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giovedì 23 aprile 2020

Ecnephias - Seven - The Pact Of Debauchery

#PER CHI AMA: Gothic/Dark, Moonspell, Burning Gates
E dopo dodici anni, eccomi a recensire il sesto lavoro della band potentina; mi mancano i primi due dischi, compensati però da un EP, 'Haereticus' nel 2008, e poi mi potrei tranquillamente considerare un fedele devoto alla causa Ecnephias. A parte gli scherzi, non posso negare la mia stima nei confronti dell'italica creatura, capace nel corso della propria carriera di mutare pelle, adattarsi a situazioni complicate, lottare caparbiamente contro tutto e tutti (mulini a vento compresi) e arrivare oggi a rilasciare questo settimo sigillo, intitolato 'Seven - The Pact Of Debauchery'. Nove nuovi brani per saggiare lo stato di forma di Mancan e soci, cercando di capire come il sound dei nostri sia evoluto dopo le dipartite di Sicarius Inferni e Khorne, presenti nel precedente 'The Sad Wonder of the Sun'. Ebbene, quella trasmutazione verso il gothic rock che citavo come completata nella vecchia release, qui è ormai assodata e la band non fa altro che esplorare ed ampliare il proprio raggio d'azione. Se l'inizio di "Without Lies" chiama ancora in causa i vecchi Moonspell, con la voce del buon Mancan a rappresentare il marchio di fabbrica per il nerboruto trio, quello che mi convince davvero in questa song è la componente solistica forte dell'ottimo lavoro del bravo Nikko, con le chitarre qui dotate di un eccellente taglio classicheggiante, peccato solo per la loro esigua durata. I temi legati alla magia, al paganesimo e all'occultismo non mancano nemmeno in questo cd e "The Night of the Witch" lo conferma a chiare lettere a livello lirico, laddove a livello musicale invece, sono le ormai consuete atmosfere sinistre venate di una discreta aura malinconica a farla da padrona. Il riffing è pacato, le keys dipingono paesaggi che mi ricordano da lontano Rapture, Enshine e Slumber, mentre quello che mi esalta sempre un sacco sono decisamente i cori, cosi evocativi, epici e coinvolgenti, tanto da ritrovarmi alla fine del brano con il pugno volto al cielo. Arriviamo anche alla traccia che non necessita di sottotitoli, "Vampiri", con quel suo mood dark new wave che mi evoca una band nostrana, i Burning Gates. Pur trovando che il cantato in italiano caratterizzi maggiormente la proposta del trio lucano, capisco di contro che la possibilità di esportazione del prodotto Ecnephias fuori dai confini nazionali, potrebbe divenire più complicato. Spettacolare intanto l'assolo sciorinato in questo brano dal sempre bravissimo Nikko, in quello che forse alla fine dei conti, risulterà essere anche il mio pezzo preferito. "Tenebra Shirt" è una traccia piuttosto lineare nella sua progressione, non tra le più memorabili inserite nella discografia degli Ecnephias, ma comunque un onesto episodio di fine atmosfera. Molto meglio l'inquietante incedere ritmato di "The Dark", che nel suo break centrale, cerca di coglierci di sorpresa con uno stralunato fuori programma, giusto una manciata di secondi per disorientarci dallo stato di intorpidimento in cui stavamo per cadere, si perchè talvolta la proposta dei nostri sembra un po' depotenziata, insomma col classico freno a mano tirato. L'incipit di "Run" mi ha fatto pensare per una frazione di secondo alle operistiche partiture dei Therion, ma tranquilli nulla di tutto ciò viene poi qui esplorato, anche se Mancan alterna il proprio growling ad un cantato molto pulito, ma niente paura perchè è giunto il momento anche dello spazio etnico grazie all'utilizzo di percussioni che non mi fanno tanto pensare al Mediterraneo, piuttosto al voodoo africano. Un sintetico incipit ci introduce a "The Clown", la traccia sicuramente più ricca di groove e mi verrebbe da dire anche quella più canticchiabile (mi scuserà Mancan) con quel suo coretto "I saw a clown..." che si stampa nella testa; ottima poi la melodia di fondo su cui si staglia l'ascia sempre vigile di Nikko. L'apertura de "Il Divoratore" nasconde nelle sue iniziali percussioni melliflue (eccellente anche Demil dietro alle pelli) un che del misticismo di Twin Peaks, a cui fa seguito l'arpeggio della sei corde qui a braccetto con le tastiere, e il cantato di Mancan qui particolarmente carico di emotività, a rafforzare la mia ipotesi che in italiano la proposta degli Ecnephias renda molto di più. E per chiudere in bellezza, ecco che anche la conclusiva e arrembante "Rosa Mistica" ci concede gli ultimi minuti di punk dark wave cantata in italico lingua, in quella che fondamentalmente è la song più violenta del disco, e che sembra quasi una bonus track a prendere le distanze da tutto quello ascoltato fino ad ora. Per concludere, a parte quella sensazione percepita in un paio di occasioni di un sound talvolta privo di incisività, la settima release degli Ecnephias va assaporata con una certa calma e armonia dello spirito. Detto questo, la mia stima nei confronti della band rimane immutata per carisma, professionalità e una certa ricerca di originalità. Per il resto, è sempre una certezza e un piacere aver a che fare con i nostrani Ecnephias. (Francesco Scarci)

