürt

#PER CHI AMA: Death Sinfonico, Progressive, Misanthrope, Devin Townsend
Questo è un album eccellente. Fine. Spero di essere stato abbastanza chiaro e diretto, e auspico che voi abbiate colto fin da subito il mio più schietto suggerimento. Gli Öxxö Xööx sono una band, un trio (o forse un duo, ma probabilmente lo potrei anche considerare come un progetto solista, ma ancora non mi è chiaro), formato da Laurent Lunoir, che si occupa un po' di tutto (voce, strumenti, visuals), Laure Le prunenec, responsabile delle backing vocals, del piano e delle chitarre in sede live; infine Igorrr, che segue il programming. "Rëvëürt" rappresenta il debut cd di questa schizoide ed imprevedibile band transalpina, che non fa altro che confermare lo stato di grazia di cui, da alcuni anni, il paese dei nostri cugini, gode. Vi domanderete a questo punto perché tutto questo entusiasmo da parte mia: fondamentalmente perché la musica contenuta in "Rëvëürt" (che sta per "rivolta del cuore") è fresca, originale ma soprattutto vibrante: "Agorth" apre le danze con il suo incedere sintetico (complice un’esplosiva drum machine), oscuro, sinfonico ed epico, senza dimenticarci anche le parole avanguardistico, cibernetico, progressivo e sperimentale. Insomma provate ad immaginare una sorta di ipotetico ibrido tra Misanthrope, Fear Factory e Devin Townsend, che ne dite, potrebbe interessarvi? A me parecchio. Il lavoro del combo transalpino coglie subito nel segno e se non fosse per quell'eccessivo, quasi esagerato (e penalizzante alla fine) uso del sintetico battito, forse staremo parlando di un vero e proprio capolavoro, che al popolo metallaro è quasi passato del tutto inosservato. Quindi a me l'onore di dar valore a una band di ottimi musicisti, che ispirandosi alla delirante follia del genietto canadese di cui sopra, rilascia queste nove splendide tracce, in cui si amalgamo alla perfezione tutti quegli aggettivi citati qualche riga più in su, aggiungendo poi per ciascuna delle tracce, altre splendide etichette: "Terea" è una song dal forte sapore barocco, dove ampio uso è lasciato al piano e alla vena orchestrale, con le vocals del bravo Laurent, raramente a scadere nel trito e ritrito growling, ma anzi assumono toni dark-operistici, mescolandosi alla perfezione con l'incedere esplosivo dei suoi suoni. Gli Öxxö Xööx pare stiano narrando storie di scandali alla corte francese nel 1600,con le atmosfere che si caricano di dense nubi oscure. "Ama" nel suo criptico avanzare, assume un’intensità che si avvicina a quella dei nostrani Ecnephias (anche a livello delle vocals), con un sound velato di quello spirito gotico che tanto piace a Mancan e soci. L'opera, perché alla fine di opera si tratta, mette in scena i quasi tredici tragici minuti di "Ctenophora": song avvolta da un feeling oscuro e malinconico che palesa anche le influenze doom dell’ensemble francese. Non aspettatevi una conclamata omogeneità di fondo nella musica dei nostri; anche qui si parte spesso in un modo e poi nel corso della riproduzione, il tutto evolve, dirigendosi verso il teatro dell'assurdo, verso i suoni dell'assurdo, verso l'assurdo... la musica che esce dalle casse del mio stereo somiglia in realtà a quella di una spinetta rinascimentale, inserita ovviamente in un moderno contesto d'avanguardia che trasuda drammaticità ed epicità da ogni suo poro e che alla fine denota una spiccata personalità di questi individui che non hanno nulla da perdere... Non so se quello degli Öxxö Xööx sia metal o musica sinfonica, sicuramente la violenza del drumming o la rabbia infusa dal cantato potrebbero indurmi a catalogarla come tale, ma il feeling che si respira, quello che mi cattura e alla fine quanto mi rimane nelle orecchie e nella testa è in realtà la musica che mi sarei aspettato di udire da musicisti di corte se fossi vissuto 4-500 anni fa. Peccato solo che all’epoca, la drum machine fosse solo delirante immaginazione. Spettacolo. (Francesco Scarci)


