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martedì 28 dicembre 2010

Fear Factory - Obsolete


La guerra tra macchine e umani continua! Ricordo che quando ho avuto il cd fra le mie mani, ero scettico. Dopo “Soul of a New Machine” e “Demanufacture”, mi sono detto: “mmm... mi sa che questo concept non mi piacerà come gli altri due”. Ho guardato l’artwork del grandissimo Dave McKean in copertina e mi sono deciso ad ascoltarlo. Ha girato subito bene, i Fear Factory avevano sfornato (ricordo che era il 1998) un nuovo album fedele al loro stile, ma non uno pseudo-clone. Idealmente una release che chiudeva una trilogia con i due precedenti, quindi ne segue il solco, tuttavia mostrando una sua personalità. Mi sbilancio: una sua originalità. Procede con una sua linea e le canzoni si alternano piacevolmente dando una sensazione di non ripetitività, non semplicissimo considerando il genere. Undici tracce di un eclettico industrial metal con forti infiltrazioni elettroniche, tra cui si alternano pezzi molto duri (“Hi-tech Hate”, “Edgecrusher”) a pezzi più melodici (“Descent”). Interessante l’evoluzione del cantante Burton C. Bell, che riesce ad alternare sempre più parti growl ad altre più pulite in maniera efficace. Gli altri componenti rimangono a ottimi livelli di esecuzione, forse meno tirati che nei lavori precedenti: non fraintendete, spaccano lo stesso. La chitarra di Dino Cazares, in particolare, suona più bassa del solito. La finezza dell’album risiede nella commistione sempre più profonda con i suoni elettronici: davvero più ricercati che nei lavori precedenti. Il risultato migliore di tale miscela si può trovare nella bella (ma non velocissima) “Resurrection”: davvero si ha la sensazione di perdersi e ritrovarsi. I testi sono coerenti con il concept dell’album: la guerra tra macchine e umani. Sebbene già presente in precedenza, in questo lavoro si concretizza e si dispiega completamente in tracce come “Securitron”, “Smasher/Devourer” e “Obsolete”. Quest’ultima davvero manifesto di questo lavoro. Da notare la finale “Cars”, cover dell’omonimo pezzo del 1979 di Gary Numan che partecipa anche a questa interpretazione. Come riportato all’inizio, menzione speciale per tutto l’artwork di quest’album, veramente coerente con la parte musicale ma per nulla scontato. Confermatissimi! (Alberto Merlotti)

(Roadrunner)
Voto: 75

The Dark Shine - Last Chance


Adesso mi ricordo cosa odiavo delle band anni ’90 tipo “Elastica”. E pensare che avevo rimosso. Qui siamo alla clonazione, o giù di lì. Parto con tutta la buona volontà, sono italiani, vicino alle mie parti (bergamaschi) e hanno una cantante che suona la chitarra. L’adolescente che è in me si risveglia! Dopo due minuti, l’adolescente saluta tutti e va vedersi un film di Edwige Fenech e Lino Banfi (senza offesa). Il primo lavoro di ampio respiro di questo gruppo non ha niente di originale: tutto già sentito, voce femminile da ragazzina tipo Avril Lavigne, con qualcosa di più ambiguo anche se ci prova con qualche acuto, specie nella quasi punk “Haunting”. In altre songs la vocalist esagera e scopre tutti i propri limiti. Sonorità un po’ buttate lì, accordi semplici che, purtroppo, non hanno il pregio di incastrarsi nella mente. Il pentolame è in linea col resto delle sonorità, semplice lineare, anonimo. Discorso simile per gli assoli di chitarra, messi quasi come una foglia di fico, anche nelle canzoni più tirate (vedi “Redrum”). Da dire che alcune volte funzionano, ad esempio nel lentone “Cries Cries”, dove tuttavia le linee di chitarra non nobilitano la canzone più di tanto. Meglio nella più intimista “City” dove alcuni giri sono azzeccati. Schema compositivo classico, che funziona da scheletro da canzoni altrimenti destinate all’amorfismo ameboide totale. Cosa si può salvare? Bé, diciamo che sono coerenti, nel senso che lo stile quello è, e quello rimane per tutto il lavoro: ne consegue che se a uno piace il genere, è a posto per tutto il CD. Ascoltate anche la ghost track in italiano in coda alla traccia dieci. Ecco cosa potrebbero esplorare: un ritmo più classico, suoni più caldi e meno arrabbiati. Come dite? Vi ricorda vagamente “Down by Law” dei SuperB? Anche a me. La produzione è buona, rispetto a lavori che sembrano registrati in una grotta (non volutamente), qui tutto si sente decentemente. Le liriche passano come acqua. Un “ni” per l’artwork e il packaging: qualcosina di buono colpisce, ma poco. Spero che il titolo “Last Chance” non sia profetico: cioè, se questa era la loro ultima possibilità, mi sa che se la sono giocata. Forse può essere utilizzato per una festina tra ragazzini... adesso provo con i figli dei miei vicini... (Alberto Merlotti)