lunedì 24 luglio 2017

Ecnephias - The Sad Wonder Of The Sun

#PER CHI AMA: Gothic Rock
È ufficiale, la trasmutazione degli Ecnephias è ormai completata. 'The Sad Wonder Of The Sun' è il sesto album della band lucana e ci dice che ormai le distanze dalla scena ellenica sono ormai prese. Mancan e soci propongono oggi un gothic rock tinto di atmosfere horror che con il sound estremo degli esordi che strizzava l'occhiolino ai Rotting Christ, condivide solo i pochi vocalizzi growl del frontman. Nove le tracce a disposizione per i nostri per convincerci della bontà della loro nuova proposta musicale, che si apre con "Gitana", una song che immediatamente mi ha rievocato le atmosfere di "Mephisto" dei Moonspell, anche se quello degli Ecnephias è un sound decisamente più morbido di quello contenuto in 'Irreligious', sostenuto poi da una performance vocale completamente in pulito e da un blando flusso sonico che s'irrobustisce solo negli ultimi 30 secondi. Quello stesso flusso prosegue nella sinistra "Povo de Santo", un pezzo un po' meno compassato rispetto all'opener, e che vede dietro al microfono come guest star, Raffaella La Janara Cangero (che comparirà anche in "Quimbanda") ad affiancarsi al growling sempre riconoscibile di Mancan, in una song stracolma di groove, dalla melodia fischiettabile e caratterizzata da un ottimo coro. Suoni dal forte sapore ottantiano contraddistinguono invece la flebile ritmica di "Sad Summer Night", song spettrale nella sua componente tastieristica, che vede il vocalist lucano manifestarsi nella sua doppia veste pulita-growl mentre a livello strumentale, il quintetto potentino regala un preziosissimo break di chitarra ed un assolo che sprigiona eleganza allo stato puro. Un riffone che sembra invece provenire da un qualche disco thrash degli anni '80, apre in modo inatteso "The Lamp", ma le keys ne smorzano immediatamente l'irruenza in una song lineare, melodica, piacevole ma forse un po' troppo scolastica. Sembra invece di trasferirsi in una qualche spiaggia caraibica con "Nouvelle Orleans", complice una inedita musicalità reggae tutta da scoprire, che ci mostra la band nostrana sotto una nuova luce, e con la voce del buon vecchio Mancan che emana un calore simile a quello che l'effetto di un paio di cicchetti di whiskey o meglio ancora di rhum potrebbero avere sulle corde vocali. Bel risultato devo ammetterlo, anche se sia ben chiaro, "scurdámmoce 'o ppassat" degli Ecnephias visto che oggi sono una realtà completamente diversa da quella dei loro esordi black death e in continua evoluzione rispetto anche alle ultime uscite. Le atmosfere horror tornano sovrane in "A Stranger", una traccia squisitamente spettrale nel suo incedere severo. Sembrano richiami a The Cure e Fields of the Nephilim quelli che sento in "Quimbanda", la song più dinamica del disco (soprattutto nel finale movimentato tra elettronica e heavy classico), che ripropone la vocalist dei La Janara al microfono e che finalmente vede Mancan tornare a cantare, in alcuni tratti, anche in italiano (che francamente  prediligo), cosi come nella successiva "Maldiluna", in uno strano connubio tra elettronica, suoni mediterranei, rock, dark e techno music che mi disorienta non poco. A chiudere questo eclettico 'The Sad Wonder Of The Sun' ci pensa "You", ultima dimostrazione di quanti e quali rischi si siano presi gli Ecnephias in quest'ultima loro fatica, proponendo un mix tra Paradise Lost e Type o Negative riletti in chiave pop rock, con il supporto di ottimi arrangiamenti. Che altro dire se non constatare la progressione di una band che non si è mai arresa di fronte alle avversità, che ha costantemente cercato di evolvere il proprio sound anche rischiando non poco di andare contro ai vecchi fan. Solo per questo valgono il mio rispetto, poi a parlare per loro c'è anche la storia. Alla fine però 'The Sad Wonder Of The Sun' lo si può amare o detestare, questo non toglie l'egregio lavoro fatto dai cinque musicisti italici, che quatti quatti potrebbero rischiare addirittura di divenire i leader di un nuovo movimento gotico mondiale. (Francesco Scarci)