(Apathia Records)

domenica 24 marzo 2013

Xanthochroid - Blessed Me with Boils

#PER CHI AMA: Black Symph, Progressive, Emperor, Opeth, Ne Obliviscaris
Chi di voi erroneamente pensava che il black sinfonico fosse ormai morto, dovrà assolutamente ricredersi dopo l’ascolto di questo mirabolante lavoro dei californiani Xanthochroid, che arricchiscono una proposta già di per sé molto buona, con altre influenze davvero intriganti. Complice l’eccellente lavoro di Jens Bogren agli studi svedesi Fascination Street, i nostri irrompono dopo l’enigmatica intro, con la title track, che dapprima palesa l’immenso amore dei nostri per gli Emperor e soci, prima di dimenticarsene del tutto e intraprendere una propria strada, fatta di chitarre heavy dall’impeto assassino, coadiuvate da serratissimi attacchi di batteria e succosi inserti acustici, oltre al dualismo vocale offerto dall’ecclettica voce di Sam Meador (tra l’altro anche ottimo tastierista ed eccellente musicista alla chitarra acustica), bravo sia nella fase pulita che in quella growl. Non è ancora terminata la prima traccia, che la pelle d’oca si è già innalzata di un centimetro sulle mie braccia; forse il suono malinconico di un inserto flautistico o di orchestrazioni da favola e comunque di un dinamismo che non può che rievocare nella mia anima, le stesse emozioni che quasi un anno fa, il debutto degli australiani Ne Obliviscaris, suscitò in me. E forse proprio verso il sound del crack del 2012, va a virare la proposta del five-piece di Lake Forest. Un altro interludio acustico, una danza folkloristica attorno al fuoco, il calore delle fiamme che mi scalda ma anche quello delle vocals del bravo Sam che si accompagnano a quello dei tribali tamburi di Matthew Earl. Ancora brividi lungo il mio corpo, ma è il momento di lasciarsi aggredire dalla veemenza di “Long Live Our Lifeless King”, una song di quasi nove minuti, assai articolata, in cui emergono oltre alle influenze già citate dei nostri, anche cenni agli Opeth, denotando una maturità compositiva ed una perizia tecnica, davvero elevate. A livello lirico, questo primo full lenght prosegue quanto iniziato nel debut EP, “Incultus”, in cui si narrano le vicende di due fratelli, Thanos e Ereptor e della loro lotta, in un mondo lontano, per la conquista del potere, con i brani che sembrano scritti da entrambi i punti di vista dei due personaggi contrapposti. E proprio trattandosi di mondi lontani e fantastici, anche l’ascolto del disco, ci trasporta verso lidi inesplorati, con suoni che miscelano la brutalità del black alla poesia del folk, o alla malinconia dei suoni acustici. C’è tanta roba qui dentro e non lasciatevi spaventare se pezzi come “The Leper’s Prospect” o “In Petris Stagnum”, possono debuttare con tutta l’irruenza e aggressività di un’esplosiva miscela di death e black, perché poi sentirete quanto i pezzi evolvano in modo miracoloso, toccando apici di ispirazione e gratificazione, che vi lasceranno senza parole. E allora, come suggerisce la band sul proprio sito, rompete gli indugi e non esitate un secondo a far vostro questo capolavoro di musica estrema. Epici! (Francesco Scarci)

(Erthe and Axen Records)
Voto: 90

http://xanthochroid.bandcamp.com/releases

sabato 23 marzo 2013

1476 - Wildwood / The Nightside EP

#PER CHI AMA: Dark, Gothic, Folk
Della serie “l’abito non fa il monaco”; nonostante la grafica delle copertine di questi due bei digipack faccia pensare di avere a che fare con una band di black metal norvegese o al limite neo-folk apocalittico, una volta inseriti i cd nel lettore, la sorpresa è notevole: la musica di questo duo del New England è un rock di stampo post punk piuttosto classico, dai toni vagamente dark e gotici, ma sempre molto suggestivo. La cosa che colpisce fin da subito, e caratterizza fortemente il suono del gruppo, è la bellissima voce di Robb Kavjian: calda, profonda, carismatica e ricca di colori. “Wildwood”, uscito sul finire del 2012, è una sorta di concept che analizza la natura umana in tutti le sue sfaccettature, focalizzandosi sulla tendenza dell’uomo moderno a reprimere i proprio istinti. I testi, a partire dal titolo, sottolineano spesso un legame con la natura incontaminata, legame sottolineato da un suono complesso e stratificato, ma sempre molto fisico e “tangibile”, fatto di strumenti acustici, tastiere atmosferiche e percussioni tribali che convivono bene con chitarre distorte e cavalcate di stampo quasi metal. La voce di Kavijan ci accompagna senza cedimenti lungo dieci pezzi molto vari ma sempre evocativi, caratterizzati da inesorabili crescendo (l’iniziale “Black Cross/Death Rune”) e linee melodiche spesso irresistibili, come nella splendida “Good Morning Blackbird” o la lunga e trascinante “The Golden Alchemy”. Proprio i momenti più propriamente metal sono quelli meno convincenti, apparendo leggermente fuori fuoco nell’economia di un lavoro che si mantiene comunque su livelli sempre molto alti.