(Hurricane Shiva)
Voto: 40

Lord Agheros - As a Sin


Decisamente uno dei prodotti più affascinanti usciti nel 2008 quello di Evangelou Gerassimos, mastermind polistrumentista dei catanesi Lord Agheros. Dopo l’esordio del 2007, “Hymn”, la My Kingdom Music ha messo gli occhi su uno dei talenti italiani, a mio avviso, più promettenti. Ne è uscito “As a Sin”, viaggio suggestivo e intimistico, attraverso nove tracce ricche di feeling, pathos e molto mistero, capaci di spingerci con la mente in oscure epoche medievali, bagnate da un tiepido sole autunnale. Dopo l’intro “Drama Begins”, si aprono le danze con un trittico di meravigliosi brani, dove classiche ambientazioni si fondono a vocalizzi black (l’unica parte da migliorare) e spunti etnico-tribali (ascoltare “Sacrilegium” per godere di una appassionante musica araba). Romantico, epico, struggente e talvolta folkloristico, “As a Sin” è un caleidoscopico viaggio nel tempo: potremo prendere come punto di riferimento il capolavoro “Kveldsfanger” degli Ulver e renderlo un po’ più elettrico nel suo incedere, con una vasta gamma di sperimentazione avanguardistiche (techno-noise) di prima classe. Non c’è niente da fare, questo disco l’ho ascoltato e riascoltato, apprezzandone di volta in volta le mille sfaccettature che ogni suo ascolto è in grado di offrire. Mettetevi le cuffie e lasciatevi cullare dalla musica di Gerassimos, in un commovente turbinio di emozioni, ne resterete ammaliati. Una inattesa piacevole sorpresa. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music)
Voto: 80

Ecnephias - Haereticus

#PER CHI AMA: Death/Black atmosferico, Rotting Christ, Septic Flesh
A distanza di poco più di un anno da “Dominium Noctis”, ritornano gli Ecnephias, portabandiera di un magistrale death/black, dalle forti tinte horror sinfoniche. Questo “Haereticus” non è un vero e proprio full lenght, ma un Ep di 7 pezzi della durata di 26 minuti. Dopo la declamazione in latino della breve intro “De Natura Deorum”, attacca selvaggiamente la title track, il pezzo, a mio avviso, migliore dell’album, capace di alternare la furia black death dei nostri, con orchestrazioni granguignolesche, ideali per un film di Dario Argento: spettacolare è infatti l’epicità della parte centrale del pezzo, con una bellissima e teatrale invocazione mista di latino e italiano; da pelle d’oca direi. Segue poi la maestosa “Deviations”, dove i nostri confermano essere, oltre ad abili esecutori, anche musicisti dotati di una eccellente creatività: tenebrose atmosfere, notturne evocazioni ed epici cori, fanno di questa traccia e in generale di “Haereticus”, un lavoro interessantissimo che potrà di certo piacere ai fan del black metal in toto e non solo ai patiti del sound sinfonico e gotico a la Cradle of Filth. Le orchestrazioni simili ai primi Limbonic Art, certe atmosfere che richiamano il death ellenico dei primi Rotting Christ o Septic Flesh, la sempre magnifica voce di Mancan, con il suo alternarsi tra il growling più cupo (che richiama però in certi frangenti Dani Filth) e le parti più pulite (cantate in italiano o declamate in latino), confermano la bontà di un lavoro che deve essere assolutamente ascoltato dagli amanti di sonorità estreme. L’intermezzo “Eterno Silenzio”, dove compare la suadente voce di una gentil donzella, preparare l’ascoltatore a “A Darkened Room”, la canzone più brutale del cd, quella che più richiama i Rotting Christ di “Thriarchy of the Lost Lovers”. “Hills on a Desert” sesta traccia del cd, è un mid tempos melodico e ragionato, che si chiude con un enigmatico assolo. “Ave Maestro” infine, celebra con oscuri versi, la degna chiusura di un’opera che non fa altro che aumentare la mia attesa, per l’ascolto del nuovo full lenght degli Ecnephias. Se il buon giorno si vede dal mattino, il nuovo album sarà sicuramente un capolavoro… (Francesco Scarci)