sabato 24 gennaio 2015

Ecnephias - S/t

#PER CHI AMA: Dark/Gothic, Moonspell, Paradise Lost, Type O Negative 
'Ecnephias' è il quarto album che vado a recensire dell'omonima band lucana. Potrete quindi intuire la mia conoscenza dell'act nostrano, l'aver potuto apprezzare la loro progressione musicale sin dagli albori, e averne pertanto individuato pregi e difetti nel corso di questi ultimi anni. Potrete anche immaginare quanto fosse elevata la mia attesa per ascoltare il seguito di 'Necrogod', lavoro che vide una leggera flessione rispetto al precedente 'Inferno', album che fino a oggi costituisce il mio preferito nella discografia della band potentina. Con questo nuovo lavoro, il quinto per Mancan e soci (oltre a due EP), credo che dovrò rivedere un po' le mie preferenze. 'Ecnephias' raccoglie 13 pezzi, che includono un'intro e un outro. "The Firewalker" è la song che presenta la musica targata 2015 del quintetto di Potenza e il ruggito di Mancan, conferma l'ottimo stato di salute dei nostri, che tornano con un dark sound mediterraneo, che strizza l'occhio indistintamente a est (Rotting Christ e Septic Flesh) e ad ovest (Moonspell), soprattutto facendo valere la propria caratterizzante personalità. Il brano si muove su ritmiche un po' più pesanti rispetto al lavoro precedente; non mancano di certo aperture ariose, cambi di tempo repentini e la voce del carismatico frontman si dibatte tra il suo inconfondibile growl e le altrettanto singolari clean vocals. Ottima la sezione solistica, con il finale che sale di intensità, nonostante possano spiazzare le minacciose ambientazioni horror. Mica male per essere la prima traccia. "A Field of Flowers" vede Mancan prendere a modello il compianto Peter Steele (Type O Negative), con la sua profonda tonalità vocale, in una traccia dai contorni meno roboanti della opening track, ben più meditativa e dalle linee melodiche più malinconiche, soprattutto a livello dei solo. "Born to Kill and Suffer" si apre proprio con le parole che ne formano il titolo in una song che a tratti potrebbe anche sembrare una semiballad, non fosse altro per i vocalizzi graffianti del sempre più bravo Mancan. E' proprio vero, il vino invecchiando migliora e cosi il sound degli Ecnephias si arricchisce ogni volta di nuove sfumature e influenze, che comprendono oltre ai sopracitati anche gli ultimi Paradise Lost. Gli Ecnephias sono maturati ancor di più con questa nuova release targata My Kingdom Music, e lo si evince anche dalle successive "Chimera", "The Criminal" e "Tonight", tracce dotate di ottime parti orecchiabili, squisiti arrangiamenti e un utilizzo di tutti gli strumenti quasi sublime. Fantasiosa la miscela chitarra/tastiere nella prima delle tre, con quel suo mood quasi orchestrale (qui la