#PER CHI AMA: Dark, Gothic, Folk acustico
“The Nightside” è un EP di soli quattro brani, dai toni raccolti, scritti e registrati durante le session per l’album, che gli autori hanno voluto raccogliere a parte. E questa scelta si rivela assolutamente azzeccata, dato che questi altri venti minuti sono ancora più evocativi, nel loro dipanarsi tra le percussioni solenni della bellissima “Mutable: Cardinal” (che mi ha fatto tornare alla mente certe cose dei Grant Lee Buffalo), l’incedere desertico di “Know Thyself, Dandy” (vicina ai leggendari Gun Club di Mother of Earth) o una versione acustica e ancora più bella di “Good Morning Blackbird”, raggiungendo quella compiutezza e quel senso di omogeneità che un po’ manca all’album. Una bellissima sorpresa, questi 1476, decisamente originali nel loro modo di intendere la musica, di produrla, registrarla e diffonderla in maniera assolutamente autarchica, con uguale cura per la forma e il contenuto. (Mauro Catena)

(Seraphim House)
Voto "Wildwood": 75
Voto "The Nightside EP": 85

http://www.1476cult.com/2012/11/wildwood/

mercoledì 20 marzo 2013

Yayla - Nihaihayat

#PER CHI AMA: Black/Ambient
Per chi ancora non lo conoscesse, Yayla è un progetto personale del musicista/regista turco Emir Togrul e questo è il suo quarto album. L'istrionico musicista mostra ancora una volta la sua personalissima concezione del black/ambient metal fatta di stratificazioni di suono e distorsioni ovunque, contrastati da lunghi tappeti di synth e tastiere votate alla tristezza e alla riflessione. In questo lavoro Yayla si mostra molto determinato e mette in campo tutta l'esperienza acquisita nelle precedenti release, infatti nei cinque brani che compongono questo “Nihaihayat” troviamo la lunga intro “Intergumental Grasp” e la conclusiva “In Senility” che si rifanno al precedente “Fear Through Eternity” (album epico e monolitico dal sound costituito prevalentemente da tappeti di tastiere atmosferiche recensito a suo tempo su questo blog) con suoni maestosi di synth evocanti paesaggi eterei e oscuri mentre nei restanti tre centrali l'anima di Yayla si rifà al suo aspetto più sonico, distorto e ipnotico con scorribande ai confini con l'industrial marziale e il noise ma suonato come solo Burzum potrebbe intenderlo (anche se nel suo insieme il suono di Yayla è molto più pesante di quello del maestro!). Una ipnosi continua e massacrante quasi robotica, assalita dalla voce cavernosa e degenera di Emir, chitarre claustrofobiche create ad arte per rendere tutto nebbioso e cupo, quasi a voler proiettare l'ascoltatore in un mondo a sé, lontano da ogni dove, la misantropia ad ogni costo, un viaggio sciamanico avvolto dal mistero. A volte dai difficili risvolti e dalle tortuose inclinazioni sonore, dissonanze e distorsione a ruota libera creano un pesante muro di teatrale e sofferta decadenza, un'onda continua, un magma di rumore nero che si riversa sulle nostre orecchie. L'effetto tocca il suo apice in “Disguises of Evil” (che è anche la mia preferita) per l'impatto devastante, mistico e ripetiamo ancora, ipnotico, che la composizione di Yayla riesce ad infondere. Un continuo lento declino senza meta, lunghi brani di geniale tormento e tristezza, intelligenti, rumorosissimi e profondi, pieni di uno stato d'animo provato, epico e intimista, un sound estremo per sensazioni di introspezione estenuanti. Yayla lo conosciamo e lo ammiriamo, la sua musica cinematica non è per tutti ed è proprio questo che lo distingue da tutte le altre band. Il suo mondo è sotterraneo e popolato da spettri e fantasmi, saggi, mistici e nere figure tutt'altro che innocue. Da odiare o amare, fate la vostra scelta... l'ascolto è comunque consigliato! (Bob Stoner)

(Self)
Voto: 75

http://merdumgiriz.org/