(Nekromantik Records)
Voto: 75

http://www.ecnephias.com/

Symbolyc - Engraved Flesh


Bombastico!!! Questo è il suono che esplode nelle casse del mio stereo, non appena premo il tasto play su “Engraved Flesh”, primo full lenght dei napoletani Symbolyc. Già a partire dalla cover del cd, si capisce che il quintetto partenopeo ha voluto fare le cose in grande e inizialmente privi di qualsiasi supporto di etichetta (ora con My Kingdom Music), ha sfoderato un’ottima prova collettiva. Nati come cover band di Sepultura, Slayer e Metallica, i Symbolyc hanno saputo evolvere e virare il proprio sound verso le sonorità tipiche del death metal polacco, che ha dato la fama a band del calibro di Vader, Behemoth e degli sfortunatissimi Decapitated. Partiamo quindi dal tipo di sound: brutale, ipertecnico, con le chitarre a innalzare montagne di riffs e la batteria a cercare di abbattere questi muri insormontabili. Il death che ne esce fuori è monolitico, diretto e scevro di ogni tipo di sperimentazione, ma estremamente efficace. Dopo l’ascolto di ogni traccia, mi ritrovo col fiatone, tanta è l’energia in grado di trasmettere questo lavoro. Le ottime growling vocals di Diego Latino richiamano, per stile di canto, il vocalist dei Vader; gli assoli ci rimandano invece ad un brutal death di stampo americano, stile Monstrosity: precisi, taglienti ma sempre melodici. Trovano spazio, in taluni frangenti, anche mid tempos più ragionati (vedi “Suffering”), dove i nostri sembrano quasi spingerci sull’orlo del burrone, per poi affossarci con una mortale spallata. Violenti, adrenalinici, energici, potenti (complice anche la registrazione strepitosa ai 16th Cellar Studios), i Symbolyc ci regalano una eccellente prova di sapiente e brutale death metal iper tecnico, a dimostrare ancora una volta che la penisola italiana è in grado di offrire band di eccellente livello, che possono tranquillamente tenere il passo dei gruppi internazionali, ma ahimè ancora una volta, mostra l’insufficienza, che regna sovrana, nel supportare valide realtà italiane, ancora prive di contratto… Un peccato se non raggiungessero il successo che meritano (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music)
Voto: 75

Lapsus - Moments of Aberration


Sembra il suono di un carrion quello ad aprire il cd dei Lapsus, ensemble italico già in giro da un lustro, che dopo un demo cd e una serie di fortunati concerti (culminati con il “Gods of Metal” del 2007), giunge finalmente al tanto agognato full lenght, dopo aver coltol’interesse di diverse webzine e case discografiche. La cover del cd e il look dei 5 ragazzi di Torino, non so per quale motivo, ma mi richiamano i Darkane; la musica che esce dalle mie casse non vai poi cosi tanto distante dalla proposta dei godz svedesi. Il sound del quintetto piemontese infatti è una sorta di thrash stile Bay Area, “sporcato“ dal classico rifferama swedish death e da alcune soluzioni ritmico e vocali tipiche della scena italiana. Una ritmica sincopata contraddistingue tutto il lavoro dei nostri che, per caratteristica del sound, mi ricorda il debut cd dei marchigiani Edenshade, non raggiungendo ahimè le loro inarrivabili vette di genialità. Tuttavia, la musica che salta fuori nelle 11 tracce qui proposte non è niente male, per quel suo suono moderno, a tratti violento e veloce, ma il più delle volte estremamente melodico e di classica impostazione (Iron Maiden docet). Insomma, non vi è ancora chiara l’idea di cosa suonino i Lapsus? A dire il vero è abbastanza disorientante anche per me per certi versi, comunque immaginate una sorta di Soilwork molto melodici, con qualche giro di chitarra alla Darkane, soluzioni vocali vicine agli Edenshade, contaminazioni thrash di chiara ispirazione americana, cosi come pure qualche rimando ad altri gods (i Korn) è percebile nelle note di questo “Moments of Aberration”. L’abilità dei nostri sta nel far convivere tutte queste influenze in un unico lavoro senza snaturare la propria identità, e senza offrire alla fine un cd che suoni cosi particolarmente eterogeneo. Anzi proprio qui sta il pregio dei Lapsus, convogliare una serie di affluenti/influenze in un unico fiume di passione e vivacità che rendono assai appetibile questo lavoro, che forse vi terrà incollati allo stereo per qualche tempo, per poi ahimè stancarvi, all’uscita dell’ennesimo lavoro di questo stampo (vera spina del fianco di questo genere). Forza e coraggio, sperimentando qualcosina in più, si possono ottenere ottimi risultati… (Francesco Scarci)