performance di Mancan è al top). Più spettrale la seconda e decisamente più intimista la terza. Mentre ascolto le canzoni però rifletto se l'utilizzo del growling di Mancan, talvolta con i volumi che coprono quello dei singoli strumenti, sia ancora adeguato a rappresentare la proposta musicale degli Ecnephias, che pur mantenendo una certa aggressività di fondo, vira il timone verso lidi più orientati al gothic/dark. Questa non vuole essere una critica per la band, anzi, potrebbe essere un nuovo punto di partenza per aprire la propria musica a masse più estese. 'Ecnephias' è un album che mi ha conquistato sin dal suo primo ascolto, coniugando alla perfezione quanto di meglio Moonspell, Paradise Lost e Rotting Christ hanno concepito negli ultimi anni, con le influenze dei nostri che si estendono poi alle tetre ambientazioni di Type o Negative o quelle ancor più tenebrose dei Fields of the Nephilim ("Wind of Doom" ad esempio, con quella sua magnetica linea di basso e il suo feeling psichedelico, bellissima). Nel frattempo all'ottava traccia, "Lords of the Stars", mi domando se risentirò più il cantato in italiano del vocalist baffuto. Eccomi accontentato "...alla corona dell'anno, nei giorni cadenti di ottobre, la luna d'ambrosia risplende, oscura, sinistra e potente e vengo a te o dio...". Se dovessi visualizzare la traccia nella mente, la immagino come l'ululato disperato di un lupo nella notte in fronte alla luna. La song la eleggo quasi d'istinto mio pezzo preferito, per suggestioni, suoni vellutati e sinistra magia. Anche nell'altrettanto notturna "Nyctophilia", viene utilizzato il cantato italico (e da qui fino alla fine), in una traccia dai forti richiami gothic anni '90. "Nia Nia Nia" già dal titolo rimanda a risvolti popolari, chissà poi se sarà vero. E infatti non sbaglio: le linee di chitarra che ne guidano la melodia e il cantato, delineano una song dal piglio etnico della tradizione lucana e qui nella mia mente si configurano feste di paese con gente che balla; poco importa poi se Mancan si mette a cantare in growl, ormai con la mente vago tra le feste paesane della bellissima regione che ha dato i natali ai nostri. Con "Vipra Negra", la traccia che ne ha visto anche il ciak video, riavverto quei sentori dei Litfiba primordiali che avevo già sottolineato in 'Necrogod' e che in questo lavoro, si avvertono indistintamente nelle chitarre. La song impreziosisce ulteriormente un album, che a tutti gli effetti definirei il migliore dell'intera discografia degli Ecnephias, anche grazie al simbolismo occulto esposto nella cover cd. 'Ecnephias', il cosiddetto lavoro della maturità per una band che merita tutta la vostra considerazione. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music - 2015)
Voto: 90