(Uk Division Records)
Voto: 70

Nerve - Hate Parade


Si, si e ancora si, promossi a pieni voti! L’ho deciso non appena ho inserito il cd nel mio lettore e le devastanti ritmiche hanno invaso, attraverso le cuffie, il mio cervello penetrandomi e trapanandomi, con la propria furia demolente, la mia povera mente. Eccoli tornati i Nerve, con il loro secondo strabordante “Hate Parade”, la loro personale sfilata dell’odio, che si manifesta attraverso queste violentissime tracce, prodotte egregiamente ai Nadir Music Studios dal grande Tommy Talamanca (mostro sacro e creatura mitologica dei Sadist). Forse anche grazie alla genialità del buon Tommy, quello che ho fra le mani, risulta essere uno dei lavori più interessanti usciti negli ultimi tempi dal nostro paese, ma non solo: ne è una testimonianza “Mescaline” per quel suo break centrale in mezzo a tanta rabbia, tale da scomodare mostri sacri come Atheist o Cynic. La terza incendiaria “Shelter” pone in evidenza l’evoluzione sonora del combo genovese, che prese le distanze dal death groove un po’ superficiale degli esordi, si mostra mostruoso e virtuoso nel sapere miscelare passaggi veramente estremi ed enfatizzati da una super pomposa produzione, con passaggi più ragionati e di classe sopraffina. Urla disumane, vocals schizofreniche (Infernal Poetry docet), chitarre iper distorte e ribassate, cavalcate che annichiliscono il povero ascoltatore, cambi di tempo e rallentamenti da paura, assoli al vetriolo e una ritmica paralizzante, contraddistinguono “My Inferno” vera e propria perla, che rappresenta tutto ciò che dovrebbe avere una canzone estrema per definirsi tale. Incredibili, incredibili e ancora incredibili: non ho parole per descrivere l’assalto delle prime quattro strabilianti songs di questa inattesa release. Si prende un po’ di respiro con la non tiratissima “Black Fades” (si fa per dire) ma con “Fake Deaf” si riprende ancora una volta a far del male, palesando sempre una intelligenza musicale fuori dal comune che trova conferma anche nell’esplosiva title track. Tecnica ineccepibile, idee brillanti (altro break centrale da brividi), vocals che si alternano tra un growling feroce e rare aperture melo-clean. Compatti, dinamici, intraprendenti, sprezzanti del pericolo, strafottenti e a ragione, perché in tavola ci sono le carte giuste per fare il colpaccio dell’anno e aver sfornato uno dei più bei lavori di death ultra incazzato, ma comunque pur sempre ricco di groove e intuizioni geniali. Che sia o no il disco dell’anno a poco importa ora come ora, quel che è certo è che la band ha raggiunto una piena maturità e una consapevolezza nei propri enormi mezzi, che mi spinge a definire i Nerve come una sorta di Darkane italiani, anche se a differenza dei colleghi svedesi, i ragazzi di Genova fanno molto più male e probabilmente sono più geniali, forse anche per qualche riferimento ai maestri Sadist (era “Tribe”) piazzato qua e là. Che altro dire, ce ne fossero di band capaci di sparare proiettili in questo modo, sfoderando cosi tanta personalità e svuotando le mie membra di litri di adrenalina. Selvaggi! (Francesco Scarci)