giovedì 23 maggio 2013

Ecnephias - Necrogod

#PER CHI AMA: Horror Heavy, Rotting Christ, Septic Flesh
Avete mai provato quella sensazione quando siete a tavola, di voler lasciare il meglio che c’è nel piatto alla fine? Ebbene, prima di ascoltare il tanto atteso ritorno sulle scene dei lucani Ecnephias, ho aspettato qualche giorno, cosi giusto per pregustarmelo un po’, insomma una sorta di “Sabato del Villaggio” come scriveva il buon Leopardi, in cui crearmi le giuste aspettative. Dopo quattro giorni, ho inserito finalmente “Necrogod” nel mio stereo per capire quale evoluzione avesse subito il sound di Mancan e soci. Ecco quindi proiettarmi con l’occulta intro nel mondo enigmatico e mediterraneo della band potentina. Volete sapere cosa ho pensato appena chiusi gli occhi e mi sono abbandonato a “Syrian Desert”? Mi è sembrato che questo prologo potesse ricalcare il debut EP dei Moonspell, quell’“Under the Moonspell” che mi sconvolse qualche lustro indietro l’esistenza, per quel suo forte taglio arabeggiante. Quando è poi “The Temple of Baal Seeth” a svelarsi come vera prima traccia, torno ad assaporare il sound ellenico nelle corde dei nostri, sporcato però da influenze british che ne ammorbidiscono il suono; immaginate un bel mix tra Rotting Christ e ultimi Paradise Lost e potrete capire di che cosa stia parlando. Vorrei quindi indicare gli Ecnephias come maggiori esponenti di una ipotetica scena della Magna Grecia. Sicuramente vi starete chiedendo il perché delle mie parole. Perché le chitarre del combo italico offrono il meglio della band greca, ossia quei riffoni che sembrano più un ingranaggio che va via via sbloccandosi, uniti ad un rifferama più pulito che invece ricalca l’ultimo periodo della band albionica, il tutto sempre contraddistinto dal dualismo vocale di Mancan, bravo a districarsi tra un growling sempre comprensibile (utile anche per farci capire le liriche, tra l’altro estremamente interessanti in quanto legate a mitologia, simbolismo, religione e magia) e delle cleaning vocals corali. “Kukulkan” è un brano ritmato, in realtà molto semplice ma che sa comunque conquistare per la sua melodia di fondo fresca e malinconica, sorretta da quei leggeri tocchi di pianoforte e da aperture che evocano tempi lontani, con un assolo di chiara matrice heavy. Parte di quella robustezza presente in “Inferno” sembra essere scemata per far posto ad atmosfere più soffuse e malinconiche, non fosse altro che le orrorifiche e a tratti incazzate melodie della title track, mi smentiscano immediatamente, spingendomi addirittura ad evocare nella mia tortuosa mente i Necrophagia e per orchestrazioni anche gli ultimi maestosi Septic Flesh. Niente paura perché arriva “Isthar (Al-'Uzza)” e qui il buon Mancan mi guarderà di sottecchi dietro ai suoi baffi: l’inizio della traccia (ma anche il chorus) ha tirato fuori dai cassetti della mia memoria “Desaparecido” dei Litfiba, spingendomi con un balzo temporale di 26 anni indietro; non sto pensando ad una canzone precisa ma a quell’aura dark, sprigionata dalle chitarre e dai vocalizzi, che contraddistinse il debutto della band di Piero Pelù e soci, anche se nel chorus di “Isthar” una rivisitazione di “Istanbul” ci potrebbe anche stare. Certo poi il growling del bravo vocalist permette alla band di prendere le distanze da quel lavoro, anche se al secondo e al terzo ascolto, ho riprovato questa stessa sensazione, focalizzando ulteriormente la mia attenzione su questo brano. Eccoli di nuovo poi gli echi orientali tornare in “Anubis (The Incense of Twilight)”, song contraddistinta da una ritmica sempre molto pulita e armonica con il resto degli strumenti. Semplice e diretta la batteria, essenziali le keyboards, pulite e mai spinte le chitarre, con la voce di Mancan sempre inappuntabile ed inconfondibile, peccato solo non abbia potuto godere di performance in cantato italico. “Kali Ma (The Mother of the Black Face)” è un altro pezzo in cui tornano a manifestarsi gli spettri dei Paradise Lost, forse quelli più ancorati a “Draconian Times”, mentre “Voodoo (Daughter of idols)” penultimo brano del disco e quasi un tributo ai vecchi Iron Maiden, vede la partecipazione in veste di special guest di Sakis dei Rotting Christ alla voce, segno della reciproca stima e amicizia che lega le due band. A chiudere ci pensa la strumentale “Winds of Horus”. Insomma, il restyling degli Ecnephias parte da “Necrogod” e dalla nuova etichetta alle spalle dei nostri, la sempre attenta Aural Music; speriamo solo che sia la rampa di lancio per una più che meritevole carriera degli Ecnephias, contraddistinta da sempre da ottimi lavori, che a mio avviso, non hanno però goduto della giusta attenzione da parte del pubblico. E allora, per rifarsi delle mancanze passate, date una grande chance a “Necrogod”, non ve ne pentirete! (Francesco Scarci)

(Aural Music)
Voto: 80

http://www.ecnephias.com/

lunedì 9 gennaio 2012

Ecnephias - Inferno

#PER CHI AMA: Black Dark Gothic, Rotting Christ, primi Death SS
Non poteva mancare sulle pagine del Pozzo, il come back discografico degli Ecnephias, band lucana che seguo sin dal loro primo cd, che con questa nuova release, li vede tra l’altro, al loro esordio su Scarlet Records, brava nel sottrarli alla Code 666. Il digipack si presenta inquietante fin dalla lugubre copertina, dove una Madonna (deduco) lacrimante sangue giace su un letto, con in braccio un bimbo (Gesù Cristo?). Poche note di pianoforte introducono “Naasseni” e poi ecco esplodere l’urlo di “A Satana”, dove a colpirmi immediatamente, è la forte connessione musicale con gli ultimi Paradise Lost, con un bel riff di base avvolto da orientaleggianti melodie create dalle tastiere di Sicarius e con il buon Mancan ad alternare il suo growling ad una voce non del tutto pulita, passando tra l’altro con estrema disinvoltura dall’inglese all’italiano (da sottolineare che il ritornello peschi dall’”Inno a Satana” di Giosuè Carducci). La parte finale è poi da stropicciarsi gli occhi, cosi come la successiva “A Stealthy Hand of an Occult Ghost”, dove i nostri riprendono il loro vecchio amore per i Rotting Christ, contaminato però da una verve cibernetica tipica dei The Kovenant, per abbandonarsi ancora una volta ad una chiusura da brividi, affidato ad un basso slappato e a delle fantastiche melodie. Sono entusiasta nel sentire che la band non si sia persa per strada, nonostante i molteplici cambi di line-up, ma abbia anzi continuato la propria evoluzione sonora, sfoderando un’altra prova degna di nota, che spero non lascerete passare inosservata. “Buried in the Dark Abyss” apre con un’altra strofa in italiano (sinceramente, le parti che adoro e che conferiscono quel quid in più alla proposta dei nostri) e poi grandi come sempre a creare atmosfere orrorifiche in stile primi Death SS, grazie a fantastiche keys, intelligenti chitarre, brillanti cavalcate gravide di malinconiche melodie e grazie soprattutto alla voce di Mancan, sempre carica di teatralità, che lo elevano a mio avviso, tra i migliori cantanti in circolazione oggi, grazie al suo spiccato eclettismo. Il disco procede con un altro pezzo interessante, “Fiercer than any Fear”, che dimostra nuovamente quanto i refrain in italiano siano più facili da essere memorizzati e cosi eccomi cantare “Oh Dio del Male della Sorte”. La malinconica “Voices of Dead Souls” (una sorta di semiballad, una bestemmia lo so, perdonatemi ragazzi), rappresenta un altro esempio di quanto i nostri abbiamo enfatizzato maggiormente l’utilizzo della nostra madre lingua a livello di liriche, emerga una spiccata ecletticità nei brani, sempre estremamente vari; ciò che mi esalta rispetto ai passati lavori è, a parte una eccellente cura negli arrangiamenti, anche la componente tecnica del quartetto, talvolta straripante e che esula completamente dal contesto estremo. La fiamma nera brucia ancora nei solchi di questo “Inferno” e non solo per ciò che concerne il titolo: l’anima black continua a permeare di una cupa atmosfera questo magnifico lavoro, che sicuramente ha il pregio di aprire la musica dei nostri a frange decisamente meno estreme del black ma che allo stesso tempo, corre forse il rischio di perdere gli amanti di sonorità più old school. Tuttavia chi segue la band sin dagli esordi, è abituato alle sonorità accattivanti dell’ensemble italico (splendida a tal proposito la sezione ritmica di “In my Black Church” con un profondo basso, quei delicati tocchi di pianoforte, e un sound grondante un groove pazzesco) o alle trovate geniali di Mancan e soci. “Lamia” chiude infine il cd e ancora una volta rimango stupefatto dalla epicità di un brano che starebbe bene nel “Notre Dame de Paris” di Cocciante (va bene, ora ho forse esagerato, ma non vogliatemi male ragazzi, non vuole essere un insulto, ma anzi vorrebbe esaltare il lavoro egregio svolto, che si completa con una bombastica produzione). A chiudere la versione digi ci pensa la bonus track “Chiesa Nera”, che non è altro che la versione in italiano di “In my Black Church”. Che dire ancora? Lasciarsi scappare questo lavoro, sarebbe una delirante follia. Da avere ad ogni costo! (Francesco Scarci)