(Nadir Music)
Voto: 80

Sin of Lot - My First Word


Facciamo subito una premessa: se state cercando qualcosa di originale, lasciate perdere immediatamente, qui probabilmente non troverete niente che possa soddisfare le vostre esigenti orecchie, chissà che in un futuro non debba ricredermi... Però se anche voi avete voglia di distrarvi per un po’ con delle ritmiche belle cazzute e incazzate, caricarvi di adrenalina a manetta, beh magari un ascolto a questi ragazzi forse sarà proprio il caso di darlo. Nati per gioco ad un concerto dei Black Dahlia Murder (cosi come riportato in biografia), il quartetto genovese, ci investe con la propria aggressività già dall’iniziale “Everything is Word”, song ben strutturata, melodica ma non esageratamente, con le vocals di Cisco che non sono niente male; tuttavia nulla di nuovo all’orizzonte, però direi che la song si lascia ascoltare e si rivela ottima per scatenare un pogo assassino. È con la successiva “Evolution” che ho una sensazione di deja vu, perché gli articolati e ultra tecnici giri di chitarra ultracompressa (grande Riky, ex ascia dei Nerve), e le linee di basso nel pezzo centrale della song, muovono dentro di me emozioni provate in passato solo con sua santità Chuck Schuldiner e soci. Che mazzata ragazzi e che tecnica, peccato solo che manchi la genialità dei Death, altrimenti sicuramente il voto sarebbe stato un altro. Anche la terza traccia, “Cage” stupisce, soprattutto per il lavoro dietro alle pelli di Fabio (anche lui di casa nei Nerve), mostruoso nella sua preparazione e nel suo modo di suonare assai fantasioso e strabordante, una vera e propria macchina da guerra. “Through Thousand People”, ultimo pezzo di questo breve EP, ci stordisce ancora una volta per la tecnica palesata dai 4 ragazzi liguri e per il loro amore viscerale nei confronti del sound dei Death, per quella ricerca costante nel cambio di tempo o nella commistione di melodia e brutalità. Spiace solo che la durata sia cosi esigua, perché sono sicuro che ne avremo sentito delle belle. Da attendere al varco… (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 65

Vulture Industries - The Malefactor’s Bloody Register


E’ stato un piacere per me aver ascoltato questo gruppo norvegese che ha le sue origini in Bergen, una sorpresa davvero. Il gruppo si chiama Vulture Industries, e questo è il loro secondo cd completo dal nome “The Malefactor’s Bloody Register” prodotto dalla Dark Essence Records. Il cd è composto da 8 tracce una più bella, strana e particolare dell’altra, dove di certo nell’ascolto non vi annoierete nemmeno un secondo e nei momenti di silenzio non vedrete l‘ora che inizi la track successiva, ve lo posso garantire. Il cd si apre con una breve intro “Crooks & Sinners”, un’apertura di tastiera stile lunapark macabro ma che fa da perfetto apripista alla genialità di questo cd. La seconda traccia “Race for the Gallows”, si presenta con un’alternarsi di clean vocals a voci distorte con le chitarre cupe e violente e la batteria rutilante nel suo incedere. Menzione particolare alla voce, davvero interessante nel suo modo di cantare, che va da linee vocali prettamente metal, poi pulite fino a raggiungere linee sinfoniche, che dire fantastica. Quello che colpisce in tutto il cd è la particolarità quasi esasperata di ricerca di suoni originali e accattivanti seppur chiaramente derivanti dall'avantgarde o dal post rock. In tutto il cd ritroviamo questi giochi di ritmi di batteria violenti, cupi e brutali che poi diventano rallentano nella loro progressione per poi riesplodere ancora una volta con brutalità e controtempi imprevedibili. La stessa cosa la possiamo ritrovare nel riffing delle chitarre, che spaziano tra ritmi quasi compulsivi, sincopati, brutali, cattivi, per poi bloccarsi o andare controtempo con tempi e ritmiche più tranquille. Musicalmente il cd suona davvero bene, e strano, dubito infatti che avrete nell’ascoltarlo, in mente la tipica frase “questo pezzo mi sembra di averlo già sentito”. In questo cd infatti ogni song ha una sua storia e vita e così ogni pezzo ci conduce a sensazioni diverse, una sorta di viaggio lucidamente folle e dannatamente creativo. E’ davvero un piacere poter godere della follia creativa di questi ragazzi norvegesi .La quarta traccia “The Bolted Door”, è davvero un chiaro esempio di quello che sto cercando di spiegarvi: un altalenarsi di riff violenti, brutali sostenuti da una batteria trascinante, cupa e cattiva, oltre ad essere assai complessa e articolata con il surplus dell’aggiunta del sax. Per chi come me ama la ricercatezza, l’osare e la creativa folle, faccia suo questo album senza ombra di dubbioUltima menzione per “This Cursed Flesh”: questo brano rappresenta la sintesi della violenza e della cattiveria, nonché della genialità contenuta in “The Malefactor’s Bloody Register”. Che dire, senza dubbio cari Vulture avete preso la strada giusta ed innovativa, per cui vi seguiremo con molto interesse! Bravi ragazzi, andate avanti così, musicalmente siete molto ispirati e a mio avviso i degni eredi dei grandissimi Arcturus. (PanDaemonAeon)

(Dark Essence Records)
Voto: 80

Inner Logic - Parallel Reality


Ricevere EP con poche tracce comincia a diventare un' abitudine, quindi affrontiamo anche gli Inner Logic con il loro "Parallel Reality" e le relative 4 canzoni. Bustina di plastica, due fogli volanti come cover ed un artwork abbastanza curato, anche se la qualità di stampa è da quattro in pagella. La forse fresca (non sono molte le infomarzioni rintracciabili sul gruppo da Internet/Ndr) band scozzese attacca con un sound che non nasconde niente, un punk hardcore abbastanza semplice e già sentito per molti frangenti. Sonorità strumentali che a volte richiamano i Lostprophets (cori compresi) e un vocalist che, almeno nel cd, non brilla per la sua versatilità. Per fortuna qualche passaggio risulta azzeccato, come in "Nations Apart", dove trova spazio anche qualche contaminazione metal che viene però subito accantonata. Che le doti strumentali dei musicisti ci siano non abbiamo dubbi, ma questo non fa un buon un buon disco quindi mi ritrovo a dare un voto insufficiente. Questo per stimolare gli Inner Logic a produrre magari un cd completo, cercando di proporre un prodotto di qualità superiore. Si può fare. (Michele Montanari)

(Alkemist Fanatix)
Voto: 55

mercoledì 15 dicembre 2010

Sideris Noctem - Wait Till The Time Is R.I.P.


Il cd posto alla nostra attenzione questa volta, è di una band emergente proveniente dall’Ucraina e si chiama Sideris Noctem. Questo è il loro primo lavoro completo, prodotto dalla sempre presente e attenta BadMoodMan Music. Il cd è composto da 9 track, 8 delle quali inediti del gruppo e un pezzo è una cover degli immensi Katatonia. Dopo questo preambolo, andiamo ad ascoltare il lavoro di questi ragazzi dell’est Europa. Il cd viene aperto da “First Day”, un intro prettamente strumentale, in cui veniamo accolti da una batteria con un rullante molto militare, quasi marziale. Il pezzo si evolve con una piacevole e melodica parte classica fatta di violini e con la batteria a scandire il tempo. Dopo poco meno di un minuto di intro, parte la seconda traccia che dà il nome al cd: questo pezzo entra con un riff di chitarra veemente e duro, che si amalgama perfettamente ad un bel sottofondo di tastiere che rendono il tutto interessante all’ascolto. La ritmica di questo pezzo è sostenuta, ma mai eccessiva e ben suonata. Le voci si alternano tra il growling distorto di Pavel e i classici eterei gorgheggi femminili del soprano Anastasia, che rendono il tutto un po’ più angelico e dolce, arricchendo la performance dei nostri. I riffs delle chitarre si susseguono tra ritmi lenti, poi veloci e violenti che sembrano fare un gioco sonoro atto a rincorrersi. La terza “Binary”, viene scandita all’inizio con dei bei tocchi di pianoforte, che suona dolce, rilassante, entrano poi le chitarre, con riff armoniosi, tranquilli e altrettanto rilassanti, che suonano come una tipica “ballata” metal. Il pezzo scorre via come era iniziato rilassante, ben eseguito con le vocals pulite di Pavel pregne di un pathos estremamente malinconico. Le voci continuano a mescolarsi tra clean, distorsioni e cori femminili. Il pezzo, con i suoi forti richiami ai gods My Dying Bride, non sfocia mai nella violenza; la batteria non segna ritmi esasperati, ma sembra quasi cullare ritmicamente gli altri strumenti. Inizia la quarta traccia “Behind the Mirror of the Winter’s Fall“, e qui i ritmi si fanno un po’ più vivaci, con i riff di chitarra che dipingono malinconici affreschi autunnali. Anche qui le vocals e del resto in tutto il cd, si alternano in un dualismo growl-soprano che alla fine rischia un po’ di stancare. In tutto il pezzo, quello che emerge è il tentativo delle ritmiche di essere più violente violenti, cattive, aggressive, ma mai esageratamente estreme grazie al bilanciamento dato da riff di una seconda chitarra che esegue parti più ritmate. Il pezzo ha un intermezzo tranquillo, rilassante dove il pianoforte con il suo suono morbido sembra cullare l’ascoltatore. La settima song è una graditissima sorpresa: si tratta infatti della cover dei Katatonia “ Without God”, risalente addirittura al primo mitico “Dance of December Souls”. Eseguita decentemente, si fa notare subito la doppia cassa di batteria che fa da sfondo ai riffs maligni black doom. La voce è cupa e oscura. Il tutto viene arricchito dal supporto delle tastiere, certo è che l’originale è tutta un’altra cosa. Si può dire che in tutto il cd, la band ucraina si sforza nel proporre un sound elegante, ma non sempre quello che ne viene fuori è del tutto buono. C’è ancora molto da lavorare, tuttavia noi vi seguiremo! (PanDaemonAeon)