(Scarlet Records)
Voto: 85

martedì 28 dicembre 2010

Ecnephias - Haereticus

#PER CHI AMA: Death/Black atmosferico, Rotting Christ, Septic Flesh
A distanza di poco più di un anno da “Dominium Noctis”, ritornano gli Ecnephias, portabandiera di un magistrale death/black, dalle forti tinte horror sinfoniche. Questo “Haereticus” non è un vero e proprio full lenght, ma un Ep di 7 pezzi della durata di 26 minuti. Dopo la declamazione in latino della breve intro “De Natura Deorum”, attacca selvaggiamente la title track, il pezzo, a mio avviso, migliore dell’album, capace di alternare la furia black death dei nostri, con orchestrazioni granguignolesche, ideali per un film di Dario Argento: spettacolare è infatti l’epicità della parte centrale del pezzo, con una bellissima e teatrale invocazione mista di latino e italiano; da pelle d’oca direi. Segue poi la maestosa “Deviations”, dove i nostri confermano essere, oltre ad abili esecutori, anche musicisti dotati di una eccellente creatività: tenebrose atmosfere, notturne evocazioni ed epici cori, fanno di questa traccia e in generale di “Haereticus”, un lavoro interessantissimo che potrà di certo piacere ai fan del black metal in toto e non solo ai patiti del sound sinfonico e gotico a la Cradle of Filth. Le orchestrazioni simili ai primi Limbonic Art, certe atmosfere che richiamano il death ellenico dei primi Rotting Christ o Septic Flesh, la sempre magnifica voce di Mancan, con il suo alternarsi tra il growling più cupo (che richiama però in certi frangenti Dani Filth) e le parti più pulite (cantate in italiano o declamate in latino), confermano la bontà di un lavoro che deve essere assolutamente ascoltato dagli amanti di sonorità estreme. L’intermezzo “Eterno Silenzio”, dove compare la suadente voce di una gentil donzella, preparare l’ascoltatore a “A Darkened Room”, la canzone più brutale del cd, quella che più richiama i Rotting Christ di “Thriarchy of the Lost Lovers”. “Hills on a Desert” sesta traccia del cd, è un mid tempos melodico e ragionato, che si chiude con un enigmatico assolo. “Ave Maestro” infine, celebra con oscuri versi, la degna chiusura di un’opera che non fa altro che aumentare la mia attesa, per l’ascolto del nuovo full lenght degli Ecnephias. Se il buon giorno si vede dal mattino, il nuovo album sarà sicuramente un capolavoro… (Francesco Scarci)

(Nekromantik Records)
Voto: 75

http://www.ecnephias.com/