(BadMoodMan Music)
Voto: 70

sabato 11 dicembre 2010

Vidres a La Sang - Som


Fanno ritorno sulla scena metal dopo quasi tre anni, i blacksters spagnoli Vidres a La Sang con quello che è il loro terzo lavoro, forse quello della consacrazione chissà, ma di sicuro è l’album che chiude la trilogia iniziata nel 2004 con l’album omonimo e proseguita poi con “Endins” fino a quest’ultimo “Som”. La cosa che balza subito all’occhio del quartetto iberico, sfogliando il libretto del cd, è quello di cantare in catalano, questo forse per ribadire la coscienza e la fierezza delle proprie origini, quindi mi fa specie trovare nel booklet interno, le liriche tradotte prima in castigliano e poi in inglese. Musicalmente parlando, la band prosegue quanto iniziato con i precedenti lavori, continuando quindi nella proposizione di un mix brutale di black death oldschool, contaminato tuttavia da suoni moderni ed epiche atmosfere. Pur non mostrando alcunché di innovativo, il combo si muove con diligenza ed in estrema libertà, all’interno delle strutture tipiche del genere, palesando una certa agiatezza, che solo le band di una certa esperienza possono avere. Ad aprire il disco ci pensa la title track, song pregna di orgoglio e speranza a livello di testi, song brutale, che tuttavia nel suo incedere, manifesta divagazioni doomeggianti assai apprezzabili, e che raggiunge il suo culmine nel melodico assolo conclusivo. La successiva “Policromia” (ispirata ad una novella di Hermann Hesse) prosegue sulla stessa scia dell’opener track, con velocità mai troppo sostenute, mostrando una certa predilezione per mid tempos ragionati, dove ad emergere è la qualità tecnica espressa dai singoli dell’ensemble spagnolo. Ciò che apprezzo maggiormente è la tipologia degli assoli di derivazione assolutamente classica, cosi come pure la tecnica sopraffina del nuovo batterista Carles Olivè, che ha sostituito il defezionario Alfred Berengena. La terza e lunghissima “Esclause de la Modernitat” (con i suoi dieci minuti e passa) è una song assai complessa nella sua architettura, con diversi cambi di tempo, feroci accelerazioni e la voce, talvolta monocorde di Eloi, a trasportare in musica la poesia dello scomparso poeta Miquel Martí. Il cd procede su questi binari per tutta la sua durata (oltre i 50 minuti), arrivando ahimè, un po’ stancamente al termine del sesto pezzo. Forse la band avrebbe dovuto osare maggiormente e sperimentare qualcosa che le permettesse di staccarsi definitivamente dalla massa delle death black metal bands; siamo sulla strada giusta e una song molto come “Al’Ombra” dimostra i progressi che i nostri potranno compiere nel prossimo disco, se sceglieranno di intraprendere un sound più atmosferico e ben orchestrato. Per chi ha apprezzato sin qui il loro cammino, il consiglio è quello di far vostra anche questa release e abbandonarsi nel disperato mondo dei Vidres a la Sang… (Francesco Scarci) 

(Xtreem Music)
Voto: 65